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Messaggi - PhyroSphera

#271
Ho fatto delle aggiunte al testo, che altrimenti sarebbe stato meno o difficilmente comprensibile. Inoltre ho ben definito alcuni tempi, che diversamente davano apparenza di altra successione di eventi (quella esatta: prima l'incontro con gli universitari di Roma, poi l'apparizione del resoconto in libreria).
Mi scuso col lettore per l'eventuale disagio e spero in una buona discussione.

MAURO PASTORE 
#272
Sono passati pochi giorni dalla morte di Franco Ferrarotti, ritenuto il padre della sociologia italiana.
Io me lo ricordo soprattutto come l'autore di un resoconto sulla figura del filosofo Nicola Abbagnano, testo che contiene anche un inizio di ritrattazione.
Difatti il Ferrarotti, da studente e ricercatore in volontaria estraneità ai dettami della filosofia della esistenza a teorico delle forme e fondamenti del potere contemporaneo, da sostenitore dello schema dialettico marxista a critico dell'integralismo razionale, tracciava la parabola discendente del positivismo sociale non solo in Italia, con l'inevitabile apertura a una prassi scientifica non più isolata né separata dalla indicazione esistenziale della singolarità della esistenza umana.

La sociologia, quale disciplina mediana fra tutte le scienze incluse nel tentativo positivista di dedurre un sapere in base al solo dato, ha di fronte a sé questa nuova prospettiva: rompere il quadro che la vede asservita alla fisica (tramite la cosiddetta fisica sociale) ed evitare che il complesso delle scienze venga assunto a discapito della irripetibilità della persona, della individualità di ciascun gruppo sociale, nonché della unicità della misteriosa originarità che lo stesso studio sociologico incontra a partire dalle proprie premesse e senza poterne decifrare: ciò che in filosofia è dicibile l'Assoluto.

Il pensiero sociologico positivista con Ferrarotti andava:
– dall'atomismo fisico sociale (di matrice ottocentesca), che vede ciascun elemento sociale quale ente materiale, fisicamente cioè;
– alla operazione apparentemente impossibile di coniugare la prospettiva sociale marxista, basata su un giudizio non una contemplazione (proletari versus borghesi), con la scienza sociologica propriamente detta, che invece deve rimettersi alla mera osservazione dei fatti.
Come ciò potesse accadere, lo spiega la storia della politica che racconta l'operazione di imposizione-costruzione sociale di Stalin e degli stalinisti, il funzionamento della quale era rigidamente omologato ai termini del giudizio marxiano. Si trattò in pratica di creare una dinamica sociale, anche nello stesso Occidente tramite provocazioni più o meno occulte, dominata dal contrasto di proletariato e borghesia, la quale lo scienziato doveva quindi non solo descrivere ma interpretare secondo prassi marxista... utilizzando appunto l'idea positivista.
Tale idea, non senza l'opposizione di Abbagnano stesso che influenzava decisivamente la diffusione della sociologia in Italia (era lui nonostante tutto l'ideatore dei Quaderni di sociologia, pubblicazione peraltro diretta proprio da Ferrarotti), si scontrava con le necessità delle ricerche che allargavano gli orizzonti oltre la razionalità della società, base quest'ultima della politica sociale marxista.

Io ebbi a che fare con F. Ferrarotti. Oltre alle tipiche occasioni, mi capitò in una libreria. Mi sorprese a valutare libri, tra cui uno proprio di N. Abbagnano, restando colpito da una mia espressione. Potetti sùbito comprendere che era assalito dai rimorsi per averne disatteso le raccomandazioni. Inoltre mi rese edotto circa lo smarrimento di un discorso importante. Il suo volto era eloquente e io comunicai a mia volta: si liberi dall'intrico e ammasso delle sue colpe e vedrà che ricorderà.
Riapparso codesto discorso in suddetto resoconto, io vi riconobbi leggendo il pensiero del filosofo e dell'uomo Abbagnano. Mentre questi però aveva assunto per riferimento epistemologico di base la dimensione antropologica, Ferrarotti partiva da una assolutizzazione della dimensione sociologica. L'invito originario del filosofo a fronte delle difficoltà del dopoguerra sotto egida americana: cambiare anche tutto purché restare italiani, si trasformava, nell'iter del sociologo positivista, da azione a favore della libera sopravvivenza di un gruppo umano in inazione per favorire l'obbedienza a un'idea di società estranea, quella della rivoluzione antioccidentale della estrema sinistra politica. Per farla breve: il perseverare incontrava il proprio opposto, dal comunismo fino al degenerare del nazionalismo in nazismo passando per un nazionalsocialismo rovesciato. Tempo dopo l'incontro in libreria, aggirandomi per Roma e nel timore di tanta catastrofe, mi ero pure recato alla stessa università dove quel discorso si era tenuto e non evitavo di invitare alcuni studenti a rinfrescare la memoria del loro professore, anche a costo di sembrare "troppo strano".

Scriveva il prof. Ferrarotti:
«È forse venuto il tempo per una riconsiderazione serena di quel nesso fra esistenza, progetto, ricerca sociale che non ha nulla di artificioso o di occasionale, ma che al contrario si lega necessariamente all'insieme del pensiero di Abbagnano come suo sbocco necessario.»
Non fosse questo tempo ancora venuto, bisognerebbe inventarlo, per tutte quelle culture che sono sotto scacco dal disastroso tentativo positivista di conduzione-costruzione dei saperi scientifici. Senza forse.


MAURO PASTORE
#273
Citazione di: Visechi il 05 Novembre 2024, 19:34:44 PMTe ne scrivo un'altra, di risposta
Il testo che segue è assai lungo, perché tal Visechi è un... rappresentante tipico, non dico caratteristico; e mi premeva assai confutarne il dovuto.
Il testo di tal Visechi cui replico è visibile interamente a questo link:  https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/il-diavolo-da-giobbe-e-l-anticristo-in-casa-nietzsche-oltre-le-troppe-ombre/msg93295/#msg93295 
Il sito non recepiva la mia intera replica e ho dovuto ricorrere a questo stratagemma per ragioni di spazio.



Innanzitutto una notazione: come tu vivisezioni il mio testo nel citarlo (senza rispetto per la forma della mia scrittura), così fai a pezzi il pensiero contenuto in esso e non puoi intenderlo. Assurdo che poi provi a criticarlo. Però metti in gioco delle dinamiche non stupide, le quali hanno un potere sociale politico... ma subculturale, anticulturale in fin dei conti.

