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Messaggi - niko

#2626
Citazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:06:21 AM
al lavoro!


E dunque la bibbia che inizia con la lettera B, è la lettera che indica il figlio che noi siamo, BA.

Bereshit Bara, così inizia e c'è già tanto ma proprio tanto da dire.

Poichè Ba è il figlio, cosa ne è del padre?

Il padre celeste, che sta nei cieli è nella lettera A.

Ab significa padre.

Infatti non è bereshit, bensì (a)bereshit.

Per ricordarselo gli ebrei fanno iniziare la genesi, che in ebraico si chiama bereshit, ossia la saggezza (con la genesi non c'entra assolutamente un beneamato niente) con il numero 2.

Che ne è della pagina numero 1?
Se cominciamo a capire è dentro la lettera A, che non compare a sua volta nel manoscritto.

Nella prima pagina vi è scritto già tutto quello che c'è da sapere su Dio.

Ossia niente. O meglio se cominciamo a capire, c'è scritto proprio la lettera A.

Dunque DIO è A.

Ossia noi lo comprendiamo a partire da B quale noi siamo, cioè figli.

E cioè A lo comprendiamo solo come AB

cioè la A che non c'è la comprendiamo solo a partire da noi stessi, ossia come B.

Infatti BA vuol dire figlio.
e Ba che medita sull'assenza di A, chiama A, AB ossia padre.

Ancora meglio, come AVO.
Infatti arriva anche in italiano (a)B
Diventa avi, ossia sta scritto.
"I nostri avi raccontanto che"
anche con
"i nosti padri raccontano che"

Ab è la relazione fondamentale che regola la morale dell'amore.
Il rispetto del figlio verso il figlio che veniva prima di lui, ossia la tradizione, ossia la storia.

La bibbia inizia subito con qualcosa che rompe con la visione estatica dei popoli precedenti ad essa.

La bibbia comincia con la parola Storia, LA STORIA DEI NOSTRI AVI, LA STORIA DEI NOSTRI NONNI.

E in particolare la STORIA si racconta, ha un nome.

E questo nome è anche la sua massima aspirazione.

Che la storia sia ricordata!!!!

Questo sta scritto nella prima parola della bibbia.
la lettera B.
Ma la lettera B sta al talmud (il libro per il popolo), come  la parola che lo contraddistingue come esigenza morale.
Ossia benedizione.
La lettera B è  anche la lettera del BENE.
Che cosa è bene? fare gloria a DIO.
Ossia ricordare ai nostri figli della nostra storia!
Ossia ricorda o figlio che DIO è nascosto, e che noi siamo i suoi depositari.
La storia di Dio, è la storia degli uomini.
B sta per parola benedetta. La parola benedetta è DIO.
Ma la parola che dice del BENE, è la parola che non sa a cosa si riferisce.
Il bene è dunque sconosciuto.
E noi conosciamo solo le nostra azioni che si conformano al dettato non pronuncerai parola su di ME, DIO TUO, PADRE TUO.

Il fantasma del padre, è DIO.
Cosi ragiona Freud, e così si spiega l'intera nostra esistenza.
Infatti passiamo la vita a vendicare il nome di DIO.
Quando la profezia diceva esattamente il contrario.
Il fantasma del padre, dalla Bibbia ad Amleto, passando per Edipo.
E' la tanatologia, è satana, è il simbolico.
Obbedire alla legge di un padre che non esiste.

Per questo il padre si è nascosto.
Senza padre, nessun fantasma.

Come diceva Carmelo Bene, uno che aveva capito, nessuno è padre a nessuno.

La parola esiste solo come figlio di DIO.

La parola da ascoltare non è quella del fantasma ma quello dell'assenza del fantasma, dell'assenza della paura.

E' la parola della verità è quella della comunità degli amici.

Ossia la comunità dei figli.

Dei ricercatori spirituali, dei ricercatori del senso dell'assenza di D-o.

Questo senso è DIO, ossia è il BENE.

E dove porta questo senso della vita, della nostra vita?

Ce lo dice la BIBBIA naturalmente.

così sta scritto: " in verità vi dico che gli dei sono morti e che il viaggio verso la salvezza è iniziato, così i maledetti, gli uomini, così i benedetti, ossia gli angeli"

Questa salvezza in ebraico ha un nome si chiama ISRAEL.
Israele è la comunità dei ricercatori della salvezza.

Ossia è la comunità dei ricercatori spirituali, di chi fa uno sforzo per comprendere il peso della frase "DIO è morto!"
Ossia è il pensiero comunitario, se volete è gesù.

La comprensione reciproca è il presupposto morale, per cui la salvezza verrà a darsi.

Questo è dato per motivi storici, dalle continue guerre a cui le tribù del mediterraneo venivano sottoposte da parte degli imperi da babilonia fino a roma, e ad oltranza ancora oggi dall'Egitto, dall'arabia, per non parlare della questione drammatica della questione palestinese, ossia delle guerre interne fra le tribù fin dall'antichità.

In questo senso Israele è necessariamente l'alleanza fra le tribù.
Le 12 tribù poi diventate sette.

Come dice lo zohar in ouverture, israele è il calice della rosa.

Ossia è ciò che permette la rosa, ossia la ricerca spirituale.

Vi è nella bibbia una forte consapevolezza, delle forze telluriche della guerra, e delle sue conseguenze terribili, ossia la maledizione degli uomini, il seguire il male piuttosto che il bene.

Inseguire gli Dei piuttosto che il bene.

Ascoltare gli dei (il vitello d'oro) e non gli avi, che hanno sperimentato la maledizione della guerra.

Senza pace, niente ricerca.

Shalom è il saluto propizio per la futura Israele.

La bibbia non è per niente facile, perchè parla della maledizione, piuttosto che della benedizione.

Ma la benedizione è proprio la capacità di parlare della maledizione.

La parola, la storia e i suoi insegnamenti, sono l'unica etica richiesta.

La B iniziale, contiene già tutto questo.

Il figlio si occupa dei futuri figli, egli insomma impare ad essere un buon padre.

Una intera nazione si dedica a questo, eppure la maledizione permane.

Questo è solo per dire come il viaggio sia ancor lungo e di come e di quanto dobbiamo imparare da coloro che più di tutti si sono posti il problema di questa doppia relazione, di questo doppio legame.

E per chi pensa a DIO senza gli uomini, e per chi pensa gli uomini senza DIO, vi è solo maledizione.

Direi che questo è il significato del corno isrele, lo shofar, indica SVEGLIATI ISRAELE.

Dobbiamo svegliarci tutti e anche alla svelta.

O forse la profezia indica proprio il sonno a cui la maledizione ci ha già condannati tutti.

E infatti prima o poi moriremo tutti.

Lo sentite anche voi il rintocco della campana?


Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli.

