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Messaggi - niko

#2641
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
03 Novembre 2021, 11:50:11 AM
Citazione di: anthonyi il 03 Novembre 2021, 06:40:13 AM
Ciao niko, devi sapere che bolsonaro è messo sotto accusa per crimini umanitari nel suo paese, perché ha omesso di porre in essere qualsiasi tipo di restrizione cautelativa nei confronti della pandemia.
Quello che tu definisci 2G (ma poi non eravamo solo noi italiani ad aver fatto un uso dittatoriale del green pass?) in realtà non sarebbe altro che un tipo di restrizione cautelativa, il non vaccinato, infatti, anche se tamponato e negativo, comunque è un soggetto ad alto rischio di effetti gravi dalla malattia, ed essendo più facilmente infettabile, comunque incrementa il rischio che qualcuno sia contagiato.




All'inizio di questa pandemia, pensavo che il neoformato dovere (isterico e da socialismo cinese) alla salute, si sarebbe affiancato al più ragionevole e costituzionalmente esistente dal dopoguerra in poi diritto alla salute, e si sarebbe creato un inquietante parallelismo e convivenza. Per usare una metafora biomedica, pensavo che il dovere alla salute, rispetto al preesistente diritto alla salute su cui si era innestato, fosse un tumore.


Che tra i due modi di intendere la salute, come diritto e come dovere, si sarebbe instaurata una inquietante, ma possibile, convivenza.

Naturalmente ero troppo ottimista, perché con ogni comportamento imposto ai cittadini per diminuire la "probabilità" o la "gravità" del contagio, mascherine lockdown, 2g, obbligo vaccinale, finanche divieto di manifestare, di fatto va sempre in scena lo stesso processo/confessione farsa della Stato che prima sembra processare/confessare se stesso, essere in colpa da un punto di vista di quello che dovrebbe essere un assetto normale della vita sociale e un sincero interesse per il benessere dei cittadini per non avere abbastanza posti letto in ospedale o abbastanza medici di famiglia per malati leggeri in vista di avere e di dover fronteggiare un eventuale aumento dei contagi nella sua popolazione (tutto deve fermarsi perché in una logica economica e non propriamente sanitaria "mancano le risorse", gli ospedali si "intasano": per mea culpa grandissima, sembra cantare lo Stato in questa fase 1 della sceneggiata) e poi, fatto a se stesso il processo o la confessione apparentemente durissima e severissima, con colpo di scena finale si auto-assolve perché tanto, l'eventuale aumento dei contagi, seppure ci sarà (e quasi sempre c'è), sarà colpa dei cittadini che non avranno rispettato le misure imposte dallo Stato stesso (vivere in una gabbia di vetro per paura d una malattia), e quindi se si ammaleranno meriteranno, loro sì, di essere malcurati o lasciati a crepare.


Per loro culpa grandissima.


Capito cosa intendo? Se c'è una pandemia per cui si suppone non basteranno i medici di famiglia e i posti letto in ospedale, si aumentano i medici di famiglia e i posti letto in ospedale con ogni mezzo, reclutando professionisti e indennizzandoli per il lavoro che lasciano, costruendo ospedali con i prefabbricati, creando elenchi di personale sanitario "riservista" da reclutare all'ultimo momento al bisogno, proprio come in guerra. Tutto il personale che può servire per far funzionare un ospedale o un presidio sanitario con un addestramento necessario breve, quindi oss e burocrazia, si recluta tra i disoccupati e i giovani volontari, non c'è bisogno neanche di formarlo in tempi lunghi o di rilevarlo con indennizzo rispetto a dove lavorava in precedenza. Con ogni mezzo, perché la vita non deve "fermarsi", e gli ospedali non devono "intasarsi" nonostante una pandemia, e così si trasmetterebbe un messaggio di speranza e resistenza, e non di terrore e resilienza.


Non si instaura una dittatura con misure draconiane, securitarie, biotecnologiche e ingiuste per contenere la pandemia perché la volontà di aumentare fino al massimo possibile i luoghi di cura sul territorio delle singole metropoli non c'è. Se mancano i posti letto in ospedale, ebbene siano aumentati i posti letto in ospedale, non siano fatti esperimenti biologici e sociologici sulla popolazione, esperimenti da sinopticon, più che da panopticon, per riprendere un forum recente. L'atto del vedere e del guardare ridiventa fondamentale quando il descrittivo ridiventa prescrittivo, e tale atto deve essere condiviso da tutti gli internati, non basta più che lo faccia solo la guardia.


Il dovere alla salute, palesatosi in tutta la sua amortale e amorale forza in questi ultimi due anni di pandemia, si sta mangiando, pezzo per pezzo,
il pre-pandemico e postdopoguerra diritto alla salute.
Se il popolo si tiene in salute, lo Stato non spende per curarlo. Meglio ancora, lo Stato non affronta proprio in senso antropologico la questione della cura, della morte e dell'istinto di morte. Se c'è dovere alla salute, la malattia è colpa, nella sua gestione si torna verso un'epoca teocratica. Se c'è dovere alla salute, la malattia è residuo, si sogna di eliminarla del tutto e diventare automi amortali, o quantomeno che l'elite dei sani lo diventi. Il paradiso tecnologico in terra.

Il dovere nuovo, dovere alla salute, che si è installato sul diritto vecchio, diritto alla salute, è un cancro, e non è un tumore. Lo distrugge ogni secondo di più, e non è in condizione di essere distrutto dall'interno. Riflettiamo seriamente si ci sta bene o no una società in cui come cittadini dobbiamo dimostrare allo stato di essere sani per ottenere dei diritti o addirittura scampare da delle sanzioni. In cui dobbiamo dimostrare non solo di essere sani, ma di avere ancora buona probabilità di esserlo in futuro, rinunciando alla nostra stessa ragione che ci dice che il futuro è indeterminato,  e non in un futuro di decenni, ma tipo nelle prossime ventiquattro o quarantotto ore, come è con il nesso diritti/tamponi, che ora viene considerato anche troppo poco sanitario/securitario e quindi da abolire.



