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Messaggi - Koba

#271
Citazione di: green demetr il 25 Maggio 2024, 23:07:08 PMProbabilmente  Hyppolite non ha capito niente se usa una simile frase.
Infatti il sè è proprio ciò che nasce in negativo dal noi (che è sempre una forma astratta di universalizzazione, e perciò sempre contro l'individuo).

No, Hyppolite ha capito bene la Fenomenologia, e sceglie la parola "Noi" e non un termine come "Altro" proprio per indicare che in tale oggettività l'Io riconosce parte di sé (proprio secondo il significato letterale della parola "noi" che appunto include anche il soggetto che la pronuncia, oltre agli altri individui che costituiscono quella pluralità).
Quello che si vuole indicare è una compenetrazione tra il per sé (il Sé dell'individuo) e l'in sé (il mondo, la realtà sociale, la natura, ovvero l'essere oggettivo).
Il passaggio dalla coscienza alla ragione e poi allo spirito, comporta, nel soggetto, una graduale consapevolezza di questa compenetrazione.
Ti ricordo che qui stiamo studiando Hegel, non Kierkeggard...
#272
Ripensando a ciò che stiamo dicendo di Platone mi è venuto in mento questo: nel Sofista il sapere viene descritto come la ricostruzione nella propria testa delle relazioni reali esistenti tra le idee.
Sapere significa essere capaci di distinguere ciò che accomuna certe idee, e ciò che le distingue.
Saper percorrere la costellazione di relazioni attinenti una di esse, quella in oggetto, per esempio la giustizia.
Ma concretamente cosa significa conoscere la giustizia? Cosa significa saper rispondere alla domanda: che cos'è la giustizia?
Ecco, questo è il punto: non significa disporre di una definizione. Non è la quiete del concetto ad essere l'esito del sapere, per Platone.
Concretamente essere sapiente nell'ambito della giustizia significa saper percorrere quelle relazioni, con tanto di strade chiuse, di retromarce, come ampiamente viene dato conto in Gorgia, Protagora e Repubblica.
Quindi la staticità dell'ontologia platonica?
Possono coesistere le due cose? Struttura statica delle essenze eterne e dinamicità del sapere?
#273
Citazione di: green demetr il 24 Maggio 2024, 20:34:30 PM2 - Nell'orfismo ciò che è importante è la liberazione della sessualità, l'apollineo è invece il demone malefico. Questo in detto in soldoni, non esiste questo dualismo, ma la lotta morale avviene tra questi estremi, dove la vita sono le sue eterne sfumature.
Per me eros è la volontà creatrice, e thanatos è la ragione bruta.
Sempre in soldoni. Infatti ciò che conta è come la vita stessa si presenta a noi, e cosa decidiamo di farne.
La razionalità di Platone è la razionalità del cuore.
L'Eutifrone non lascia dubbi.
Ecco non darei questa priorità alla razionalità.
Mi è venuta in mente or ora questa intuizione:
Che la razionalità contemporanea è agente efficiente.
Dove dalla radice di ex-facio deduciamo in cosa consiste l'agire: ossia dal suo fare.
Mi ricorda ancora una volta la seconda figura hegeliana, quella del servo.
Ora ragionando su alcune intuizioni che "annusavo" dal mondo platonico-neoplatonico (credo) o forse era tommaso: il nostro agire è un agire che deve agire in potenza per aprire ulteriore potenza.
Forse c'entra la potestas di Dio.
E sono d'accordo se lo sto ricostruendo con le intuizioni giuste: perchè è proprio quello che fa nietzche, o quello che prospetta leopardi.
Nel tentativo di agire secondo giustizia divina noi dobbiamo dare adito a questi desideri di ampiarsi. Dunuqe io non le chiamo essenze eterne, non esiste una totalità, ma una potenzialità infinita da cui il nostro giudizio poi decide se per il bene o il male. Come dire che siamo noi gli artefici del bene e del male.
Come nella grande tradizione mistica ebraica se vogliamo, le sefirot etc...