(g.ungaretti)


Ognuno sta solo sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

(quasimodo)


Chi, s'io gridassi, mi udrebbe
dalle celesti gerarchie degli Angeli?
E se, d'un tratto, un Angelo
contro il suo cuore mi stringesse, certo
io svanirei di quella forza immensa
in Lui racchiusa.
Ché il Bello è solamente
la prima nota del Tremendo. E dato
di sostenerlo e di ammirarlo è a noi,
solo perché non cura di annientarci.
... E gli Angeli appartengono al Tremendo.
Per ciò, io mi raffreno e chiudo in gola
l'appello di un singhiozzo tenebroso.
A chi, gridar soccorso? Non agli Angeli.
Agli uomini? Neppure. E gli animali
sagacemente fiutano
che perigliosa a noi scorre la vita
in questo mondo d'inventati sensi.
Un albero ci resta, sul pendío,
da rivedere in ogni giorno. E resta
anche la strada che facemmo ieri:
la fedeltà viziata a un'abitudine,
che si compiacque d'indugiar fra noi;
e rimaneva; e non se n'è partita.
E la notte, la notte, allor che il vento,
tutto ricolmo dei siderei spazii,
il vólto ci consuma, oh non attende
ella, anelata, i cuori solitarii;
e li delude, poi, soavemente?
Forse, agli Amanti è piú benigna e lieve!
Ahimè! Non fanno che celarsi – stretti –
a vicenda, il destino...
E ancóra non lo sai? Via dalle braccia,
scaglia il tuo vuoto. Aggiungilo agli spazii
che respiriamo... E avvertiran gli uccelli
il dilatato ètere d'attorno
con piú gioioso volo.

   È vero, sí... Le primavere, al mondo,
avean sete di te. Talune stelle
si struggevan, lassú, che tu le udissi.
E t'investiva, a volte,
un'onda dall'ocèano del Remoto;
e, se passavi, dal balcone schiuso
un violino abbandonava tutte
le sue musiche a te.
Questa, la tua missione. E, per adempierla,
ti bastavan le forze? O non piuttosto
era un orgasmo in te, come se tutto
ti annunziasse un'amante?
E dove, in te, sarebbe stato spazio
per ospitarla,
in questo eterno pullularti dentro
di estranee immense idee,
che vengono e rivanno;
ed anche a notte, hanno dimora in te?
Ma canta, se la nostalgia ti accora,
canta le Amanti.
Ché, lungi ancor dall'essere immortale,
è il loro molto celebrato ardore.
Cantale, sí, le tristi Abbandonate,
che tu sempre invidiavi: e ti pareano
tanto amorose piú, di quelle altre
dal ricambiato amore.
E di cantarle, non cessare! Innova
la non mai colma lode!
Pensa: l'Eroe non è compiuto mai
d'essere al mondo.
Anche la morte, è a lui
pretesto per rivivere immortale
dopo l'estrema nascita.
Ma la Natura dentro il grembo esausto
riprende in sé le Amanti abbandonate,
come se non avesse piú la forza
di dar vita al prodigio un'altra volta.
Hai tu già sciolto un adeguato canto
alla memoria di Gaspara Stampa,
perché, deserta dall'amato, adesso,
una fanciulla, estatica all'esempio,
dentro si strugga di adeguarsi a lei?
Non debbono recare anche piú frutti,
queste pene defunte, a noi viventi?
Non è venuto il tempo,
che, amando, noi si giunga a liberarci
dell'adorato oggetto, in un fremente
impeto di vittoria,
come la freccia che, raccolta e tesa
entro il suo scocco, supera la corda?
Inerzia, è nulla. E solo il Moto, è tutto.

   Voci! Voci!... Mio cuore, e tu pervieni
ad ascoltare, come i Santi solo
sanno ascoltare.
L'immenso appello li scagliava in alto;
ma rimanean con le ginocchia a terra:
irreali impassibili profondi;
ed eran solo in quell'ascolto solo.
... Alla voce di Dio, non reggeresti.
Ma il soffio ascolta del messaggio eterno,
che si crea dal silenzio: e che ti giunge
da quei morti precoci.
Oh sempre che varcasti, a Roma o a Napoli,
la soglia di una chiesa, non parlava
un placido linguaggio, a te, quel loro
funereo destino?
O iscritto in una stele, ti si ergeva
innanzi, come là sovra la lapide
apparsa in te, Santa Maria Formosa.
Che vogliono da me? Ch'io con leggiero
tócco dissolva la parvenza ingiusta
di quella sorte, che talvolta ancóra
il loro etèreo moto un poco attarda?

   È strano, certo,
non abitare piú su questa terra;
non compier piú le usanze apprese appena;
né piú legare il senso
del divenire umano
alle rose e alle cose, onde ciascuna
aveva una sua voce di promessa;
non esser piú ciò ch'eravamo chiusi
nell'infinita angoscia delle mani;
e abbandonar finanche il proprio nome
come un balocco infranto.
È strano, certo,
non piú desiderare desiderii
desiderati tanto;
veder questa compagine, disciolta,
volitare per spazii sterminati...
Essere morti, è una fatica dura.
Un ímprobo ricupero di forze,
per avvertire un po' d'eternità.
Ma i vivi, tutti aberrano, − segnando
troppo profondo il solco fra i due Regni.
Gli Angeli (è fama...) ignorano talvolta
se vanno fra i viventi o i trapassati.
Ogni progenie, la fiumana eterna
travolge via con sé per ambo i Regni;
e, con lo scroscio suo,
ne sommerge il clamore in questo o in quello.

   Ma non hanno di noi bisogno piú
quei morti d'una morte prematura...
Placidamente,
ci si divezza dalla terra: come
ci si divezza dal materno seno,
quando sia l'ora.
Ma noi viventi, noi, che ci nutriamo
di tanti inesauribili misteri;
e a cui sovente, su da un lutto, balza
il progredir beato;
potremmo, noi, senza quei morti, esistere?
Non è leggenda vana,
che un dí si ardimentò la prima Musica
a penetrar dentro la dura pietra
nel compianto di Lino; e che per entro
quello spazio atterrito, ormai deserto
dal Semidio precocemente estinto,
l'ètere scosso, per la prima volta,
oscillava nel palpito di suono,
che ancóra ci travolge e ci consola.

Rainer Maria Rilke

(Traduzione di Vincenzo Errante)

da "Elegie di Duino (1922)" in "Rainer Maria Rilke, Liriche scelte e tradotte da Vincenzo Errante", Sansoni, 1941


Ma solo io non mi voglio salvare?!
#2627
Citazione di: ricercatore il 02 Dicembre 2021, 12:49:04 PM
@niko
non conoscevo queste due eresie: entrambe possono "risolvere" la paura dell'Inferno, ma resta (come mi sembra di capire) il problema dell'autenticità di un gesto d'amore condizionato da un guadagno futuro.

La paura dell'annientamento si può superare (ad esempio con l'argomento epicureo, quando c'è la morte noi non ci siamo, vale sia per la morte prima che per l'eventuale morte seconda, quindi l'importante è e rimane vivere bene nei limiti delle proprie possibilità), insomma si può essere oltre la paura dell'annientamento senza per questo essere santi o esseri sovraumani;

così come si può accettare la grande verità che la vita sia intrinsecamente piacere e sofferenza insieme e dunque se c'è un'altra vita dopo questa, questo e non altro si troverà pari pari anche nell'altra vita, piacere e sofferenza insieme, può cambiare solo la composizione relativa, quindi rassegnarsi al fatto che finanche il paradiso è un miglioramento relativo e non assoluto della condizione umana e si compone di gradi variabili di beatitudine essendo esso stesso complessivamente nient'altro che un grado variabile di beatitudine.