#2642
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
02 Novembre 2021, 23:49:50 PM




Intanto stiamo arrivando al modello 2G, ovvero escludere i tamponi negativi come mezzo valido per ottenere un lasciapassare anche solo di breve durata: due G vuol dire o Guarito o vaccinato o ti attacchi al tram, non entri più in musei, pub e ristoranti, neanche con tampone.


Lo stanno programmando e/o sperimentando in Svizzera e Germania, ma probabilmente arriverà dappertutto, o comunque costituisce un precedente gravissimo, e un ulteriore affossamento dei diritti civili e umani in nome di un'emergenza pandemica oggettivamente sempre meno grave.

L'intento persecutorio di questa dittatura sanitaria mondiale che ora diventa "2G",  è sempre più palese, infatti è ovvio che chi ha appena fatto un tampone ed è risultato negativo ha una probabilità minima di essere infetto, e avrebbe tutto il diritto di andare dove vuole ed essere equiparato ai vaccinati almeno per il breve tempo necessario a vivere un evento di vita sociale o sbrigare alcune faccende della vita quotidiana, appunto un giorno o due; escludendo questa possibilità per queste persone, si vuole quindi andare punire la scelta di non vaccinarsi in quanto tale, senza alcun criterio neanche lontanamente sanitario, per creare ancor più conformismo apotropaico nelle maggioranze e ancor più discriminazione sadica delle minoranze.


Insomma se non ti vaccini, non puoi più andare al pub o al museo, palesemente perché sei un individuo sgradito al governo e devi essere isolato e punito, non si fa più nemmeno finta che debba esserci un motivo sanitario alla base, perché non puoi più andarci nemmeno mostrando un tampone negativo recente di un giorno o di cinque minuti.

Magari si deve distogliere l'attenzione dal costo della vita che raddoppia, dallo sblocco dei licenziamenti e delle cartelle esattoriali, che ridurranno in povertà ulteriori milioni di persone, e quindi ulteriore caccia all'untore.

il modello 2G naturalmente non basta ancora ai sogni di dominio della dittatura, e la tendenza implicita è verso il potere assoluto dell'1G, cioè escludere sempre di più anche la validità della guarigione naturale come mezzo per ottenere dei lasciapassare di vita sociale e di lavoro e considerare fonte del privilegio  solo il vaccino.
Già da adesso i guariti vengono lasciati in pace prima di essere costretti a vaccinarsi come tutto il resto del gregge solo per sei mesi, quando fonti stesse del ministero della salute italiano consigliato dai famosi esperti del comitato tecnico scientifico avevano detto e messo per iscritto che il periodo ragionevole in cui si deve supporre l'immunità dei guariti è di 12 mesi, ma il testo definitivo del decreto "guarda caso" ha invece concesso solo sei mesi.

Scommetterei che anche nella prossima versione del decreto questa disparità di trattamento continuerà, e saranno prorogati i green pass dei vaccinati verso i tempi lunghi e lunghissimi dell'emergenza infinita e dell'obbligatorietà quantomeno della terza (se non quarta, quinta ennesima) dose per tutti, ma allo stesso tempo non sarà recepito l'allungamento dei pass dei guariti da sei mesi a dodici mesi, allungamento auspicato da una nota dello stesso ministero della sanità... Auspicato perché se sei guarito e ti fai il vaccino troppo presto, il rischio di effetti avversi, anche a breve termine, aumenta, e tutti lo sanno, e nessuno fa niente, per impedire che persone che non hanno alcun reale bisogno medico del vaccino e anzi ne trarrebbero effetti negativi (perché sono guarite!) lo facciano, per non essere esclusi dalla vita sociale e dal lavoro...

Ma appunto, come non c'è seconda dose senza terza, quarta, quinta e centomiliardesima, così non c'è 2G senza 1G: fatti fuori i tamponati, si devono far fuori anche i guariti come soggetti che possano vantare dei diritti, che solo i vaccinati devono poter vantare.



#2643




Se la vita è un dono, da quando mi è stata donata in poi mi appartiene e ci faccio quello che cavolo mi pare, non necessariamente la apprezzo e rimango con essa e a gioire di essa per tutto il tempo, ma la distruggo, la dimentico, la insudicio, la oblio, la rifiuto immediatamente, la ridono completamente ad altri se voglio, ugualmente la uso selettivamente e in modo proprietario e capriccioso fino a gioirne solo singolarmente e/o ad escludere alcuni altri che non mi siano graditi dal gioirne se voglio, e quindi questo è l'argomento più schiacciante per dimostrare che, anche se la comunità fisicamente mi genera e mi istruisce, la morale è falsa, ovvero il mio interesse personale non necessariamente coincide con quello della comunità, e con quello del Dio che rappresenterebbe l'elemento centrale e unificante della comunità.

La relazione/dono è eterna perché il dono è mio e tale resta, il dono passa da un godimento compositivo dell'essere del donante, a un uso illimitato che ne può fare il beneficiario, uso illimitato che può trasformarsi in nuovo godimento compositivo, se il dono resta presso il beneficiario, o nuovo uso illimitato, se il dono viene ri-donato.