Tenendo fuori la questione dell'influenza dell'orfismo, che non conosco abbastanza, in linea generale sono d'accordo con te: la lettura di Platone che privilegia l'esercizio e non le soluzioni, cioè la morale proprio come esercizio continuo, interrogazione filosofica continua, in opposizione all'approccio metafisico che cerca di trarne strutture stabili, rigide, definitive, è certamente quella, per noi, più significativa.
Anzi forse è l'unica significativa, perché non si capisce quale possa essere il guadagno dal tenere fermo, con varie e traballanti argomentazioni, il convincimento dell'esistenza di essenze eterne (quindi valori eterni)? Ma no, certo, lo so, il guadagno è la riduzione dell'inquietudine. Ma il mondo che abbiamo davanti, purtroppo, esige un pensiero più robusto di quello che si limita ad appagare la propria nostalgia di stabilità.
Da tempo mi sono ripromesso di tornare a studiare Platone dopo così tanti anni.
Forse fra qualche mese ne avrò il tempo, chissà.
#274
Citazione di: green demetr il 24 Maggio 2024, 20:42:24 PMSpero vivamente che non sia questa la tesi di Hegel.
Infatti la visione gerarchica che dall'altro si abbatte sul singolo è esattamente il problema della metafisica in generale.
Io ribalto la questione completamente sono i fondatori, ossia i singoli che costruiscono il Dio, decidendo liberamente se adeguarsi alla visione morale non della società ma della relazione del sè con quello che ancora ostinantamente chiamiamo un dio.
ma che come dicevo anche vent'anni fa, è semplicemente una x.
Hegel dovrebbe dire ad un certo punto la relazione con l'indefinito.

Secondo me buona parte della filosofia di Hegel è il tentativo di arrivare a una buona soluzione a questo problema: come si fa a conciliare il naturale desiderio di felicità del singolo con l'universale, quindi con la comunità, lo stato etc.?
La contrapposizione tra singolo e universale è il dato di partenza, ciò di cui facciamo tutti esperienza fin dall'inizio.
La Fenomenologia è come il resoconto di tutte le possibili soluzioni a questo dilemma: soluzioni che non sono punti di vista teorici ma forme esistenziali.
Per esempio: il tentativo di mettere da parte i richiami dell'universale (e le attrattive della scienza) decidendo di vivere fino all'esasperazione una vita attiva, come nel primo Faust; tentativo che va a sbattere però contro la sterilità del proprio godimento da una parte, e la sensazione di trovarsi di fronte alla necessità dell'ordine del mondo, dall'altra. Cioè, anche in questa figura, per l'ennesima volta: singolare contro universale.

