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Messaggi - maral

#271
Citazione di: acquario69 il 21 Aprile 2017, 03:02:54 AM
A me piacerebbe sapere come funziona concretamente il procedimento per questi immigrati una volta accolti e sistemati nelle varie strutture.
ho provato a vedere su internet ma non e' chiaro per niente.. mi sembra ormai una cloaca dove si dice tutto e il contrario di tutto.

Tipo; per quanto tempo devono rimanere in questi centri di accoglienza?
6 mesi,1 anno,2 anni, 3..5..10..20..30...(?)

..e una volta usciti ?! che fanno, come campano e dove alloggiano !?
Quali sono i fatti reali e non le cazzate che sparano in continuazione i media?

http://www.sabinaguzzanti.it/giorgia-meloni-immigrazione-richiedenti-asilo/
Gli immigrati, dopo essere stati soccorsi (ad esempio nel caso di arrivi via mare con operazioni di soccorso) giungono agli hotspots dove vengono informati sulla possibilità di chiedere asilo (non tutti lo fanno) e vengono completate le procedure di identificazione con la cooperazione degli organismi europei predisposti (come Frontex). Quindi i richiedenti asilo sono inviati ai centri di accoglienza temporanea in attesa (che in linea di principio dovrebbe non superare alcuni mesi, ma che i tempi burocratici dilatano anche a diversi anni) dell'esito della richiesta di asilo valutate dalle commissioni territoriali composte da 4 membri (2 autorità del ministero degli interni come organi di pubblica sicurezza e prefettura, 1 rappresentante delle autonomie locali, 1 rappresentante dell'Alto Commissariato dell'ONU - UNHCR). Durante la permanenza i migranti devono essere liberi, non trattati come se fossero in prigione,, in quanto il diritto di cercare asilo è riconosciuto dalla carta dei diritti umani, sottoscritta dall'Italia e non può comportare detenzione. Se l'esito è positivo ottengono un permesso di soggiorno rinnovabile di 5 anni come rifugiati con diritto di asilo, o di 3 anni senza diritto di asilo, altrimenti si apre la procedura di rimpatrio volontario. Se il rimpatrio volontario non è accettato il prefetto può decidere l'espulsione. Il rimpatrio non può in ogni caso riguardare minori non accompagnati e casi particolari in cui il migrante potrebbe incorrere in gravi rischi per la sua vita: non si possono rimandare i migranti verso paesi in cui correrebbero gravi rischi di vita o persecuzione. Di fatto il rimpatrio è praticamente impossibile se non vi sono accordi contrattati con i paesi destinatari. Pertanto l'espulsione forzata si risolve nella maggioranza dei casi e, soprattutto se non esistono accordi con i paesi di destinazione, con un nulla di fatto.  
Per informazioni più accurate sulle procedure e i tempi indicati, sui trends e gli impatti dell'emigrazione rimando al sito del UNHCR, onde evitare disinformazione https://www.unhcr.it/ e comunque posso fornire privatamente a chi fosse interessato diverse pubblicazioni presentate in merito dall' UNHCR su cui approfondire seriamente e non per chiacchiera la tematica.
#272
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
22 Aprile 2017, 23:29:33 PM
Citazione di: Garbino il 22 Aprile 2017, 21:21:32 PM
Mi è piaciuta quella della Sfinge che finisce sempre per avere la meglio L' enigma della vita e di che cosa è l' uomo.  E la Sfinge si tiene stretta il suo segreto e non vuole rivelarlo. E in fondo penso che neanche lei sappia o abbia la o una risposta che possa essere convincente. Mi è piaciuto anche molto il riferimento al danzare come unico rimedio nell' oscillare che distrugge ogni riparo, perché comunque è un pensiero devastante, anche se purtroppo molto verosimile. Il fatto è che i più si nascondono dietro le proprie certezze o sicurezze che la fede procura loro, e tutto ciò li porta a non vederlo, a non sentirlo, o ad illudersi che la vita sia qualcos' altro.
Bè, la Sfinge io la vedo come il simbolo della zoè, della vita primordiale e indifferenziata che non conosce morte, poiché proprio morendo si rinnova. E' a partire da essa che sorge nell'uomo la domanda "che cosa è l'uomo?" e in questo senso è essa che tacitamente e continuamente domanda, mentre distrugge e ricrea ogni forma. Ma non è nella zoè della Sfinge la risposta.

CitazionePer quanto riguarda il principio di non-contraddizione, nella tua considerazione mi sembra che tu lo includa sempre allo schema logico a cui facciamo sempre riferimento ( benedetto Aristotele!! ). Quello che io intendevo era invece l' indeterminatezza che scaturirebbe dal crollo della logica e quindi anche del principio di non-contraddizione. E che poi non è che nient' altro che il punto nevralgico dove la filosofia di Nietzsche tende a convergere. Ed incomincio a focalizzarlo come una delle cause della crisi di Heidegger.

Quello che dicevo è che il pnc è comunque alla base di qualsiasi discorso che facciamo, non ha un negatore possibile, poiché il negatore, per negarlo sensatamente deve sempre fare appello al pnc, è inevitabile. Ma proprio per questo il pnc sta oltre la logica, esso stesso in quanto non ha negazione, ha in se stesso la sua negazione e paradossalmente il principio di non contraddizione è solo la contraddizione che continuamente si autocontraddice. Questa è la devastazione a cui giunge il pensiero filosofico e a cui Nietzsche, con la volontà di potenza tenta di porre rimedio, ma a cui non può porre rimedio, poiché la volontà di potenza per assurgere ad assoluto deve farsi eterno ritorno dell'identico, deve volere la sua stessa estrema contraddizione. E' per questo che penso che Heidegger vada in crisi, non c'è uscita per arrivare all'Essere, alla fine nella radura tracciata dal pensiero resta solo la contraddizione, resta solo il Niente che continuamente si nientifica e la tecnica non è che questo processo che continuamente producendo riproduce il nulla. Per questo Heidegger assimila la tecnica all'eterno ritorno, atto di un definitivo nichilismo in cui tramonta per sempre il pensiero dell'Occidente e proprio con Nietzsche, colui che, con il suo pensiero, mette fine alla possibilità di pensare, giacché il pensare tecnico non è più un pensare, ma porta a compimento il pensare, porta a compimento la filosofia dell'uomo occidentale, il logos a cui si appellavano sia Eraclito che Parmenide, già contraddicendosi l'un l'altro.
E se è così (ma è così?) cosa resta? Solo un Dio , come dice Heidegger, ci potrà salvare? o non ci resta che fare un balletto insieme senza prenderci troppo sul serio, come recentemente ha detto Sini?    