Se invece state sostenendo che la vita sia un dono vincolato al mio dovere individuale di comportarmi bene e al rendere grazia alla comunità che mi ha generato, siate onesti e chiamatelo leasing, prestito, appioppamento, subaffitto, usucapione, come cavolo vi pare, ma per favore non DONO.
#2644


Citazione di: Alexander il 29 Ottobre 2021, 15:13:40 PM

Buongiorno Daniele22
In realtà avevo letto il tuo post. Spesso cerco di condensare in un unico post vari spunti che provengono da interventi diversi, per esigenze di tempo.
Apprezzo anch'io  " la ricerca di un'umiltà non ideologica "
Il senso di vanità sarebbe quindi naturale. Ossia: la natura , osservando se stessa, prova spesso un senso di vanità, ovvero una mancanza di senso. Il senso di vanità però , il personaggio di Calvino, lo prova per la storia umana, non tanto per la vita in sè, nella quale ognuno cerca il proprio senso e magari può trovarlo nelle cose più disparate che ad altri possono non interessare affatto.Su Aforismi.it ti danno cinquanta sensi della vita diversi, opinioni illustri di "chi sa", per ogni gusto personale. Posso sentire la vita piena di senso per molte cose a cui sono interessato. Un senso volatile perché, appena passa l'interesse, o mi viene a noia, o viene a mancarmi, necessariamente devo cercarne un altro . In questo caso si potrebbe dire che il senso della vita sta nella capacità di attaccarsi alle cose e trovarci/immaginarci un senso. Ma trovare un senso alla storia umana e attaccarcisi non mi pare così semplice e naturale. Dire che il senso si trova nell'evoluzione naturale sembra quasi come dire che il senso di placare la sete sta nel bere. Rischiamo di confondere  meccanismo con significato.  In altre parole un insegnante che racconta la storia agli alunni non si riduce semplicemente ad uno che parla e tanti che ascoltano. Il significato sta nel trasmettere delle nozioni e stimolare un interesse per il loro significato.E' un esempio. Il significato non si trova quindi nel semplice meccanismo, anche se ne dipende. Se provo allora un sentimento di mancanza di senso, osservando la storia umana in generale, è dovuto alla difficoltà o all'incapacità di trovare questo significato.
Mi sembra che l'esigenza sentita da molti di dare un significato ultimo al divenire degli eventi ci ha condotti , nel pensiero moderno, ad individuare nella storia un progresso, uno sviluppo che, in qualche modo, possa giustificare ogni crisi, ogni male e ogni inevitabile dolore. E' interessante notare che questa filosofia nasce con il pensiero giudaico-cristiano: tanto per il credente quanto per il filosofo della storia, il senso degli eventi non sta nel passato, ma in futuro escatologico sempre a venire, che per il cristiano è capace di inserire ogni fatto alla luce di una storia della salvezza, al cui epilogo è attesa la redenzione.Mentre però il credente è capace (non sempre) di portare la croce di questa attesa, il filosofo secolarizza la speranza religiosa nell'incondizionata fede nel progresso, tanto "cristiana nelle sue origini, quanto anti-cristiana nelle sue conseguenze" (Karl Lowith).
Secondo lo stesso Lowith in ogni filosofia della storia ci sono , ben mascherati, dei presupposti teologici che operano, decretandone, avulsi dall'ambito della fede, il drammatico fallimento della stessa. Questo smascheramento, che va dall'ebraismo di Marx alla lettura puramente storica della Bibbia, porta Lowith ad una tesi radicale: l'impossibilità stessa di una filosofia della storia.
Condivido con voi questa riflessione trovata sul web, perché mi sembra che sia alla base, esplicita o implicita, del senso della storia umana che comunemente si danno le persone. In fin dei conti siamo tutti stati educati a credere in questo "bene di là da venire", sia credenti che non credenti, e che dovrebbe conferire un senso alla storia umana.
Solo che, il personaggio di Calvino, posa lo sguardo sugli eventi e non vede venire questo bene. Allora sorge il senso di vanità.



L'amore per il proprio fato evolutivo, se correttamente inteso, non è una metafisica della storia, tutt'altro.


Cercherò di delineare il problema in modo breve e comprensibile:

il futuro è difficile da amare perché è indeterminato; il passato è difficile da amare perché da una parte esso è l'unico possibile oggetto di coscienza per l'uomo, dall'altra in esso risiedono tutti i traumi subiti dall'individuo cosciente e la sua sofferenza come differenza tra desiderio e realtà, dunque esso in quanto passato è iper-determinato, determinato al di là dell'apparente volere della volontà.

Dunque all'amore per il futuro si oppone la natura alternativamente o oggettuale (nel senso buono del termine, come amare l'altro) o narcisistica dell'amore umano che comunque in nessuno dei suoi due aspetti fondamentali può amare l'assolutamente indeterminato (non si può amare quello che in generale non è nella nostra coscienza e dunque non ha il minimo effetto sul nostro corpo), all'amore per il passato si oppone l'istinto di sopravvivenza e la difesa dell'io (se abbiamo messo la mano sul fuoco in passato, non ce la rimettiamo, e odiamo il pensiero del dolore subito, quindi non possiamo mai amare tutto il passato, semmai lo amiamo a tratti, spontaneamente diciamo "sì" a certe cose depositate nella memoria, e "no" ad altre).

Ora, questi due problemi non hanno nessuna soluzione separata, ma hanno, appunto nell'amore per il fato evolutivo una soluzione simultanea; se io amo il mio passato, amo l'intero contenuto accessibile e riconoscibile della mia coscienza e memoria, dico di "si" a tutto ciò che vi riconosco e dunque sono felice (necessariamente anche il corpo esulta); se tale coscienza amata è anche conoscenza, se mi sovviene nell'attimo secondo verità e quindi nell'unico modo in cui mi può realmente sovvenire, io amo il passato in quanto tale, dunque amo che il passato sia se stesso e sia passato, e così mi apro al futuro, posso amare l'indeterminazione assoluta amando la più nitida determinazione "sfruttando" a mio vantaggio il "meccanismo" intrinseco alla vita, per cui ogni possibile determinazione è cosciente, e dunque passata.
Di tutto ciò che so, so che è passato e so -anche- che lo amo, dunque mi resta "spazio" interiore per amare il futuro, lo spazio interiore dell'amore non è saturato dallo spazio figurale della determinazione.
Non c'è in me nessuna metafisica della storia, perché non c'è in me nessuna differenza quantitativa tra quanto amo il passato e quanto amo il futuro, li amo tutti e due cogliendoli nella loro differenza qualitativa, ovvero esisto nell'attimo.