La tua obiezione, secondo cui non ci sarebbe alcun bisogno di Dio per vivere la trascendenza, sposta i termini del tuo discorso e fa sembrare che io volessi dire cose che non ho detto. Sei passato dal sostenere integralmente una posizione atea ad aggiungerci ambiguamente una non-teista, imputandomi una contrarietà al non-teismo che io non ho. Io infatti non ho mai detto che sia necessario a tutti in tutte le situazioni avere una concezione esplicita di Dio. Ho stimato tanto Eckhart che definiva Dio, anzi il suo apparire, un Nulla e non meritavo la tua replica da camaleonte dispettoso. Ho anche precisato che non penso che i tempi del nostro rapporto con Dio e i modi siano uguali per tutti... tu nel prenderne atto contraddittoriamente non me lo hai riconosciuto.
Il fatto è che il tuo tenace ateismo è in antagonismo al teismo e porti avanti la tua competizione anche a fronte di discorsi vitalmente necessari, senza riguardo per ciò che veramente dice l'interlocutore per l'esistenza. Mi hai chiamato ignorante tanto ingiustamente e con una sequela di rimandi di cui non ho proprio bisogno. Ne capivo già; semmai tu li decontestualizzi. Così usi il non-teismo per abolire i discorsi teisti; ma la prospettiva non-teista non serve a questo scopo. Essa rappresenta una non esplicitezza dell'Assoluto, della Trascendenza, che vengono pensati senza ciò che la parola e l'idea di Dio significano. Questo significato verbale aggiunto non è infantile; infantile è chi, pensando che la trascendenza sia una strada che non porta da nessuna parte, scambia se stesso per l'assoluto. La tesi che tu sostieni sulla autonomia completa dell'uomo attesta questa tragica inversione.
Dipendiamo dall'acqua e da altro di materiale per sussistere fisicamente, dallo spirito per continuare a vivere psichicamente; e non esiste solo questo innegabile piano naturale, ma anche le incognite del caso. I monoteismi a queste ultime riferiscono la propria ragione d'essere (da qui la metafora, che realmente significa delle coincidenze, delle neagatività, del diavolo). Il cristianesimo pensa la necessità dello spirito di Dio per controbilanciare situazioni altrimenti esiziali. Si pensa all'altra dimensione, a sostanza spirituale non a materia; senza negare alcuna scienza anzi trovando nelle scienze un indizio. La parola Dio serve a indicare, non a descrivere come un oggetto; a voialtri il suo vero utilizzo pare uno sproposito perché tendete a oggettivizzare l'Assoluto; e allora il mito politeista vi pare poca cosa o illusione, l'allegoria monoteista un modo per scambiare il nulla per l'essere. Inutile che andate citando i mistici, che il nulla lo menzionavano al rovescio; e non è giusto l'accanimento che avete nel chiamare ignorante chi non ha prevenzioni. Semplicemente il sentimento del mondo attesta che il mondo stesso non è tutto; si sente che c'è altro e ovviamente non si può trattare del nulla, che resta tale. Questa intuizione è spontanea ed il vostro ateismo non sorge da una originarietà, ma da un artificio (da moribondi). Non trovi che invece di fare tante illazioni contro di me potresti provare a studiare l'obiezione che la filosofia ha mosso contro il nichilismo, inteso come oblio dell'essere? Certo troveresti qualche scritto di E. Severino a far da padrone e partendo dal tuo fanatismo potresti innamorarti delle sue critiche anticristiane, su un Dio che non è veramente l'Essere e sulla necessità di intendere l'Essere quale superdio... Ma codesti pensieri di E. Severino sono validi nei confronti di un falso cristianesimo.

Quanto alla tua partaccia sul capro espiatorio, al tuo tentativo di tacciarmi di ignoranza per screditare le mie menzioni antropologiche: il contesto sociale fondamentale della realtà considerata da R. Girard coi suoi studi sulla violenza sacrificale è criminologico, quindi i benefici descritti nella sua teoria sono i vantaggi che, per un verso soltanto, sono ottenuti col delitto... Diversa è la questione che verte sulla domanda: quale storia veramente è coinvolta da questa criminosità? A voler esser precisi e informati, si deve riconoscere che il mondo ritratto dalle tragedie classiche greche era quello dell'incertezza e abbandono della grecità, in particolare ellena. La violenza della vicenda di Edipo e delle altre raccontate da quel teatro proveniva dal di fuori, dal tradimento di una identità... Peraltro bisognerebbe pure capire che non è esistita e non esiste una sola grecità. Gli stessi elleni conoscevano pure altre condizioni. Nelle società dei pastori il capro espiatorio era l'animale che doveva soccombere perché pur non avendo fatto il prepotente come gli altri del gruppo si era sottratto dal destino proprio della sua specie, rendendosi una presenza nociva. E' ciò per cui il pastore è accettato anche nel còmpito di portare la morte, anche se non è una belva che ha tale officio per sua propria natura. Questo sfondo o retroterra culturale, background potremmo dire, io lo ho tratto da conoscenze ed esperienze dirette del mondo pastorale; tuttavia se ne potrebbe trovare letteratura che vi rimanda. Invece di screditarmi, va a cercare qualche branco di capre per qualche montagna... stando attento a non confondere un mondo per un altro. La pastorizia storicamente corrispondente agli esempi evangelici-biblici non era la stessa dei greci e neppure affine... ma il discorso biblico è allegorico. Va letto spiritualmente, senza intenderlo per un riferimento al piano naturale. Ad esempio: il simbolo dell'Agnello dei Vangeli non è comprensibile materialmente-zoologicamente; ma spiritualmente-psicologicamente! Ugualmente il simbolo del Crocifisso: non si tratta di pensare materialmente a dei legni e a una tortura, ma a una allegoria che rappresentando le difficoltà della vita allude alla presenza salvifica di Dio in esse...
Facevo presente che questa funzione della religione cristiana, di offrire un orizzonte altro nei casi estremi, è riconosciuta positiva anche dalle scienze antropologiche, sociologiche, psicologiche... Se però tu citi le interpretazioni personali di Girard, allora dovresti studiarti la polemica che G. Vattimo istituì con lui, riguardo a ottimismo e pessimismo. A volte Girard, scommettendo troppo sulla prospettiva scientifica antropologica, cadeva nel pessimismo, in interrogativi che il credente non deve porsi (lui si rivolse anche alla fede, ma ritengo senza tanta consapevolezza). La sua descrizione dell'elemento demoniaco era tragica per via del fatto che non aveva soppesato abbastanza il valore delle affermazioni teologiche. Da una parte egli faceva bene a dire: nei Vangeli e nelle lettere paoline c'è una realtà antropologica ancora compromessa con la violenza... Dall'altra è facile capire che i Vangeli sono annunci, non indicazioni di un presente "tutto ok". Il significato teologico delle lettere paoline è altro e così pure la vera convivenza cristiana che quelle lettere ritraggono... Eccoti allora questo invito: studiatelo meglio Girard, ma non solo, studia meglio tutte le questioni che riguardano la sua scienza.

Che senso ha che tu mentre mi tacci di pensare meccanicisticamente, poi sopravvaluti ed estendi oltremodo il funzionamento-macchina? Hai mai pensato di riflettere attentamente su certi risvolti che metti in campo con le tue repliche? L'interdisciplinarità, lo dice la parola stessa che contiene il prefisso "inter", non è una inesistente intradisciplinarità. Il fatto che domini la malasanità che deforma tutti i concetti non è una disconferma di questa distinzione. Non esiste alcun "uomo-macchina". Esistono funzionamenti del nostro corpo in analogia a quelli delle macchine, ma non sono neanche i fondamentali. I falsi fisiologi che stressano i corpi per fare esperimenti anziché esperienza tengono molto ad ottenere risultanti che fanno sembrare l'uomo una macchina. In realtà sono imitatori dei fisici, imitatori che non vogliono capire che una scienza quale la fisiologia è già di per sé logica, senza bisogno di fare cavie (peraltro finanche i sassi andrebbero rispettati e non lo sono abbastanza negli ambienti della scienza e della tecnica). I presunti dati che dimostrerebbero l'uomo-macchina sono tratti da condizioni artefatte che costringono i corpi a comportarsi come macchine. Anche qui, il rimando è dunque alla criminologia.
Tu pensi esistente "l'uomo-macchina" e quindi vedi nelle dinamiche di repressione dell'istinto un meccanismo... Dovresti prendere coscienza delle tue proiezioni psicologiche invece di andar gettando discredito immotivato... Comunque ripeto: i rapporti tra istintualità e razionalità studiati dagli antropologi non sono dinamiche psicologiche, ma eventi fisiologici e psicologici. Insomma un'altra questione e il lettore avveduto saprà capire che voi sorvolate sui discorsi del prossimo senza intenderli e tentando di forzarne le dichiarazioni. Se tu senti un'affermazione, inutile fingere che sia vuota. Le affermazioni non sono semplici detti.