CitazionePer quanto riguarda le due nature presenti nell' uomo, sorvolando su incongruenze come quella del leone e la gazzella, sono d' accordo con chi, mi sembra Donquixote, abbia affermato che per il momento quella superiore sia sicuramente quella che viene tacciata da Jean come inferiore. Che poi essa abbia in potenza la possibilità di diventare superiore all' altra è possibile, ma comunque non è cosa certa. Anche perché la consapevolezza non è qualcosa che si raggiunge tanto facilmente e comunque non è trasmissibile. Alla nascita cioè la superiore sarà sempre e comunque quella che viene giudicata inferiore. E meno male che è così, altrimenti sai che risate!!!! O lacrime, infatti se fosse per le capacità innate della seconda moriremmo in pochi istanti.
Non credo ci siano nature superiori e inferiori, non è superiore né il leone che divora, né la gazzella che gli sfugge lasciandolo morire di fame, né l'uomo, né il verme che finirà con il divorarne il cadavere anche se in quel cadavere ci fu un Aristotele. Non c'è superiorità nella consapevolezza che comunque è inscritta nella vita che solo sa vivere, né nella vita che senza consapevolezza di sé non sa di vivere e allora si consegna alla consapevolezza per farsi suo mezzo di conoscenza. Accade invece a volte che la vita e la consapevolezza si incontrino e per un istante risuonino insieme, al di là del giudizio sul bene e sul male, inaspettatamente, come in una sorta di improvvisa epifania che subito svanisce, ma i cui resti restano nella memoria collettiva, disponibili a rievocazioni che sappiano riprodurla.
#273
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
22 Aprile 2017, 22:16:19 PM
Citazione di: sgiombo il 22 Aprile 2017, 10:26:02 AM
Non vedo perché mai non si debba poter distinguere fra sensazioni immediate (che magari "passanoinosservate", alle quali non si "fa attenzione") e (ulteriori sensazioni interiori di) considerazioni, pensieri, valutazioni su di esse.

Perché le sensazioni immediate a cui non si fa caso, non sono immediate, ma appaiono a posteriori dopo essere state mediate. Le sensazioni immediate che ho seduto alla scrivania non sono per nulla macchie di colori, rumori o percezioni tattili. Queste sono modi di dire e di spiegare, mediate dalla nostra conoscenza fisiologica che definisce culturalmente il processo percettivo. Le percezioni immediate appaiono subito nel loro significato immediato: il tavolo è un tavolo, la sedia una sedia e così via.
Certo, in esse appare oggi anche quello che ho imparato a scuola, ma non è che per questo quello che ho imparato a scuola abbia una maggiore rilevanza oggettiva, è piuttosto qualcosa che si sovrappone ulteriormente. Quello che vedo e sento immediatamente è uno stare fermo e, se sono in un prato di notte, vedo il cielo tutto attorno a me con una certa impressione di sgomento. Poi posso anche pensare, sulla base di quello che ho imparato a scuola che non è così. Ma sfido chiunque a ritenere che un essere umano che non sia mai stato in una nostra scuola e non partecipa della nostra pluri secolare tradizione culturale (ad esempio un indigeno della foresta amazzonica appunto) possa normalmente pensare che non sia così. E non è che noi vediamo le cose come stanno, mentre lui no. Tutti vedono le cose come stanno, nel diverso modo di stare per ciascuno (e in cui comunque possono apparire e di fatto appaiono supersizioni, anche se li leggiamo nei termini della cultura condivisa a cui apparteniamo). 

CitazioneMa le credenze animistiche (generalmente parlando; ed essendo tutto relativo) non possiedono nemmeno questa intersoggettività, o al massimo ne potrebbero avere in "misura" notevolissimamente minore, molto più limitatamente, (come ne ha anche solo il "senso comune") nonostante anch' esse siano il risultato di un modo comune di praticare il mondo tra soggetti che vivono nella medesima parzialità prospettica condivisa nelle esperienze attuali e nella storia immensa di tracce di esperienze che risalgono molto indietro nel tempo, agli albori della conoscenza umana.
Dipende cosa intendi per "senso comune", su cui peraltro anche la cultura scientifica si basa e poi lo modifica. Io lo intendo come una sorta di grande sintesi culturale frutto di millenni di percorsi condivisi di conoscenza. Quanto alle concezioni animistiche sappiamo che l'animismo dei cacciatori del paleolitico era del tutto condiviso (lo testimoniano le pitture rupestri), le differenze culturali sono intervenute con la stanzialità nei diversi luoghi, stanzialità richiesta dalle pratiche agricole che vennero a prevalere.
Vedi, Sgiombo, i giudizi di fondatezza rispetto alle diverse letture del mondo partono sempre da una lettura del mondo che prende se stessa a riferimento e non da una realtà oggettiva rispetto alla quale una cultura si trova in errore e un'altra (che per ciascuno è sempre la propria avendola inconsciamente assunta come metro di valore universale) no. I confini tra fantasia e realtà sono sempre assai sfumati, realtà e fantasia esistono l'una per l'altra e sono solo le sfumature degli intrecci a fare le differenze.
Succede (e normalmente succede) che siano proprio gli indigeni che vengono a contatto con la nostra cultura a uscirne pazzi. Basta vedere quello che accade ad esempio a tanti indigeni australiani (ma non solo) inurbati nelle metropoli occidentali. Perdono radicalmente il senso della loro esistenza. Può succedere anche a noi se entriamo nella loro cultura, ma più raramente, probabilmente proprio perché dopotutto la loro resta più accogliente, proprio per la sua primordialità.   D'altra parte certi ritorni all'animismo vengono sempre di più di moda pure in Occidente, in strani ibridi con i culti pervasivi e feticistici del consumismo e del mercato.

CitazioneInfatti, come dici anche tu "ovviamente", non è il mondo, bensì la conoscenza del mondo a differire fra i due diversi gruppi di soggetti di conoscenza (e "il modo in cui sono diversamente in qualche misura veri e in qualche misura falsi fa la differenza"; e che differenza ! ! !); ma questo non fa affatto di quest'unico mondo in sé due mondi diversi (patente autocontraddizione!), ecc.
I mondi diversi convivono nello stesso mondo come modalità del suo manifestarsi ai soggetti che lo conoscono. Il mondo unico appare solo nel diverso manifestarsi di relazioni cognitive che ne sono parti diverse e in questo esserne parti richiamano l'intero che le comprende insieme, non c'è nessuna contraddizione nel fatto che il mondo sia uno, ma appare solo come molteplice. 

