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Messaggi - green demetr

#2686
phil p.2

"Più sono i membri della comunità e più il cerchio si allarga, più si allarga e più ci si allontana dal fuoco centrale, perdendo luce e calore... sorge quindi l'esigenza di più fuochi, ed ecco allora i due fuochi dell'ellisse... ellisse che, nei punti più bui e freddi (quelli al centro), si spezza e diventa doppio cerchio; ognuno intorno al suo fuoco (similmente a ciò che avviene nella mitosi cellulare; micro e macro si emulano  ;) ). 
A quel punto, il nemico non è più solo quello della fredda oscurità circo-stante, ma è anche l'altro cerchio: la nuova comunità da cui poter prendere (e che, a sua volta, forse vuole prendere) ulteriore fuoco, cibo e donne (da Prometeo al ratto delle Sabine...). 
Morale della favola: finché la comunità è piccola, il cerchio regge, quando cresce, si frammenta, e mai in modo concentrico (ogni periferia ha il suo nuovo centro...). Bio-geometria spicciola della storia dell'uomo  ;D "

Sarà spicciola ma è esattamente la verità.

Il cerchio che per necessità è diventato formale (non tutti sentono la stessa voce, nel rito)

Ossia il cerchio apre alla comunità, ma la comunità scopre i sentimenti, la relazione con gli altri, si evolve nel sentire, oltre che nell'agire, arriva il sacro, arriva lo spirito. Si compone nel rito.
Ma c'è la possibilità che diversi riti si attivino, ed eccoci qui alla paura primordiale, la paura di essere di nuovo soli, di nuovi alla mercè degli spazi aperti, o alle insidie della giungla buja.
Diversi "sentire" presuppongono possibilità che il cerchio primordiale si spezzi.
Ed eccoci al cerchio che spezza il simbolo a favore di qualcuni, ma non era così importante, comunque il sentire c'era ancora.
Ma come dici tu il cerchio si amplia, il simbolo ha bisogno di sbilanciamenti continui, fino alla creazione linguistica delle parentele. Nasce il clan, sta per nascere la famiglia, la famiglia l'unico mattone su cui si erge la lotta fra i cerchi dilatati, che intanto sono diventate tribù, dalla tribù allo stato.....quanti cambiamenti, quale allontanemento dal sentimento per l'altro.
Lo stato diventa pura forma, abitato dal fuoco della politica, che testimonia come dalle ceneri la fenice del comunitario non muore mai e poi mai.

Ma io sto parlando del metafisico, non del politico....il metafisico dell'altro, quello si che si è veramente perso.
Siamo diventati degli automi per l'utile. Siamo atomi, immersi nella menzogna.

Capire oggi la fine dello stato e della politica: abbiamo il privilegio di assistere ad un ricomprensione del rapporto umano.
E poi il terrore, è morta di fatto la politica e lo stato, ma non la sua moralità sottesa. Che continua a proteggerci da paure ancestrali. Non sono tempi interessanti (zizek), sono un incubo che avrei preferito evitare.
ma come dice gandalf nessuno sceglie il tempo in cui esistere, ma ognuno può scegliere cosa farne.



P.s.
Nel cerchio non c'è gerarchia? Secondo me c'è, è la gerarchia della voce: la voce forte che raggiunge tutti i membri del cerchio, la voce che circola ovunque può essere dominante; mentre la voce che non circola, o peggio, che circola distorta dal passa-parola, non può essere saldamente egemonica...

E certo...ma io ho la convinzione che quella voce è originaria, e quindi presente a tutti.
non mi interessa la sua declinazione, non sono uno sciocco che nega le forme spirituali altrui.
Tutte parole sospette certo. Ma io le ho vissute.

Altra cosa ovviamente è la voce forte, quel tentativo di generalizzazione che chiamiamo religione.
Ma la religione è l'altro polo dell'esecutivo, francamente quello più atroce.....secoli passerrano prima di lasciarla.

A meno che abbracciamo la religione induista, unica religione che non è una religione, ma un caledoscopio di credenze, di maestri di scuole, COME DOVREBBE ESSERE!!!!!
Una religione che tenga unito il popolo nel rito, in quel pantheon gigantesco di divninità etc..., nel multiculturalismo accettato e mai imposto.
Ma che le lasci libere di scegliere con quale divinità parlare.

Peccato che la predizione della fine dell'induismo coinciderà con la fine del mondo.

L'india è madre. è sempre stata chiamata così.

Terzani annunciava che era l'ultimo avamposto non colpito dal GLOBALISMO. 

E' ancora vero? è ancora così? quanto durerà? perchè ogni premonizione è figlia anche di una paura che qualcosa del reale coglie.



tutti questi OT a me servono assolutamente per capire che la filosofia deve svegliarsi e anche al più presto!!!  saluti a tutti  ;)
#2687
x  maral

"In fondo è proprio il cerchio la "cosa unica" dell'opera alchimistica, sempre in procinto di spezzarsi per chiedere di farsi ritrovare. Dovremmo allora esercitarci nell'arte di fare cerchi disegnando così topografie viventi? Nel cerchio alla fine tutto torna, finché il centro (la fiducia che riempie quel punto di vuoto) regge.   "
"

Ma certo.  :)

A mio parere però non basta  :-[ , se il cerchio rimane chiuso, cadiamo nella figura altrettanto simbolica dell'uroboro.
Ma l'uroboro sa anche essere terribile. Divoratore, e dunque è la figura della paranoia per eccellenza.
Se la fiducia non può essere mantenuta, la comunità ha bisogno della gerarchia, ecco così che nasce nella tribù, non più la comunità degli invasati alla pari, ma la comunità in cui il potere decisionale vada ad uno, il capo villaggio e lo sciamano.
potere esecutivo e potere magico (che infine diventa da divinatorio a scientifico).
Sono alle origini del simbolo spezzato. Il simbolo spezzato è l'uroboro. il simbolo spezzato è il simbolo che da carne diventa forma.
Simbolo formale, paranoico, da sfatare, reincarnandolo di nuovo. (con tutte le derive possibili, di cui il nazismo è stata la evidenza massima, e il punto di non ritorno, non si può fare come se auschwitz non ci sia stata).
ripeto la reincarnazione deve avere qualcosa che la controlli...assolutamente. :'(

A mio parere il cerchio deve invece avere la forza di essere decentrato, ampliando le comunità, si ampliano le possibilità di allenze. Di amicizie come dicevo di sfuggita a Phil precedentemente.

In questo senso, va capita la struttura delle parentele, e va smantellato tutto l'incredibile fardello di false credenze che arrivano  fin dentro la famiglia contemporanea. (che nel frattempo è esplosa, ma non il suo linguaggio simbolico, che ormai gira a vuoto, la storia ha finalmente preso un altro giro).