Quindi in Hegel non c'è né l'assoggettamento alla totalità, né la liberazione del singolo.
C'è piuttosto il ritrovamento del proprio Sé nelle forme del Noi, se così si può dire, anche se tale espressione, usata in varie occasioni dall'Hyppolite, mi ripugna.
Comunque questo ritrovamento deve essere concreto, non può essere la forzatura dell'individualità in forme collettive.
Il che fa pensare che fin da subito questa filosofia è destinata al fallimento...
È un esercizio severo su questioni ineludibili, ma irrisolvibili.
Almeno, questa è la mia sensazione, ora.
#275
Citazione di: green demetr il 21 Maggio 2024, 00:08:32 AMSarebbe molto bello che Hegel avesse presente il concetto di libertà come verità morale.
Però stando ai testi il servo non viene liberato.
Per ora non vedo idea di libertà, e avanzo ipotesi che nemmeno vi sia, perchè se per lui Dio coincide con la totalità allora non esiste alcuna libertà, che non rimandi a quella totalità.
E dunque quale sarebbe questa partecipitività del singolo nell'universale?
La questione della libertà in effetti è delicata.
Certamente più avanti quando nella sezione dello spirito Hegel farà riferimento alla Rivoluzione francese avremo modo di approfondire la cosa.
Mi viene da pensare che qualsiasi filosofia che abbia uno sfondo platonico, cioè una struttura di essenze eterne, indipendentemente poi da come tale struttura venga pensata, non può che concepire la libertà come compimento di tali essenze.
La libertà come arbitrio del soggetto, nel bene e nel male, può essere pensata solo da filosofie che invece ritengono la verità come una costruzione sociale e culturale.
Le filosofie che io ho definito platoniche vedono invece l'arbitrio del soggetto come l'errare del singolo, e la vera libertà come dispiegamento della razionalità (universale per definizione) delle essenze eterne.
Infatti la Repubblica di Platone prescriveva l'esilio degli artisti, non perché l'arte non sia significativa, ma perché comunque, nell'interpretazione platonica, non ha una funzione realmente positiva nell'esprimere la verità (cioè le Idee e la rete di relazioni tra di esse).
Per Hegel un'istituzione garantisce maggiore libertà (come le istituzioni politiche moderne a confronto con quelle feudali) quando in essa c'è stato, nella sua fondazione, un maggiore dispiegamento della razionalità umana. Non perché i suoi "inventori" siano stati creativi, ma perché in essi, la ragione, ha trovato il modo di dispiegarsi. Come se lo Spirito avesse usato i fondatori per realizzarsi.
Il che però sembra indicare che l'unica libertà è quella dello Spirito. Per i singoli si tratta solo di comprendere e poi fare "la cosa giusta"...

Forse varrebbe la pena aprire una discussione specifica sul rapporto tra libertà e metafisica.
#276
Citazione di: green demetr il 20 Maggio 2024, 23:45:50 PMPer me non c'è oscillazione.
Entrambe le posizione  (o meglio le 4 posizioni) sono scorrette.
Sia quella che si pensa soggetto, sia quella che si pensa mera autocoscienza, sia quella che si pensa mera nullità, sia quella che si considera mera identità.

Per quattro posizioni intendi servo e signore (1), stoicismo (2), scetticismo (3), coscienza infelice (4) ?
Se è così non penso che sia corretto dire che sono tutte sbagliate.
Cioè, sono tutte inadeguate.
Io le interpreto come atteggiamenti generali nei confronti del mondo cui noi, continuamente e spesso inconsapevolmente, facciamo nostri. Passando dall'una all'altra. Tutte però non danno pace. Rimane, in ciascuna di esse, il senso di una frattura, di un isolamento, di una condanna.
Il servo, cioè l'uomo contemporaneo, nell'impegno del lavoro non ha pace, non ottiene nient'altro che una sospensione della condanna (condanna che sarebbe un giudizio di inadeguatezza da parte del signore di turno, ovvero di chiunque occupi una posizione superiore nella gerarchia dell'organizzazione).
Lo stoicismo è il tentativo di chiudersi in se stessi, di proteggersi da un mondo sentito come ostile (e sentito come ostile perché semplicemente lo è), dedicandosi per esempio alla filosofia.
Lo scetticismo è un attacco a quel mondo ostile che lo stoicismo, che è fuga di fronte a un nemico (il mondo) sentito in tutta la sua potenza oggettiva, non riusciva nemmeno a scalfire, facendo leva sulla sola forza della propria interiorità nell'isolarsi.
La coscienza infelice invece è la conclusione veramente infelice di tutto questo processo perché si finisce per decidere che ciò che è veramente oggettivo, al di là dell'accidentalità del mondo, è Dio, è solo Dio ad essere, è solo Dio che conta... dopodiché, abbracciata questa verità, si inizia a riflettere sulla distanza di questo Dio, sulla separazione, etc. Di Salmi su questo tema ce ne sono parecchi.

Sono tutte posizioni sensate, che hanno una loro funzionalità nella nostra vita (per esempio io nei periodi di super lavoro, per non impazzire, mi sforzo di sintonizzarmi sullo stoicismo con qualche puntatina, nei momenti di maggiore nervosismo, sullo scetticismo...).
#277
[In attesa che green demetr si rimetta in moto, io intanto vado avanti...]