Solo l' uomo (a quanto pare) conosce (salvo forse qualche altra specie animale in misura notevolissimamente più limitata).
I pipistrelli unicamente sentono (anche sensazioni che noi uomini non sentiamo ma indirettamente arriviamo a conoscere che essi le sentono); i licheni (e gli altri vegetali) con ogni verosimiglianza (per quanto è ragionevole pensare) vegetano e non sentono nulla (altrimenti poveri vegani, costretti a morire di fame!).

E tutto questo comunque solo l'uomo lo sa e lo dice, non i pipistrelli, non i licheni. Il mondo che incontriamo è sempre e solo il mondo del soggetto umano, l'unico soggetto che lo rappresenta con il suo saper dire e saper fare è l'uomo e il mondo è solo lui a produrlo e riprodurlo in segni.

CitazioneRendersi conto che il mondo non è semplicemente quello che i nostri mezzi e i nostri linguaggi, per come li sappiamo usare ci consentono di capire ("ci sono più cose in terra e in cielo che in qualsiasi filosofia"- Shakespeare) non è affatto la stessa cosa che pretendere che il mondo sia quello che ci pare e piace secondo il nostro soggettivo arbitrio.
Nessuno lo ha mai preteso, salvo nella follia del solipsismo che è risultato recente del nostro mondo attuale, post  illusioni di oggettività, non certo dell'animismo preistorico che non ha nessunissima pretesa soggettiva.
L'interpretazione scientifica è umana e, nella sua pretesa di essere l'unica possibile, mette l'umano al centro del mondo, facendo finta del contrario e per questo assai più potentemente di qualsiasi altra interpretazione che non ha questa pretesa di oggettività.
Essa non dice come divengono i fenomeni, ma fornisce mappe di previsione e stabilisce i contesti in cui tali previsioni possono intersoggettivamente avverarsi (tra soggetti che partecipano della medesima cultura che consente di tracciare quelle mappe). Ma purtroppo molti scienziati prendono ancora quelle mappe per l'oggettività stessa dei fenomeni che tentano di rappresentare.
#274
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
22 Aprile 2017, 20:02:02 PM
Citazione di: cvc il 22 Aprile 2017, 09:53:54 AM
OMO OMINIS LUPUS: IL DISPREZZO DELL'UOMO PER L'UOMO

Su questa antica massima, che mette in guardia l'uomo - oltre che dagli agenti atmosferici, dalle fiere, dalle malattie -  da se stesso, vorrei porre una variazione sul tema. Anche perché spesso si credono gli antichi assai più ingenui di quello che erano. La scoperta psicanalitica dell'inconscio sembra aver creato uno spartiacque fra una anteriore visione semplicistica e ingenue di un uomo che non conosceva se stesso perché ignorava il suo alter ego inconscio. In realtà in una prospettiva post-psicanalitica si può fortemente dubitare dell'esistenza di un alter ego inconscio, come una ulteriore personalità ed individualità di un soggetto. I vari complessi classificati dalla psicanalisi parrebbero mostrare una sorta di volontà inconscia diretta ed orientata ad uno scopo. Ma il voler prendere il posto del padre - per esempio - forse non è altro che un tentativo di voler razionalizzare un impulso bestiale che, se ha per certo un contenuto, non è detto che debba avere anche un valore. Razionalizzare gli impulsi significa conferirgli anche una giustificazione. Ma come ho detto nel post precedente l'uomo è - questione Dio a parte - l'unico essere giudicante dell'universo. Un animale non giudica, almeno nel senso umano del termine. L'animale è poi detto più spregiativamente bestia quando i suoi impulsi ci paiono tanto più disordinati, irrazionali, brutali. E questa bestialità ad un certo livello appartiene anche all'uomo  quando si sente spinto da un istinto morboso e incontrollabile. Fin tropo facile trovare degli esempi nei fatti di cronaca. Fatti che poi possono essere razionalizzati, o semplicemente accettati come fatali manifestazioni del omo ominis lupus. Ci si domanda cos'è l'uomo e ci si danno risposte razionali ed astratte, ma l'omo ominis lupus è dannatamente concreto. Il filosofare di certo nobilita l'uomo, esalta la sua facoltà razionale. Ma essa non è che una faccia della medaglia, sul rovescio si trovano le zanne della bestia ansimante. La quale si è tentato in ogni modo di educare. Ma non si è ancora visto un animale diventare uomo, di uomini che diventano animali invece....
No, non credo che l'uomo possa mai diventare animale, in realtà può capitare che diventi qualcosa di peggio e impropriamente si assimila questo peggio con uno stato bestiale. L'uomo ha perso la feroce innocenza della bestia, anche se Nietzsche continuamente la evoca come volontà di potenza che, in fondo, può essere intesa anche come metafora della pulsione inconscia (o la pulsione inconscia come metafora della volontà di potenza),
Ma l'inconscio non è per nulla inconscio, esso si manifesta e ci appare. E' una risposta data alla domanda "che è l'uomo" e come tutte le risposte non riesce davvero a rispondere e la Sfinge alla fine frega sempre Edipo.
#275
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
22 Aprile 2017, 19:43:04 PM
Citazione di: green demetr il 20 Aprile 2017, 23:19:18 PM
ma perchè chiamarlo naturale? sembra quasi una reminescenza leopardiana.
Ma il grande poeta nella immensa poesia arimane, lo chiama con il suo NOME, il MALE. (anche l'amore è male!)
Direi piuttosto che anche l'amore fa male, ma non è il male. Il male è nel sapere separato del bene e del male, dunque non c'è un Dio del Male (e nemmeno del Bene), c'è la vita umana che conosce. La zoè, la vita primordiale e indistinta che sa vivere e non conosce morte non è né bene né male, bene e male è come risuona la propria esistenza che si conosce in rapporto ad essa, mentre se ne fa immagine. Sotto c'è sempre  un discorso di posture solo umane. L'inno di Leopardi al Dio del Male in realtà canta l'uomo e per questo all'uomo risuona, non la natura, non la zoé, ma la natura umana che cerca sempre invano nella zoé una nicchia ove trovare riparo all'esserci che non è una luminosa radura (immagine istantanea di un sogno), ma un immane fluire ove ogni riparo si rivela prima o poi illusorio. L'unico rimedio è danzare bene al ritmo oscillante che distrugge ogni riparo sul cammino che torna sempre su se stesso, oltre le distinzioni che vorrebbero neutralizzare le antinomie, godendo delle epifanie consentite e delle tracce che, per un po', lasciano come rovinosi resti sul cammino a indicare un percorso da condividere insieme, tra noi viandanti, affinché ognuno trovi errando la sua strada che ritorna.
Citazione di: SariputraMa io mi chiedo...vale la pena essere uomo? Vale la pena essere un animale? Che cos'è meglio: essere qualcosa opposto a qualcos'altro o non essere niente del tutto? Val la pena essere una persona qualunque, un dio o un abitante degli inferni?...
Sari, vale forse la pena chiederselo?
#276
Citazione di: InVerno il 22 Aprile 2017, 14:02:48 PM
Ai tempi dei sacrifici animali il sangue rimaneva sull'altare per un po di tempo, ma poi la pioggia e le intemperie lo dilavavano ed era necessario farne un altro per macchiare di nuovo la roccia. E' piovuto molto dalla fine della seconda guerra mondiale, le generazioni sporche di sangue sono quasi scomparse e il sangue è rimasto un mero racconto da libro di storia, la tracotanza di quel tempo è un vago sentore. Siamo troppo grassi. Parliamo di crisi, mentre il nostro reddito è superiore al 99% del resto del mondo, dovremmo solo che stare zitti per decenza, ci comportiamo come proprietari di yacht che fanno gare di scorregge. Sono comunque d'accordo con il resto del tuo intervento, perchè lo spirito di esso è quello di accettare una mastodontica sfida sociale prima che economica, ed è uno spirito cosi raro da trovarsi, cosi prezioso, seppellito da montagne di foglietti di carta con stampati ponti che collegano le mani di chi le ha in mano, ma non popoli cosi distanti..
La nostra crisi non è una questione semplicemente economica, né risolvibile in questi termini, ammesso sia risolvibile. Il sangue comunque ci sarà se non teniamo conto (e in grande conto) di quanto accaduto in passato e le ragioni storiche di quanto accaduto. E temo che il sangue scorrerà a fiumi nelle piccole patrie, al ballo dei nuovi pagliacci con i loro muri.
Citazione1) Il problema posto dalla discussione ha il focus sulla moneta
2) il fatto che gli imperi europei si siano fatto guerra da secoli è un'ulteriore motivo per cui l'unità politica sia ancora un sogno da venire, per cui non si capisce il rapporto di un'unità monetaria quando non esitse una unità politica
3) che la nostra classe dirigente addirittura vada decadendo facendoci rimpiangere la prima repubblica è un dato di fatto.Infatti con questi quaqquaraquà non andremo da nessuna parte:tranquilli non usciremo dall'euro, moriremo felici come sul Titanic con l'orchestra che suona un mandolino e uno scacciapiensieri.