Il senso della sete sta dunque nel bere?

Non lo so, so solo che, prendendo ad esempio un bisogno fondamentale come la sete, come non si può continuare indefinitamente a volere il voluto (prima o poi fisicamente si muore), così non si può continuare indefinitamente a volere il passato (prima o poi si soccombe, ci si accorge ce la vita non è più degna di essere vissuta).
Quando il voluto è passato, un po' anche il passato è voluto. Si ha tempo ed energia per fare e pensare altro. E' questo che succede quado, dopo aver vagato a lungo nel deserto, si giunge finalmente al pozzo o all'oasi. Si ha finalmente un buon rapporto con la parte nota del tempo, o meglio del divenire, e quindi, se si è capaci di intelligenza, anche con il suo tutto. Vale la pena di essere attaccato dai predoni o di morire di caldo domani, se ho trovato l'acqua oggi.

Il divenire ha un ruolo mediamente molto più importante nelle filosofie e nelle etiche dei pessimisti o al limite dei realisti, che non in quelle degli ottimisti. Perché il divenire è danza degli opposti. Croce per gli ottimisti, e delizia per i realisti.



#2645
Paradossalmente, anche il sentimento della vanità è un sentimento, positivo e tetico come tutti gli altri sentimenti, quindi non può avere fino in fondo la vanità per oggetto, ma sempre altro.


La paura della vanità è sempre un'angoscia, si ha paura di quello che c'è oltre la vanità, di quello di cui la vanità è simbolo o finanche dell'opposto della vanità (del pieno schiacciante che nega ogni vera libertà e ad ogni scelta fa corrispondere infinite rinunce); così come nella vita si può fuggire o ricercare il nulla (tendenzialmente osservo che chi è felice vuole nulla, chi è lanciato e tutto assorto in un ideale o in un progetto è in fuga dal nulla, chi è ignavo, conformista o indifferente è molto più vicino al nulla di quanto creda) ma non si può veramente provarlo o sentirlo, il nulla, per questo ogni vita ha un senso: puoi avere una posizione e una direzione relativa rispetto al sentimento di vanità, una emozione scaturente dal sentimento, che al limite  ti porta a volere o non volere la mentalizzazione del sentimento, ma non puoi veramente provarlo.


Dunque sei tu che decidi della verità del sentimento della vanità, come di tutti gli altri tuoi sentimenti, ma decidere della verità del sentimento della vanità vuol dire decidere che l'essere attuale e contingente possa essere completato e superato dal divenire, o viceversa che sia possibile per la parte sensiente perdersi misticamente nel tutto, entrambi sentimenti che se presi nello spirito "giusto" possono dare esaltazione e felicità; a volte è decidere della falsità del sentimento della vanità, che può fa sentire il peso schiacciante del mondo...



#2646
Io penso che la tecnica non allontani l'uomo dalla natura, ma sia lo smarrimento dell'uomo nella realtà infinita e vasta della natura, natura che non è solo specie, ma cosmo, bioma, ecosistema, realtà dell'inorganico e universo, finanche probabilmente realtà degli universi-multiverso; la tecnica è dunque il perdersi dell'umano in ciò che non è più specie umana, ma è -comunque- ancora natura.

L'equivoco in cui molti cadono è che la tecnica non è innaturale, ma -solo- antispecifica rispetto alla specie umana geneticamente e animalmente intesa, insieme dei riconoscimenti e delle filiazioni ulteriori e interne alla specie, e quindi disgreganti, nello spazio e nel tempo,rispetto alla specie intesa come unità,  ma a sua volta la natura non è -solo- specie, ma specie-più-altro, specie più mille altri aspetti, di modo che la tecnica "umana", e il suo fare-epoca, non è altro che un'ulteriore apofania della natura a se stessa e alla coscienza umana.
Insomma l'alienazione dalla specie, e quindi la realtà della tecnica, non è alienazione dalla natura, e quindi la natura non può essere ne l'età dell'oro da cui temporalmente ci si allontana, ne il totem alla cui ombra prosperare, ma sempre e comunque l'universo

pan-teistico di cui si è parte. Ed esserne parte vuol dire averne necessariamente una conoscenza parziale, avere una conoscenza parziale della natura o se vogliamo del deus sive natura, di modo che non è scontato dedurne, intendo dedurre dalla natura, i fondamenti di una qualsiasi etica, insomma ogni etica dei bisogni, cioè legata agli aspetti noti della natura, deve essere controbilanciata da un'etica dei desideri, cioè legata ai suoi aspetti ignoti, (desiderio del desiderio e attribuzione di libertà alla natura come Altro), perché ciò deriva direttamente dalla condizione della coscienza e della conoscenza di fare-parte del mondo senza esaurirlo, di modo che il mistero, la parte in ombra, può, e deve, essere attribuito alla natura stessa, e non a un dio come ipotetico fattore/creatore della natura.

Stando così la mia visione delle cose, la storia è il tempo stesso, non c'è differenza fondamentale e dicotomica tra tempo umano e tempo cosmico, come non ce né tra vivente e non vivente, tra organico ed inorganico; e il tempo non può avere un'epilogo, quale mai potrebbe essere l'epilogo del tempo?

Quale potrebbe essere l'epilogo di un tale immenso sistema di molteplicità non compresenti, o comunque non esperibili come compresenti?

