Citazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:06:21 AM
al lavoro!
E dunque la bibbia che inizia con la lettera B, è la lettera che indica il figlio che noi siamo, BA.
Bereshit Bara, così inizia e c'è già tanto ma proprio tanto da dire.
Poichè Ba è il figlio, cosa ne è del padre?
Il padre celeste, che sta nei cieli è nella lettera A.
Ab significa padre.
Infatti non è bereshit, bensì (a)bereshit.
Per ricordarselo gli ebrei fanno iniziare la genesi, che in ebraico si chiama bereshit, ossia la saggezza (con la genesi non c'entra assolutamente un beneamato niente) con il numero 2.
Che ne è della pagina numero 1?
Se cominciamo a capire è dentro la lettera A, che non compare a sua volta nel manoscritto.
Nella prima pagina vi è scritto già tutto quello che c'è da sapere su Dio.
Ossia niente. O meglio se cominciamo a capire, c'è scritto proprio la lettera A.
Dunque DIO è A.
Ossia noi lo comprendiamo a partire da B quale noi siamo, cioè figli.
E cioè A lo comprendiamo solo come AB
cioè la A che non c'è la comprendiamo solo a partire da noi stessi, ossia come B.
Infatti BA vuol dire figlio.
e Ba che medita sull'assenza di A, chiama A, AB ossia padre.
Ancora meglio, come AVO.
Infatti arriva anche in italiano (a)B
Diventa avi, ossia sta scritto.
"I nostri avi raccontanto che"
anche con
"i nosti padri raccontano che"
Ab è la relazione fondamentale che regola la morale dell'amore.
Il rispetto del figlio verso il figlio che veniva prima di lui, ossia la tradizione, ossia la storia.
La bibbia inizia subito con qualcosa che rompe con la visione estatica dei popoli precedenti ad essa.
La bibbia comincia con la parola Storia, LA STORIA DEI NOSTRI AVI, LA STORIA DEI NOSTRI NONNI.
E in particolare la STORIA si racconta, ha un nome.
E questo nome è anche la sua massima aspirazione.
Che la storia sia ricordata!!!!
Questo sta scritto nella prima parola della bibbia.
la lettera B.
Ma la lettera B sta al talmud (il libro per il popolo), come la parola che lo contraddistingue come esigenza morale.
Ossia benedizione.
La lettera B è anche la lettera del BENE.
Che cosa è bene? fare gloria a DIO.
Ossia ricordare ai nostri figli della nostra storia!
Ossia ricorda o figlio che DIO è nascosto, e che noi siamo i suoi depositari.
La storia di Dio, è la storia degli uomini.
B sta per parola benedetta. La parola benedetta è DIO.
Ma la parola che dice del BENE, è la parola che non sa a cosa si riferisce.
Il bene è dunque sconosciuto.
E noi conosciamo solo le nostra azioni che si conformano al dettato non pronuncerai parola su di ME, DIO TUO, PADRE TUO.
Il fantasma del padre, è DIO.
Cosi ragiona Freud, e così si spiega l'intera nostra esistenza.
Infatti passiamo la vita a vendicare il nome di DIO.
Quando la profezia diceva esattamente il contrario.
Il fantasma del padre, dalla Bibbia ad Amleto, passando per Edipo.
E' la tanatologia, è satana, è il simbolico.
Obbedire alla legge di un padre che non esiste.
Per questo il padre si è nascosto.
Senza padre, nessun fantasma.
Come diceva Carmelo Bene, uno che aveva capito, nessuno è padre a nessuno.
La parola esiste solo come figlio di DIO.
La parola da ascoltare non è quella del fantasma ma quello dell'assenza del fantasma, dell'assenza della paura.
E' la parola della verità è quella della comunità degli amici.
Ossia la comunità dei figli.
Dei ricercatori spirituali, dei ricercatori del senso dell'assenza di D-o.
Questo senso è DIO, ossia è il BENE.
E dove porta questo senso della vita, della nostra vita?
Ce lo dice la BIBBIA naturalmente.
così sta scritto: " in verità vi dico che gli dei sono morti e che il viaggio verso la salvezza è iniziato, così i maledetti, gli uomini, così i benedetti, ossia gli angeli"
Questa salvezza in ebraico ha un nome si chiama ISRAEL.
Israele è la comunità dei ricercatori della salvezza.
Ossia è la comunità dei ricercatori spirituali, di chi fa uno sforzo per comprendere il peso della frase "DIO è morto!"