4) e' nostalgia semmai rimanere in una Europa di affaristi,ma ribadisco finchè il giovane stagista non s'incazzerà, i risparmi del nonno o papà ci saranno ancora, nessuno che tiene le parti di persone disperate, va bene così.

Ma dov'è finita la dignità?
Che il focus della discussione sia sulla moneta non impedisce di considerare che la scelta della moneta non è il punto centrale del problema, anzi che il problema stia proprio nel considerare la moneta il punto centrale, per cui quello che conta è uscire dall'euro o che è stato l'euro a rovinarci. L'errore sta certamente nell'avere proposto una moneta unica senza i necessari presupposti per un'unità europea, illudendosi magari che fosse un punto di partenza, da cui altro sarebbe conseguito, mentre non è stato così. Ma errore ancora più grave è non vedere i nostri mali da correggere, mali che una classe politica infima ha a lungo vezzeggiato e continua a vezzeggiare (come peraltro è successo anche in Grecia) per garantirsi laute rendite di posizione. E questa è la vera demagogia che ha storia antica sulle sponde del Mediterraneo.
#277
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
22 Aprile 2017, 00:08:06 AM
Citazione di: sgiombo il 20 Aprile 2017, 14:43:52 PM
In realtà non si tratta di sensazioni immediate, ma di valutazioni di sensazioni immediate che tendono a sorgere spontaneamente accompagnandole con grande "forza persuasiva"; valutazioni tuttavia alternative ad altre altrettanto possibili (contrariamente alle sensazioni immediate le quali sono invece sostanzialmente sempre le stesse), per esempio quelle successivamente imparate a scuola).
Bè, ogni sensazione è (forse a esclusione dell'infante) una valutazione che ne determina il significato, ove il significato appare subito con la sensazione stessa (significato che può essere contraddetto da altre sensazioni ricondotte dal soggetto a quello che considera uno stesso fenomeno e quindi venire messo in dubbio). Resta però il fatto che mentre sono qui seduto alla mia scrivania davanti al computer ho la nettissima sensazione di trovarmi piazzato su un supporto completamente fermo e ben orizzontale e per pensare che non è così devo ricorrere a quello che ricordo di aver imparato a scuola e non alle mie attuali sensazioni.
I giudizi sulle sensazioni immediate sono successivi, ne possono correggere i significati che immediatamente le accompagnano e negarli, ma questi giudizi fanno sempre riferimento al contesto culturale in cui si vive, che è un contesto più ampio che esercita un'azione intermediatrice, ma non a come stanno le cose in sé e per sé. Sono mappe i cui segni  riflettono significati attualmente condivisi di esperienza condivisi secondo pratiche e strumenti di conoscenza.
La validità intersoggettiva dell'immagine che ci facciamo del mondo, non è, in altre parole, una prova di una  oggettività a sé stante, proprio perché se così fosse non ci sarebbe alcuna relazione possibile con questo oggetto assoluto, ma è il risultato di un modo comune di praticare il mondo tra soggetti che vivono nella medesima parzialità prospettica condivisa nelle esperienze attuali e nella storia immensa di tracce di esperienze che risalgono molto indietro nel tempo, agli albori della conoscenza umana.
Il mondo di una tribù di indigeni della foresta amazzonica non è letteralmente lo stesso mondo di un gruppo di fisici che lavora al CERN di Ginevra, la prospettiva del gruppi di soggetti con cui questo oggetto-mondo entra in relazione per darsi è radicalmente diversa per il modo in cui si dà e non c'è un modo più vero e uno più falso rispetto all'altro, sono tra loro incommensurabili. Ovviamente il mondo in sé è lo stesso per entrambi i gruppi, ma è il cosa esso sia, la sua conoscenza, il suo mostrarsi che è molto diverso ed è questo che fa di quest'unico mondo in sé due mondi diversi, in cui si manifestano significati diversi, due mondi che non sono uno vero e uno falso, ma diversamente condivisi. In relazione agli ambiti di conoscenza essi sono entrambi in qualche misura veri e in qualche misura falsi e il modo in cui sono diversamente in qualche misura veri e in qualche misura falsi fa la differenza, li tiene separati. E gli indigeni della tribù come i fisici di Ginevra sono entrambi "normalmente sani di mente" se entrambi stanno nel loro mondo di riferimento significante. Non lo sono più invece se viene a mancare in ciò che conoscono il riferimento a ciò che vivono, ossia a ciò che i rispettivi diversi contesti di esperienza e storia culturale consentono in modo condivisibile.
Ad esempio gli ultrasuoni sono ultrasuoni solo per noi, per i pipistrelli sono normalissimi suoni, facendo finta che la parola "suono" abbia un significato relativamente ai pipistrelli e non solo per noi. Semplicemente per i pipistrelli quei suoni sono la loro vita che sa, come i suoni che noi percepiamo sono i suoni della nostra vita che sa, mentre gli ultrasuoni che non percepiamo, derivano dal nostro poter conoscere, che è solo nostro e di nessun pipistrello. Solo noi, esseri umani, possiamo dire di qualcosa che non percepiamo e metterci pure a cercarlo con strumenti e tecniche che inventiamo e credere anche di trovarlo oggettivamente a mezzo di quegli strumenti. Questa è la differenza tra il sapere e il conoscere. Il sapere è esistere, è vivere e ogni vita è sapiente perché ogni vita, anche quella di un pipistrello o di un lichene sa vivere e quindi vive, ma solo l'uomo conosce, ossia solo l'uomo si interroga chiedendosi sul di che cosa sa e può arrivare a sapere di vivere e dunque a sapere di morire, mentre un pipistrello e un lichene non lo sapranno mai.
E' nell'ambito di questa conoscenza che si sviluppano predicati e giudizi, l'idea di un universo in espansione fatto di atomi e particelle elementari con le loro conferme sperimentali, come di divinità e miti con le loro visioni, epifanie, suggestioni. In altre parole un immenso, grandioso dominio linguistico. Ma questo dominio linguistico nasce solo nel saper vivere umano, ossia nel vivere umano e solo qui ha validità.
Ed è questo che troppi umani non riescono a capire e pensano che il mondo sia oggettivamente come l'uomo lo vede, alla luce dell'esperienza a lui contemporanea (mentre ogni essere umano in ogni epoca e in ogni contesto ha sempre pensato così, anche qui nel nostro piccolo forum continuiamo a pensarla così mentre discutiamo, io stesso, pur rendendomi conto dell'assurdità, continuo a pensarla così, penso inconsciamente di essere oggettivo nel mio dire che nega l'oggettività). Ma non è così. E rendersi conto che il mondo non è semplicemente quello che i nostri mezzi e i nostri linguaggi, per come li sappiamo usare ci consentono di capire e di vedere è la rivoluzione copernicana che ci attende e che la filosofia, proprio con il suo franare rispetto all'epistemologia classica sta cominciando a rendere possibile. Ci stiamo accorgendo non solo che il nostro mondo non è al centro dell'universo, ma non lo è nemmeno la nostra visione del mondo, qualunque essa sia, non lo è nemmeno quella scientifica, la più esatta e precisa che abbiamo mai avuto. E' solo una visione di un particolare soggetto umano, uno dei tanti nello spazio di esistenza dell'umanità, dunque comunque non è e non può essere oggettiva e non può dirci in nessun modo come stanno in sé le cose. E questo è un bel problema, un problema enorme e sempre più evidente nella sua enormità. Siamo in bilico tra il nichilismo e una grande prospettiva del mondo, oggettiva solo in quanto sa di non poterlo essere, ma che continua a cercare ciò che per essa è impossibile, riconoscendosi in questo stesso continuo cercare sempre aperto, mai concludibile in nessun episteme.  
#278
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
21 Aprile 2017, 22:20:42 PM
Citazione di: Garbino il 20 Aprile 2017, 12:15:55 PM
Comunque, a grandi linee, anche il principio di non-contraddizione rientrerebbe in quel bisogno di praticità che l' uomo ha sempre cercato nello schematizzare ciò che lo circonda. Fatto questo che darebbe alle teorie di Hegel sulla contraddizione tutto un altro spessore.