Peraltro, tu attui uno sviamento nel riproporre la dimensione psicologica quale centrale (mostrando che con l'antropologia vuoi  scherzarci, non prenderla sul serio).
Il mondo è pieno di positivisti: antropologi che pensano che la scienza dell'uomo è la migliore perché è quella centrata su noi stessi... psicologi che pensano che la loro scienza è la migliore perché è centrata sulle premesse mentali... fisici assai accreditati che pensano che la loro scienza è la più scienza di tutte perché essa studia la "natura", la physis... Il fatto è che gli antichi greci parlavano dialetti e in realtà lo statuto della fisica non è veramente quello di studiare ciò che noi oggi intendiamo per "la natura". Esiste infatti anche la natura della mente, una naturalità delle pure energie psichiche, come potrebbero intuire vagamente i chimici se interpretassero i loro studi senza ulteriori illazioni (la chimica non è una fisica ammezzata)... Insomma l'uso che voialtri vorreste fare della psicologia non è proprio consono e neppure quello che vorreste fare di altre scienze, della fisica in particolare.
Io dicevo di decadenza... Inutile mettersi a cambiare discorso e parlare di condizione naturale, esistenziale, di passaggi nella angoscia...
Sarebbe vero ma in un certo senso che evidentemente ti sfugge, altrimenti non ci sarebbe stato lo sproposito delle tue citazioni. Dicevo che una crisi antropologica, che appunto non è psicologica ma riguarda l'interezza del nostro essere, non potrebbe mai esser còmpito di medici e psicoterapeuti e lo stesso antropologo non saprebbe fare altro che dare la sua osservazione ultima (non una diagnosi) ma non risolutiva... A questo punto, dato che tale crisi accade proprio in una situazione socialmente irrecuperabile, il ricorso ad altro è l'unica via possibile. Questa via sarebbe, a detta di chi ha pregiudizi nei confronti di religione e spiritualità, la strada del cretino o del pazzo; eppure dicevo che sociologia, psicologia, antropologia sono concordi nel notare la utilità dei culti religiosi e delle attività spirituali... Per questo la teologia cristiana, nel considerare la Trascendenza e la funzione salvifica che - oltre la scienza e senza dipendere dalla filosofia - si può intuire in essa, è il giusto sèguito. Le bassezze e gli errori diffusi nelle religioni si ritrovano in forma peggiore anche fuori di esse.




MAURO PASTORE
#274
Citazione di: daniele22 il 16 Febbraio 2022, 18:33:07 PMRiporto qui un estratto da un riassunto tratto dall'Abc della relatività di B.Russel:
"Prendiamo un uomo che cammina per la strada e viene sorpassato da un automobile. Supponiamo che in quel punto della strada vi siano parecchie persone, alcune a piedi e alcune in auto. Tutte procedono a velocità diverse e chi in una direzione e chi in un altra. Dico che se viene emesso un raggio di luce dal punto dove si trova tutta questa gente, dopo che sull'orologio di ciascuno sarà trascorso un secondo, le onde luminose si troveranno a 300.000km da ciascuno di loro per quanto non siano più tutti nello stesso posto. Quando il vostro orologio avrà scandito un secondo, il raggio luminoso sarà a 300.000km distante da voi; e il raggio sarà sempre a 300.000 anche dagli altri, persino a chi va in direzione opposta e che il suo orologio abbia scandito sempre un secondo (supponendo due orologi perfetti). COME PUO ACCADERE?
Il solo modo di spiegare simili fatti è di supporre che gli orologi vengano influenzati dal moto. Non si intende dire che vengono influenzati in maniera tale da potervi rimediare ma è qualcosa di molto più fondamentale."
Mi piacerebbe sentire qualche vostra opinione in merito a questa specie di enunciato con premessa e conclusione

Russell, ponendosi sul piano delle misurazioni (orologi) attua una tattica di aggiramento del significato fondamentale. Il dato è questo: a seconda della velocità del movimento mutano le scansioni delle dinamiche della massa. Per conseguenza, a velocità immensamente differenti corrispondono cronologie reciprocamente non coincidenti. Un astronauta che viaggia a velocità prossime a quelle della luce non vive più o meno tempo, ma il suo tempo non corrisponde ai tempi di quelli rimasti a velocità ordinarie. Quando l'astronauta ritorna la sua età e quella degli altri non sono più nello stesso rapporto prima del viaggio.
Se invece focalizziamo l'attenzione e basiamo l'interpretazione sulla misurazione del tempo e non a quanto viene scandito cronologicamente, la Teoria della Relatività viene sostituita con l'indicazione di una astrazione e la tecnica derivatane si spiega diversamente: non dal dato veritativo alla potenza dell'azione, ma da un linguaggio a un potere... che si rivela falso! Infatti così la nozione di scienza è perduta. E' la tendenza attuale: dalla tecnoscienza si va verso la perdita della scienza. Un disastro se si vuol coinvolgere tutti in questa cecità; giacché al capolinea, passate coincidenze favorevoli, c'è anche la fine della tecnica. Molti ma non tutti meritano questo destino.
Per chi abituato a pensare che la realtà è tanto "normale", la fisica della relatività (spaziotemporale) è uno scoglio insormontabile.

MAURO PASTORE
#275
Storia / Re: Santa Madre Russia
14 Novembre 2024, 08:32:21 AM
Citazione di: InVerno il 02 Novembre 2024, 22:09:15 PMÈ senso comune che la scoperta e colonizzazione di "nuove" masse continentali ha cambiato la società di tutte le nazioni europee che hanno partecipato, che la mia descrizione dei fatti sia materialista non significa che sia Marxista..
Il materialismo non può definire la formazione di nazioni, popoli, etnie, società. Senza considerare le disposizioni e risorse interiori non si può raccontare neanche dei russi e della Russia. Nello spiegarne la nascita col commercio delle pellicce, se ne sta disconoscendo l'identità. Marx lo aveva fatto con l'intero Occidente, illuso che lo schema proletariato/borghesia, ottenuto col rovesciamento del sistema hegeliano, avesse mostrato un difetto strutturale. Se diciamo della Rus' di Kiev e di Russia stiamo dicendo anche di Occidente non solo del Nord; e se si fa dipendere la storia ed esistenza russa da un commercio, si sta accusando i russi di sfruttamento e inautenticità, di capitalizzare l'intera vita. Si finisce così per escludere dal giudizio solo il còmpito di avere una prole, la quale poi dovrebbe liberarsi del passato, di ciò ritenuto soltanto apparenza russa, una chimera. Infatti le masse comuniste e totalitarie nella Unione Sovietica volevano sostituire i russi e far corrispondere ai nomi tutt'altro.
L'impatto del marxismo varia da nazione a nazione.

MAURO PASTORE
#276
Citazione di: niko il 02 Novembre 2024, 22:20:54 PMIl dolore, andrebbe accettato solo in vista di un piacere maggiore, o dell'evitamento di un dolore piu' grande, o in ultimo in vista della morte, la quale, similmente al piacere, e' limite al dolore.

Il resto e' noia.