Questione di secoli, e molte persone come me, ci soffriranno ancora e ancora e ancora.

Ma non è importante, l'importante è la direzione sociale, non l'oltreuomo, ma gli indizi che terrà l'oltreuomo.
Nietzche ha dato una mano, fino ad un certo punto. Ma come in una staffetta è arrivato subito dopo Freud, Simmel e i tedeschi del neo-romanticismo. Heideger, si è poi spostato in terra francese, da focault ed oggi lo ritroviamo in america Zizek.
Il nazismo è stata dura per i filosofi tedeschi, ma ora tornano con Sloterdijk ed altri "enfant" terrible, conservatori, e cattivissimi.

A mio parere ogni filosofo è tenuto a dare la sua piccola forse inutile (machissenefrega) spinta ad andare avanti.
(non dimenticando le lezioni di ieri....e allora forza anche nella diffusione di idee oggi ormai vecchie e stantie, ma utili).


Se parlo di utilità e socialità ovviamente è politica. La filosofia deve aiutare a fare politica, in questo caso, trovare un linguaggio che non permetta nostalgie, platonismi e new age varie. Si tratta di essere duri in questo.

E quindi questo progetto è ambizioso...ma forse troverò alleati.
#2688
x phil p1  scusa phil vedo che hai risposto mentre scrivevo l'articolo...divido la risposta in 2. Prima ne devo un altra a maral.

"Per "terzo" elemento non credo vada inteso il "terzo incomodo" di un triangolo ( ;) ), ma l'esser terzo fattore costituito dal vissuto di relazione: non c'è amore o amicizia che si fondi solo sulla diade io/tu, senza il vissuto della relazione come terzo elemento imprescindibile (come nella "trinità incendiaria" combustibile, comburente e innesco  ;D )
"

Ma è proprio quello il problema che a mio avviso non esiste amore o amicizia (vedasi l'amicizia in Derrida).
Si tratta piuttosto di desiderio (l'uno verso l'altro, o solo uno dei due) e di alleanza (prassi che ci rendano felici).

Io intendo dire che questa terzialità, se si forma come discorso dell'amore e discorso dell'amicizia, deve essere in grado di smascherare, i deliri, in quanto non era amore e non era amicizia.
Ora come fare? è ambizioso!oltre che pericoloso, perchè è evidente che il concetto di controllo di linguaggio, ha delle manie di potere sull'altro evidenti. Benchè necessarie, sennò ci si ostina a parlare di amore e di amicizia...e invece era un calesse...non so se mi spiego.

"Forse in Chaim Perelman puoi trovare spunti interessanti al riguardo (gemellaggio fra epistemologia ed ermeneutica...)."

Ho dato un occhiata in libreria...ma lui parla di arte retorica, di discorso. Controllo del discorso in chiave di retorica.
Immagino arte politica dell'aver ragione, da cicerone fino ad agostino, uno dei grandissimi problemi della filosofia.
E' fare PESSIMA filosofia.

Comunque unire i contributi semiologia-linguistica-ermeneutica è la base, confermo. Ma cosa li unisce????? Visto che nemmeno loro lo sanno?

"La storia della filosofia ci fornisce indizi sulla possibilità di un pensiero non gerarchico? Non so, ma direi che quella storia dimostra piuttosto, fino a prova contraria, che ogni forma di comprensione è sempre gerarchica, sempre com-presa in una gerarchia (anche quando prova ad essere svincolata: nel momento in cui si struttura propositivamente, e non solo criticamente, la sua assiologia, la sua simbologia, è inevitabilmente la matrice di una ulteriore gerarchizzazione...)."

Infatti parliamo di indizi, perchè se leggiamo attentamente gli autori, le loro intenzioni erano lodevoli, il problema è che hanno fallito. Bisogna capire perchè, buone intenzioni che diventano nefandezze...il materiale su cui pensarci c'è.


"D'altronde, la gerarchia non è altro che la coniugazione del pensiero dicotomico che fonda la cultura occidentale (giusto/sbagliato, vero/falso, etc.), per cui mettersi fuori dalla gerarchia è uscire dalla dicotomia, e uscire dalla dicotomia è uscire dal discorso logico (ed ecco che fa prontamente capolino l'estetica, con la sua leggerezza malinconica...). Sarebbe come se un computer volesse rinnegare il suo codice binario: smetterebbe di essere programmato/programmabile (e non sarebbe più un computer... forse un oltre-computer?  ;) ). "

Ma il discorso del vero è stato ampiamente analizzato come menzogna, da Nietzche fino agli stutturalisti francesi, passando per la psicanalisi.


"Comunque, restando nell'umano, ciò che non ha gerarchia è ciò che non è stato ancora compreso, ovvero il casuale (il lancio della moneta, vera o falsa che sia): ciò che non è compreso non può essere preso dalle maglie della gerarchia, ma ciò che non è compeso non è fruibile, non è controllabile, non è inquadrabile nettamente (per questo gli antichi cercavano di esorcizzarlo caratterizzandolo con "il fato", "il destino", o "la volontà degli dei": per capirlo, carpirlo, padroneggiarlo, nei limiti della possibile ragionevolezza, non potevano che gerarchizzarlo...)."

Ma perchè deve essere così importante il cognitivo? io non lo capisco Phil. Lo so che ti chiedo tanto.

Ma se riesci a scriverne qualcosa....

Ho fatto la stessa domanda ad un amico. Alla fine quello che mi è rimasto in testa di propositivo è che il tempo viene prima dello spazio. (prima di ieri ero convinto del contrario, ma mi ha fatto cambiare idea).
Ossia che ogni frase propositiva deve essere già stata vissuta, e quindi temporalizzata.
In questo senso forse rientra dalla finestra l'idea della natura che ama nascondersi dietro le sue apparenze.
Perchè la natura in questo caso, sarebbe per forza di cose, prima temporalizzata nel vissuto del soggetto.
Cosa che noi contemporanei non facciamo più.

Ma forse non c'entra con quello che vuoi dire, attendo con speranza. (visto l'ampiezza della cosa, decidi tu se evitare di parnarne o di scriverne solo alcuni pezzi, a me sarebbero utili e graditi). Fa niente se andiamo OT per un pò, mi sta bene.
#2689
Bella la frase che estrapoli, e assai indicativa del pensiero di Severino.
(di cui non ho ancora letto nulla, ma di cui ho sentito decine e decine di conferenze).

La sua idea è che l'ente, sia immortale.
Ossia che non esista il divenire.

A questo punto penso che la frase sia ampiamente capibile.