Nietzsche non afferma che è falso, renditi conto che lo leggo per la prima volta e perciò devo ancora acquisirlo bene, ma che ad esempio una stessa cosa sia e non sia nel medesimo istante è necessario che l' uomo lo ritenga impossibile. Non è mia opinione che tu debba trovare tanto strana questa ipotesi,  la cosa curiosa è l' indeterminatezza che acquisirebbe tutto il nostro vivere in rapporto sia a noi stessi che a ciò che ci circonda.
Il principio di non contraddizione è certo fondamentale. ma andrebbe attentamente considerato. In un recente incontro con Massimo Donà (che è stato allievo di Severino e dal quale poi si è staccato, pur continuando a considerarlo uno dei massimi filosofi della storia della filosofia), partendo dalla considerazione che il discorso filosofico con il principio di non contraddizione, mira a stabilire la più chiara distinzione possibile tra ciò che è e ciò che non è, questa distinzione non è possibile riguardo al principio di non contraddizione, proprio per l'argomentazione di Severino: la negazione del principio di non contraddizione è assolutamente impossibile, perché comunque si basa necessariamente sulla validità del principio di non contraddizione stesso. Non avendo un negatore, il principio di non contraddizione non può distinguersi da alcunché, ma deve essere esso stesso a negarsi. Dunque il principio di non contraddizione è falso in quanto è assolutamente vero, non avendo nulla fuori di sé che possa dirlo falso e la realtà nel suo essere detta reca in se stessa continuamente il "trionfo-naufragio" del principio che determina la possibilità di dirla determinandola in significati chiari e logici. Questo apparire della negazione nel cuore stesso dell'incontrovertibile è per Donà ciò che rende possibile la conoscenza artistica (che lui pratica come pittore e soprattutto come musicista) come prassi per un incontro concreto ed effettivo con l'assoluto, che resta del tutto indeterminabile per via logica.
In realtà credo che già la logica hegeliana, a differenza di quella formale, già renda possibile questa posizione nell'ambito della fenomenologia dello spirito (e forse soprattutto negli sviluppi di Shelling). 