Il suo epilogo potrebbe essere al massimo lo spazio come contenitore dell'eterno o della serie compresente, ma nello spazio ci siamo già, quindi dobbiamo "rassegnarci" a un senso della vita (e se vogliamo della storia) insieme vitalistico e minimale che corrisponda alla differenza che la vita (o la storia) fa nel tempo, all'avvento del presente come entità reale/illusoria tipica e propria della coscienza , che seppure non può essere divisiva dell'eternità e della continuità del tempo, può -forse- esserlo dell'eternità e della continuità del divenire, o, se vogliamo, lasciare traccia di noi nel mondo come spazio del prenascita e del post morte.

Noi non percepiamo ne organicamente ne  scientificamente o tecnologicamente il tempo, percepiamo organicamente e strumentalmente il divenire, i rapporti e i mutamenti della cose nel tempo, e dunque rispetto a un piano di possibile realizzazione della nostra volontà e di uso etico della tecnica siamo "immersi" nell'elemento "naturale" giusto, e non in quello sbagliato, perché è nel divenire, (formato da una successione di stati diversi), e non nel tempo, (formato da una somma cumulativa infinita di stati uguali), che la volontà può realizzarsi; realizzarsi intendo, in mille modi, ma, per dirla nel modo più universale possibile segnando un "prima" e un "dopo" nel divenire e facendo la differenza (e notare che, essendo essa stessa sempre sempre volontà, e vivendo in un ineffabile presente, per fare questa differenza nel tempo deve aver voluto sia il futuro che il passato, deve aver voluto quello che in generale la attraversa nella sua potenziale dicotomia, smettere di volere qualcosa alle spalle nel segno della necessità e cominciare a volerne qualcun davanti agli occhi altra nel segno della libertà, quindi ne deriva un'etica di estrema responsabilità, e non di sola intenzione o individualismo consumistico o culto dell'innovazione in quanto tale: per smettere di volere, -qualunque cosa-  bisogna prima aver voluto, accettare la propria responsabilità anche nel male e nella sofferenza, o perché nel male vi era in generale un errore, o perché nel male vi era in generale la difesa da un qualcosa di peggio).

Insomma ogni cosa, e ogni evento o innovazione, che si affaccia nel mondo abitato e percepibile dalla vita, è buona perché è in qualche, seppur remoto modo, oggetto di volontà, quantomeno manufatta o percepita da organi che hanno come scopo la vita e la sopravvivenza; ma il problema è che non ogni cosa e ogni evento esiste e trova forza e rapporti di forza per esistere, quindi era inevitabile che si passasse, storicamente, da una morale prescrittiva, che stabilisse cosa era in assoluto buono e cosa no, a una morale tecnica, che si occupasse esclusivamente di come realizzare in modo finito e intelligibile la volontà del volente stante il funzionamento della natura e le condizioni iniziali, insomma anche una volta sospeso ogni giudizio e accettata ogni volontà, le condizioni iniziali e le forze agenti nel mondo impongono un tipo di pensiero eudaimonisitco ed etico, che però tende a coincidere all'infinito con il pensiero tecnico e scientifico, insomma anche se tutta la storia nel suo complesso non finisce, coincide con il tempo stesso, e quindi non può più finire bene o male, le sue singole parti, le singole parti di divenire nel tempo, compresi noi che moriremo, finiscono eccome, e possono ben ancora finire bene o male rispetto ai loro singoli, più o meno consci e consapevoli, più o meno individuali o collettivi obbiettivi, e questo è il senso, residuale ma ragionevole, della vita e della storia secondo me.
#2647


Figuriamoci, siamo venuti per divenire, come tutti gli altri animali, perché per noi -umani- dovrebbe essere diverso?

Dare senso al presente è rendere -con atto di volontà- il futuro diverso dal passato.

Creare due infiniti diversi che si limitino, ma non si imitino, tra di loro.

La fine può continuare all'infinito restando sempre differente dall'inizio, e l'inizio risalire nel tempo all'infinito restando sempre differente dalla fine. E ci sarebbe sempre e solo un attimo a dividerle.

Se io vivo, passato e futuro sono -eternamente- differenti.
Se io vivo non esiste il tempo, ma solo il divenire.

E il divenire -storico- a un certo punto ha travolto anche il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.

Penso sia stato perché all'uomo interessa soprattutto il divenire della volontà. La coincidenza di passato e voluto.

E il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, ha sempre la stessa, di volontà. Il suo voluto, non può passare. Costituisce dunque un'immagine solo approssimativa, dell'uomo e dei suoi veri problemi e desideri.


#2648
Tematiche Spirituali / Fuga dalla libertà
11 Ottobre 2021, 13:06:42 PM
Citazione di: viator il 11 Ottobre 2021, 11:47:01 AM
Salve niko. Vedo bene che il tuo concetto di bene si identifica con la tua personale soddisfazione. Ma non credo che il resto dell'umanità sia molto d'accordo con te (dal punto di vista concettuale ed astratto).....mentre ugualmente credo che larga parte dell'umanità sia perfettamente d'accordo con te a livello di prassi. Saluti.




Non è il mio bene personale, é il bene di chiunque in qualsiasi momento, che puo' coincidere, o contrastare, con il bene di chiunque altro.


Non c'e' scritto da nessuna parte che il bene per essere tale debba essere lo stesso per tutti, questo è solo un
pre-giudizio, sebbene sia socialmente, che filosoficamente, che politicamente molto radicato.


Io non penso il bene come uno, penso solo che se il mondo è uno allora non puo' che contenere indefinitamente il molteplice, al di la' del bene e del male come contenuto del mondo ci sono solo le miriadi di volonta' che si vogliono tra di loro, ma questo volersi tra di loro puo' essere interpretato sia nel segno dell' amore che segno del dominio, il mondo non è  "buono" se non forse nel senso che il "male" in ultima analisi si risolve piu' nella tendenza all'asservimento che non alla distruzione.