Lui intende dire che se esiste il concetto di potenzialità, allora significa che un ente, può essere altro da quello che è.
Ossia che qualcosa diventi qualcos'altro.

Per esempio che un foglio bianco diventi un foglio nero.

Per Severino gli infiniti momenti tra un foglio bianco pitturato di nero, corrispondono ad una illusione esattamente come ogni singolo fotogramma di una pellicola sembra dare adito al movimento delle immagini.

Ovviamente immagino (ma non ricordo specificatamente alcuna conferenza) che il tempo per lui esista solo come contraddizione, come apparenza.

Cioè il tempo è ciò che appare all'ente umano di modo che sembra vi sia una causa-effetto.

Dunque il tempo per Severino è una apparenza ma non un ente. (ma qui Maral forse ne sa pià di me sul concetto di tempo).

e dunque anche l'ente potenziale, non ha realtà, ed è esattamente ciò che noi (errando) chiamiano Nulla. (o non ancora nel caso specifico, ma appunto non essendeci il tempo, è proprio il nulla, è come se noi dessimo valore di ente al nulla, il che per Severino non ha senso).

Effettivamente la frase estrapolata farebbe pensare che Severino crede nel Nulla, ma direi che è il contrario.
Il maestro.... gli piace fare così. Prima ci accompagna nelle categorie usuali che tutti noi usiamo.

Poi con un colpo di teatro ribalta tutto, dicendo, "fin qui ci siamo? ebbene è l'esatto contrario!"  ;D

Da notare lo scontro titanico tra la Scuola eleatica e Severino e tutto il resto della Filosofia, con in capo il suo massimo esponente Nietzche, con cui Severino si scontra apertamente. (in Italia si scontra con Sini MAI apertamente a onor del vero, non gli concede nemmeno l'onore di essergli nemico  :o ).


PS cosa ne penso

Penso sia un delirio (ignorare il tempo è una psicosi), ma il fatto che Severino non psicotizzi, anzi sia fermamente convinto di quello che dice, mi lascia inquieto, la sua filosofia è inattacabile.
E la sua analisi (ossia in cosa consiste il suo delirio) veramente difficile, ad oggi nessuna intuizione su cui lavorare per smascherarlo.
Non rimane che seguirlo attentamente.
#2690
Vedo proprio che ogni tanto, ritornano gli scettici su questo forum.

Evidentemente gli piace farsi del male.

I ragionamenti non sono vizi in partenza, perchè l'intera storia della filosofia sta lì a dimostrarlo.

Come al solito prendo Hegel.

Le sensazioni sono i dati primari, non c'è fondazione, senza il cemento che la possa fortificare.

Negare i sentimenti è sciocco, lo scettico è sciocco dunque.

Ma in questo ennesimo inutile 3d, stiamo parlando dell'intelletto.

Come se esistesse qualcosa come l'intelletto, essendo l'intelletto non una sostanza ma una modalità della ragione. (la quale ragione è esistente, pena l'inesistenza degli enti, in quanto non vedremmo enti, senza separarli: ragione è uguale a razione, a parte.)

L'intelletto è quella facoltà di unire le parti con cognizione di causa, abduttiva, induttiva, deduttiva.

L'intelletto dunque non viene prima della ragione. E' passibile certo di errori.
Sopratutto nelle sue forme abudttive e induttive (che richiederebbero per un concetto di verità assoluto, la fine della storia etc...).

La filosofia non è filosofia che si inventa le cose, non è una mera opinione,
La filosofia metafisica, è fondazione, fondazione su ciò che è vero.
L'ente è tale solo se è un ente e non un altro.

Il genio maligno di Cartesio è stupido se applicato alla ragione, in quanto un ente non sarà mai il suo opposto, bianco non sarà mai nero.

Il genio maligno ha senso solo se si parla dell'intelletto.
In questo caso passiamo al formale, ai processi di diacronia del linguaggio, dalla sua casualità e dei suoi eventuli errori. (ma gli errori si riferiscono al senso, e non al formale, benchè esistano anche errori formali, e se ne è parlato in questo 3d).

Bene fa lo scettico a dubitare, ma non a impiantarsi su questa posizione, che di fatto è un blocco alla prassi.
E anzi se andiamo a vedere è esattamente quello che vuole, bloccare delle prassi, che lui, scettico, ritiene nel suo delirio, essere pratiche a lui avverse.

Come se il soggetto non fosse sempre all'interno delle pratiche. (ma questa per chi mi segue sa che è tutt'altro discorso).

La stupidità dello scettico, va ben oltre alle solite cose che si dicono riguardo gli scettici.
C'è della malvagità calcolata in questi individui.

Quindi ben venga la domanda...ma vediamo di liquidarla al più presto.
#2691
x inverno

non capisco come mai negli ultimi post sei entrato in questo loop storico.

anche se avessi ragione, e il rito si dovesse appiattire a una questione diacronica, con un salto (qualitativo? a me sembra il contratio) dal primitivo al borghese, quale sarebbe dunque il messaggio che faresti passare?
Perchè a questo punto non si capisce, in un ipotetico tuo cammino spirituale il conviviale lo metti o no nelpaniere?
E sopratutto il regale, il re, l'accentramento di potere, il borghese, lo metteresti o no (nel paniere)? (perchè mi pare visto l'ostinazione a farlo diventare una questione che riguarda l'antropologia generale, per te sia cosa importante).

Ecco perchè vedi, non hai risposto ancora alla mia provocazione, che Gesù è scappato dalla folla!

Dunque la regalità, benchè presente, come genere letterario, come evento storico etc....

Non ha alcun senso come spiritualità.

Ha invece senso il contrario, che la gente pur di mangiare è pronta a incoronare il primo venuto.....

In questo senso mi sento di avvallare le considerazioni di Angelo come pertinenti.

E ti invito a riflettere di come sia potuto accadere che dalla parte della ragione ( angelo e la teodicea) sei passato a quella del torto. E a darcene conto. Ciao ;)
#2692
Diciamo allora che abbiamo 3 chiavi di lettura.

Quella delle forme di Inverno, che si concentra sulla perdita di senso rispetto al diacronico.

Quello tuo Angelo di Verità storica.

Quello mio di verità metaforica.

Ma la verità della metafora starebbe non tanto se una tale verità sia tale o meno. (gesù uomo o Dio?)

Non mi interessa tanto storicamente, quanto rispetto al cammino spirituale.

Ossia quale simbolo posso trarre da quel brano?

nel tempo in cui gesù non cammina più fra noi, cammina con noi il suo messaggio.

Ora se il messaggio sia Dio stesso, a me non interessa più di tot.