Le pagine da 162 a 164 della Fenomenologia (ed. Einaudi) sono fondamentali per la comprensione dell'idealismo hegeliano.
La ragione, che sappiamo essere per Hegel l'attività più elevata della coscienza, "consiste quindi nel levare l'oggetto in quanto differente, nell'appropriarsene" (p.162, a metà del paragrafo circa).

Nota mia: infatti che cosa significa conoscere un oggetto se non renderselo familiare, togliere l'estraneità di cui inizialmente è segno per abbracciarlo nell'estensione di un territorio comune, che se guardato dal lato del soggetto appare come l'attività dell'Io, se guardato invece dal lato dell'oggetto appare come un'immanente razionalità del mondo?

E continua: "[la ragione consiste nel levare l'estraneità dell'oggetto] e nell'enunciarsi come certezza di essere ogni realtà: tanto di se stessa quanto del proprio oggetto".

Dopodiché Hegel si sofferma su quello che lui definisce "idealismo vuoto": si tratta di un idealismo che si limita ad asserire "tutto è mio", "tutta la realtà sono io", senza però mostrare il processo, lo sviluppo da cui deriva la necessità di questa asserzione.
Per cui per uscire da questo vuoto, cioè dalla semplice asserzione dell'Io come fondamento di tutto, per dare sostanza a questa verità insomma, l'Io ha bisogno di un urto con l'Altro, ha bisogno di un po' di radicale empirismo.
[Qui, fanno notare tutti i commentatori, Hegel si riferisce alla filosofia di Fichte]
Ma in questo modo quello che appare è simile allo scetticismo, studiato prima della coscienza infelice.
Cioè, con questo cattivo idealismo sembra di ritornare alle stesse oscillazioni che avevamo visto in azione nello scetticismo: tra la certezza dell'Io e quella del mondo (lo scetticismo prima metteva in discussione la solidità del mondo, vivendo di rinculo la certezza dell'Io; poi però, rivolgendo lo stesso sguardo critico all'Io, la solidità passava all'oggetto, al mondo; e via dicendo).
Cioè con questo idealismo, dice Hegel, la ragione non sembra capace di assorbire realmente l'oggetto. Rimane come una sensazione di dissidio, opposizione e oscillazione, tra Io e mondo.

Commenta Hyppolite: "ma la ragione autentica, quella che studiamo in questo stadio della Fenomenologia [nelle pagine successive a questa critica al sistema di Fichte], non è così incoerente. Essa infatti sa di essere solo la certezza (soggettiva) di essere ogni realtà e non prende ancora questa certezza per verità. Ma cerca di metterla alla prova, di innalzarla alla verità. Per questo si dà a conoscere il mondo, s'impegna a darsi un contenuto autentico" (p. 296 "Genesi e struttura della FdS di Hegel").