Non avevo contraddetto questi tuoi principi. Spesso ad altri cristiani ho fatto notare che bisogna porre attenzione al piacere, perché la rinuncia a un piacere non deve essere mai fine a sé stessa ma è accettabile quando dopo c'è un piacere più grande. Non esistono religioni che realmente contraddicono questo.
Tuttavia va precisato che l'essere umano non può trovare la felicità semplicemente soddisfacendo i piaceri. Questi vengono quando si realizza il proprio autentico destino ma se sono elevati a scopo si perde felicità e con essa gli stessi piaceri.
Insomma il nostro modo di rapportarci all'istinto e ai piaceri non è quello di assecondarli, ma di corrispondere agli istinti e di collocare il piacere non solo nel presente, prospettando anche il futuro.
C'è anche la questione dei veri e falsi piaceri. Esempio: uno che sopravvive a una sciagura ma che per far questo ha lasciato morire tante persone che avevano vissuto meno di lui e che avevano molto più da prendere dalla vita di lui, troverà tanto autentico piacere continuando ad esistere? Infatti esistono dolori silenziosi, cupi; e piaceri appariscenti ma quasi inconsistenti. Se poi consideriamo la realtà delle rinascite, allora il quadro è completo.
Certo un dramma, una tragedia, sono quello che sono. Difatti l'esempio storico di Gesù di Nazareth vale in quanto con esso accadeva la Rivelazione. La verità dell'uomo che si manifesta attraverso la verità di Dio non è ritratta dalla biografia del Nazareno. Nel cristianesimo la funzione allegorica, il dire altro, è fondamentale; se dall'aspetto mitico del linguaggio biblico si passa alla costruzione di un mito vero e proprio ecco che accade un disastro, sia perché si resta al tentativo, sia perché si esalta un incubo.
Le critiche e i giudizi sono disastrosi se dati senza accortezza, fraintendendo e facendo leva sulle ignoranze o incapacità di tanti credenti o sulle sciocchezze proclamate dai falsi credenti. Vale per tantissimi questo discorso.

MAURO PASTORE
#277
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
13 Novembre 2024, 10:12:31 AM
Citazione di: green demetr il 11 Novembre 2024, 17:33:16 PMVi sono diverse letture della psicologia dell'inconscio.
Ad un livello meramente di scelta, uno è liberissimo di scegliersi un terapeuta junghiano.
Quindi non si tratta di opposizione ma di diversità.
Quello che non siamo ancora riusciti a fare è trovare un dialogo sulle posizioni diverse.
E certo che se l'unica posizione possibile è quella di jung, è difficile.
Se vuole dialogare su qualche posizione di jung anzitutto dovrebbe esporcela brevemente se possibile, e poi possiamo rispondere.
Ma a me la discussione pareva di carattere generale, poi come vuole Lei.
Per quel poco che ho capito è che lei vorrebbe estendere le posizioni diverse mettiamo di un Freud ad un materialismo non meglio identificato.
E' bizzarro visto che la psicanalisi è uno delle grandi tematiche che mettono in discussione proprio il materialismo.
Questo se parliamo di teoria psicologiche-filosofiche.
Per quanto rigurada le cure, big pharma o meno, è una questione anzitutto familiare, cioè di chi con questi pazienti difficili (parlo naturalmente dei casi gravi) ci deve convivere, il farmaco è necessario.
Togliere l'opzione farmacologica solo perchè qualcuno ci marcia sopra non mi pare una cosa bella.
La tematica non si risolve certo qui, in quanto vi sono i diritti della persona, vedi le battaglie di Basaglia.
Ma almeno abbiamo i fattori comuni per un sano discorso critico, e visto che siamo su un forum, possibilmente un dibattito, anche fra persone semplici come molti di noi sono.
Salve.

La scienza psicologica non è realmente divisa. La valutazione della psicoanalisi freudiana attuata da Jung non è questione di preferenze soggettive, le quali ovviamente vanno rispettate ma senza pensare che una prospettiva ridottissima, come quella freudiana, non sia tale.
Riguardo al materialismo di cui dicevo, ero stato chiarissimo: esso impedisce una completa cognizione di psicologia e psichiatria, con tutte le conseguenze del caso. In uno dei miei messaggi dicevo dei "passi da gambero", cioè all'indietro, di Freud che a un certo punto della sua carriera aveva iniziato a remare contro gli stessi risultati da lui raggiunti.

Quanto alla sua risposta sugli psicofarmaci, si commenta da sola tanto è fuori posto ma purtroppo è esemplare di una vasta realtà. Se ci sono problemi di convivenza familiare con un malato, questi vanno risolti agendo sul problema, cioè tramite un intervento psicologico sulla famiglia o, nel caso si tratti di ignoranza e incapacità, istruendo i familiari sul da farsi. Nella attuale società gli stessi operatori del settore sono perlopiù ignoranti e incapaci, anzi c'è da dire che ci sono proprio accanite prevenzioni e pregiudizi. Se si ammette questo, si nota che gli interventi psicologici non sono una chimera ma sono assai avversati; e ovviamente è assurdo rimediare facendo assumere farmaci che in tal caso hanno effetto illusorio, che cioè vanno a raddoppiare le difficoltà reali che si devono affrontare.

Quest'altra cosa poi si deve dire, visto che molti guai dipendono dal capriccio attuato verso il numinoso presente nella mente di ciascun essere umano: invece di prender per scemi i credenti, si dovrebbero considerare le superstizioni atee. Io so per esperienza (anche da una osservazione accorta dei messaggi dei media) che negli ambienti atei il medico è trattato come un sacerdote fino al fraintendimento e poi all'incomprensione. Per esempio si finge che la persona del medico ne sa come se stesse al posto della persona del paziente, si pensa che le scienze che usa hanno senso solo per lui... È stato giustamente detto invece (tanto per fare un esempio) che i più grandi esperti di psicoanalisi non sono stati i medici ma i critici letterari e non c'è da ridere su questo, perché l'àmbito tecnico fa utilizzo della scienza direttamente applicandola e ciò è un limite enorme. Per tale ragione molti medici, nonostante le gigantesche presunzioni e le apparenze ostinate, di inconscio, rimozioni, manifestazioni, archetipi, supercoscienza e quant'altro ne sanno solo in funzione delle loro applicazioni, incapaci di farsi idee appropriate su dati e su teorie. Per tale ragione era più utile, per capire a fondo cosa fosse un archetipo, ascoltare qualche discorso del grande artista del cinema F. Fellini che non le pubblicazioni di Ernst Bernhard, il grande maestro del pensiero junghiano italiano e noto psicoterapeuta. Per la stessa ragione tante affermazioni di Jung sulla filosofia anziché chiarire confondono: la sua formazione medica pesava molto sulle sue comprensioni. Il caso di Freud è ancora più estremo, così come quello di tanti freudiani e postfreudiani: non riuscirono né riescono a pervenire ad interpretazioni corrette della nozione di inconscio. Può sembrare assurdo, ma va detto che della sua riuscita ricerca Freud non ne seppe pensare mai niente di sufficiente. Molti lo inseriscono nella storia della filosofia non volendo prendere atto delle conseguenze della scoperta dell'inconscio e trovando nella sua assurdità e disastrosità contro la cultura un prezioso alleato. Il fatto è che esiste anche la cultura della scienza ed anche àmbiti culturali ad essa superiori; e pendere dalle labbra di medici e altri operatori del settore è una pessima idea, soprattutto considerando qual è lo stato delle cose: negli ambienti sanitari tanti passano più tempo a rinforzare prevenzioni e pregiudizi che a farsi una ragione della evidenza. La stessa pazzia è in realtà un falso problema; anzi più precisamente si dirà che ciascun animo umano ha sempre il suo lato folle; ma questa saggezza non fa veramente parte del mondo ufficiale della "sanità". Che certi malati assieme a medici e a relativa compagnia facciano commedia diversa, questo è competenza della autentica criminologia, come pure l'abitudine di certuni a snocciolare diagnosi fasulle dopo essere stati còlti in fallo.
Delle intromissioni della malasanità ne stanno soffrendo gli Stati politici; fu addirittura affermato che prima delle due guerre mondiali fu per azione di sedicenti medici che si crearono gigantesche incomprensioni; svariati anni orsono fu reso noto un dossier dove si diceva che la mancata informazione sanitaria giusta aveva impedito alle autorità statunitensi di mettere fuori légge la bomba atomica. Ultimamente la malasanità in Occidente ha tentato di fare scambiare Putin per un pazzo e lo stesso Biden aveva fatto suo questo disgraziato e falso parere medico...
E vaste moltitudini continuano a fare violente commedie invece che darsi una svegliata, supportati da sedicenti professionisti tutti illusi che la terapia e la guarigione o peggio la medicalizzazione o la stessa medicina siano una prevenzione contro violenza, guerre, crimini sociali, suicidio. Lo stesso Freud ci si era letteralmente inebetito. I veri studi psicologici affermano che una terapia può concorrere volutamente al suicidio (Hillman), che l'aggressività e la bellicosità sono ìnsite nella mentalità umana (Hillman, Assagioli)... Ma si sono veduti drappelli di medici e infermieri assieme a un sèguito di agenti (certe volte pure i pompieri) presentarsi con aria da messia religiosi, cercando di aggirare la cosiddetta légge Basaglia... e purtroppo ci riescono ancora adesso.
La vera filosofia non viene a patti con queste aberrazioni; sono tanto estreme da non essere compatibili neanche con un briciolo di filosofia. La stessa scienza psicologica, metodo psicoanalitico compreso, nei suoi autentici dati non ne contiene. Inutile scongiurare che l'inconscio sia "un'invenzione" e vantare di avere tanti lettori al sèguito.