Se quello che passa da quanto scrivi è che la ritualità sia il vero messaggio del testo.
Cosa confermata da Inverno. (o meglio tu fai notate che la ritualità è stata messa in discussione da Gesù, mentre a Inverno interessa più il contesto, ignorando gravemente a mio avviso, questa nota).

Non sarei d'accordo dunque.

Ovviamente parlo da esterno alle questioni di fede, pur sapendo cosa è la fede.

A mio avviso come notato da Inverno, si ha una storia, che non finisce certo con quell'episodio.

La mia domanda è molto semplice dunque. Se ritieni che la convivialità sia un elemento al di fuori di ogni sospetto. Perchè tra contro-tesi (teodicea) e tesi (veritùà storica del rituale), io non ho capito se tu la metteresti o no nel tuo paniere personale.

Hai fatto bene a ricordare i passaggi che ricordano che siamo di fronte ad un miracolo.

Ma questo viene interpretato col fatto che stiamo parlando di qualcosa di veramente importante (tesi di non ricordo più se Cacciari o mon.Ravasi).

Mi riesce veramente difficile mettere nel paniere della spiritualità il miracolo.
A me sembra che ad ogni miracolo di gesù, poi lui si penta di averlo fatto. (tranne quello della resurrezione).

Come a dire. non è il miracolo che conta quanto la testimonianza, l'exemplum christi di aiuto al prossimo. E non al popolo, in particolare. gesù , come noti tu, scappa dalla gente.

rifugge quindi la formalità della vecchia alleanza per una della sostanza.

La ritualità di gesù e la sua ritirata  mi paiono un bell'enigma. Rito o no?

In questo caso la proposta di Inverno mi piace tantissimo, perchè il ricordo del pane vero, contro l'ostia artificiale. dice che abbiamo scelto la forma piuttosto che la sostanza.

In questo senso metto il pane nel paniere, e butto l'ostia. Questa è la mia seconda domanda per te, sei d'accordo? a livello metaforico ti prego! ma se te la senti visto la tua precedente vita, puoi anche spiegare il valore dell'ostia storico per te.

L'altra ultima domanda è: ti sei accorto che c'è una bicicletta da mettere in moto?????
#2693
Tematiche Filosofiche / Re:L'elemosina di Hobbes
28 Maggio 2017, 20:20:01 PM
Citazione di: acquario69 il 28 Maggio 2017, 13:47:52 PM
Citazione di: cvc il 28 Maggio 2017, 11:09:04 AM
Si ma per mettere in atto sistematicamente una pratica empatica o no occorrono prima delle motivazioni. E queste come sono, altruiste o egoiste?

Ma forse (almeno per me e' cosi) l'empatia prescinde dalle motivazioni...e' una cosa che,o la senti o non la senti.
L'empatia (sempre secondo me) trascende il soggetto e l'oggetto (egoismo-altruismo)..non vi e' più ne' "forma" e ne più distinzione...si e' una cosa sola..non duale.

Certamente, essendo l'inconscio qualcosa di non duale, piuttosto plurale.
L'impatto con l'altro sarà necessariamente plurale.

Questo ovviamente non risolve assolutamente l'ipocrisia intenzionale delle persone.
Ma è una ottima intuizione da cui partire, e con cui io di fatto parto.
(per ogni eventuale prassi).

Ipocrisia: fare un corso per aiuto-infermiere, in cui l'empatia è addirittura RICHIESTA. (compreso nelle carte future della deonticità professionale, compresi i Burn-Out, per chi non si possa permettere le vacanze alle hawaii).

LOL. Caro buon vecchio Hobbes (cara canaglia), prima o poi ti ascolterò meglio!!


#2694
Ma c'è una differenza tra Antigone che accetta trasfigurata le conseguenze della sua scelta.
Ossia di essere sepolta da Altri.
E Nietzche che si auto-seppellisce. 

Binswanger (il pionere della psicanalisi fenomenologica) parla di paralisi progressiva.
Secondo la psicanalisi che individua nel linguaggio i caratteri della malattia, dunque Nietzche è vittima del linguaggio che sta analizzando.
Esattamente come la psicanalisi è vittima di se stessa, affermazione che costò a Lacan l'allontanamento dalla comunità (tacciata di gerarchia).

Ma il fallimento non è dell'analisi bensì del linguaggio.

Ora rintracciare questo filo rosso che porta alla paralisi è ancora da fare.
In rete mi sembra uno studio svizzero di psicologia dell'io, prova a confrontarsi con la personalità nicciana. Tacciandolo di maniaco-depressivo.

Ogni analisi ovviamente sarà informata dalla sua particolare scienza.
Il compito che mi sono posto è quello analitico, dell'analisi linguistica che informa il discorso paranoico, come inteso da Lacan e seguaci.

Ora noi non possiamo fare di Nietzche un exemplum.
Segnando una linea fra noi saggi e lui pazzo.

Nè pretendere di demarcare una linea scientifica che renda scienza quella pazzia.

Significherebbe limitare l'analisi, significherebbe depotenziare il messaggio interno del tedesco,

Bisogna rendere Nietzche uno di noi, farselo amico, solo allora potremo camminare insieme a lui.
(non sopra o sotto ma accanto).
#2695
x phil

cit Phil
"Direi addirittura che il simbolo è il pre-testo del gerarchico, ovvero la cornice "testuale"(semantica) che precede l'installazione del gerarchico, in assenza di simbologia non può esserci gerarchia... non a caso, nel mondo animale la gerarchia c'è solo se lo leggiamo con lo sguardo simbolico umano, che distingue preda/predatore, maschio dominante/gregario, etc. ma nell'ombra gettata da quello sguardo tassonomico, nell'angolo cieco della visuale gerarchizzante, non ci sono categorie gerarchiche, ma solo istinto, fame e "programmazione genetica"... una volta istituito il simbolico, invece, la gerarchizzazione trova terreno fertile: tracciata una linea, ha poi senso parlare di aldiqua e aldilà, e la linea singola, se non erro, sia per gli egizi che per i popoli orientali, simboleggiava (intuitivamente) il numero uno, che è il concetto-simbolo per eccellenza, quello che fonda il principio di identità (che fonda la logica per come la conosciamo)"

Assolutamente sì Phil! Il punto è ovviamente nel dentro fuori dal cerchio (più che linea).
Nelle prima formulazione propriamente filosofica, Parmenide, l'uno è la sfera, il cerchio.
Ossia Parmenide si dà al suo originario come qualcosa che lo attornia perfettamente. Ossia come perfetta identificazione.
Cacciari in un recente convegno su Colli, ha fatto coincidere le 2 sfere, divina e umana.
Ha ragione, nel senso proprio che la metafisica riguarda da mooooolto vicino l'uomo.
L'apertura al proprio inconscio, è questa la chiave di volta della filosofia antica, nemmeno tanto velata.
(natura è tutto ciò che ama nascondersi).