Amare disinteressatamente è oltre la paura e il guadagno, se tu ami, l'egoismo fondamentale sta nel fatto che amare qui e ora ti ripaga, te ne freghi se è amore che porta all'inferno o se è amore che porta al paradiso, vuoi quello che vuoi e basta.
E poi se anche inferno e paradiso non esistessero manco per niente e fossimo tutti cibo per vermi e per il grande nulla, (che poi è quello che è vero e che non/succederà al 99,9999...%, il che rende questa conversazione una conversazione fatta per amore, appunto, di conversazione) l'egoismo fondamentale insito nell'amare non si risolverebbe, non si risolverebbe nemmeno in nessuna nuova forma di riscoperto nichilismo o ateismo, perché l'amore ripaga l'amante e l'amato, non lo fai per l'egoismo del paradiso, lo fai per l'egoismo dell'amore.

E non si risolverebbe perché è un assoluto, come altro un assoluto è l'altruismo: ami sempre sia per te che per gli altri, da una parte è vero che l'amore ti gratifica e ti ripaga, (sia pure a volte nella forma del meno peggio e non del meglio) ma l'amore è sempre anche amore per l'altro, perfino Narciso davanti al suo riflesso si deve scambiare per un altro per amarsi, finché non si disillude nel suo vissuto attuale sta amando un altro, poi vieppiù ogni amore oggettuale (nel senso psicoanalitico di non-narcisistico, rivolto a qualcosa di esterno) è amore per l'altro, ogni amore frustrato e represso è ancora di più amore per l'altro perché si soffre l'attesa o la sostituzione dell'oggetto, eccetera eccetera.


Come vedi, inferno e paradiso non sono che dei "rafforzativi" di un'indivisibilità di fondo tra egoismo e altruismo nella realtà stessa dell'amore, che, anche se non si pensa a questi due destini ultraterreni e non li si implica nella discussione, comunque sussiste.

In generale l'amore corrisposto è la dimensione della finitudine della volontà, l'amore non corrisposto quella della sua infinitezza, la volontà si compone, della sua infinitudine e finitezza, non c'è dicotomia tra amare se stessi e amare l'altro, il desiderio dell'altro è il desiderio che l'altro abbia il nostro stesso desiderio: "prima" si crea una forma fantasmatica piena, di immagini e visione, trasparente a se stessa, del desiderio, "poi" si spera, si ha fede, che oltre quella forma, oltre il limite di quella forma, quindi nell'assoluta indeterminatezza, si sia in almeno più di uno (quindi due-o-più) a desiderare lo stesso, quindi che il desiderio possa nel suo divenire farsi legge, potenza che guida l'ameno due, questione politica, e non solo l'eccezione che già-è.



#2628



Da un punto di vista teologico e di storia delle eresie, le alternative all'esistenza dell'inferno sono principalmente due, l'
annichilazionismo e l'apocatastasi:

secondo l'annichilazionismo i peccatori vengono semplicemente distrutti per sempre, hanno un destino di annientamento ma non di sofferenza eterna (da cui ne consegue che non tutte le anime sono immortali, solo quelle dei giusti in paradiso): il concetto di seconda morte viene preso alla lettera, e anche il concetto secondo cui il salario del peccato è la morte, viene preso alla lettera, con una concezione della morte del peccatore come semplice oblio eterno della sua coscienza, il che è una sorte peggiore del paradiso, ma certamente migliore dell'inferno di fuoco come luogo di tortura, che non esiste; posizione questa per esempio dei testimoni di Geova, che sono la terza religione in Italia per numero di credenti, e la seconda se si escludono gli immigrati (islamici), tanto per dire che non è una posizione statisticamente marginale, ci credono un sacco di persone. La pena dei malvagi è non avere futuro, non avere un brutto futuro.

Secondo l'apocatastasi (principali sostenitori: Origene, Scoto Eurigena e altri) alla fine di un tempo lunghissimo anche i peccatori che sono all'inferno saranno purificati, quindi in questa concezione non esiste il purgatorio, o meglio l'inferno assume il ruolo del purgatorio, inferno e purgatorio diventano la stessa cosa.

I peccatori transitano temporaneamente per l'inferno ma alla fine di tutti i tempi si ritrovano insieme ai giusti in paradiso.

E allora perché non peccare, ci si potrebbe chiedere? Dato che dopo una pena finita si giunge a beatitudine infinita?Perché c'è comunque una forma di pena eterna che attende i peccatori, ulteriore alla pena temporalmente esauribile del loro inferno temporaneo: semplicemente rimarrà il rimorso per il male fatto.
L'essere purificati da una pena ultraterrena temporanea in questa concezione vuol dire anche e soprattutto l'essere messi in grado di provare rimorso per il male fatto in vita, e tale emozione negativa resterà per sempre anche in assenza di qualunque altra pena, perché anche su un piano di eternità provare rimorso per il male è un fatto costitutivo del bene, diventare buoni è anche diventare capaci di rimorso: quindi l'anima che è transitata per l'inferno avrà per sempre un grado di beatitudine minore, finanche quando ormai giunta in paradiso, rispetto all'anima che non vi è mai transitata.
I giusti avranno beatitudine infinita in senso pieno, i dannati beatitudine temporalmente infinita ma sempre con una punta di rimorso a pungolarli.

E' anche facilmente immaginabile, e secondo me è stato immaginato, che anche la vicenda biblica proceda per cicli temporali simili tra di loro a tempo indefinito, quindi i morti all'inferno in un ciclo temporale precedente potrebbero essere nient'altro che gli angeli che si ribellano a Dio in un ciclo temporale successivo, e il tempo può esaurirsi solo in un ultimo ciclo temporale definitivo in cui tutti muoiono in grazia di Dio e la ribellione angelica nel ciclo successivo non avviene.

Entrambe le concezioni che ho esposto comunque ci portano oltre il problema del:

"se c'è il paradiso nessuno che in esso creda fa il bene per altruismo (ma solo per guadagnarselo), e se c'è l'inferno nessuno che in esso creda fa il male per vero egoismo, (ma solo per egoismo frainteso, perché naturalmente andare all'inferno non conviene mai)", che mi sembra fosse il tema originario della discussione.

Insomma nessuna religione della salvezza individuale sembra poter predicare fino in fondo l'altruismo, soprattutto se vive di assoluti, nel senso che, chi vive per salvarsi, sarà portato se non a opprimere, quantomeno a strumentalizzare l'altro, a farlo esistere solo come prova e messa alla prova di se stesso, anche se la messa alla prove secondo le sue regole codificate prevede paradossalmente dimostrazioni più o meno superficiali di altruismo. La cosa più difficile da digerire è che in paradiso, se veramente ci crediamo, saremo felici lo stesso anche se la persona che amiamo di più non c'è perché è all'inferno, appunto perché la persona che amiamo di più secondo il dettame del cristianesimo dovrebbe essere Cristo/Dio e non altri nostri amati. Se giù in vita non possiamo concepire di essere felici nonostante la sofferenza o l'assenza di chi veramente amiamo e scegliamo di amare, che non deve per forza essere Dio, in morte dovremmo diventare capaci di tale sopraffino egoismo.

