Apeiron ha scritto:
1) Secondo me cercare qualsiasi tipo di "verità ultima" o "assoluta" attraverso la logica (ossia il linguaggio) è futile. O meglio lo è se si pensa di poter arrivare a una conclusione. Il linguaggio non può mai superare i limiti del relativo, pretendere di usarlo per "definire" l'assoluto (ammesso che questa parola abbia un referente in qualche modo esperibile) lo trovo fallimentare in partenza.
2) Trovo che pensare di poter separare del tutto l'oggettivo dal soggettivo sia semplicemente un'assurdità. Oggettivo e soggettivo si presuppongono a vicenda e non possono avere alcuna forma di esistenza indipendente. Per questo motivo ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso.
3) Tuttavia soggetto e oggetto hanno una loro relativa indipendenza, il che ci consente di pensarli e studiarli separatamente. Quel che possiamo verificare è che sia il soggetto che l'oggetto fanno la loro parte nella costruzione dell"esistenza" (che risulta appunto dalla relazione soggetto-oggetto)
4) A proposito di questi temi trovo molto interessanti le speculazioni epistemologiche legate alla fisica quantistica e ai suoi paradossi, in particolare quelle di David Bohm e altri che seguono un simile linea di pensiero. In estrema sintesi, la tesi di fondo (secondo la mia interpretazione) è che ci sia un "ordine implicito" di natura virtuale, potenziale, "non locale" (ma non per questo "non reale") che guida il "flusso indiviso" dell'esistenza, flusso (quindi processo, divenire) da cui trae origine la "realtà", che sarebbe una manifestazione indotta dall'osservazione (ossia dalla relazione, o meglio una catena di relazioni che all'estremità è connessa a un soggetto). La differenza principale rispetto alla "cosa in sé" kantiana è costituita dal suo carattere potenziale (strettamente imparentato con concetto di "campo" nella fisica) e dal fatto che costituisce solo una componente della realtà (un lato della medaglia) e non una realtà a sé stante. In questa prospettiva non c'è esistenza senza conoscenza, e soggetto e oggetto fanno entrambi parte di questo flusso indiviso (una sorta di monismo dinamico).
5) Diverse tendenze di pensiero della recente epistemologia (con i suoi risvolti ontologici) portano a mettere in primo piano (fino a considerarlo il concetto più fondamentale che possiamo raggiungere a proposito dell'"essenza dell'esistenza") il concetto di informazione. E, se ci riflettiamo, ci rendiamo conto che in effetti possiamo "tradurre" qualunque elemento dela nostra esperienza in termini di informazione. E l'informazione presuppone un emittente, un ricevente e un codice (una "trinità" in stretta relazione con quella della semiotica, particolarmente evidente nei concetti di Peirce di "primità", "secondità" e "terzità")
Tutto ciò non esclude la possibilità di esperienze extrarazionali come il Nirvana o altro, che possano rendere l'"esperienza dell'assoluto", ma si tratterebbe comunque di dimensioni dell'esperienza inafferrabili per il linguaggio, riferibili solo attraverso allusioni e metafore.
Citazionenon nego che ci siano più prospettive e che ci sia oggettività tra le varie prospettive. Quello che mi da problemi è l'asserire che c'è una realtà "oggettiva" indipendente da OGNI prospettiva. Questo perchè sarebbe "oltre i limiti del linguaggio"Credo che questa frase centri il problema più di tutto il resto.
1) Secondo me cercare qualsiasi tipo di "verità ultima" o "assoluta" attraverso la logica (ossia il linguaggio) è futile. O meglio lo è se si pensa di poter arrivare a una conclusione. Il linguaggio non può mai superare i limiti del relativo, pretendere di usarlo per "definire" l'assoluto (ammesso che questa parola abbia un referente in qualche modo esperibile) lo trovo fallimentare in partenza.
2) Trovo che pensare di poter separare del tutto l'oggettivo dal soggettivo sia semplicemente un'assurdità. Oggettivo e soggettivo si presuppongono a vicenda e non possono avere alcuna forma di esistenza indipendente. Per questo motivo ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso.
3) Tuttavia soggetto e oggetto hanno una loro relativa indipendenza, il che ci consente di pensarli e studiarli separatamente. Quel che possiamo verificare è che sia il soggetto che l'oggetto fanno la loro parte nella costruzione dell"esistenza" (che risulta appunto dalla relazione soggetto-oggetto)
4) A proposito di questi temi trovo molto interessanti le speculazioni epistemologiche legate alla fisica quantistica e ai suoi paradossi, in particolare quelle di David Bohm e altri che seguono un simile linea di pensiero. In estrema sintesi, la tesi di fondo (secondo la mia interpretazione) è che ci sia un "ordine implicito" di natura virtuale, potenziale, "non locale" (ma non per questo "non reale") che guida il "flusso indiviso" dell'esistenza, flusso (quindi processo, divenire) da cui trae origine la "realtà", che sarebbe una manifestazione indotta dall'osservazione (ossia dalla relazione, o meglio una catena di relazioni che all'estremità è connessa a un soggetto). La differenza principale rispetto alla "cosa in sé" kantiana è costituita dal suo carattere potenziale (strettamente imparentato con concetto di "campo" nella fisica) e dal fatto che costituisce solo una componente della realtà (un lato della medaglia) e non una realtà a sé stante. In questa prospettiva non c'è esistenza senza conoscenza, e soggetto e oggetto fanno entrambi parte di questo flusso indiviso (una sorta di monismo dinamico).
5) Diverse tendenze di pensiero della recente epistemologia (con i suoi risvolti ontologici) portano a mettere in primo piano (fino a considerarlo il concetto più fondamentale che possiamo raggiungere a proposito dell'"essenza dell'esistenza") il concetto di informazione. E, se ci riflettiamo, ci rendiamo conto che in effetti possiamo "tradurre" qualunque elemento dela nostra esperienza in termini di informazione. E l'informazione presuppone un emittente, un ricevente e un codice (una "trinità" in stretta relazione con quella della semiotica, particolarmente evidente nei concetti di Peirce di "primità", "secondità" e "terzità")
Tutto ciò non esclude la possibilità di esperienze extrarazionali come il Nirvana o altro, che possano rendere l'"esperienza dell'assoluto", ma si tratterebbe comunque di dimensioni dell'esperienza inafferrabili per il linguaggio, riferibili solo attraverso allusioni e metafore.