CitazioneA titolo soltanto informativo ti manifesto che nulla è più lontano dal mio pensiero che l' esistenza di una coscienza cosmica. Tutt' al più arrivo ad una materia che abbia in potenza un numero notevole di forme viventi. Ma oltre non vado.
Anche dal mio. La coscienza cosmica come coscienza diretta del tutto la trovo comunque un paradosso. La coscienza può essere solo pertinente alla parte e quindi parziale e riconducibile al tutto solo in quanto parzialità in esso compresa. Ma il cosmo, se è inteso come tutto quello che c'è, in quanto tale, non può avere coscienza di nulla.
#279
Ho letto sommariamente questo thread e la cosa che mi ha più colpito è l'associazione Europa = Euro e nient'altro. Associazione che ribadisce, sia in chi è pro la moneta unica, sia in chi l'avversa, che oltre all'economia (per quanto, come dice Paul 11, con cui concordo in merito, il denaro è mera convenzione virtuale, l'economia non è una scienza ecc.) non vi è nulla di serio, né nulla di più determinante e stringente sulla realtà delle cose. Non è così e se non è così è chiaro che non si tratta di uscire dall'Euro, ma di uscire proprio da questa visione economica dominante al punto da prospettarsi assoluta, fuori da ogni alternativa, e di denunciarne la demenzialità, che non è la demenzialità di una moneta piuttosto che di un'altra, ma di qualsiasi moneta, per quello che oggi esse rappresentano nella commedia dell'assurdo che ogni giorno mette in scena il potere finanziario, ossia il capitale finanziario.
Inverno ha scritto che le unioni hanno un costo di sangue. Ma il costo di sangue l'Europa l'ha pagato,, il prezzo immane di due guerre mondiali, entrambe alimentate dal fanatismo nazionalistico e dalla peggiore follia, un prezzo che ha determinato il definitivo tramonto della rilevanza politica di tutti gli stati europei, per quanto alcuni di essi tentino in modo per lo più tragicomico di riprendere gli antichi fasti che ancora la loro grandeur vaneggia.
L'idea di un'Europa unita, io credo, era nata non dall'Impero Romano o da quello napoleonico o asburgico a secondo dei gusti, ma da quel sangue, risultato della follia degli stati europei del XX secolo. Era nata anche come un'idea di libero commercio e libero scambio, forse pensando che la libertà di scambio rendesse tutti più liberi e in un certo senso è stato anche così. Oggi, che risuscita l'utopia delle piccole patrie con i loro muri tutto attorno chiusi, occorre ricordare quanto questa possa essere disastrosa e infelice la piccola patria, ma non solo perché economicamente nel mondo globalizzato non conterebbe nulla. E' più che evidente che se lo strapotere finanziario domina e detta la politica di interi continenti, figuriamoci cosa ne farebbe della piccola patria con la sua "liretta" e i pagliacci di turno assunti al ruolo di satrapi locali, finché servono mentre promettono  bonus fiscali e dentiere gratis. No, la tristezza delle piccole patrie è un'altra, è più profonda, è la perdita dell'orizzonte della speranza nell'umanità a cui apparteniamo, è la tristezza di chi invecchia male e delira nella sua senilità agonizzante.
L'Europa deve poter esistere, ma non per motivi economici. Il problema economico del debito sarebbe risolvibile se ci fosse un'Europa unita (o anche che solo tentasse di esserlo credendoci), capace di riconoscere che il debito non è dei singoli stati, ma dell'Unione, Germania compresa, anche se i Tedeschi, come formiche operose, non intendono farsi carico di quei cialtroni dilapidatori di Greci e Italiani, dispiace, ma se si vuole l'Europa, cari alacri tedeschi, il nostro debito è pure il vostro.
Ma ci sono, e qui i Tedeschi hanno ben ragione, tre punti fondamentali che spetta a noi italiani risolvere, prima di poter riempirci la bocca di condivisioni europee, altro che ritorno alla lira: 1) la corruzione con cui regoliamo i nostri rapporti sociali e non solo politici, 2) l'evasione fiscale che equivale al furto sistematico tra cittadini, 3) la mastodontica inefficienza dell'apparato pubblico che alimenta solo corruzione ed evasione ed è da queste alimentata così da chiudere il cerchio sinergico della catastrofe. Ci fosse la lira al posto dell'euro non cambierebbe nulla, corruzione, evasione e burocrazia ci affosserebbero uguale, se non ancor di più.
D'altra parte l'Europa, al di là della sua dimensione quasi solo economica e proprio in virtù della prospettiva del libero scambio, qualche effetto positivo l'ha avuto, se non fosse per la burocrazia da cui Bruxelles è stata contaminata: la tutela dell'ambiente e della sicurezza sul lavoro, ad esempio (la legislazione attuale in materia è solo europea), la richiesta di recepimento di una normativa adeguata sui diritti civili per tentare di diventare un po' più civili.
Lasciare l'Euro non ha senso (si potrebbe, e in questo sono d'accordo, affiancarlo con altri mezzi di scambio  locali, per diminuirne alcuni impatti, finché non si recupera sulle nostre tre problematiche fondamentali) e, per quanto riguarda l'Europa, il progetto va rivisto in profondità e fine, ma non si può abbandonarlo per nostalgia di piccole patrie che si pensano prosperose e tranquille solo se chiuse tra i loro muri e chi entra paga dazio. L'idea è semplicemente ridicola.
   
#280
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
19 Aprile 2017, 23:37:40 PM
Citazione di: myfriend il 19 Aprile 2017, 20:20:36 PM
L'autocoscienza è una caratteristica del TUTTO. Ne fa parte.
E in noi si è manifestata.
E quindi anche nel TUTTO, dato che comunque ne siamo parte. Concordi?
#281
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
19 Aprile 2017, 23:10:23 PM
Mi scuso Sgiombo se ho male inteso alcune tue affermazioni, purtroppo il tuo stile fatto di molti incisi e parentesi per meglio definire, mi risulta spesso difficile, è certo questione di una mia crescente mancanza di attenzione mentale analitica.
Mi soffermo però su alcuni punti, peraltro non direttamente legati al tema, ma comunque collegati alla problematica della conoscenza umana, sperando di meglio riuscire a interpretare correttamente.