Nell'annichilazionismo c'è una concezione atea e nichilista della morte, ma che vale solo per la morte del peccatore, mentre solo la morte del giusto è paradisiaca. Ciò non toglie che se si immagina la morte come pura non-sofferenza, senza possibilità di inferno, il peccatore ha tutto il diritto e tutta la sua possibile eventuale convenienza, a seconda del suo modo di essere, di pensare e delle sue priorità, a sfidare l'ordine divino; semplicemente alla fine della fiera alcuni smetteranno di soffrire e alcuni altri saranno felici. Una differenza sottile, su cui si è giocata molta della filosofia occidentale. Essendoci solo il premio e non la punizione, non c'è un vero giudizio da parte di Dio.

Senza inferno, l'umanità è già redenta dalla prospettiva universale della finitezza di ogni possibile sofferenza individuale stabilita da un Dio quantomeno non sadico, dalla morte come Grande Consolatrice: chi è fuori dalla legge è fuori dalla vita.
Solo in questo senso si può pensare la gratuità della grazia come differenza sottile tra prospettiva di non-sofferenza e prospettiva di felicità per l'uomo, differenza che implica il nulla per superarlo, l'atto divino di asservire il nulla a uno scopo buono, e apparentemente impossibile: premiare il giusto senza punire il peccatore.

Il nulla della morte relativizza l'immensità del male sulla terra, lo riduce a quello che in effetti è ed è sempre stato, pura sofferenza temporalmente esperibile da un vivo e localmente esperibile da un corpo, e quindi induce la persona spirituale a uscire dal moralismo, ovvero a porre a se stessa il problema della sofferenza (cosa fare per...) e non quello, inesistente e quindi paralizzante, del male (cosa fare in generale).

In questa prospettiva, non paralizzati dalla paura di un inferno di fuoco, si può ben fare il male per egoismo, come ad esempio amare la creatura più del creatore, morire per un amore terreno e carnale, oppure come Giuda tradire Gesù perché la vicenda umana e divina andasse come doveva andare, con la prospettiva di oblio della sua coscienza e non di inferno. E si può fare il bene, o meglio quello che al momento e per le conoscenze che abbiamo ci sembra bene, per altruismo, paghi della prospettiva della morte come annientamento se il nostro personale concetto di fare il bene non verrà riconosciuto anche da Dio come tale, e quindi come aver davvero fatto bene. Si può provare, ad essere buoni, laddove non è giustificata una paura assoluta di sbagliare.


Ugualmente, se si immagina che la punizione del peccatore sarà un grado minore di felicità indotto dal permanere ultraterreno del suo rimorso, e non l'infelicità, si può fare il male per egoismo, e il bene per altruismo; non ci sono paure paralizzanti, si può valutare il nostro attuale senso del bene e del male come se fosse nient'altro che la nostra attuale capacità di provare rimorso. E se la santità è perfezione, la dannazione non gli si contrappone direttamente perché è uno stato migliorabile; qui il giudizio "di Dio" deriva direttamente dall'irreversibilità del tempo, e diventa anche il nostro giudizio su noi stessi via via che diventiamo coscienti di tale irreversibilità, la accettiamo e la facciamo lavorare a nostro vantaggio. Se il tempo è irreversibile, la morte non potrà mai spazzare via la nostra vita, ma neanche redimere il male in essa contenuto, l'unica possibilità è migliorarsi nel tempo che resta, senza obbiettivi assoluti, ma solo relativi, che avranno un grado variabile di riuscita.

Il cuore profondo del pensiero dell'apocatastasi è che per far soffrire nella giusta misura il peccatore e gioire il giusto, non bisogna metterli in due mondi ultraterreni diversi, un mondo brutto per il peccatore (inferno) e un mondo bello per il giusto (paradiso), ma che la stessa trasfigurazione totale e unitaria di questo mondo a un altro mondo, con caratteristiche diverse e rinnovate, in cui dovranno volenti o nolenti "abitare" tutti, proprio come tutti devono volenti o nolenti abitare in questo mondo, sarà una transizione di "tempo" e di "luogo" bella (paradisiaca) per il giusto e in un certo senso brutta (infernale) per il peccatore.
Questo mondo, materiale e imperfetto, è il mondo in cui si sperimenta sostanzialmente la possibilità di fare il male e l'impossibilità di fare il bene, quindi è il mondo "adatto", il posto giusto in cui vivere, per il peccatore, e "non adatto", il posto sbagliato in cui vivere, per il santo; insomma un mondo in cui il desiderio del male è pago, e il desiderio del bene è inappagato.
Escatologicamente, il mondo spirituale e perfetto che verrà, sarà l'esatto contrario, quindi tutti "andranno in paradiso" ma non tutti si troveranno bene lì: verrà un mondo, esatto opposto del nostro, in cui viceversa il desiderio del bene sarà pago e il desiderio del male sarà inappagato, e questo definirà l'essenza paradisiaca del nuovo mondo: è chiaro che chi serberà in sé ancora desiderio del male, chi non si sarà trasfigurato verso il bene nella stessa dinamica e corrente del mondo intero che si trasfigura verso il bene, starà male, nel senso di frustrazione e inappagamento, in questo nuovo mondo, esattamente come in questo mondo i giusti soffrono moralmente e spiritualmente, e a volte fisicamente, sotto il tallone dei malvagi che li opprimono, e i malvagi sperimentano in questo una sorta di frivola e illusoria felicità; questa dinamica si ribalterà ma per sempre, rendendo la felicità dei giusti di maggior valore e desiderabilità.

Quindi il rimorso che rimane nei malvagi, può essere pensato anche come desiderio inappagato rimasto in loro di fare il male in un mondo dove il male non si può più fare, si va infine tutti in paradiso ma lì i malvagi saranno in una certa qual misura turbati e proveranno frustrazione e rimorso alla contemplazione di Dio e del sommo bene, quindi non avranno lo stesso grado di beatitudine e perfezionamento degli altri, rimane il libero arbitrio eterno ma non comporta una pena eterna, solo un grado di beatitudine minore.




#2629



Alcune mie considerazioni su amor fati e mors tua vita mea in risposta a Ipazia, ma anche in generale:

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La morte relativizza gli orrori, la vanità e l'erranza, appunto, di tutta l'esistenza, quindi non è solo dalla morte dell'altro che possiamo trarre giovamento come ego e sussistenza individuale, direi piuttosto che ci sovviene l'innocenza e l'auto-assoluzione dell'effimero -che può riguardarci come nostro effimero valoriale e comportamentale- laddove comprendiamo che l'effimero è un fatto essenziale e un attributo necessitato di molte cose grazie alla realtà della morte.

Voglio dire, non aver agito e sentito spesso in termini di eternità o comunque di durata molto superiore alla vita umana individuale, aver fatto molte cose che secondo l'etica e la morale in cui abbiamo vissuto, (che siano morali familiste, lavoriste, religiose, comunitariste o produttiviste) sono sbagliate, può invece sembrarci giusto, ribaltando il punto di vista e considerando che secondo verità non siamo eterni, e nemmeno eccedenti la nostra singola vita.

Effimero e necessità si legano inscindibilmente davanti alla morte, e necessità è innocenza, disvelamento di ogni meccanismo sacrificale che ne impedisce l'azione, falsa imputazione di tutte le colpe o quasi.