MAURO PASTORE
#278
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
11 Novembre 2024, 16:37:51 PM
Citazione di: PhyroSphera il 02 Novembre 2024, 21:06:58 PMIo la invito a non continuare nelle sue illazioni. Io non mi sono mai rapportato alla psicoanalisi per diletto e non fa nulla che non svolgo le mansioni che lei dice. Data la situazione che c'è, i miei messaggi sono o sarebbero salvifici e sono io a dovermi lamentare di scarsa serietà da parte vostra. A volte una operazione culturale come la mia è più che recarsi a fare corsi di formazione senza essere riusciti a chiarirsi delle cose necessarie.
Comunque lei evidentemente intende le parole in modo peregrino. E' una cosa estremamente comune purtroppo al giorno d'oggi. Se non erro ne scrissi su questo forum: dopo Marx ed Engels in Occidente è in atto un gigantesco travisamento linguistico. Fisica, corpo, materia, vengono assimilate a completezza, totalità, tutto. Si tenta di instaurare un regime anche linguistico, nonostante la Guerra Fredda sia finita da un pezzo;  e psicologia e psichiatria ne sono penalizzate. Per materialismo molti professionisti si dedicano alla farmacologia senza riguardo per la precedenza della psicoterapia. Il fatto che sia questo il metodo principale e risolutivo è dimostrato dagli studi di psicologia analitica. E' inutile che lei vanta attività a fronte di un invito a comprendere. La filosofia le dovrebbe servire per aprire i suoi orizzonti, non per chiudere quelli altrui.
Inutile che lei sfodera dei concetti senza rapportarli alle loro matrici culturali. Non per insensibilità, ma per saggezza, le dico assai seccamente che tanta passione per gli psicofarmaci e sfiducia nella psicoterapia e nei progressi delle relazioni e comunicazioni dipende da alcune premesse culturali: una certa mentalità dell'ebbrezza e dell'emozioni forti e artificiali... insomma la cultura della droga. All'interno di questa cultura, o per meglio dire subcultura, si possono poi studiare "pattern" e quant'altro, ma restando sempre a girare entro gli stessi limiti, troppo grossi. Voi avete dalla vostra parte un intero establishment, ma è un'industria che dovrebbe abbandonare il "prozac" e il resto con esso al suo destino e provare a coltivare piantagioni di camomilla e affini. La vostra insistenza a smentire discorsi necessari è un disastro umanitario. Questo vale a maggior ragione se vi si trova a raccontare di attività specifiche nel campo. La difficoltà della situazione impone agli operatori del settore di essere umili e di non controbattere senza riflettere alle comunicazioni che io ho fatto e che altri potrebbero fare.


MAURO PASTORE

Al di là dell'autoritarismo mòssomi contro con appelli ad attività svolte e a lasciar perdere, non si trova nei detrattori dei miei messaggi neppure una sola obiezione centrata; si trova invece una gigantesca ignoranza e fraintendimento su stato delle vere scienze e su rimedi propri e impropri. Inutile opporsi ai risultati della ricerca psicologica sull'inconscio, negare lo statuto e còmpito propri della psichiatria, distrarsi dalla osservazione semplice di una diffusissima e inopportuna cultura delle droghe e di un materialismo che distoglie dai veri studi medici cònsoni. Inutile e anche oltremodo disonesto tentare di usare la prospettiva del Mistero e di Dio dell'interlocutore per dargli torto.
Chi ha tentato di contraddirmi vada a rileggere i miei messaggi, non solo questo sopra, e la smetta con l'usare i sofismi per convincere il prossimo a essere superficiale o peggio col disagio e la sofferenza psichici.


MAURO PASTORE 
#279
Riguardo ai libri sacri...
Maometto diceva delle genti del Libro. Indubbiamente solo l'Islam è centrato sul libro, ma le moltitudini degli ebrei e dei cristiani pure ne fanno riferimento fortissimo.
I libri sacri dei monoteismi non sono prontuari. Al contrario, necessitano di previa o immantinente disposizione, altrimenti rimandano al lettore le proprie stesse mancanze.
La teologia cristiana dice di un evento Cristo. I Testamenti biblici ne sono in relazione. L'Islam invece si identifica nel Messaggio del Corano; ma si tratta di un significato riposto. L'ebraismo avvalora i propri testi sacri entro l'appartenenza all'Alleanza di Dio col suo popolo. Nel giudaismo questo può essere una varietà di genti e storie. Mi risulta che nel Medio Evo i kazaki fossero divenuti un tale popolo, ma senza confluire nella vicenda degli ebrei antichi (mi risulta che attualmente siano musulmani, altra vicenda). Ugualmente, i Testamenti biblici non implicano la confluenza nelle vicende che li rappresentavano. Per il Corano è uguale. V'è stato più di un Maometto (non è questione di omonimia), si sa che nell'Impero Ottomano nulla era lo stesso e nella odierna Turchia le donne accedono alle moschee.
Inutile prendere esempi cattivi giudicando le fedi; ci si confonde soltanto.