Citazione di: sgiombo il 19 Aprile 2017, 13:13:32 PM
E comunque le credenze circa la piattezza e fermezza della terra e il moto del sole intorno ad essa non sono immediate percezioni fenomeniche (dati di coscienza), bensì predicati o giudizi (errati, falsi) circa di esse.
Per quanto mi riguarda direi proprio di no. Se non avessi imparato a scuola che non è così, ti assicuro Sgiombo che la mia normale sensazione immediata è proprio quella di trovarmi su una terra piatta (salvo monti e colline) e ben ferma (eccetto in caso di terremoto che non è piacevole) e non su una palla che gira vorticosamente su se stessa come una trottola velocissima nel cosmo, di questo non ho proprio nessuna sensazione immediata e ringrazio che sia così, mi gira la testa solo a pensarci a una cosa simile. E ti dirò di più, la mia sensazione immediata, se sono in campagna e vedo il cielo notturno con tutte le sue lucine, è proprio quella di trovarmi al centro di uno spettacolo tutto intorno a me. Poi lo so, mi si è spiegato che non è così, che non ci si deve fidare delle prime sensazioni, le prove ci sono e ci se ne può accorgere (beninteso, quello che si impara è che l'universo non ha centro, non è un grande pallone sferico, quindi il centro può benissimo essere assunto, virtualmente, proprio dove ci si trova, come peraltro sempre facciamo). Questo per dire che, a quanto mi risulta, la conoscenza non è per nulla confermata dall'esperienza sensibile immediata, io non faccio alcuna esperienza immediata di atomi, fotoni, bosoni, big bang, campi gravitazionali o elettromagnetici; non ho nessuna sensazione dello spazio tempo relativistico, ma neanche di virus e batteri, ho imparato a interpretare le cose in questo modo e in questi segni che mi sono diventati un po' familiari, come se fossero (alcuni più, altri meno) reali. Tutto quello che mi hanno insegnato è il risultato di una esperienza sempre mediata da strumenti che necessita di interpretazione secondo un dato metodo rigorosamente quantificante, ma non c'è nulla di immediato in questo, anzi. Non basta mettersi davanti a un telescopio o a un microscopio per vedere le cose e credere che quello che si vede sono proprio come sono per tutti e per nessuno, ossia oggettivamente in sé, i microscopi non vedono la cosa in sé, ma la cosa attraverso il microscopio dietro il quale c'è un soggetto che impara a usarlo e a interpretare quello che vede. Per questo la conoscenza scientifica è un prodotto culturale che risulta da prassi praticate insieme, e che generano dei significati come qualsiasi tipo di conoscenza, pure quella mitica. La validità di questa conoscenza sta nel permettere o meno un accordo per tutti i soggetti che vi partecipano nel contesto in cui si vive insieme in reciproca relazione, non in un accordo con un mondo oggettivo in sé di cui nulla sappiamo e mai nulla potremo sapere, proprio perché oggettivo e in sé e dunque, in quanto tale, assolutamente impermeabile ai nostri sguardi. Il nostro sguardo, se conosce, non è mai, né mai sarà oggettivo.
Ma so anche che questo per molti è incredibilmente difficile da accettare, perché i presupposti culturali su cui basiamo la nostra visione del mondo diventano invisibili, dunque si crede (come si è sempre creduto) che il mondo per come culturalmente lo vediamo nella nostre mappe cognitive, sia proprio il mondo così com'è lì davanti a noi, l'oggetto neutro chiaro e distinto davanti a un occhio neutro o comunque neutralizzabile. Ecco, forse questa credenza è una sensazione immediata di ogni luogo ed epoca su cui la filosofia chiede oggi (non in passato, non ai tempi dell'epoca d'oro della filosofia) di rifletterci sopra per non farla diventare una nuova superstizione, per compiere anche in termini epistemici la rivoluzione copernicana: il soggetto c'è sempre, anche quando si immagina di non esserci, fa parte del fenomeno che guarda, è sempre nel fenomeno che guarda.
Detto questo non dobbiamo certo abbandonare i risultati scientifici per altra roba soggettivamente esoterica, per io universali, al contrario, i risultati della scienza sono il prodotto del nostro modo di vedere e di esistere attuali e sono il risultato utilissimo di millenni di storia culturale, solo occorre mettere tra parentesi questa pretesa di oggettività, lasciarla perdere, perché nessuna oggettività ci è né ci fu mai concessa, forse solo le piante o organismi animali molto semplici, nella loro esistenza che non conosce, ma sa, potranno magari essere oggettivi, non noi. Le macchine che usiamo, i telescopi e i microscopi sono oggettivi, ma non chi vede e conosce con quegli arnesi e non basta che li usi per diventare oggettivo come loro. I concetti, leggi di gravitazione compresa restano solo mappe, segni, come il colore blu che indica il mare su una carta geografica, ma non è il mare, sono indispensabili per muoverci, agire e orientarci, ma niente di più. E ogni epoca ha le sue mappe e i suoi segni, che funzionano o meno in quel mondo e non in un altro.

CitazioneL' esperienza cosciente non è inclusa nel mondo fisico – materiale per il semplice fatto che è l' universo fisco – materiale ad essere incluso nell' esperienza cosciente: "esse est percipi" (Berkeley).
Si può sempre vederla all'opposto e non c'è ragione per non farlo. D'altronde se materia e spirito sono separati e non si incontrano, come fa lo spirito della conoscenza cosciente di un mondo materiale a includere quel mondo fisico materiale? Come fa anche solo ad accorgersene? E noi dove stiamo per dire che non si incontrano, come facciamo a dirlo? Come facciamo ad avere la visione panoramica che include spirito e materia come sempre discosti e separati?

Citazionelo potrebbe anche pensare un marito cornuto che non avesse mai visto sua moglie a letto col suo migliore amico o collega; ma non per questo sarebbe meno cornuto di quanto di fatto é.[/font][/size]
E' così di fatto perché qualcun altro lo ha visto, e certamente lo hanno visto la moglie fedifraga e il collega, sono loro i soggetti a cui risulta, non a una oggettività senza soggetto.

CitazioneMa dove sarebbe mai "presente" la soggettività sentimentale ed emotiva nella dimostrazione dei teoremi di Euclide e che effetti ("intrinseci diretti", sui loro "contenuti teorici" e non di mero "accompagnamento" e interferenza con il loro svolgersi: per esempio facilitandoli nel caso servano a superare un esame che fortemente si desidera superare oppure ostacolandoli nel caso di uno che cercasse di farlo essendo fortemente terrorizzato per un grave pericolo imminente) avrebbe mai sul risultato di tali ragionamenti?[/font][/size]
E' presente nell'intenzionalità di Euclide che si mette a ragionare di teoremi, anziché stendersi al sole e dormire, è presente nella motivazione e nel progetto che è il tratto che sempre guida il soggetto in ogni cosa che fa e non può essere separata da quello che fa. E se il progetto dà luogo a speranze e delusioni, se riesce o non riesce tutta la faccenda si colora di un'enorme risonanza emotiva. Noi, anche se prendiamo quei teoremi come faccende neutre, partecipiamo indirettamente della intenzionalità soggettiva di chi li ideò sperando in una conoscenza razionale, certa e universale, che pur tuttavia, era la razionalità della sua vita per il senso prodotto dalle prassi e dai contesti dell'epoca in cui viveva. Come si sa infatti i teoremi di geometria nascono dall'esigenza progettuale umana di misurare i terreni, la geo-metria è il prodotto del progetto intenzionale dell'agrimensore con le sue prospettive e i suoi modi di pensare il mondo attraverso gli strumenti e i metodi che quel mondo gli presenta e gòielo fa vedere, soggettivamente a lui, come un campo da misurare e suddividere per coltivarlo o fondare città.
#282
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
19 Aprile 2017, 19:25:23 PM
Citazione di: myfriend il 19 Aprile 2017, 13:01:24 PM
Quando parlo di "Coscienza cosmica" non parlo dell'autocoscienza che c'è nell'homo.
L'autocoscienza che è apparsa con l'homo è solo una delle tante caratteristiche della "Coscienza cosmica".