La cortocircuitazione come posso dedurre facilmente dal tuo notevole scritto, è la fame.
Perchè è una questione di alleanze. La sfera di Parmenide coincide (per esempio) con la mia? No assolutamente no, il mio inconscio apre all'acqua, non apre ad una sfera. La sfera non mi appartiene.
Ora come ci alleiamo? se noi siamo diversi? Questa domanda sembra facile oggi, ma se la comunità era il cerchio, e la divinità era circolare, allora inconscio e comunità erano collettivi. E' una banalissima questione di proiezioni mentali.
Ma allora non lo sapevano. Gli DEI erano tra loro.
Il terrore era già pronto ad informare il simbolo. Per mantenere il cerchio dovevano mantenere l'unità.
Comincia la guerra delle immagini (che perdura ancora oggi).
Ecco allora la comunità dell'aquila, quella del cervo, quella del cane, quelle degli spirito guida.
Ogni animale diventa l'equivalente terzo, per ogni possibile relazione. E' l'inizio della famiglia.

E' una questione di alleanza, in "NOME DI" qualcosa. (all'epoca ovviamente erano animali, visto che erano predatori e preda insieme).
Nel nome del padre, significa in fin dei conti, affinchè rimaniamo uniti...etc...etc...

Terrore della fame, e uscita dal cerchio. E' la gerarchia da EVITARE.

E' da evitare perchè dimentica che il cerchio non è un valore a se stante (globalizzazione, europa etcc...), è un valore di relazione che abbiamo con gli altri.
E con gli Dei che ci abitano.

Il pensiero unico invece ha portato ad un solo DIO, e ad una solo comunità (improntate come esorcizzazione del terrore e della fame, e che hanno come prodotto aporistico un DIO TERRIBILE, portatore di terrore, e un cerchio terribile, (gli stati sovrano, portatori di guerre e di carestie) (o il suo equivalente ECONOMICO, il capitalismo produttore di fame).

Ma il cerchio era uno, e l'uomo era uno con il suo dio.

Il problema fu proprio quello dare il potere ad uno solo, (lo stregone). L'intero pensiero unico è improntato a questa stegoneria, ignorante, e non più sostenibile con le conoscenze odierne).

Questo è il punto 3 di anthony (o il punto 2 mio), Quello più propriamente metafisico.

ma come Mouss o Levi-strauss hanno notato, c'è qualcosa di ancora pià arcaico, e sono le strutture linguistiche. (di parentela).

su cui questo 3d si vorrebbe infine concentrare, anche se i discorsi metafisici sono parimenti importanti.

cit Phil

"Emanciparsi dalla gerarchia come struttura di senso, forse significherebbe abbandonare la dimensione simbolica, dunque compromettere la funzionalità della logica come strumento di indagine... senza più gerarchie, che fine fa il senso?"

ma infatti il punto non è inventare un sistema formale fine a se stesso, ma uno che controlli, la giusta formazione del senso (per ciascuno, non per tutti) ossia del simbolo appunto.

Produrre una identità (col proprio DIO in aiuto agli altri) funzionale a ciò che siamo, e non alla invenzione formale. (alias la famiglia, ma siccome è tabù, qui parleremo di società, di relazione con gli altri, che poi sarebbe in fin dei conti fuori dai tabù, come la società patriarcale insiste a fare, ANCHE una riorganizzazione dei sentimenti familiari).

la lingua cioè inficia anzitutto le relazioni umane. Io penso cioè che si può tranquillamente rimanere in cerchio senza addurre un "terzo", che mi pare sempre frutto di errori pregiudiziali storici, sedimentati, asfittici).

cit Phil

"Probabilmente no, perché il terzo è la relazione stessa"

L'ambizione di cui parlo è invece esattamente questa, che la relazione non centra con nessuna terzo.
Proviamo a pensare quando amiamo una donna o un uomo, quale terzo può intenderla?
Diciamo "ti amo", ma è una parola troppo stretta per contenere l'infinita gamma di sensazioni che proviamo.
Certo è un terziario, detto amore....ma non è la relazione stessa. Il "terziario" è un tentativo di tassonomica, aporetico, in quanto riguarda ciascuno e ciascuna. (e qualora diventasse la tassonomia la relazione stessa, cosa sempre più vera, bisogna ricorrere allo psicologo).
La stessa cosa deve avvenire nell'amicizia. E credo che questo sia il problema più grave che ci si staglia contro.
Non a caso il progetto Nietzche rimane per me primario.

cit Phil

"Maral ha ricordato il ruolo dell'estetica nel discorso gerarchico, e questa riflessione semiologica che proponi se coniugata con l'estetica diventa ermeneutica, allontanandosi quando basta dall'esattezza formale della logica epistemica (quasi "computazionale"), per aprire temi e problemi la cui soluzione non può essere trovata in un uso impeccabile dei meccanismi semantici... e ciò non riguarda solo l'estetica: ad esempio, il linguaggio influenza la politica, e viceversa, ma la soluzione ai problemi politici non è mai esclusivamente linguistica, perché "la giustizia" o, tornando agli antichi, "la saggezza", non è una questione di variabili o costanti, di fallacie, o di compilazione di assiomi con tavole di verità (la differenza fra la ragione dell'uomo e l'intelligenza artificiale è forse tutta qui...)."

ripeto il controllo è un meta-controllo sulla ermeneutica.  infatti siamo d'accordo.

cit Phil

"Cosa, quali indizi, ci fanno pensare che oggi (o domani), sia realmente possibile degerarchizzare il nostro approccio al mondo e all'altro uomo? Davvero è possibile una dimensione sociale, logica o anche solo linguistica che non richieda l'imprescindibile presenza di una gerarchia (più o meno latente o implicita, più o meno personale o condivisa, più o meno dogmatica o "fluida", etc.)?"

Ma gli indizi ce li ha dati la filosofia in questi 2400 anni della sua storia! ;)

Come ho detto sopra però non bastano! SERVE per forza di cose un linguaggio di controllo.


cit Phil

"Citazione da: maral - 26 Maggio 2017, 23:54:02 pm
Alla domanda su come si faccia a innalzare propriamente e concordemente il livello dei discorsi Carrera trova che non sia possibile dare risposta
e questa stessa domanda presuppone una gerarchia, o meglio, molteplici gerarchie... altrimenti diventa una domanda che non ha condizioni di possibilità di risposta..."