Anche da un punto di vista fondamentalista di chi odierebbe di per sé la relativizzazione dei valori (intendo valori dell'etica o del punto di viste in cui è cresciuto, o che ha scelto, o nel migliore dei casi in cui si è evoluto), la relativizzazione dei disvalori può essere da questo stesso soggetto benevola e benedetta, e la morte consolatrice e de-eternizzante svolge giusto appunto questa funzione, quindi il "fare" spazio della morte a nuove realtà e risorse, comincia ben prima della morte del corpo nello "spazio" interiore di un certo tipo di individuo che della morte non ha paura.
Insomma relativizzazione degli orrori e dei vuoti dell'esistenza conseguente alla morte e alla -laicissima- prospettiva di morte, intesa come relativizzazione dei disvalori, delle colpe e delle crudeltà  proprie e altrui, di quello che si è nel tempo imparato a odiare e di quello che in generale non si ama, a beneficio di un possibile sovrappiù di amore.

Morte è libertà, la morte è stata a lungo pensata come libertà, perché immortalità sarebbe esplorazione e convivenza con tutte le combinazioni e possibilità di realizzazione date nel tempo infinito dell'universo o spazio in cui si sarebbe immortali e di cui si sarebbe parte, quindi uno stato in cui la -residuale- libertà di scelta resterebbe al limite la libertà sull'ordine di successione nel quale fare tutte le proprie non libere e predeterminate scelte.
Solo il mortale invece, può fare una scelta escludendo definitivamente, appunto mortalmente, le miriadi di altre scelte che non fa.

La morte correttamente intesa è il terzo corno del duro dilemma umano se sia preferibile il dolore alla morte o la morte al dolore.
Esistono appunto i meccanismi di autospegnimento della coscienza in presenza di troppo dolore o di affievolimento degli istinti vitalistici e volontaristici in prossimità della morte, quindi la morte è il troppo del dolore e il dolore è il troppo poco della morte, secondo misura del tempo e del luogo in cui "si deve" morire: ad esempio, Epicuro non se lo chiede più se sia preferibile la morte al dolore o il dolore alla morte, semplicemente sa che ogni dolore prima o poi o passa o induce alla morte del corpo, quindi ogni dolore ha un destino di doppia trasfigurazione ad esso possibile o nel piacere (suo opposto) o nella morte, quindi nessun dolore va assunto e vissuto come se fosse eterno, con la reazione spropositata, ed isterica, e surrogativamente consolatoria in favole ed illusioni, che si avrebbe davanti alla prospettiva di un dolore eterno.


L'amor fati però secondo me è oltre la fiducia epicurea nello spegnimento della coscienza in presenza di eccessivo dolore o nell'affievolimento degli istinti in prossimità dell'inevitabile morte, né è fede nella libertà e nella connessione dell'innocenza con l'effimero che dalla morte può derivare; l'amor fati è solo quando si comprende che l'esistenza con tutto il suo dolore non è né redenta, né consolata, né relativizzata dalla morte, quindi è un pensiero che contempla l'eterno ritorno dell'uguale, o quantomeno il fatto che la vita sia atopica, acronica e genericamente possibile come conseguenza delle leggi di natura.

Accettando l'amor fati,
Il dolore sperimentabile in vita trasfigura solo nella gioia, non più nella gioia-o-nella-morte come termini di una tautologia, legando l'uomo alla sua massima responsabilità possibile prima di trasfigurare a sua volta; in questo senso il passato, con tutta la sua sofferenza, è stato, oggetto di volontà, perché in generale preferito alla morte; si torna al dilemma, e lo si scioglie nel senso che il dolore è preferibile alla morte.

Si può fare della morte un disvalore, un puro suggello/nulla, perché non si fa, della vita un valore: si esiste nelle considerazioni e nelle possibilità relative alla qualità della vita, si ha una posizione relativa corrispondente alla nostra vita in una vita più grande, che non è solo nostra. L'oblio diviene un fatto attivo, non più oblio della coscienza, ma oblio nella coscienza, meccanismo per riguadagnare ulteriormente il passato alla disponibilità della volontà infuturandolo. E il senso dell'attimo presente è il non poter ri-volere immediatamente il passato, ma solo dopo mediazione che possa comprendere anche il valore dell'oblio come effetto a distanza della creazione, non essere attaccati alla vita come nominazione e sopravvivenza.



#2630
Citazione di: iano il 12 Novembre 2021, 07:22:59 AM
Citazione di: niko il 11 Novembre 2021, 22:04:25 PM
Citazione di: viator il 11 Novembre 2021, 17:55:42 PM
Piccola precisazione : tutti coloro che sono sin qui intervenuti su questo argomento (tranne iano) lo hanno fatto credendo che la mia affermazione contenuta nel titolo del "topic" fosse "NESSUN ESEMPLARE DI NESSUNA SPECIE SI AUTOLIMITA", tesi che io mai mi sognerei di sostenere.


E' interessante notare come noi tutti - assai più spesso di quanto si possa credere - si reagisca ad una semplice locuzione di sole 4 parole ("NESSUNA SPECIE SI AUTOLIMITA!) peraltro espressa in un italiano (spero) abbastanza comprensibile...................


Quando si dice che si capisce solo quello che si vuol capire !!. Salutoni.

Beh, Viator, anche senza scomodare l'ipotesi Gaia o ipotesi lamarkiane, le autolimitazioni degli individui di cui si è già parlato, si ripercuotono in maniera ovvia sulla dimensione collettiva e sulle specie.

La natura, con l'eccezione di alcuni viventi in grado di autoclonarsi e quindi di differire tra di loro sostanzialmente solo per tempo e posizione, appare più come una immensa raccolta di esseri simili, piuttosto che identici, ma anche i simili si auto-limitano tra di loro, e questo rende la natura stessa oggetto possibile di coscienza e conoscenza.
Non in maniera ovvia.
Nel mio predente post ne ho indicata una, magari cervellotica, inventata lì per lì.
Viator comunque ha messo il dito nella piaga .


Beh, io penso che le morti programmate e le autolimitazioni degli individui si ripercuotano sulla specie, intendo proprio sulla numerosità della specie, nella modalità ovvia del poco/tanto, nonché del troppo poco/troppo, che poi ritende nel tempo a un'equilibrio, proprio perché l'essere in troppi, o in troppo pochi, vivere in un contesto di deserto o di sovraffollamento in relazione a quello che dovrebbe essere l'optimum ideale per una data specie, fa male anche all'individuo singolo di quella specie in grado di sentire il male, e/o di manifestare incontrovertibilmente le conseguenze del suo insuccesso smettendo di esistere, e non solo alla specie.

Poi come possiamo dire che la vita di un individuo non è interamente trasparente alla coscienza ma ha un'inconscio, così questo inconscio lo possiamo intendere come una sovra coscienza o una sotto coscienza, e nel suo essere sovra coscienza potrebbe allora essere coscienza collettiva, quindi anche, e non solo, coscienza di specie. E la coscienza di specie ci potrebbe "dire" quando limitarci e quando prosperare, ma sono appunto tutte ipotesi inverificabili queste.