MAURO PASTORE 
#280
Citazione di: Visechi il 23 Ottobre 2024, 00:12:00 AMLa tua replica non è commisurata al mio messaggio, giacché essa si basa su una riduzione psicologica:
 
Volendo ci si può anche astrarre dall'indagine psicologica (fraintendi, io alludo ad una psicologia delle masse, non ad un'analisi coinvolgente in modo esclusivo l'individuo, da qui il tuo equivocare).
Potremo 'limitarci', se vuoi, ad approcciare il tema rivolgendoci alla letteratura (Dostoevskij, Leopardi ti può aiutare, soprattutto se letto da Severino), oppure alla sociologia, ma anche l'esegesi di testi a carattere religioso tanto raccontano del fraintendimento di fondo che informa il tuo vagolare nell'erto cammino della comprensione umana, soprattutto in un campo nel quale ho la sensazione che ad accompagnare ogni tuo passo sia il dogmatismo ideologico, e non il buon senso o l'avvertita intelligenza.
Ma anche una più attenta lettura di quel che provi maldestramente a confutare – invero un tantino in modo spocchioso, ma non ce ne faremo un cruccio – ti potrebbe aiutare a comprendere che io sostengo che la precarietà, l'insicurezza e la sofferenza sono la cifra e il segno della vita dell'uomo, dacché fece la prima comparsa sulla terra (in grassetto così richiama la tua attenzione ed aiuta la comprensione). Non è dunque vero ed ammissibile attribuirmi un concetto che io mai ho espresso nei termini da te riportati: "non per sostenere che la precarietà umana non è veramente tale, come fai tu".
L'uomo è scaraventato fin dalla nascita e fin dai primordi in un ambiente ostile che ha dovuto addomesticare e piegare ai suoi bisogni. Non ha mai percepito l'ambiente naturale come un Eden, bensì come un teatro di scontro e guerra, conflitto che deflagra in tutta la sua sofferenza nell'intimo di ciascuno di noi. Nessuno è preservato dalla propria Notte oscura dell'anima. Il Polemos greco è la traduzione in versi tragici proprio di questa cruenta battaglia in cui il Male contende il cuore degli uomini.
"Mio Dio... perché?" È anche il titolo di una raccolta di brevi quanto profonde riflessioni dell'Abbè Pierre, il fondatore di Emmaus. È opportuno leggere con attenzione ed animo scevro da pregiudizi... si tratta di un cattolico morto non troppo tempo fa, alla veneranda età di 93 anni, quasi tutti dedicati ad inseguire un sogno... il suo sogno, concreto quanto astratto, vero e reale, quanto onirico e chimerico: combattere il Male (lui lo scriveva con l'iniziale maiuscola) e la povertà.
"Ho appreso di recente che sulla terra sarebbero vissuti circa ottanta miliardi di esseri umani. Hanno avuto un'esistenza dolorosa, hanno penato, sofferto... e per che cosa? Sì, Dio mio, perché?"
Si può subito notare che non esprime solo una domanda, afferma che hanno patito, che hanno sofferto; egli è certo che abbiano penato. Poi si rivolge al Padre definendolo 'mio'. L'Abbè Pierre era un innamorato del Padre e lo definisce 'mio'. Mio quanto può essere 'mio' per chiunque del Padre sia innamorato. Resta inteso che ci si può innamorare anche di un'illusione. A Lui si rivolge, a Lui domanda... credo non fosse insensato rivolgere a Lui, al Padre 'suo', la domanda... si chiede perché, per quale motivo abbiano sofferto. È così peregrino e stupido farlo?
Prosegue:
"Mio Dio, fino a quando durerà questa tragedia? Nei catechismi di tutte le religioni si dice che la vita ha un significato. Ma quanti uomini e donne, su decine di miliardi, hanno potuto scoprire tale significato? Quanti hanno potuto prendere coscienza di una vita spirituale, di una speranza? Quanti altri al contrario hanno vissuto come animali, nella paura, schiacciati dagli imperativi della sopravvivenza, nella precarietà, nel dolore della malattia? Quanti hanno avuto la fortuna di meditare sul significato dell'esistenza?".
L'Olocausto stesso, i genocidi, le tragedie umane attestano lo stato di precarietà in cui siamo immersi. Dove vedi ottimismo se non all'interno e nell'ambito dei tuoi fraintendimenti?
Questa precarietà è fortemente incisa a chiare lettere anche nel Libro più bello del mondo. Dio ha revocato il dono già una volta e più volte è intervenuto perché pentitosi della sua opera. Le tradizioni dei popoli arcaici attestano, a fortiori, questo stato di precarietà: l'intero paradigma del capro espiatorio ed il connesso meccanismo di vittimizzazione sono testimonianze preclare della percezione della precarietà della condizione umana.
Ed è proprio questo senso di insufficienza e di instabilità che inclinano l'uomo verso una trascendenza che offra riparo dall'abnorme che ci circonda. Non è una necessità (di una necessità non potresti farne a meno... invece), ma una propensione che è pretesa proprio dalla coscienza dell'autosufficienza (anche qui mostri di non aver capito ciò che ho scritto). Il richiamo della Trascendenza è niente di più che un appiglio cui l'uomo si aggrappa in assenza di certezze. Ma è un invocare che ancora una volta non disegna un orizzonte solido che garantista dal caos e dal Nulla.
Affermare che l'uomo si salva o si danna da sé non può indurti ad affermare che sosterrei l'autosufficienza dell'uomo. No! Non è così. L'uomo, dopo aver decretato la morte di Dio, dopo che la Shoa lo ha definitivamente inquisito e condannato si è ritrovato solo con sé stesso, a dover fare i conti con sé stesso e le sue determinazioni. Condannato a vivere ed a costruire sé stesso confidando in sé stesso. Deve assumere in sé l'improbo compito di riappropriarsi della sua libertà – per troppi secoli consegnata alle e nelle amorevoli mani di istituzioni (in special modo monoteiste) che hanno preteso e pretendono, ancora oggi, di attingere la propria autorità affondando mani e gomiti lordi di sangue entro una sacralità utile solo come alibi per gestire uno sporco potere di subornazione delle masse. La fatica di vivere è proprio l'immenso lavoro di ricostruire sé stessi come umanità (da qui la forza e l'importanza della relatio) cacciando i grandi inquisitori ancor oggi presenti ed urlanti. Oltre e dopo Dio c'è l'uomo... l'uomo solo che dispiega sé stesso e costruisce il senso della propria esistenza (ancorché fruibile e fittizio, almeno quanto quello che si fonda sulla fede di un Dio otiosus o absconditus) a prescindere dall'inganno della trascendenza cui l'animo umano spontaneamente tende, Siamo condannati a costruirci giorno per giorno, questo è l'impegno che attende ciascuno di noi. Solo così l'essenza dell'uomo si sostanzia, solo così l'agire e le opere assumono il significato che nutre di senso l'esistenza... seppur effimero (il senso).
 
Pensare anche a Dio non significa essere infantili.
 Questa tua puntualizzazione, in assenza di accusa (almeno da parte mia – mai mi sognerei di sostenere o pensare un'idiozia simile) denuncia una excusatio non petita.

 
 
la fede è in un modo o nell'altro necessaria alla vita
Parrebbe che le scienze siano propense a sostenere proprio quel che ti affanni ad affermare tu, con grande enfasi ed un eccesso di spocchia. Ma ciò racconta solo della carenza innata dell'animale uomo e della sua tensione verso un approdo che consenta sicurezza e certezze. La fede in Dio offre la stessa stabilità che può conseguirsi in una fede priva di trascendenza (a te lascio immaginare quali e quante fedi che non attingono alla trascendenza possano esserci). Quel che il tuo ideologismo dogmatico non ti consente di vedere, o anche solo valutare come possibilità, è che l'utilizzo di un dio alla stregua di un farmaco (questo in soldoni proponi e, per certi versi, prometti) lo desacralizza, lo priva del ctonio, del luciferino, dell'ineffabile che impregna l'area del sacro entro cui neppure l'orma di un piede può essere impressa, è, in poche parole, un'offesa al dio.
Senti, io ho detto che la crisi antropologica non è una malattia, perché tu scrivi che per me Dio è come un farmaco? Ho detto, fatto capire che l'affermazione dell' autosufficienza umana è una forma di disastroso ottimismo. La fede in Dio non nega le difficoltà del mondo, chi nega la necessità di questa fede non ha capito le reali difficoltà del mondo e si autodestina a una varietà di guai e disastri.
Inoltre tu dici di precarietà e fai l'esempio del capro espiatorio, cioè confondi la trasgressione della colpa e del delitto (di una falsa attribuzione e di una azione cieca e violenta) con le fatali difficoltà, che sono anche per la pura innocenza o l'ingiudicabilità. Il cristianesimo annuncia la crisi del meccanismo del capro espiatorio con l'esempio di Gesù di Nazareth e soprattutto la possibilità di una vita al di là di questa negatività, con l'esempio della fede nel nome di Cristo, cioè non nella vicenda di un messia umano.