Ossia è il pensiero comunitario, se volete è gesù.
La comprensione reciproca è il presupposto morale, per cui la salvezza verrà a darsi.
Questo è dato per motivi storici, dalle continue guerre a cui le tribù del mediterraneo venivano sottoposte da parte degli imperi da babilonia fino a roma, e ad oltranza ancora oggi dall'Egitto, dall'arabia, per non parlare della questione drammatica della questione palestinese, ossia delle guerre interne fra le tribù fin dall'antichità.
In questo senso Israele è necessariamente l'alleanza fra le tribù.
Le 12 tribù poi diventate sette.
Come dice lo zohar in ouverture, israele è il calice della rosa.
Ossia è ciò che permette la rosa, ossia la ricerca spirituale.
Vi è nella bibbia una forte consapevolezza, delle forze telluriche della guerra, e delle sue conseguenze terribili, ossia la maledizione degli uomini, il seguire il male piuttosto che il bene.
Inseguire gli Dei piuttosto che il bene.
Ascoltare gli dei (il vitello d'oro) e non gli avi, che hanno sperimentato la maledizione della guerra.
Senza pace, niente ricerca.
Shalom è il saluto propizio per la futura Israele.
La bibbia non è per niente facile, perchè parla della maledizione, piuttosto che della benedizione.
Ma la benedizione è proprio la capacità di parlare della maledizione.
La parola, la storia e i suoi insegnamenti, sono l'unica etica richiesta.
La B iniziale, contiene già tutto questo.
Il figlio si occupa dei futuri figli, egli insomma impare ad essere un buon padre.
Una intera nazione si dedica a questo, eppure la maledizione permane.
Questo è solo per dire come il viaggio sia ancor lungo e di come e di quanto dobbiamo imparare da coloro che più di tutti si sono posti il problema di questa doppia relazione, di questo doppio legame.
E per chi pensa a DIO senza gli uomini, e per chi pensa gli uomini senza DIO, vi è solo maledizione.
Direi che questo è il significato del corno isrele, lo shofar, indica SVEGLIATI ISRAELE.
Dobbiamo svegliarci tutti e anche alla svelta.
O forse la profezia indica proprio il sonno a cui la maledizione ci ha già condannati tutti.
E infatti prima o poi moriremo tutti.
Lo sentite anche voi il rintocco della campana?
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli.
(g.ungaretti)
Ognuno sta solo sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
(quasimodo)
Chi, s'io gridassi, mi udrebbe
dalle celesti gerarchie degli Angeli?
E se, d'un tratto, un Angelo
contro il suo cuore mi stringesse, certo
io svanirei di quella forza immensa
in Lui racchiusa.
Ché il Bello è solamente
la prima nota del Tremendo. E dato
di sostenerlo e di ammirarlo è a noi,
solo perché non cura di annientarci.
... E gli Angeli appartengono al Tremendo.
Per ciò, io mi raffreno e chiudo in gola
l'appello di un singhiozzo tenebroso.
A chi, gridar soccorso? Non agli Angeli.
Agli uomini? Neppure. E gli animali
sagacemente fiutano
che perigliosa a noi scorre la vita
in questo mondo d'inventati sensi.
Un albero ci resta, sul pendío,
da rivedere in ogni giorno. E resta
anche la strada che facemmo ieri:
la fedeltà viziata a un'abitudine,
che si compiacque d'indugiar fra noi;
e rimaneva; e non se n'è partita.
E la notte, la notte, allor che il vento,
tutto ricolmo dei siderei spazii,
il vólto ci consuma, oh non attende
ella, anelata, i cuori solitarii;
e li delude, poi, soavemente?
Forse, agli Amanti è piú benigna e lieve!
Ahimè! Non fanno che celarsi – stretti –
a vicenda, il destino...
E ancóra non lo sai? Via dalle braccia,
scaglia il tuo vuoto. Aggiungilo agli spazii
che respiriamo... E avvertiran gli uccelli
il dilatato ètere d'attorno
con piú gioioso volo.
È vero, sí... Le primavere, al mondo,
avean sete di te. Talune stelle
si struggevan, lassú, che tu le udissi.
E t'investiva, a volte,
un'onda dall'ocèano del Remoto;
e, se passavi, dal balcone schiuso
un violino abbandonava tutte
le sue musiche a te.
Questa, la tua missione. E, per adempierla,
ti bastavan le forze? O non piuttosto
era un orgasmo in te, come se tutto
ti annunziasse un'amante?
