L'immagine stereotipata del coraggio che si ricava dalle rappresentazioni cinematografiche o letterarie è quella del soggetto che compie imprese eroiche affrontando il pericolo a testa bassa, con impeto rabbioso o furioso, oppure addirittura impassibile, con totale autocontrollo. Mi vengono in mente gli eroi dei colossal anni '50, Rambo che si cuce diligentemente la ferita, l'epico duello sulla teleferica di "Dove osano le aquile", lo sguardo truce di Jhon Wayne e altre scene del genere. Ma anche i poemi epici della cultura classica, fatta di eroi che erano impersonificazioni dell'audacia, tanto suggestivi da influenzare poi personaggi storici reali come Alessandro Magno. O le leggende come quelle di Muzio Scevola che per impressionare l'etrusco Porsenna "rimase immobile a guardare la sua mano destra cadere a gocce sul bracere del nemico, e non ritrasse la mano – oramai ridotta alle nude ossa – finchè il nemico non gli tolse il fuoco..... e si può vedere come sia più pronto il valore ad affrontare il pericolo che la crudeltà ad infliggere pene..." (Seneca). E gli spartani che in trecento si sacrificarono alle Termopili per impedire il passaggio ai persiani.
Però, il coraggio è questo? L'ardore dell'eroe che si distingue dalla massa e che si sacrifica per essa? Si potrebbe intanto osservare che l'eroe agisce non solo per spirito di sacrificio ma anche per ragioni proprie, per sete di gloria. Difatti Plutarco scrive di Cesare che non stupiva il modo in cui metteva a repentaglio la vita se si pensa alla sua brama di gloria. Ma, al di là della gloria, credo che la spinta più nobile del coraggio sia quella del senso del dovere, il sentire di dovere fare una certa cosa anche se ci terrorizza, il "farsela sotto" eppure farlo lo stesso, senza preoccuparsi che gli altri pensino di te che sei un eroe o che non ti preoccupi di nascondere le paura. Lessi da qualche parte che il coraggio non è assenza di paura, ma agire in presenza di paura. E forse è proprio così.
Però, il coraggio è questo? L'ardore dell'eroe che si distingue dalla massa e che si sacrifica per essa? Si potrebbe intanto osservare che l'eroe agisce non solo per spirito di sacrificio ma anche per ragioni proprie, per sete di gloria. Difatti Plutarco scrive di Cesare che non stupiva il modo in cui metteva a repentaglio la vita se si pensa alla sua brama di gloria. Ma, al di là della gloria, credo che la spinta più nobile del coraggio sia quella del senso del dovere, il sentire di dovere fare una certa cosa anche se ci terrorizza, il "farsela sotto" eppure farlo lo stesso, senza preoccuparsi che gli altri pensino di te che sei un eroe o che non ti preoccupi di nascondere le paura. Lessi da qualche parte che il coraggio non è assenza di paura, ma agire in presenza di paura. E forse è proprio così.