#2649
Citazione di: viator il 08 Ottobre 2021, 12:58:05 PM
Salve. Finora nessuno che - pur vaghegggiando od avversando la riduzione delle ore lavorative (8-6-4-2-0 : da piccolo, me lo diceva la mia maestra che in un futuro ormai prossimo le macchine avrebbero "liberato" l'uomo dala "schiavitù" del lavoro !).................NESSUNO che dica se tale riduzione debba accadere a parità di salario attuale, oppure riducendo più o meno proporzionalmente i salari !!.In mancanza di tale precisazione, su questo argomento continueranno a correre solo chiacchere a sfondo idealistico od ideologico. La gente avrebbe bisogno di praticare maggiormente logica ed aritmetica. Saluti.




Io te l'ho scritto prima e te lo ripeto, nel significato originale dello slogan si
intende -ovviamente- lavorare meno lavorare tutti a parita' di salario: a rimetterci devono essere solo e soltanto i padroni.


#2650
Tematiche Spirituali / Fuga dalla libertà
06 Ottobre 2021, 20:43:51 PM
Citazione di: viator il 06 Ottobre 2021, 18:51:11 PM
Salve niko. Hai ragione. Essendo il "bene" concetto relativo ed esclusivamente umano............ovvio che la sua realizzazione, compimento, esistenza....sottenda costantemente la necessaria presenza di una volontà umana la quale muova al proprio possibile esaudimento. Hai saputo elegantemente evitare la presunta contraddizione che ti avevo appena fatto rilevare. Anche se qualcuno potrebbe dirti che tu (ma poi in teltà quasi tutti noi !) tendi a confondere il bene con il piacere e l'utilità. Saluti.


Io tendo a far corrispondere il bene con il voluto, con l'oggetto della volontà, se voglio la luna, la luna è un bene per me, a prescindere da quanto questo mio desiderio possa essere capriccioso o irrealizzabile, così come se voglio un panino al prosciutto, un panino al prosciutto è il bene per me in un dato attimo, insomma l'uomo in quanto animale complesso e razionale, spesso vuole cose che vanno al di là del semplice piacere fisico, e soffre per cose che vanno al di là del semplice dolore fisico, quindi piacere e dolore in senso fisico e animale sono aspetti di una realtà più complessa, che si può indicare genericamente come:


sofferenza=differenza/differimento tra desiderio e realtà,


felicità=corrispondenza esatta tra desiderio e realtà.


Come vedi sono due termini di uguaglianza o diseguaglianza così astratti che da una parte o dall'altra dell'uguale può starci veramente di tutto, ognuno ha il suo, sia di vissuto che di desiderato, l'utilità e il piacere entrano come parti nella questione del desiderio, della sofferenza e della felicità, ma non la esauriscono, anzi l'utilità in senso filosofico e psicologico è sempre un'intermedio: se io desidero qualcosa perché mi è utile, la desidero non in se stessa, ma come mezzo/veicolo per raggiungere qualche altra cosa ulteriore alla cosa desiderata meramente come mezzo, che il mezzo mi consentirà appunto di ottenere, quindi il vero termine dell'uguaglianza o della diseguaglianza è sempre oltre un rapporto di utilità, oggetto di una preferenza diretta e spontanea, e non strumentalmente mediata.



#2651
Beh "lavorare meno, lavorare tutti" nel senso comunista dello slogan significa principalmente due cose:


Lavorare meno per inserire i disoccupati, ovviamente a parità di salario per tutti, che dovrebbe aumentare affinché anche poche ore di lavoro corrispondano a un buon reddito, quindi chi si vede ridotto l'orario di lavoro al fine di inserire i disoccupati non dovrebbe perderci niente, e anzi guadagnare tempo libero per se, gli unici a perderci essendo uno slogan comunista, dovrebbero essere i padroni.


Inoltre (significato numero 2) tra gli "attualmente disoccupati" in senso lato, che in altri modelli possibili di società potrebbero anche loro lavorare un numero dignitoso di ore con la chiave inglese in mano e a maggior gloria del tempo libero della collettività, il vero comunista calcola nel novero naturalmente i padroni stessi, e tutti i loro lecchini, ideologi, burattini e sorveglianti.



#2652
Tematiche Spirituali / Re:Fuga dalla libertà
06 Ottobre 2021, 00:23:37 AM
Citazione di: viator il 05 Ottobre 2021, 16:47:05 PM
Salve niko. Citandoti : "Del resto il bene secondo me è quello che fa incontrare la volontà con il suo appagamento".

Interessantissimo teorema : quindi a parer tuo il bene, per sussistere, necessita della previa esistenza di una volontà (umana, credo e spero tu intenda) la cui (sempre previa) sussistenza permette un suo potenziale appagamento...............che tu chiami "bene".

Dimmi.........il tuo concetto risulta applicabile anche alla volontà di un sadico torturatore ?. Saluti.


certo, il bene è relativo, quindi può esistere il bene soggettivo e personale di tutti, anche dei sadici torturatori, come ho cercato di spiegare, l'etica, come discorso persuasivo intorno al volere, come indicazione circostanziata di cosa si dovrebbe volere, dipende dal destino stesso della volontà: in generale non siamo onnipotenti e non possiamo tutto, quindi la prima divisione evidente tra gli uomini e tra i loro possibili destini è quella secondo la saggezza, per cui in generale chi vuole quello che può, sarà tendenzialmente più felice, e più sereno, di chi vuole quello che non può.
Non tutti i voluti sono uguali, perché non tutti appagano realmente la volontà, e non tutti appagano realmente la volontà, perché non tutti corrispondono figurativamente e quantitativamente a ciò che un mondo fisico di possibilità e combinazioni limitate può offrire, come dire che proprio perché si è sempre in situazione, proprio perché nel mondo ci sono alcune cose e non altre, ci sono i cavalli sì e gli unicorni no, i leoni sì, e le chimere no, ai profila all'estremo orizzonte una differenza di destino tra chi vuole ciò che c'è, e chi vuole ciò che non c'è, e la posta in gioco sembra essere proprio la felicità, che abbiano ragione nella natura del loro volere gli uni, orientati ad accontentarsi del reale e dell'effettivamente presente, o gli altri, orientati a rischiare tutto per il sogno della creazione di ciò che avvertono come cosmicamente e naturalisticamente mancante, e quindi per il divenire in quanto tale.