Più che altro se ogni discorso periferico è gerarchico, anche la proposta di comparazione, produrrà come risultato, quello che era nelle premesse, e cioè che non esiste gerarchia, essendo tutte equivalenti nell'essere gerarchizzate non vedranno l'evidenza che le informa.

La linguistica a se stante, non serve a niente. Non mi si fraintenda!

Altrimenti non si capirebbe perchè ce l'ho tanto con gli analitici!!
#2696
x maral p2

cit maral
"Ma quando entrano in ballo aspetti ontologici, politici, sociali e teologici? Come ce la caviamo rispetto alle pretese della "Cosa Unica"? Possiamo farne solo una questione di estetica per quanto la questione di estetica sia fondamentale? "

Esatto Maral, ESATTO!

cit maral
"La Cosa Unica accade continuamente nell'intrecciarsi e richiamarsi delle sue parti (delle sue periferie) e richiede solo che in questo suo accadere ci si riesca a mantenere in bilico, senza poterla vedere, o meglio, vedendola solo nella sua parzialità che persegue la sua particolare perfezione, dopo di ché tramonta e sopraggiunge una nuova parzialità destinata a compiere nell'intreccio la sua parte di cammino. La Cosa Unica è solo prassi che si spera si dimostri una buona prassi nei diversi ambiti dei nostri progetti da concludere prima o poi."

Ammesso e concesso che esita una cosa unica, amico Maral!
L'insieme delle pratiche è comunque sempre criticabile al tribunale della ragione.

La ragione, il logos è la filosofia ed appartiene a tutti gli uomini.
Ma l'informatizzazione del logos è l'unico vero problema.
Il problema è il gerarchico che viene prima della decisione se vi siano enti destinali (verso una perfezione o meno apparente).
Se noi supinamente accettiamo le prassi che ci informano, poi come potremmo decidere delle prassi stesse?
Se la prassi come in Sini diventa "vittima" del potere nascosto ossia diventa destinale, come potremmo decidere?

La decisione è evidentemente nell'originario, nella funzione di soggetto, nella sua libertà di apertura al Mondo, frutto del locale e dell'epocale.
Se vi è qualcosa che ci informa dovrebbe essere nel nostro sentimentale, nella guida che l'inconscio decide per noi.
Ma l'inconscio è ovviamente il simbolico, che si apre come canto e come danza (lo dice anche sini).
Che si apre alla storia nel cerchio, nel villaggio attorno al fuoco.
Perchè la comunità che sta attorno al fuoco, può vedere dietro le spalle di ogni osservatore, ogni parlante è coperto dalle minacce esterne. Dalla bestia. Dall'animale.
E' quello che ci racconta l'antropologia, l'archeologia.
Dunque l'altro è il rimedio contro l'oscurità.

Si carica di emozione primordiale, rifugio, sacralità. Dentro e fuori dal cerchio.
E infine si apre alla religione, al rapporto con la divinità.
Non è questione di credenza, è questione dell'"esser invasati", di apertura totale al simbolico.
Di danza intorno al fuoco.
L'essere "invasati" è di tutti. Vince allora la paura del cerchio spezzato.
E' la rottura del cerchio, il cerchio diventa magico, diventa non luogo, diventa coercizione a rimanere nel cerchio.
Dalle prime comunità ad oggi. Nulla è cambiato, dentro o fuori dalla città. Globalizzato o Allontanato???
L'iter è solare, con tutti gli errori annessi.


L'inconscio è la relazione con l'originario. La relazione è la metafisica (e il nuovo cerchio è l'oltreuomo nicciano).
#2697
x anthonyi

cit anthonyi
"Ringrazio green demetr, devo dire però che non condivido l'idea che la non fisicità della comunicazione implichi una ridotta coercitività."


La coercività fisica porta all'annullamento della stessa umanità umana, vedasi "se questo è un uomo" di primo levi, o "la battaglia di algeri", sulle tecniche di estorsione delle informazioni, fino ai film di guerra della Bigelow.

cit anthonyi
"In sintesi la coercitività e la gerarchicità, per me, è argomento che attiene al rapporto tra individui, indipendentemente dalla fisicità del rapporto che è una semplice conseguenza."

Ma certo al di là della diversa percezione che abbiamo della coercizione fisica, siamo d'accordo nell'affermare che oggi la guerra sia passata a quello politico.(con tutte le sue istituzioni, discorsi, informatizzazioni etc... in una parola per Agamben con tutti i suoi Dispositivi).

Il punto sarebbe allora destrutturare questi dispositivi, e controllare i suoi interroganti.
Siccome lo hanno già fatto. Ci portano in eredità che il problema è quello dell'impatto linguistico culturale, e dell' "altro" (il prossimo) fondamento per la comunità (politica).

L'obiettivo di questo 3d seguendo le ulteriori conseguenze del linguistico culturale, è trovare il medio fra critica del linguaggio a sfondo culturale, e il suo emittente.

Si rifarebbe alla semiologia, con la famosa tripartizione, parlante, mezzo, ricevente. Sarebbe la famigerata qeustione dei "rumori" interni al passaggio del messaggio dal primo al terzo. La semiologia si occupa principalmente del mezzo.

Il presente 3d pur facendo apertamente riferimento agli esiti finora raggiunti, si concentra sul parlante.
Su come possa controllare anzitutto il rumore interno alle sue stesse prassi. In parole povere alle resistenze contro il pensiero unico dominante. Che lo informa in partenza, gerarchizzandolo in partenza. (non una gerarchia qualunque ma quella del pensiero unico dominante).

La mia intuizione era che è possibile trovare per il tribunale della ragione kantiano, una meta-linguaggio di controllo.
Che non favorisca le antinomie. (scambiare il risultato per la premessa, che poi sarebbe il problema del gerarchico, ossia la matematizzazione della vita, il metafisico).

cit anthonyi

"Volevo poi commentare il titolo del 3D, per me ispiratore di forti sollecitazioni intellettuali.
Per me infatti questo può avere tre linee di sviluppo:
1)   Una linea ontologica, riguardante la gerarchia dell'aldilà. In soldoni, ci sono divinità superiori, o sono tutti spiriti alla pari?
2)   Una linea epistemologica, che direi è quella che mi sembra implicita nell'intento dei dialoganti;
3)   Una linea culturale, riguardante la gerarchia tra dottrine e la primarietà della Teologia.
Direi che le tre linee si assemblano perché tutti noi veniamo da radici culturali (Almeno credo), fortemente gerarchiche su tutti e tre i livelli: Un solo Dio, Una sola autorità teologica, la Chiesa, Primato della Teologia sul resto (in particolare sulla politica)."