Ma pure se fosse sempre e solo un meccanismo per/giudizialmente definito come "esterno" che limita le specie (mettiamo/ammettiamo pure che sia così), noi umani come esseri coscienti e intelligenti se vogliamo autolimitarci siamo in grado di farlo, e quindi di attivarlo, tale meccanismo esterno, ed ecco che così esso non è più un meccanismo completamente esterno ma assume un certo grado di libertà all'osservazione della coscienza, e quindi di internità al vissuto della vita singola.



#2631
Citazione di: viator il 11 Novembre 2021, 17:55:42 PM
Piccola precisazione : tutti coloro che sono sin qui intervenuti su questo argomento (tranne iano) lo hanno fatto credendo che la mia affermazione contenuta nel titolo del "topic" fosse "NESSUN ESEMPLARE DI NESSUNA SPECIE SI AUTOLIMITA", tesi che io mai mi sognerei di sostenere.


E' interessante notare come noi tutti - assai più spesso di quanto si possa credere - si reagisca ad una semplice locuzione di sole 4 parole ("NESSUNA SPECIE SI AUTOLIMITA!) peraltro espressa in un italiano (spero) abbastanza comprensibile...................


Quando si dice che si capisce solo quello che si vuol capire !!. Salutoni.

Beh, Viator, anche senza scomodare l'ipotesi Gaia o ipotesi lamarkiane, le autolimitazioni degli individui di cui si è già parlato, si ripercuotono in maniera ovvia sulla dimensione collettiva e sulle specie.

La natura, con l'eccezione di alcuni viventi in grado di autoclonarsi e quindi di differire tra di loro sostanzialmente solo per tempo e posizione, appare più come una immensa raccolta di esseri simili, piuttosto che identici, ma anche i simili si auto-limitano tra di loro, e questo rende la natura stessa oggetto possibile di coscienza e conoscenza.

#2632

Non è vero che nessuna specie si autolimita,

è un tuo pensiero personale che non tiene conto di nozioni biologiche, come l'apoptosi cellulare, la telomerasi, la genetica dell'invecchiamento in generale,

che non tiene conto di Freud e di tutta la psicoanalisi che accetta l'esistenza dell'istinto di morte,

che non tiene conto di secoli di filosofia e culture diverse dalla nostra, a partire dagli antichi Greci che, sul contrasto tra volere singolo umano e destino biologico, e quindi di morte, dell'uomo hanno costruito un'intera morale basata conosci te stesso e sulla misura (già la dike anassimandrea insegna che la morte è implicita nella vita: gli opposti si oppongono tra di loro ma la loro unità si oppone a sua volta all'indefinito).


Che non tiene conto che si può applicare la coscienza e l'intelligenza umana al controllo delle nascite e già quasi tutte le persone tranne le più ignoranti o fanatiche religiose lo fanno, e già questa è una notevole auto-limitazione della specie, quindi per estensione e per analogia, come quasi sempre riusciamo a capire la saggezza intrinseca al controllo delle nascite e non figliamo come conigli, possiamo e dobbiamo imparare la saggezza intrinseca al rispetto dell'ambiente.

Dunque questa idea che nessuna specie si autolimita, e quindi che quindi in ultima analisi la morte non può che derivare da una battaglia esteriore tra specie diverse, o tra esseri intraspecificamente violenti, o da errori perfettibili nella struttura biologica e nelle finalità ad essa intrinseche, o al limite da calamità ambientali varie che con le specie interagiscono, secondo me è solo cattiva coscienza dell'uomo che non accetta la morte, e soprattutto non l'accetta come libertà di natura e di prassi sempre de/responsabilizzante e disponibile, ne come fatto psicosomatico-interiore.

Ma moriamo ogni giorno con l'esperienza del sonno e dell'invecchiamento, e siamo testimoni della morte dell'altro, animale, vegetale e umano, quindi in un certo senso ce l'abbiamo sotto gli occhi, come la specie a cui apparteniamo si autolimiti per noi e in noi.

Non accettando la premessa non entro molto nel merito delle conclusioni, che anche quelle mi sembrano, aimè, sbagliate perché troppo ottimistiche anche esse: dalle manifestazioni dei gretiani, che daranno l'illusione di innescare provvedimenti governativi già da molto programmati, seguiranno, come dire, non polveroni, ma tempi duri per tutti.
#2633


Non dovremmo essere più disposti a sopportare una gestione emergenziale, ne tanto meno auto-sacrificale del fenomeno, di questo come in generale di nessun altro fenomeno; se ci sono sacrifici da fare, ebbene che li facciano i padroni.

Abbiamo visto come una legislazione di emergenza protratta nel tempo diventi sempre il pretesto per una svolta autoritaria, non dovremmo mai più farci fregare

(ad esempio recentissimo, divieto di manifestare emanato dal Viminale e benedetto dal presidente della Repubblica perché secondo loro se si manifesta aumentano i contagi, ma le vie dello shopping natalizio e gli stadi di calcio sono pieni, con veri e propri assembramenti di gente senza mascherina, e lì si suppone che non aumentino i contagi, o che se aumentano, sia per un bene superiore, ovvero di vendere più merci e spettacoli... e guarda caso, puta caso, il divieto di manifestare, con la scusa dei cortei no green pass, arriva quando problemi ben più gravi del green pass si palesano all'orizzonte, come licenziamenti e un caro vita e un caro bollette in grado di falciare milioni di persone... persone la cui vita sarà distrutta e che per i prossimi mesi non potranno manifestare, per il divieto di manifestare originariamente posto in risposta ai no green pass... cosa altro ci vuole per capire che siamo in dittatura?!)

Insomma noi con disoccupazione e inflazione del dopo pandemia, e danni morali per la psicosi indotta da virus che ha fatto molto più danni (psicologici e sociali) del virus stesso, e grave impoverimento per redditi e attività bloccate, che non sarà certo recuperabile nel breve periodo, e svalutazione dei beni dei piccoli risparmiatori, abbiamo già dato, con i sacrifici umanamente richiedibili, per i prossimi cento-duecento anni.

Quindi adesso ci sarà pure il sole nero dell'apocalisse, ma sull'altare c'è il pollo sbagliato.




#2634
Citazione di: Jacopus il 09 Novembre 2021, 23:08:19 PM
Per Niko. No, direi che non sei strano. E' comprensibile anche averne le scatole piene di emergenze. Ma ritengo che la pandemia da Cov-sars-2 oltre ad essere una bazzecola rispetto al cambiamento climatico è anche connessa ad esso. Intanto ti faccio un paragone con la terzultima estinzione di massa, che provocò a quanto pare l'estinzione del 76 per cento delle forme viventi. Insomma una bella percentuale. E l'ipotesi più accreditata la attribuisce ad un aumento della temperatura media di 5 gradi celsius. Oggi le previsioni sono un pò ballerine, ma il dato oggettivo che vi è stato un aumento di più di un grado celsius negli ultimi 150 anni, ovvero da quando vi sono state registrazioni globali della temperatura terrestre. 150 anni, in termini geologici, li possiamo rappresentare forse in una manciata di secondi, ad essere generosi. Un cambiamento così veloce non è un buon indicatore.
Non so tu come la pensi ma la strada verso un grande cambiamento epocale è già segnato. Quindi l'emergenza e il peggioramento delle condizioni di vita sul pianeta terra sono già una "inevitabile" realtà. Occorre capire quanto ci vorrà al "Popolo Bue" a capirlo e a fare qualcosa di serio in proposito. Come ad esempio votando i partiti verdi ed ecologisti. E' un primo piccolo passo verso un cambiamento in qualche modo migliore di un governo gestito da tecnocrati che non hanno alcun interesse a cambiare davvero le regole del gioco.