Questa dicotomia intuitiva, immediata, però si complica appena consideriamo le potenzialità e la naturalezza dei desideri impossibili come ulteriore attivazione di un divenire necessario che non potrebbe nutrirsi di sola arte di accontentarsi e di solo possibile, e come realizzazione di fini propri della specie e del mondo in generale che vanno oltre il soggetto e l'individuo; la filosofia sarebbe inganno se fosse sola arte del possibile, e anche davanti all'esperienza dell'impossibile si può, anziché rinunciare, tentare di essere altro per potere altro, tentare la via della metamorfosi, quindi immensa è anche la dignità e la funzione del del male, se osservato nella sua essenza
de-ideologizzata e senza pregiudizi, come elemento infinitizzante e inappagato della volontà, come sogno di un bene che non c'è.


Oltre il bene e il male quindi, c'è solo un mondo fatto di volontà di cui si può essere solo piccolissima parte, piccolissima volontà tra le altre, volere oltre se stessi dunque, sussumere altre parti nel proprio sistema, è volere la volontà dell'altro, sia nel senso del massimo amore e servizio, che della massima seduzione e tirannia, e questa è la politica alla base dell'etica, la volontà non può autovolersi, ma non può nemmeno individuare nei suoi dintorni e nel suo vissuto nulla che non sia a sua volta in qualche misura volontà, non può individuare nessun oggetto esterno puro, nessun amore sincero per l'inorganico e per l'inerte, da cui il terzo elemento necessario a rompere il dilemma, che è volere la volontà dell'altro, la dimensione propriamente politica dell'etica.


#2653
Tematiche Spirituali / Fuga dalla libertà
05 Ottobre 2021, 12:39:53 PM
Si è liberi -solo- quando si sceglie il bene...

è questo un tema ricorrente del pensiero occidentale, mi vengono in mente Socrate, Platone, Sant'Agostino, ma davvero è un tema molto ricorrente. Si cerca di far coincidere libertà con bene, come anche nel Padre Nostro, liberaci dal male.

liberi di scegliere il bene, liberi di scegliere x...

il che è un paradosso solo se si immagina il bene come un'opzione tra le opzioni, come un qualcosa di preesistente.

E' chiaro che se qualcuno ci dice che la libertà, nella scelta tra x ed y, è scegliere sempre e sistematicamente y, ci sta prendendo in giro. Siano pure x ed y il bene e il male, sempre assurda la cosa rimane.
La possibilità ineliminabile di scegliere x integra la libertà per come comunemente intesa, quindi se la libertà è necessaria al bene, e il male è necessario alla libertà, il male è necessario al bene.


La questione della coincidenza tra bene e libertà dunque, torna molto di più se si immagina il bene come l'opzione che tra le opzioni attualmente disponibili non c'è, non esiste, o quantomeno non preesiste, e deve essere aggiunta/creata dallo scegliente.

Quindi la libertà che dovrebbe in teoria coincidere col bene è, tra x e y che sembrano le uniche opzioni che la situazione o il destino ci mette davanti, con un certo sforzo creativo o conoscitivo aggiungere anche l'opzione z, e poi scegliere z.

Contemplare la terzità del bene, rispetto alla dualità in generale delle opzioni.

In questo senso "si è liberi solo quando si sceglie il bene", può essere tradotto con "si è liberi solo quando si sceglie il divenire". In ogni situazione prevedibile, in ogni tentativo di progetto, Il bene è quello che manca, o quantomeno quello che mancava.

Del resto il bene secondo me è quello che fa incontrare la volontà con il suo appagamento, quindi con la sua limitazione e finitezza, viceversa il male è tutto quello che non appaga, e dunque che infinitizza, che slancia verso l'infinito, la volontà.
In questo senso il bene ha la stessa dignità e necessità del male, perché la volontà per essere e per sussistere ha bisogno avere in sé infinitudine quanto finitezza, tanto di essere a tratti felice quanto di non volere mai per troppo tempo la permanenza del voluto, quindi non può essere questo, il "vero" bene.

Il vero bene, la vera necessità prima ingiudicabile da ogni morale, il bene in quanto oggetto del desiderio e non in quanto giusto, per me è riflettere su cosa può essere terzo tra smettere di volere e volere all'infinito, quindi l'essere liberi di iniziare a volere altro, il volere la volontà dell'altro, il grande gioco delle volontà che si vogliono tra di loro.