Perfetto approvo totalmente la tripartizione. Ovviamente in questo caso stiamo parlando di resistere alle 3 forme di gerarchizzazione. (usate ribaltando la sequenzialità però, prima la 2) poi la 3) e infine la 1)  )
L'idea insomma è che esista questa sequenzialità, e che la si possa hackerare smontando la 2. (progetto a lungo termine).
Se smonto la 2 la 3 non sarà mai relativa al suo fine, al risultato, ma sarà totalmente attenta alla propria originarietà (Cacciari).
(con una ricomprensione vera del religioso, che ad oggi è informato in una ritualità sterile).
La uno riguarderebbe la 2, ricompresa nel suo senso. Ad oggi mi sembra solo un risultato della paranoia (vivo di là, perchè sono morto qua).

cit anthonyi
"In generale le esperienze di liberazione umana (Rivoluzione Francese, pensiero marxista, pensiero liberale (delle origini), movimenti del 68), hanno sempre prodotto evoluzioni incontrollabili che sovente sono andate in direzione opposta"

Sono d'accordo, ma se analizzate nel loro istanze di partenza avevano già in sè i germi del loro dissolvimento.
Quando la politica diventa cieca su cosa è l'uomo, sui suoi comportamenti è inevitabile la sua dissoluzione.

La filosofia contemporanea dovrebbe far tesoro dei risultati catastrofici di quelle rivoluzioni, e intendere alla perfezione i suoi errori macroscopici.

Quello che non capisco francamente è questo nuovo umanesimo che si concentra sull'uomo. Quando è evidente da quanto abbiamo detto noi prima, che il pensiero unico usa il gerarchico anzitutto informando le strutture stesse del linguaggio.
Ossia all'inizio di ogni possibile gerarchico.
Ossia ovviamente visti gli errori del passato e l'angoscia perdurante nel mondo occidentale (lo stress), è necessario ANCHE pensare più a fondo COSA è L'UOMO. Di modo che l'uomo che fa politica la fa con una idea critica (comparata va benissimo) dei suoi errori passati.(niente di male in questo). Ma il problema è assia più vasto, il problema che io chiamo ontologico, non può sfociare nel nuovo realismo di matrice americana. Perchè questo nuovo realismo è informato totalmente da linguaggio che usa (scientismo bieco), e dal potere teologico, di autorità, che governa le coscienze (Focault). Le idee di cosa sia umano rischiano di portare avanti una vecchissima querelle cartesiana, se noi siamo corpo o spirito, un dualismo stantio che non intende minimamente il gerarchico. (e che anzi come sappiamo lo autorizza).

cit anthonyi
"Abbiamo sufficiente esperienza e conoscenza per eliminare le gerarchie senza produrre conflitti (certamente generati da quelli che vogliono la gerarchia e che in assenza della stessa cercano di porsi in posizione gerarchica, ma che condizionano tutti gli altri)?"

Certamente non possiamo NON dubitare, se è questo che intendi. Ma una cosa è dubitare, l'altra è fare ricerche stupide, che non tengano conto degli approdi a cui l'umanità è giunta. l'altra ancora è fuggire (rifugiarsi nell'arte).
Certo la terza fa parte dell'uomo. Ma bisogna avere coraggio, e forza intellettuale, e continuare a ragionare.


E allora riprendo il bellissimo paesaggio descritto da Phil


"l muro che ti senti alle spalle potrebbe essere scalato (come farebbe il Nietzsche amante delle vette), decostruito (à la Derrida, per poi scavalcarne i ruderi), "ingegnerizzato" (come fanno gli epistemologi, per decidere dove costruire un varco), trasceso (come il "muro senza porta" del Wumen Guan zen), e magari anche altro... trovare il proprio muro è la "fortuna" di trovare qualcosa su cui lavorare  :) "
#2698
x maral p1

cit maral
"Carrera riconosce come cruciale il problema del "come" che ho introdotto nella domanda che gli ho posto e il rischio che esso  istituisca a sua volta una gerarchia nel momento in cui si presenta più risolutivo del "che cosa" .  Ma in realtà non affronta questa problematica (il come a cui si riferisce non è modale, ma comparativo come nel pensiero ermetico)"

Ho letto l'intero riassunto. (grazie infinite a te e al prof Carrera dunque  ;))
Ma io mi fermerei all'inizio, se l'analisi deve essere comparativa, allora ci fermeremmo alla modalità.
Sia ben chiaro, la comparatistica è difatti l'analisi più "in auge" nel mondo della letteratura critica.

Ossia ad una ermeneutica. Quello che me la rende noiosa, è che si occupa dell'artistico.
Ma come diceva Nietzche ripreso dal Carmelo Bene (discorso con Zeri), l'arte invece di occuparsi delle forme, sbaglia ad occuparsi delle sostanze, diventando un immenso monumento. Un cimitero delle idee.
Carrera opportunatamente allora prova la via estetica, per uscire dalle impasse del metafisico.
(ma non è il solo, quasi tutti i filosofi passano all'estetica).
Eppure l'arte (nei sui 4 discorsi sul nulla di Carmelo Bene) è di nuovo solo, al massimo, consolazione.
Non ha nulla della vita. Dunque queste soluzioni le vedo sostanzialmente come soluzioni deboli.

Approfondimento Carrera.

cit maral
"Carrera è la comunità degli interpretanti che:  «grazie al loro lavoro trasformano quell'enunciazione in un macrotesto composto di discussioni scritte e orali, tesi di laurea, libri, voci di enciclopedia, pagine di antologie, siti web, documentari, qualunque cosa la semiosfera ci metta a disposizione»."

Certo ma la semiosfera divetasse biosfera? Mi sembra che Carrera non legga Agamben, Sloeterdijk, strutturalismo francese in generale.
(derrida, deleuze, baudrillard etc..etc...etc...).
In realtà l'eredità di questi filosofi è proprio far notare come la semiosfera, il simbolico, sia diventato pensiero ideologico.(teso al controllo o governo dei corpi)

cit maral
"i riferimenti vanno agli errori di Foucault quando si occupa di pensiero classico ...
Anche se la tecnica implica una diacronia, facendo riferimento a una tradizione, «lo sguardo della compresenza e sulla compresenza è sincronico."

Ma Focault non si è mai interessato della storia del pensiero classico, a lui interessava invece la modalità, la tecnica in cui quella storia veniva raccontata.(nella "storia della sessualità" e nella "ermeneutica del soggetto", lo ripete più volte)
Non è minimamente una questione di diacronico, sincronico, la questione è quella delle tecniche del pensiero unico.
Per Focault dunque la chiave è nel formale.(in ogni tempo).