E così siamo arrivati alla sezione della ragione "osservatrice della natura".
#278
Idee per migliorare il forum / Re: Intoccabili ? SSN
19 Maggio 2024, 11:37:01 AM
Citazione di: anthonyi il 19 Maggio 2024, 11:02:51 AME perchè, Koba II, non dovrebbe esserlo. Sia le battaglie che gli sfoghi sono benvoluti ed accetti. Ma bisogna rispettare il politically correct, I principi di decoro, i regolamenti e le leggi dello stato.
Perché il forum è espressione di un sito che si chiama riflessioni, nome che non credo sia stato scelto a caso ma per esprimere un'idea del fare cultura più come pensiero e appunto riflessione che come battaglia, polemica.
Due modi di fare cultura entrambi legittimi, ma diversi.
#279
Idee per migliorare il forum / Re: Intoccabili ? SSN
19 Maggio 2024, 10:42:18 AM
Tutto nasce dal fraintendimento di come va usato il forum.
Il forum non deve essere inteso dall'utente come uno spazio di libera espressione, da poter usare quindi anche per sfoghi personali o battaglie ideologiche.
Il forum dà all'utente piena libertà solo per l'espressione di pensieri che almeno nelle intenzioni dovrebbero essere un contributo alla riflessione su un determinato tema di interesse culturale.
Il forum non è un social, non è facebook, e la differenza non sta solo nei toni che dovrebbero rimane più pacati, ma sui contenuti che devono essere pensati, elaborati.
Per questo è sempre un po' fuori luogo includere link: il compito dell'utente, in questo caso, dovrebbe essere proprio quello di rielaborare il contenuto della pagina, costruire una sintesi personale ma non arbitraria da offrire agli altri, in modo che ci sia anche in generale un'occasione di accrescimento culturale.
Mi rendo conto che da un paio di secoli siamo inconsapevolmente spinti a credere che ogni dibattito culturale debba procedere tramite polemica, ma forse è il caso di chiedersi se magari a un forum digitale non porti maggiori frutti un atteggiamento generale di maggiore quiete e collaborazione.
Davintro, un utente con un'ottima preparazione filosofica, poco prima di scomparire da questi schermi si chiedeva se fosse possibile e se avesse quindi senso fare filosofia in un forum.
Evidentemente alla fine si è risposto di no.
Per me invece è possibile se si tiene presente ciò che ho scritto sopra.
Per cui questa crisi è l'occasione per dire addio alla prima Ipazia e il benvenuto ad una nuova Ipazia, Ipazia II, meno ideologica, più filosofica, meno polemica, più scrutatrice di enigmi.
#280
Aggiungo un paio di cose sulla natura della conoscenza in Hegel.
Con il rifiuto della distinzione kantiana tra cosa in sé e fenomeno, viene meno il limite ad una  conoscenza assoluta.
I modelli post kantiani del romanticismo e dell'idealismo in genere indicano la possibilità da parte dell'uomo, attraverso una qualche forma di introspezione, di arrivare all'intuizione di un'Attività che è l'essenza vivente della realtà (per esempio la Volontà di Schopenhauer).
In Hegel il cuore interno della realtà, l'essenza delle cose, è la ragione, che nell'uomo arriva a conoscersi (e la Fenomenologia dà conto di questo cammino, dalla coscienza all'autocoscienza fino alla ragione).
Hegel a questa razionalità vivente, essenza della realtà, dà il nome di Idea.
A differenza della concezione platonica, l'Idea non è trascendente, ma immanente, è appunto interna alla realtà.
Questa razionalità vivente quando nell'uomo giunge a conoscersi nella fase dell'autocoscienza, viene chiamata Spirito.
Lo Spirito è dunque l'Idea giunta alla piena coscienza di sé.
Quindi lo Spirito, come dicevo nel precedente post, non è qualcosa che si realizza dall'attività dell'uomo. Nel senso che non lo si deve pensare come un prodotto dell'uomo che viene poi elevato alla categoria di "Spirito" perché l'uomo stesso, riflettendoci su, lo sente come qualcosa che sembra avere una certa oggettività.
Piuttosto è la razionalità vivente, essenza eterna anche se dinamica (non ossatura statica della realtà come le idee di Platone), che prende coscienza di sé attraverso l'uomo.
Quindi l'impianto rimane metafisico, diciamo così.
Tant'è che in Hegel logica e ontologia coincidono.
Le categorie per Hegel non sono solo dei modi del nostro pensiero, ma strutture generali ed eterne della realtà.

Quindi il superamento della distinzione kantiana tra cosa in sé e fenomeno non deve far pensare che con l'idealismo si torni al realismo antico-medievale, per cui i limiti della conoscenza sono solo temporanei e accidentali, non strutturali (come invece sostenuto dallo scetticismo, e in fondo tutto il lavoro di Kant è stato un tentativo di rispondere alle obiezioni scettiche e nello stesso tempo dar conto del perché del successo della scienza sperimentale moderna). Cioè il realismo, anche quando mostra prudenza, di fatto è un approccio ben diverso da quello kantiano. Il realismo ci dice che potenzialmente la nostra conoscenza potrà coprire l'intera realtà. È solo questione di tempo.
Ma tale superamento non deve nemmeno condurre ad un soggettivismo in cui si rinuncia all'oggettività del sapere.