E dove, in te, sarebbe stato spazio
per ospitarla,
in questo eterno pullularti dentro
di estranee immense idee,
che vengono e rivanno;
ed anche a notte, hanno dimora in te?
Ma canta, se la nostalgia ti accora,
canta le Amanti.
Ché, lungi ancor dall'essere immortale,
è il loro molto celebrato ardore.
Cantale, sí, le tristi Abbandonate,
che tu sempre invidiavi: e ti pareano
tanto amorose piú, di quelle altre
dal ricambiato amore.
E di cantarle, non cessare! Innova
la non mai colma lode!
Pensa: l'Eroe non è compiuto mai
d'essere al mondo.
Anche la morte, è a lui
pretesto per rivivere immortale
dopo l'estrema nascita.
Ma la Natura dentro il grembo esausto
riprende in sé le Amanti abbandonate,
come se non avesse piú la forza
di dar vita al prodigio un'altra volta.
Hai tu già sciolto un adeguato canto
alla memoria di Gaspara Stampa,
perché, deserta dall'amato, adesso,
una fanciulla, estatica all'esempio,
dentro si strugga di adeguarsi a lei?
Non debbono recare anche piú frutti,
queste pene defunte, a noi viventi?
Non è venuto il tempo,
che, amando, noi si giunga a liberarci
dell'adorato oggetto, in un fremente
impeto di vittoria,
come la freccia che, raccolta e tesa
entro il suo scocco, supera la corda?
Inerzia, è nulla. E solo il Moto, è tutto.
Voci! Voci!... Mio cuore, e tu pervieni
ad ascoltare, come i Santi solo
sanno ascoltare.
L'immenso appello li scagliava in alto;
ma rimanean con le ginocchia a terra:
irreali impassibili profondi;
ed eran solo in quell'ascolto solo.
... Alla voce di Dio, non reggeresti.
Ma il soffio ascolta del messaggio eterno,
che si crea dal silenzio: e che ti giunge
da quei morti precoci.
Oh sempre che varcasti, a Roma o a Napoli,
la soglia di una chiesa, non parlava
un placido linguaggio, a te, quel loro
funereo destino?
O iscritto in una stele, ti si ergeva
innanzi, come là sovra la lapide
apparsa in te, Santa Maria Formosa.
Che vogliono da me? Ch'io con leggiero
tócco dissolva la parvenza ingiusta
di quella sorte, che talvolta ancóra
il loro etèreo moto un poco attarda?
È strano, certo,
non abitare piú su questa terra;
non compier piú le usanze apprese appena;
né piú legare il senso
del divenire umano
alle rose e alle cose, onde ciascuna
aveva una sua voce di promessa;
non esser piú ciò ch'eravamo chiusi
nell'infinita angoscia delle mani;
e abbandonar finanche il proprio nome
come un balocco infranto.
È strano, certo,
non piú desiderare desiderii
desiderati tanto;
veder questa compagine, disciolta,
volitare per spazii sterminati...
Essere morti, è una fatica dura.
Un ímprobo ricupero di forze,
per avvertire un po' d'eternità.
Ma i vivi, tutti aberrano, − segnando
troppo profondo il solco fra i due Regni.
Gli Angeli (è fama...) ignorano talvolta
se vanno fra i viventi o i trapassati.
Ogni progenie, la fiumana eterna
travolge via con sé per ambo i Regni;
e, con lo scroscio suo,
ne sommerge il clamore in questo o in quello.
Ma non hanno di noi bisogno piú
quei morti d'una morte prematura...
Placidamente,
ci si divezza dalla terra: come
ci si divezza dal materno seno,
quando sia l'ora.
Ma noi viventi, noi, che ci nutriamo
di tanti inesauribili misteri;
e a cui sovente, su da un lutto, balza
il progredir beato;
potremmo, noi, senza quei morti, esistere?
Non è leggenda vana,
che un dí si ardimentò la prima Musica
a penetrar dentro la dura pietra
nel compianto di Lino; e che per entro
quello spazio atterrito, ormai deserto
dal Semidio precocemente estinto,
l'ètere scosso, per la prima volta,
oscillava nel palpito di suono,
che ancóra ci travolge e ci consola.
Rainer Maria Rilke
(Traduzione di Vincenzo Errante)
da "Elegie di Duino (1922)" in "Rainer Maria Rilke, Liriche scelte e tradotte da Vincenzo Errante", Sansoni, 1941
Ma solo io non mi voglio salvare?!