#2654
Citazione di: green demetr il 23 Settembre 2021, 01:15:25 AM
Partire da una posizione post-umana che rivendica la sua validità (politica) nella sua ipotetica origine, fonte di tutti gli orrori genealogici, di tutti i testa-coda, uroborici (del Dio Ur), mi è aliena al massimo grado.
Poichè semplicemente raddoppia, o meglio è mimesi, dell'attuale ideologia post-umana, che verrà chiamato post-capitalismo, come tu, chissà per quale sintomatologia, capisci benissimo essere la condizione del post-comunismo contemporaneo.
In tutto questo la parola libertà suppongo che per te ha già smesso di valere alcunchè, figuriamoci la fraternità, solo una lugubre e funerea uguaglianza (sembiante ovviamente).
Del valore umano, della sua potenza di linguaggio, non c'è rimasto più niente, tutto è destinato all'utopia che schiaccia la realtà al suo simbolico.
Ma come spiegato da Cacciari, il tempo delle utopie è finito.
Ora si può iniziare a fare critica, io non credo che dalla tua posizione tu possa nemmeno farla, non la trovi una posizione che va contro la tua umanità?
La posizione è impossibile, sarà da seguire la sintomatologia (inevitabile) dell'occidente, come aveva immensamente compreso Heidegger e Nietzche, il nichilismo è semplicemente alle porte.
Mi fa ridere, non ci siamo nemmeno accorti di essere morti (idealmente).
Bisogna trovare una nuova consapevolezza.
Come dice Ipazia, manco il cristianesimo aveva simile ardire.
Ma questo è d'altronde il neo-gnosticismo.
Un Dio al posto di un altro.
No, grazie dell'intervento niko, ma non è proprio la mia direzione di pensare.
Il comunismo che tu tratteggi è esattamente il comunismo che sto cominciando a conoscere, e che voglio combattere.
Molte letture mi attendono.
Al di là del lutto della tecnica come destino dell'occidente (e dell'oriente a quanto pare).
Il pensiero diventa l'ultimo ineliminabile baluardo del pensiero vivente, del bios naturale, e non artificiale, quello della nuda vita.
La nuda vita non è più vita.
E' la parola che dà vita alla nuda vita.
La parola è il bios, è la politica, è al suo più alto grado la filosofia.

con stima tuo (nonostante tutto ;) ) green demetr




Collocare il post-umano nel suo giusto posto, cioè nel passato, come chiave di lettura del passato, facendo saltare il banco di tutte le ideologie progressiste e futuriste secondo cui
post-umano=futuro, è comprendere la semplice verità che accettare il post-umano significa (proprio per l'uomo nella sua specificità!) accettare il passato, e in generale accettare il passato, per chiunque voglia finalmente cambiarlo questo benedetto passato, prendendolo per la corna come un toro dall'unico punto materiale e disponibile alla volontà da cui si possa fisicamente acchiapparlo, cioè dal futuro, stante la realtà sempre potenziale e appesa al filo della volontà del cerchio del tempo, (per cui il futuro non è altro che il passato ci viene incontro)non è un'opzione, è una necessità; quindi questa è la fine che fa la libertà in questo mio discorso, si riduce a quello che già è in natura, cioè a indeterminatezza; quanto alla fratellanza lasciamo perdere, preferisco di gran lunga la sorellanza.

Marx e Nietzsche sono i primi due rivoluzionari che non se la prendono con il passato, che non lo odiano, che non lo rifiutano, da cui il loro inevitabile educlcoramento borghese e socialmente compatibile che si ha con la psicoanalisi. Bisogna superare lo spirito di vendetta, bisogna capire che l'unico modo di cambiare il passato è volerlo, perché solo se si contempla retrospettivamente da un punto del presente il passato come oggetto di volontà la volontà può cambiare, può smettere di desiderare l'eterno e il permanente e incominciare a fare innovazione ed epoca, a volere che il voluto sia passato, e quindi che ci sia d'ora in poi un altro e differente voluto; il voluto nella sua essenza non può tornare, solo le sue cangianti e fenomeniche forme, e l'unico modo di liberarci di quello che non ci piace del passato è farne un voluto, assumersi la responsabilità in merito, affinché non possa tornare.

Non è la volontà a tornare nel tempo, ma quello che la riempie come differenza e pluralità di volontà diverse: se io amo il voluto nel tempo, amo anche il suo passare, amo questa rosa, e non le sue infinite immagini che scorrono come fotogrammi attraverso il tempo, che non costituiscono identità con l'oggetto amato, ma solo similitudine; e non c'è altro voluto reale che non quello immerso nel tempo e nel suo flusso, e che a tale flusso si riduce, quindi se amo il voluto nella sua verità, non sono sedotto dall'eternità e dalle sue ideologie, la mia permanenza è necessaria all'esperienza del godere e del gioire, non voglio un oggetto di volontà così perfetto o trascendente che una volta ottenuto mi annulli.
Perché io possa volere altro, la mia volontà deve cambiare, orientandosi a un simile e non a un uguale nella serie di ciò che il tempo e la natura produce, non basta che cambino le condizioni esterne o che ci sia un qualche tipo di educazione condizionante, e perché io possa volere altro, il voluto precedente deve avermi completamente appagato, e intendo appagato fino ad esaurire nella sua pienezza la contemplazione retrospettiva possibile stessa del tempo e rendere con ciò necessaria una differenza tra futuro e passato che non è scontata e non cade da cielo se qualcosa o qualcuno non la rende attivamente ed effettivamente possibile. Quindi c'è un'etica nella mia idea di comunismo, ma questa etica prevede che l'uomo desideri di non essere più se stesso, perché già da ora e da sempre non è, se tesso.



#2655
Citazione di: Ipazia il 22 Settembre 2021, 17:27:50 PM
Insomma le solite, mitiche, sorti magnifiche e progressive in cui lo Spirito hegeliano si incarna nel capitale prima e nel comunismo poi con una progressione provvidenziale semiautomatica che manco l'escatologia cristiana ha mai dipinto a tinte così trionfanti. Se non altro perché non cancella l'inferno. De te fabula narratur. Ma prescindendo dalla realtà umana, mi raccomando.




Non mi interessa, se non al limite poeticamente, ma non certo in filosofia, nessuna ossimorica e fin dall'origine divenuta (e quindi non diveniente, e quindi eterna) realtà umana. Come ho già scritto in questo senso sono postumano, ogni cosa umana mi è aliena.


Comunque il nesso tra capitale e natura non è Spirito, è struttura, che si incarna dal cielo alla terra, da un regno a un a un altro, secondo la realtà dell'analogia, unico legame conoscitivo e sociale possibile in un mondo nullo (e quindi globale), che non conosce identità; l'inferno c'era già anche ben prima del capitalismo, ed è banalissimo farne un uso ideologico.