A proposito degli aumenti delle tariffe, abbassamento delle pensioni, abolizione dei redditi di cittadinanza, non credo che abbiano nulla a che fare con il il cambiamento climatico. O meglio, anche in questo caso vi è una connessione, che è relativa a chi gestisce il potere reale oggi, ovvero i consigli di amministrazione delle multinazionali e, parodiando la famosa teoria dello sgocciolamento, giù fino all'ultimo commerciante ambulante ammiratore di Jeff Bezos. L'assetto capitalistico non può modificare l'attuale sistema di produzione e quindi non può fare molto per contrastare il cambiamento climatico. Ed è lo stesso attuale assetto capitalistico ad abbassare le pensioni, cercare di privatizzare la sanità, la scuola, i servizi pubblici.
Ti faccio un esempio semplice semplice. Ai miei tempi, nei mitici anni '80, pagavo di tasse universitarie 150 mila lire all'anno. Era una cifra importante per l'epoca, ma ti assicuro che riuscivo a pagarmela io stesso facendo qualche lavoretto di poche ore. Mi bastava fare l'imbianchino per una settimana. Oggi i miei figli pagano circa 2000 euro all'anno e non basta più una settimana da imbianchino. Da cosa dipende questo innalzamento delle tariffe? Semplicemente dal "mantra" "taglio delle tasse", che ovviamente premia alcune categorie e ne svantaggia altre. Il cambiamento climatico non farà altro che peggiorare questo divario e non è un caso che proprio in questa epoca emergano le prime agenzie di viaggi per astronauti, proprio nella stessa epoca che vede riapparire masse di persone che si rivolgono alle mense dei poveri per mangiare.


Temo che non vorranno da noi solo che votiamo partiti verdi o ecologisti, ma imporranno dinamiche di lockdown terrore, conformismo, odio parossistico delle minoranze, controllo dei singoli comportamenti tramite tessere simili al green pass, insomma si avvierà la stessa dinamica di ricatto
:"se non sei green, sei fuori".,dal lavoro, dal rispetto, dalla dignità da tutto.


Insomma sarà l'ennesima emergenza volta a legittimare uno stato di emergenza autoritario a tempo indefinito, e non uno stato di emergenza "sano" che risponde con la forza minima necessaria a un'emergenza reale.. e i soliti giudici costituzionali diranno ma si, della costituzione c'è ne possiamo pure fregare davanti al bene superiore di salvare il mondo, emergenza gestita tramite dpcm per cui il parlamento sarà esautorato, insomma l' emergenza covid sarà la matrice e la forma per quelle future

#2635

Ma davvero c'è gente in giro che, finito uno stato di emergenza, non vede l'ora entusiasticamente di passare a un altro?

Così, dall'uno all'altro, senza neanche una pausa, è davvero il caso di dirlo, per respirare?

Guidati dai loro sempre più fantocci governi e dalla loro sempre più stucchevole retorica di guerra applicata a fini di riordinamento della vita quotidiana?

Non è bastata a tutti forse, l'emergenza che già c'è stata, e le compressioni della libertà e della dignità che ha comportato. Non è bastata la lezione.

E poi, è da considerarsi maggior emergenza il cambiamento climatico o il fatto che il pane è raddoppiato e luce e gas aumentate del trenta per cento in questo fantastico paese?

Cosa succede ai redditi di cittadinanza e alle pensioni basse o minime se il loro potere d'acquisto si dimezza?
Vanno a frugar nella mondezza?

Emergenza è solo o comunque principalmente quello su cui chi ha il potere e chi non ce l'ha concordano entrambi che lo sia? E' solo manifestazioni popolari finte che annunciano trend decisionali già presi?

Non ne abbiamo fatti già abbastanza di sacrifici noi popolo bue negli ultimi due anni?

Sono strano io?




#2636


Se il senso fa parte del divenire, il nostro legame con il divenire è anche il nostro legame col senso, quantomeno rappresentato dalla possibilità di anticiparlo o di sopravvivergli, se si trova banale una visione presentista delle cose.

L'evento x del senso, sta pur sempre tra gli altri eventi a,b,c... e poi y,z, della storia.

Proprio perché il senso è effimero, sarà comunque anch'esso travolto dagli eventi e non è lo stato ultimo dell'universo, anche la nostra posizione relativa ed esso non ha un'importanza assoluta.
Il "senso" qualsiasi cosa sia, non riesco proprio a immaginarlo come un'apocalisse, semmai come un dispiegamento molto particolare, difficilmente ripetibile o estremo delle forze e delle possibilità che già "da sempre e per sempre" ci sono in gioco nella natura o nella storia.

A questo mondo e in questa storia noi viviamo, per dire, e, se pur non ci capiamo niente del senso, col nostro stesso vivere entriamo in una rete di nessi causali ed effettuali che prima o poi porta al senso; magra, ma non del tutto nulla, consolazione.

se invece si vuole supporre che il senso non faccia parte del divenire, passo perché siamo propriamente in una metafisica o in una religione, e io ritengo di avere ottimi motivi anche empirici ed esistenziali per non credere a nulla di simile.

Il riferimento al piacere, come ad esempio l'aneddoto poco sopra riportato del monaco che mangia le fragole pur essendo assediato dalle tigri, piuttosto che schiudere a una visione edonista o gaudente della vita, appunto innesta il senso sull'immanenza: il senso è quantitativamente il punto di massimo piacere/pienezza, circondato dall'immensità di una sua minorità ad esso omogenea, quindi esso è qualitativamente integrato con tutto il resto, del divenire e degli eventi, consustanziale e compositivo; si può essere da meno del senso, o oltre, il senso, senza essere con ciò completamente esclusi, dal senso.

Il paragone con un orgasmo, oltreché con quello di magiare le fragole anche se si è assediati dalle tigri, funziona benissimo.



#2637



La storia umana non si svolge sotto il segno del dominio, ma sotto quello della continenza e dell'auto-dominio, per questo è la storia di una decadenza.

Decadenza relativa quanto meno da uno stato vitale energeticamente superiore.

Gerarchie illusivamente infinite hanno serpeggiato presso la folla umana, a cui tutti si sono sottomessi con la segreta speranza di dominare, col risultato che la stragrande maggioranza degli esseri umani non ha avuto da dominare altro che il proprio stesso corpo.
Autoosservazione, disciplina e i valori che la rendono possibile.

E la più infima minoranza che ha potuto dominare in maniera realmente extracorporea/extra personale, ha sparso un tale terrore che, in modo istantaneo, è sparita dall'ordine dell'umano e del discorso.

Quando la finitezza della gerarchia si è mostrata, era già troppo tardi.

Il mondo è un gran brutto posto secondo il concetto di "bene" per come esso è nella maggior parte delle etiche umane, perché nel mondo quando si nasce e si vive si sceglie, tra dominare se stessi e dominare gli altri.

Naturalmente non ci sono assoluti, ma le due opzioni e polarità tendenzialmente si escludono a vicenda.

Ma non ditelo al piccolo uomo dell'autocoscienza, che ha il mito del buon re, che domina se stesso e con ciò si rende degno di dominare gli altri.