Detto questo è interessante la chiave di lettura tra sincronicità venduta senza diacronicità.
A mio avviso insufficiente rispetto alla portata dei problemi politici da pensare.
#2699
No l'interpretazione è corretta  :) , d'altronde bisogna ri-citare anthonyi, per poter far capire l'errore ad Angelo.

E' vero avevo dimenticato completamente la generosità, come fulcro di una morale, non so se effettivamente retributiva, ma comunque di fatto lo era.
Generosità che si realizza nella convivialità e anche nel relazione sacrale col cibo.
E' vero a questo terzo punto non ci avevo ancora pensato. grazie inverno!
Forse non sarà più sacrale, ma in molte feste patronali, di paese, o nelle fiere o sagre che dir si vogliano, il piatto della festa un pò ancora lo ricorpre il carattere di sacralità anche solo se nella forma dell'appartenenza. Appartenenza ad un luogo e dunque ad una comunità.

Hai ragione, noi possiamo ricevere solo qualcosa di quell'esperienza.
Eppure alla lettura, l'emozione che la scrittura mi ha suscitato la ritengo genuina.
Ancora qualcosa (e anche di rilevante) passa della tradizione.

Non ho capito la storia dei Re, quella storica a quanto dici inverno.
Ma mi fido, se esiste una letteratura sterminata (trattandosi della bibbia, qualsiasi cosa che la riguarda è sterminata). Preferisco non indagare, sopratutto per quella parolina, "gerarchico"....ne sono allergico  ;)

Mi sembra tre punti da mettere nel paniere.
Perché la convivialità era molto presente nell'Induismo, basti pensare che i Veda erano dei ricettari!
Anzi a dire il vero in India, la convivialità e la sacralità del cibo è ancora presente! (anche se è più formale, più devozionale, che conviviale, anche se il risultato è comunque la convivialità  ;)  )



#2700
Citazione di: anthonyi il 26 Maggio 2017, 17:35:10 PM
Nel leggere il 3d ho trovato un ragionamento del quale mi è difficile cogliere il senso.
Cosa vuol dire che il parlare non può essere gerarchico? La comunicazione, per quanto ne so io, si pone a livelli differenti di autorevolezza, essa contiene una gerarchia, o no?
Sarei grato se qualcuno potesse chiarirmi la cosa.

Ciao anthony

grazie della domanda.

Si hai ragione, forse mi sono espresso male.  ;)

Intendo dire che il linguaggio, il parlare, è una gerarchia formale.

Non ha necessariamente la funzione di coercizione fisica.

Cioè distinguo una metafisico formale (quello classico, o anche quello americano analitico) dal reale. Ossia l'esito sulle relazioni sociali e private.

L'esito è sempre una coercizione (che lo si percepisca o meno) vi sono delle norme, delle abitudini, tanto che noi parliamo di normalità e di etica o morale.


Per risolvere delle situazioni di stallo o di sofferenza reali, necessiteremmo di una lotta fisica.
Ma nella storia umana, dall'invenzione della scrittura in poi (vedi Sini) la vera battaglia si è trasferita nel discorso. (e quindi nel formale, metafisico o analitico che sia)

Ovvero in ciò che DECIDIAMO di raccontarci. (nel senso di opinione pubblica, di morale, di normalità).


APPROFONDIMENTO E SPUNTI VARI PER IL FUTURO.



Lo scopo della filosofia è sempre stato quello di criticare, di evidenziare le cose che andavano bene e quelle che no.

Abbiamo così affinato gli strumenti della ragione (scienze, economia e diritto).

Ma siamo pervenuti in uno stato dove ci siamo dimenticati di affinare gli strumenti che analizzano NOI STESSI, ossia i parlanti, i ragionanti.

E a questo punto che si apre la mia discussione.

Qui c'è l'ambizione di correggere la metafisica che ha avuto il gran torto di voler dettar legge piuttosto che di criticare.

Ossia è nel come la metafisica si è sempre presentata (come verità) che risiede l'errore-

Perchè se la filosofia pretende di essere morale, alla fine diviene vittima degli stessi meccanismi che si proporrebbe di criticare.

Ossia invece di essere critica delle scienze, dell'economia, e del diritto.
Diviene essa stessa politica delle scienze, dell'economia e del diritto.
(diventa una voce fra le voci, senza avere più l'autorità di una volta.
e non ha più l'autorità perchè si è resa conto che era male. che la verità deve essere per tutti e non per pochi. ha creato cioè l'autorità della scienza (irrevocabile).)

ha praticamente sottoscritto alla sua stessa fine.

Ma non è un male, è un bene affidarsi alla scienza piuttosto che ad una opinione, o peggio un pregiudizio.

Rimane il problema dunque di cosa fare di questa metafisica.

Come scriveva Paul, è veramente necessario farne a meno?

A mio modo di sentire no.

Quello che voglio salvare è la trascendenza, ossia la spiritualità che informa l'uomo.

Ossia io voglio ricordare a me stesso SEMPRE, la mia umanità come corpo e come spirito.

Solo a quel punto posso dedicarmi alla critica della scienza della morale etc...

Dunque l'ambizione è quello di trovare un linguaggio che controlli il soggetto, il ragionante, ossia di chi critica, ragiona etc...sulla scienza etc....

SENZA farla diventare a sua volta una POLITICA una scelta di partito, schieramento etc...

Per fare questo devo creare un discorso che metta dei paletti, il più precisi possibili affinchè il soggetto, il criticante, il ragionante si chieda sempre COSA STA INDICANDO, quali operatori logici sta mettendo in campo, il fine di questo indicare e operare, ossia il suo limite invalicabile, PRIMA DI DIVENTARE presa di parte, politica, critica SU QUALCOSA.

Insomma il soggetto, il ragionante, il criticante, il politico (finanche) DEVE ESSERE CONSAPEVOLE delle trappole a cui si va incontro con il linguaggio stesso.
Non deve diventare il linguaggio stesso.
Se parlo di critica alla scienza non posso usare le categorie della scienza.
Nemmeno quelle della nostra chiave interpretativa, deve essere qualcosa a META' strada.
Questa nuova strada deve avere dei paletti che noi decidiamo in base alle scienze del linguaggio (grammatica,semantica, fononologia) e della semiotica (semiologia, ermeneutica, forma del romanzo).
I passaggi devono essere chiari, condivisibili da tutti, argomentabili.

Sono abbastanza convinto che fosse proprio ciò che Kant si era preposto di fare.
E che tentò di elaborare il più approfonditamente possibile. (lasciando una enormità di spunti, da elaborare anzitutto nel loro fallimento, ossia da leggere come eredità)

Posso bene dire che questo ambizioso progetto è una riscrittura formale delle intenzioni di Kant.