La "Coscienza cosmica" è il TUTTO di cui ogni cosa è manifestazione.
E ogni cosa "incarna" alcune caratteristiche di questo TUTTO.
L'autocoscienza dell'homo è solo una delle tante caratteristiche della "Coscienza cosmica". E questa caratteristica è presente solo nell'homo e si è manifestata per la prima volta nella Realtà solo nell'homo.
Ma se l'uomo è nel TUTTO, anche l'autocoscienza è nel TUTTO, ne fa parte. O l'autocoscienza può essere solo della parte?                                                                       
#283
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
19 Aprile 2017, 12:19:40 PM
Citazione di: Sariputra il 19 Aprile 2017, 00:24:32 AM
Sì, la botte può ben essere vuota. Ma l'inganno, anche qui, non sta forse nel credere che la Vita sia nella botte da cui non possiamo attingere invece che in quella generosamente dispensatrice di inebriante prosecco? Non è là è qua...gridano i bimbi giocando con il gatto. Perché cerchi Dio, anche se non lo si può ancora chiamare Dio, là ( nella botte noumenica) quando è qua ( nel buon prosecco?). Il trascendente fatto immanente, cioè divenuto il contenuto della ragione (tu es Deus qui facit mirabilia)...alziamo i calici nel dubbio e nel mentre ci ragioniamo sopra, che siano sempre colmi ; meglio se in compagnia di leggiadre fanciulle dal volto di luna ( che fa molto mistica sufi  ;D...).
Eppure la maschera che ci inganna (anche quando ha i severi e feroci tratti della la Dea Ragione) è una delle forme attraverso cui il dio si manifesta.
Brindiamo allora a Dioniso, il Dio mascherato, grande elargitore di prosecco!   
#284
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
18 Aprile 2017, 22:47:43 PM
Citazione di: Lou il 18 Aprile 2017, 18:52:32 PM
In parecchie definizioni dell'uomo che l'uomo da di sè stesso l'aspetto vivente e animale è presente: animale simbolico, animale razionale, animale autobiografico, animale politico ecc., ho introdotto all'animale vivente perchè a me pare un aspetto imprescindibile dell'umano e, in ogni caso, un termine molto difficile da non non tener presente.
Eh certo, anche le prime forme di divinità che l'uomo ha conosciuto erano animali. E a ragione.
Citazione di: Sariputra il 18 Aprile 2017, 20:39:59 PM

Sì, è 'anche' un continuo recitar parti che fa dell'uomo un uomo. Ma si tratta di un uomo mascherato, che nasconde la sua assenza di volto ponendo in bella mostra la maschera adatta. Come è il vestito che fa l'uomo uomo ( non conosco altri esseri che si 'vestono') e in più lo fa mentitore. In origine c'era questa nudità , fisica e mentale, questa ingenuità che viene spazzata via. Se fossimo tutti nudi saremmo in grado di mentire così tanto? Saremmo sempre in grado di fingere come facciamo? Infatti simbolicamente la nudità è immagine archetipica di innocenza...quando si inizia a comprendere...ci si veste il corpo di abiti e il volto di maschere. Fu vera comprensione? Quella nuda innocenza valeva meno ( era meno significante...) della conoscenza acquisita? Era inevitabile che, la mano che diventava sempre più abile a fabbricar armi e utensili, plasmasse per sé una maschera per coprire l'orrore del proprio volto? Lo spavento di non riuscire a specchiarsi più in nulla?
Solo l'uomo infatti è animale che sa mentire e per questo solo lui si maschera e si veste, proprio come nel mito biblico, dopo essersi cibato dei frutti dell'albero della conoscenza e aver perso quelli dell'albero della vita, di un sapere che è la vita stessa. Ma non poteva essere altrimenti è il prezzo da pagare per  accedere al significato delle cose, è il prezzo della domanda. E mascherandoci comunque riveliamo noi stessi a noi stessi, proprio nelle maschere che indossiamo ci rendiamo attori e spettatori insieme.
#285
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
18 Aprile 2017, 22:32:03 PM
Citazione di: green demetr il 18 Aprile 2017, 14:33:54 PM

Si anche. Mi sono perso un attimo sui vari passaggi che porterebbe l'universale ad essere un naturale.
Ma evidentemente tu e Garbino avete deciso che esista questo naturale, evvabè pazienza, ci scontreremo su un 3d che a questo punto aprirò io stesso.
Semplicemente ritengo che il naturale sia il sentimento soggettivo che lega la mia relazione con il contesto che mi produce. Questa relazione è continuamente ambivalente, per cui il naturale è sia ciò che con la sua presenza ci si oppone,  ostacola limitandoci, ci resiste e minaccia terrorizzandoci, sia ciò che ci nutre e ci si dà come nicchia di riparo e di incanto.

CitazioneStando così le cose l'originario sarebbe in fine dei conti la storia degli errori delle prassi, e delle sue correzioni.
Credo che l'originario sia assolutamente indefinibile e al di là della nostra portata, noi siamo sempre compresi nell'originario e lo viviamo negli errori delle rappresentazioni che ce ne facciamo nel tentativo di rendercelo presente. Ogni storia è storia di un errare che lascia dei segni sul percorso, delle impronte come epifanie da cui tentiamo di orientarci per mantenerci riconoscibili a noi stessi, secondo una bio-grafia che continuamente tenta di trovare inizio e fine in cui riconoscere il proprio destino, ossia ciò che sempre siamo e non possiamo non essere.
Abbiamo sempre la necessità di tornare, tornare al nostro saper vivere che il sapere di vivere ci nasconde, il naturale coincide per me con questo saper vivere e il ritorno significa scoprire che non sappiamo di sapere, ma per arrivare a non sapere di sapere è necessario conoscere, è necessario cioè passare attraverso il sapere di sapere e di non sapere, per poi decostruire questa conoscenza. E' necessario che l'orgoglio dei monumenti di sapienza e la delusione continuamente franante dei loro esiti si compiano rivelandoci a noi stessi e gli uni agli altri quanto non sappiamo di sapere. Quando questo accade resta un'impronta sul cammino percorso che  è una rivelazione che ci consente di proseguire ancora.