Soggetto e oggetto sono lo stesso, nel senso che io quando mi propongo di conoscere un oggetto del mondo, in questo oggetto, nella sua struttura interna, scopro la stessa razionalità che mi anima. Quindi vedo me stesso, ritrovo me stesso.
Studio una cellula animale e le funzioni che osservo nel suo interno, le attività dei suoi organelli, mi risultano razionali non perché io, essendo razionale non posso che comprendere le cose nelle forme del logos, ma perché questo stesso logos vive nell'interno del mondo biologico, nell'interno della cellula, così come in me stesso.

Nota personale: tant'è che ogni studio, anche quello più arido, conduce ad una conoscenza che sembra travalicare sia l'oggetto specifico, che un sapere legato all'uso delle funzioni logiche. È facile dimostrare che studiando una materia scientifica ovviamente si impara molto dell'oggetto di quella disciplina, e che si impara anche a usare meglio la propria testa, cioè che vi è un miglioramento dell'uso delle proprie facoltà razionali, ma molto meno facile è dar conto di una sensazione, quella cioè di capire qualcosa del mondo che va oltre sia l'oggetto specifico che il soggetto (la propria testa), come se si realizzasse un misterioso accrescimento conoscitivo reale quanto indefinibile.
#281
Citazione di: Alberto Knox il 16 Maggio 2024, 01:02:08 AMVorrei esprimere la mia riflessione riguardo a questo interessante studio sulla fenomelogia dello Spirito per poi finire con una domanda. Anzitutto vorrei dire che tutti i filosofi prima di Hegel avevano cercato di fissare dei criteri eterni su ciò che l'uomo può conoscere del mondo. E questo vale tanto per Cartesio e Spinoza quanto per Hume e kant. Ognuno di loro ha cercato di scoprire quale fosse il fondamento della conoscienza umana, ma tutti hanno parlato di presupposti atemporali fra Facoltà percettive innate, idee innate, come formula il ragionamento la mente umana e via dicendo.
In Hegel questo non è possibile poichè per lui ciò che rappresenta il fondamento della conoscenza umana muta di generazione in generazione e per questo motivo non esistono verità eterne ne una ragione atemporale. L'unico punto fisso a cui il filosofo farà riferimento è la storia stessa. Perciò non è dato sostenere che un determinato pensiero vale in eterno , anche se quello stesso pensiero può essere giusto nel momento storico in cui ti trovi.capisce di essere il mondo nel senso dello spirito del mondo nella storia? 
 tutta la conoscenza è conoscenza umana che nella storia evolve, si corregge , implementa vecchi e nuovi pensieri . Lo sviluppo storico, pur con tutte le sue stranezze, va avanti. Oggi, siamo il risultato di questo sviluppo (nel bene e nel male)  Questo sviluppo è indirizzato ad uno scopo. Quale è per te oggi lo scopo? per me si è ridotto a sviluppo teconologico ai fini del profitto. L'ideologia è qulla basata sul profitto ed è essenzialmente un ideologia materialista.

[Mi riservo di tornare sulla questione una volta finito di studiare la Fenomenologia...
Per ora posso dirti, in base a quello che ho capito di Hegel, ciò che segue.]