 
#2638
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
04 Novembre 2021, 13:07:30 PM
Baylham ha scritto:

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I piani sanitari di qualunque stato minimamente organizzato prevedono misure di restrizione e di distanziamento sociale in caso di pandemia: fare affidamento sulla risposta sanitaria è una assurdità evidente. Che una qualunque pandemia non produca danni sanitari, economici e sociali a qualunque sistema economico e politico è un'altra assurdità.


Nel 1978 in Italia veniva istituito il Servizio Sanitario Nazionale. Nella maggioranza dei paesi europei esiste un sistema sanitario prevalentemente pubblico.
Non capisco perciò quale sia la quarantennale gestione neoliberista della sanità. Che la sanità pubblica, come tutte le attività umane, sia soggetta a principi economici e politici è semplicemente ineluttabile. Se la maggioranza dei cittadini è più favorevole, sensibile, alla riduzione delle imposte piuttosto che all'aumento della spesa sanitaria e quindi delle imposte per finanziarla è una questione politica.

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Credo che la risposta di contenimento e quella ospedaliera davanti a una pandemia non si escludano a vicenda, anzi sono entrambe risposte possibili ed implementabili allo stesso tempo, con vario grado di intensità e qualità.

Il fatto che tutti i governo del mondo abbiano privilegiato la risposta contenitiva securitaria prima, e il vaccino ciofeca poi, senza una enorme, capillare sul territorio e adeguata alla difficoltà della sfida risposta ospedaliera, a me personalmente fa sia incazzare che subodorare il marcio che c'è sotto.

Se ad altri no, pazienza.
#2639
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
03 Novembre 2021, 19:16:41 PM
Citazione di: baylham il 03 Novembre 2021, 16:34:22 PM
Citazione di: niko il 03 Novembre 2021, 11:50:11 AM
Capito cosa intendo? Se c'è una pandemia per cui si suppone non basteranno i medici di famiglia e i posti letto in ospedale, si aumentano i medici di famiglia e i posti letto in ospedale con ogni mezzo, reclutando professionisti e indennizzandoli per il lavoro che lasciano, costruendo ospedali con i prefabbricati, creando elenchi di personale sanitario "riservista" da reclutare all'ultimo momento al bisogno, proprio come in guerra. Tutto il personale che può servire per far funzionare un ospedale o un presidio sanitario con un addestramento necessario breve, quindi oss e burocrazia, si recluta tra i disoccupati e i giovani volontari, non c'è bisogno neanche di formarlo in tempi lunghi o di rilevarlo con indennizzo rispetto a dove lavorava in precedenza. Con ogni mezzo, perché la vita non deve "fermarsi", e gli ospedali non devono "intasarsi" nonostante una pandemia, e così si trasmetterebbe un messaggio di speranza e resistenza, e non di terrore e resilienza.


Questa proposta di "terapia ospedaliera" dimostra una scarsa comprensione della dinamica economica e sanitaria di una pandemia.
Nessun paese o popolazione al mondo ha reagito in questo modo, ci sarà una ragione per cui non funziona così.
Evidentemente Covid 19 ha insegnato ben poco.


Invito anche ad approfondire la bivalenza del concetto di economizzare e la sua strutturale indeterminatezza, incertezza, che spiega benissimo perchè gli individui e le istituzioni sono strutturalmente impreparate a gestire situazioni straordinarie.


Io non ho mai detto che i medici si addestrano, quelli che leccano le buste, puliscono le scale e rispondono al telefono, quelli si addestrano, e un ospedale ha bisogno anche di quelli per funzionare, un oss oggigiorno proprio per insegnare il nulla cosmico assoluto e tirare in lungo il corso per mangiarci sopra e creare nei discenti un'immaginario di pseudo etica giustificatoria dello sfruttamento (so di cosa parlo per esperienza diretta), si prepara in un anno, quando un tempo si chiamavano inservienti e lo si faceva con la terza media, ecco, quello che io sto sostenendo è che l'emergenza avrebbe dovuto riportarci a una mentalità pre-neoliberista, e non ultra-neoliberista. Con annesse durate ragionevoli, e non ideologiche, stagistiche -in quanto fonte di lavoro gratis- e parcheggio-logiche degli "addestramenti" , quantomeno in quello che c'è da fare con urgenza.

Poi più passa il tempo, meno si hanno giustificazioni per non rispondere all'emergenza creando posti letto e luoghi di cura, un anno e mezzo comincia ad essere un tempo sufficiente anche per riqualificare un medico che prima faceva altro a occuparsi di covid o di servizi pubblici diversi saturati dall'arrivo del covid, ma ci vorrebbe la volontà di farlo, e i soldi per farlo, un sacco di medici non sono "eroi" ma hanno già lavori nel privato strapagati, passerebbero armi e bagagli a occuparsi di covid se lo stato li pagasse altrettanto e di più di come era prima, ma la mentalità non è di creare le risorse sanitarie scarse che "oggettivamente" mancano, è costruire terrore ed esperimenti biologici, sociali e securitari giustificati dalla scarsità di risorse, che quindi è alla base di tutto e deve rimanere tale.




#2640
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
03 Novembre 2021, 19:01:06 PM
Citazione di: baylham il 03 Novembre 2021, 16:34:22 PM
Citazione di: niko il 03 Novembre 2021, 11:50:11 AM
Capito cosa intendo? Se c'è una pandemia per cui si suppone non basteranno i medici di famiglia e i posti letto in ospedale, si aumentano i medici di famiglia e i posti letto in ospedale con ogni mezzo, reclutando professionisti e indennizzandoli per il lavoro che lasciano, costruendo ospedali con i prefabbricati, creando elenchi di personale sanitario "riservista" da reclutare all'ultimo momento al bisogno, proprio come in guerra. Tutto il personale che può servire per far funzionare un ospedale o un presidio sanitario con un addestramento necessario breve, quindi oss e burocrazia, si recluta tra i disoccupati e i giovani volontari, non c'è bisogno neanche di formarlo in tempi lunghi o di rilevarlo con indennizzo rispetto a dove lavorava in precedenza. Con ogni mezzo, perché la vita non deve "fermarsi", e gli ospedali non devono "intasarsi" nonostante una pandemia, e così si trasmetterebbe un messaggio di speranza e resistenza, e non di terrore e resilienza.


Questa proposta di "terapia ospedaliera" dimostra una scarsa comprensione della dinamica economica e sanitaria di una pandemia.
Nessun paese o popolazione al mondo ha reagito in questo modo, ci sarà una ragione per cui non funziona così.
Evidentemente Covid 19 ha insegnato ben poco.


Invito anche ad approfondire la bivalenza del concetto di economizzare e la sua strutturale indeterminatezza, incertezza, che spiega benissimo perchè gli individui e le istituzioni sono strutturalmente impreparate a gestire situazioni straordinarie.


la ragione è che così si sarebbe riparato ai guasti di quarant'anni di gestione neoliberista della sanità, si sarebbe creata salute e tranquillità (anziché terrore) per tutti, riduzione della differenza di potere e di ricchezza sociale tra ricchi e poveri, e non giro di soldi per pochi, e terrore securitario nell'aumento esponenziale della povertà per tutti gli altri.