Prova a fare ordine nei tuoi propositi filosofici e nelle tue conoscenze prima di lanciarti nelle tue incaute repliche. Dicendo di crisi antropologica e di rimedio teologico io faccio affermazioni vitali; non dovete abusare della critica. Questa ha i suoi limiti e voi forzandola diventate interlocutori assurdi.


MAURO PASTORE 
#281
Citazione di: Visechi il 20 Ottobre 2024, 22:41:24 PML'animale uomo agisce ed è agito in funzione di due moventi, istinto o emozione (che è assai più del semplice istinto) e ratio. Questi due moventi (tali sono, perché entrambi concorrono, spesso in disputa fra loro, a determinare l'agire umano) convivono all'interno della camera magmatica che offre loro ostello, in un equilibrio instabile e assai precario. Giacché siamo ANCHE e soprattutto animali di relatio, l'impegno che profondiamo quotidianamente, che altro non è che il vivere d'ogni giorno, è proprio cercare di mantenerli in equilibrio entro un range di compatibilità col mondo circostante.
La precarietà è praticamente la norma per l'essere umano, non un accidente, come mi pare tu voglia raccontarci. Fra l'altro, non capisco per quale motivo se l'istinto (continuerei a definirla sfera emotiva/sentimentale) dovesse essere soggiogato (utilizzi il verbo prevalere) dalla razionalità 'bisogna lasciarlo agire'. Perché mai e a qual fine... per recuperare un equilibrio 'rotto'? Direi che è assurdo. Né la psicologia né l'antropologia(?) – forse alludi alla psicologia sociale, che appunto dell'interazione fra individuo e sistemi antropici complessi si occupa – sosterrebbero una cosa simile.


Filosoficamente (e non solo) si può dire:
 che la sfera irrazionale precede e motiva quella razionale - così avviene la e  nascita dell'uomo, nell'irrazionalità, ma così è anche la genesi del pensiero, di ogni pensiero ogni giorno!;

Il fatto che la sfera irrazionale preceda e motivi (non sempre) quella razionale attesta e testimonia semplicemente circa la nostra primigenia animalità. Da questa quasi tautologia non puoi dedurne o inferire che l'innegabile naturale tensione (non una necessità) dell'animale uomo verso la trascendenza sia necessitata dall'esigenza di "trovare la possibilità di un autentico e favorevole agire umano nel mondo". Questa è una forzatura indebita ove il necessitante è necessitato in maniera ideologica.
In poche parole: il paralogismo testé evidenziato espone l'ideologismo a base e fondamento dell'intera tua requisitoria. Poco dopo, infatti, scrivi in maniera spericolatamente assertiva che "la dottrina teologica nota..." la necessità di un'inclusione che solo una radicata ideologia (non fede) può notare, poiché indimostrata ed indimostrabile. Dio non è necessario per dare senso e direzione giusta alla nostra vita. Troppe biografie smentiscono categoricamente questa assurda pretesa ideologica. L'agire umano si "salva (e si danna) dal non senso" da sé, senza alcun bisogno di ricorrere ad entità soprannaturali, che nella tua algida esposizione appaiono (appare) come un tappabuchi voluto e preteso non da un sommovimento emozionale, ma da una ratio indagatrice che, seppur negandolo, tende ad escludere o tacitare il caos in cui e da cui siamo generati. Quel che tu pensi come 'impossibilità di vivere' (in chiusura del tuo intervento) che chiama Dio e la fede a garantirci dal Nulla entro cui saremmo destinati a sprofondare, è sempre e solo frutto del paralogismo che lo genera e che lo tiene in piedi.


Te ne scrivo un'altra, di risposta.

Il lettore può prendere atto che tu non hai mai compreso cosa sia una prospettiva antropologica e una scienza antropologica. Non ti commisuri alle mie affermazioni. Io non avevo fatto ontologia col mio messaggio; non ho mai detto che la necessità di Dio imponga a tutti una religione o di affidarsi in un tempo specifico o da prima a Dio. L'Assoluto agisce sul relativo anche a prescindere dalle decisioni che provengono dalla sfera del relativo.
Dicevo, antropologicamente, di istinto mortificato che deve esser lasciato libero per compensazione. Non si tratta infatti di trovare un bandolo con la psicologia, ancor meno con la psicoterapia, se il dissidio riguarda la totalità psicofisica. L'istinto represso, in tal caso, ha bisogno di prendere il sopravvento. Ciò non significa una soluzione ai problemi della nostra vita; significa anche incapacità a continuare ad essere civili e ovviamente non c'è garanzia che si possa fare i primitivi senza morire. In definitiva se c'è una crisi antropologica totale c'è un'ambientalità che ne crea le condizioni perché l'uomo da sé non si mette nei guai fino a tal punto; per questo nel caso estremo il ricorso alle relazioni col mondo peggiora tutto. Allora cosa resta? L'ulteriorità. Lo scientista resta fisso a pensare le cose ultime senza riconoscere che sono un adito. Lo scienziato non nega né afferma qualcosa di ulteriore; il filosofo lo attesta metafisicamente, cioè in astratto pensa un Assoluto. Teologicamente si può riconoscere questa ulteriorità diversa dal nulla, dal vuoto, anzi colma di possibilità vitali. La trascendenza pensata così non ha nulla di insostenibile; i negatori della trascendenza intesa come una cosa separata sono allo stesso tempo quelli che la hanno affermata: come te.
Tu dici di un irrazionale retaggio della nostra presunta origine bestiale (perché non vuoi chiamarla così, se così credi?). La scienza e la filosofia autentiche parlano di un irrazionale originario, non originale. Nella umanità non c'è alcun resto bestiale: lo nega la Teoria psicologica degli archetipi, la fisiologia che trova una incompatibilità di fondo tra umanità e non umanità... E l'antropologia basterebbe da sola a dimostrarlo, con la propria esistenza, possibilità; tanto che tu, con la tua prevenzione evoluzionistica non ne vuoi proprio concepire. Studiare l'uomo non significa studiare un poco anche le bestie.

MAURO PASTORE
#282
Storia / Re: Santa Madre Russia
02 Novembre 2024, 21:18:33 PM
Citazione di: InVerno il 28 Ottobre 2024, 02:04:33 AMNo, Roma non è un luogo è un idea, infatti ho parlato di Atlantide, non ha lo stesso carattere monistico di utopia, c'è anche la distopia in Roma, ma è comunque un idea. Curiosamente gli ultimi a reclamarne l'eredità furono gli ottomani, quindi se dobbiamo star a sentire i discendenti, l'ultima Roma è finita con la prima guerra mondiale! Quello che dicevo però di queste "seconde e terze" Rome è che necessitano per forza di cose che la prima sia caduta, e questo è secondo me il è fulcro del racconto, l'ideale di una rifodanzione da una caduta. Nel senso che nel sentire neoclassico il mito della  caduta di Roma ha quasi sostituito il mito della caduta dell'Uomo. Roma è "Pangea", da cui i continenti\nazioni si sono distaccati, la torre di Babele crollata.