Per Hegel la realtà è un processo. Ma in questo processo ogni soggetto (che sia un uomo o una qualsiasi cosa) lotta per dispiegare la propria essenza.
Un seme esprime la propria verità se "lottando" con le condizioni ambientali in cui è stato gettato riesce a realizzarsi come albero.
L'essenza dell'uomo è la libertà. La libertà cioè, per Hegel, è una categoria ontologica (quindi eterna), non è solo una condizione sociale preferibile. Nella libertà si esprime la verità dell'uomo.
E perché ciò avvenga è necessario negare (togliere, smontare) ciò che ostacola il dispiegamento della verità (l'importanza del pensiero negativo in Hegel sottolineata da Marcuse).
Quindi la storia è il luogo della lotta per il dispiegamento dello spirito, ma le due cose non coincidono mai.
In pratica lo spirito umano, la ragione, non vengono dedotti da quello che possiamo osservare nello sviluppo delle civiltà; lo spirito umano non cambia in base alle accidentalità della storia, ma al contrario, nelle tappe delle civiltà, nelle fasi della storia, possiamo riconoscere una maggiore o minore vicinanza rispetto alla verità dell'uomo.
Così nel passaggio dall'Ancien Régime alla Rivoluzione francese c'è un progresso ontologico, diciamo così, ma non coincidenza con lo spirito (come mostrato dal Terrore).
Il reale è razionale certamente in quanto nelle sue strutture (nella natura, nelle istituzioni) io ritrovo logica, senso, lo stesso logos che abita il soggetto umano, ma nello stesso tempo tale razionalità è sempre inadeguata e va quindi costruita infinitamente attraverso la potenza negativa della dialettica.
Così ciò che esiste è una determinata realtà, che può anche trovare la propria legittimazione nei processi storici, ma che comunque va negata se inadeguata rispetto la verità dell'uomo.
Ecco perché il passaggio dalle condizione della servitù e della signoria a quello dello stoicismo (che implica poi un altro superamento): perché seppure tale differenza di potere era stata determinata dalla vittoria per la propria libertà di uno dei due contendenti, nondimeno essa dà luogo a una condizione del tutto inadeguata e va superata. Cioè il fatto che sia stata determinata dalla lotta per la libertà (essere riconosciuto dall'altro come soggetto libero), non giustifica "ontologicamente" la realtà antropologica che ha prodotto, cioè uno stato di servitù. Non per ragioni etiche, appunto, ma per ragioni inerenti l'essenza dell'essere umano.

Infine, per quanto riguarda la condizione del nostro presente, penso sia un periodo particolarmente buio, non tanto per i pericoli presenti (guerre, disastri vari), ma perché si è, forse solo temporaneamente, smarrita la tendenza a pensare a nuove forme di esistenza. Sembriamo tutti schiacciati da un presente minaccioso e nello stesso tempo completamente idiota.

"Il progresso diviene quantitativo e tende a rimandare all'infinito il passaggio dalla quantità alla qualità, cioè l'affermazione di nuovi modi di esistenza con nuove forme di ragione e di libertà" (H. Marcuse, "Ragione e rivoluzione")
#282
Tematiche Spirituali / Re: La morte del corpo fisico
14 Maggio 2024, 08:42:46 AM
Citazione di: taurus il 13 Maggio 2024, 21:35:16 PMTu scrivi: Ogni volta che il cristianesimo sembra essere a un passo dall'estinzione ecco sorgere una nuova comunità monastica.

In quali periodo di profonda crisi.. sarebbero sorte le Nuove comunita' che avrebbero permesso la continuazione di questa religione ?



Pensavo soprattutto al XIII secolo.
#283
Ragione (cap. 5)

Nei primi tre capitoli, quelli dedicati ai tipi di relazioni che la coscienza cerca di costruire con il mondo, la certezza della coscienza era quella di avere a che fare con una realtà oggettiva, altra rispetto a sé, che si "offre" al soggetto come qualcosa di già formato che attende solo di essere conosciuta e compresa.
È questa la convinzione istintiva da cui parte la coscienza.
Poi, nel quarto capitolo, quello dedicato all'Autocoscienza, si mostra la coscienza concentrata su se stessa. La si vede fin dall'inizio come occupata ad agire, quando agisce, essenzialmente per avere un riscontro interiore della propria natura. Lo stesso desiderio, che sembra all'inizio desiderio di possedere l'altro, si rivela essere desiderio di riconoscimento. Cioè una prova non solo interiore ma riflessa in un'altra persona di essere un vero soggetto.

L'unilateralità di ciascuno dei due approcci, quello in cui è la realtà oggettiva ad essere certa e quello in cui invece è la soggettività a dominare su un mondo sentito come accidentale, l'unilateralità, dicevo, viene mostrata come insostenibile: è questo il fine della descrizione fenomenologica dello spirito umano. La descrizione di un cammino in cui ciascuna delle tappe mostra dei limiti che spingono verso un'altra posizione.

Alla fine la coscienza capisce di essere il mondo.
"La ragione è la certezza di essere ogni realtà" (p. 158)
Cioè la ragione corrisponde alla tesi dell'idealismo, l'identità di pensiero ed essere.
Ma questa posizione filosofica non viene semplicemente asserita.
L'originalità della Fenomenologia sta appunto nella ricostruzione di un cammino (che coinvolge insieme la coscienza singola e la storia delle civiltà) da cui dipende l'esito, la tesi dell'idealismo, la cui semplice esposizione risulterebbe incomprensibile.
#284
Citazione di: iano il 12 Maggio 2024, 10:16:14 AMRelativista confesso, è vero, ma allo stesso tempo innamorato delle apparenze, che vorrei perciò salvare  dalla fine del mondo in atto.
Quindi, non ripudiare le apparenze una volta presane coscienza, ma avendone preso coscienza farne appunto un uso consapevole.
Nessuno ci ha ingannati sulla realtà.
Ci siamo ingannati da soli, e se lo abbiamo fatto e siamo ancora qua, avremo avuto un buon motivo per farlo, per cui possiamo diversamente continuare a farlo, precisando che la creatività è la vera natura dell'inganno.
Siamo in grado di disegnare la realtà non perchè la natura ha un disegno, ma perchè possediamo dentro noi un disegno della realtà.
Non è tanto che la realtà sia una parola astratta, ma è il mondo in cui viviamo ad essersi mostrato alla fine come una astrazione della realtà, e neanche rappresentativa, in quanto non univoca, per cui la realtà, per dirla con Cacciari, è stata degradata a metafisica concreta, che in fondo è un modo per dare un ancora di salvezza ad una concretezza sempre più evanescente, ponendola dietro alle quinte, e mettendo in primo piano una finzione, il mondo in cui viviamo, che aspetta solo di essere emendata dal nostro pregiudizio.
L'obiezione era: come fai a parlare di apparenze se non credi esista un livello oggettivo della realtà (in quanto, tu dici: la realtà non ha una forma)?
Senza un livello oggettivo della realtà (conoscibile o inconoscibile che sia) non ci sono più le apparenze, ma soltanto verità.
E da questo punto di vista, da quello relativista, il nostro modo di vivere non può nemmeno essere descritto come più o meno lontano dalla realtà, perché la nostra realtà è appunto proprio quella visione in cui siamo immersi.
#285
Iano, se dici che ci sono "contraddizioni e incoerenze" nella visione che abbiamo della realtà, tanto da sentirci spinti a sostituire di tanto in tanto tale visione con un nuovo paradigma, allora vuol dire che implicitamente accetti che la realtà una forma ce l'abbia (per quanto inconoscibile nella sua purezza o totalità), e che il sapere cerca di darne una rappresentazione il più possibile adeguata (la contraddizione sarebbe appunto il sintomo di un'incoerenza tra realtà e sapere).
Se invece la realtà è solo una parola astratta che sta ad indicare solo che là fuori c'è qualcosa, ma senza che si possa distinguere sapere ed essere, allora sì, possiamo dirci interni a successioni di visioni del mondo il cui motore non è l'ingenua adeguatezza della rappresentazione, che appunto non può basarsi su alcuna forma specifica della realtà, ma miscugli di cause che spetta a te, relativista confesso, approfondire e descrivere.  ;)