Non ho mai sostenuto che il commercio delle pelli possa in qualche modo raccontare qualcosa della cultura dei russi moderni, ma il fatto che un evento economico abbia cambiato la struttura territoriale russa e abbia generato condizioni diverse di vita, tra cui espansioni politiche e compenetrazioni filosofiche, è un dato di fatto. Tralaltro riconoscerlo non è "marxismo" è senso comune. Egualmente, quando l'Europa scoprì l'america il mediterraneo divenne di secondaria importanza, e si crearono più zone con diverse condizioni di vita. Onestamente penso sia più utile che usare l'ortodossia come traccia, che nella società russa dell'ultimo secolo è un elemento veramente residuale, non si può far finta che il "ripulisti" sovietico non sia avvenuto. Questa al massimo sarebbe una bella domanda, si può rimettere in moto il motore di una religione spenta? Per quel che ho visto io, i risultati, direbbe un russo, sono da "villaggio Potemkin". Egualmente, rintracciare i russi fino alle tradizioni ed i modi vikinghi mi pare altrettanto azzardato, c'è una valanga di storia in mezzo e a meno di non essere specifici si rischia di lavorare un pò troppo di fantasia.

Anche al tempo della prima Roma era molto diffusa, sopratutto tra galli e cartaginesi, la "Romanofobia"..

Non è marxismo, è senso comune? Nel contesto dei messaggi che lei ha inviato, si tratta di una forma di materialismo storico, cinico e tendente al nichilismo nonostante le apparenze gaie; una eredità definibile marxista.

MAURO PASTORE
#283
Citazione di: niko il 17 Aprile 2024, 22:06:25 PMAccettalo te, amico, il "dolore", e vergognati, di fare del colonialismo culturale per imporre anche agli altri, di accettarlo.

L'unica cultura della morte e' quella di chi vuole negare i diritti e liberta'... soprattutto quelle acquisite.

Crogiolati dunque nella tua, di accettazione della croce e del dolore in questa valle di lacrime, e... fattela bastare.



Nella vita oltre al piacere c'è anche il dolore. Lo diceva Gautama Buddha, Gesù di Nazareth, e tanti altri lo hanno detto. Colonialismo è il tuo, che evidentemente oscilli tra spostamenti semantici e illusioni estreme.

MAURO PASTORE
#284
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
02 Novembre 2024, 21:06:58 PM
Citazione di: Jacopus il 31 Ottobre 2024, 11:15:25 AMMi spiace ribadirlo ma lei è sicuramente un dilettante se non svolge una professione di aiuto sociale o non insegna una materia di aiuto sociale o sanitaria.
Sull'uso degli psicofarmaci evidenzia tutto il suo dilettantismo perché ignora o finge di ignorare quelli che si chiamano "pattern comportamentali", per cui anche agire sul sintomo e non sulla causa ha un effetto benefico. Inoltre come ho già scritto un centinaio di volte l'intervento farmacologico da solo non è l'intervento migliore. Esso deve essere sempre accompagnato da un intervento multidisciplinare. Infine, io che mi reputo un dilettante, ho avuto a che fare, e continuo ad avere a che fare, con adolescenti che hanno serie problematiche mentali, oltre ad aver letto (mi tengo basso) un 400-500 libri di psichiatria, psicologia e pedagogia (oltre naturalmente ad aver svolto un notevole numero di corsi di formazione sull'argomento). Eppure umilmente (come voleva il cristianesimo) mi ritengo ancora un dilettante, mentre lei si ritiene uno specialista (il mondo all'incontrario direbbe un certo generale).

Io la invito a non continuare nelle sue illazioni. Io non mi sono mai rapportato alla psicoanalisi per diletto e non fa nulla che non svolgo le mansioni che lei dice. Data la situazione che c'è, i miei messaggi sono o sarebbero salvifici e sono io a dovermi lamentare di scarsa serietà da parte vostra. A volte una operazione culturale come la mia è più che recarsi a fare corsi di formazione senza essere riusciti a chiarirsi delle cose necessarie.
Comunque lei evidentemente intende le parole in modo peregrino. E' una cosa estremamente comune purtroppo al giorno d'oggi. Se non erro ne scrissi su questo forum: dopo Marx ed Engels in Occidente è in atto un gigantesco travisamento linguistico. Fisica, corpo, materia, vengono assimilate a completezza, totalità, tutto. Si tenta di instaurare un regime anche linguistico, nonostante la Guerra Fredda sia finita da un pezzo;  e psicologia e psichiatria ne sono penalizzate. Per materialismo molti professionisti si dedicano alla farmacologia senza riguardo per la precedenza della psicoterapia. Il fatto che sia questo il metodo principale e risolutivo è dimostrato dagli studi di psicologia analitica. E' inutile che lei vanta attività a fronte di un invito a comprendere. La filosofia le dovrebbe servire per aprire i suoi orizzonti, non per chiudere quelli altrui.
Inutile che lei sfodera dei concetti senza rapportarli alle loro matrici culturali. Non per insensibilità, ma per saggezza, le dico assai seccamente che tanta passione per gli psicofarmaci e sfiducia nella psicoterapia e nei progressi delle relazioni e comunicazioni dipende da alcune premesse culturali: una certa mentalità dell'ebbrezza e dell'emozioni forti e artificiali... insomma la cultura della droga. All'interno di questa cultura, o per meglio dire subcultura, si possono poi studiare "pattern" e quant'altro, ma restando sempre a girare entro gli stessi limiti, troppo grossi. Voi avete dalla vostra parte un intero establishment, ma è un'industria che dovrebbe abbandonare il "prozac" e il resto con esso al suo destino e provare a coltivare piantagioni di camomilla e affini. La vostra insistenza a smentire discorsi necessari è un disastro umanitario. Questo vale a maggior ragione se vi si trova a raccontare di attività specifiche nel campo. La difficoltà della situazione impone agli operatori del settore di essere umili e di non controbattere senza riflettere alle comunicazioni che io ho fatto e che altri potrebbero fare.


MAURO PASTORE
#285
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
31 Ottobre 2024, 09:52:46 AM
Citazione di: Jacopus il 30 Ottobre 2024, 14:00:37 PMGli psicofarmaci non sono affatto dei palliativi. Hanno un effetto fisiologico sui neuro trasmettitori implicati nelle varie malattie mentali, aumentando o inibendo la loro produzione.
Esempio: in caso di stress l'organismo produce cortisolo, che rende il nostro organismo più efficiente perché è all'erta, in una situazione di pericolo. Se lo stress diventa permanente anche la produzione di cortisolo lo diventa, e il soggetto fa circolare cortisolo in eccesso con effetti deleteri, poiché il cortisolo rende subito disponibili le riserve di zuccheri ma modifica le connessioni sinaptiche ed ha effetti di infiammazione dell'intero organismo, in caso di rilascio prolungato. Gli psicofarmaci SRI (inibitori selettivi della ricaptazione), tendono a bloccare la sovra o sottoproduzione di specifici neuro- trasmettitori implicati in alcune malattie mentali (la dopamina in eccesso nelle psicosi, la serotonina e la dopamina in difetto nelle depressioni, ecc.). Quindi è vero che non agiscono sulla causa ma possono svolgere una funzione di mantenimento in un range di buon funzionamento sociale. In caso di gravi disturbi si tratta di medicinali che vanno assunti anche per periodi molto lunghi di tempo o anche per sempre.

È comunque ormai confermato da molti studi di follow up che le "guarigioni" o i "miglioramenti" avvengono più frequentemente se si adotta un intervento multidisciplinare, farmacologico, psicoterapeutico e psico-socio-educativo.
Le vere dimostrazioni non si basano su statistiche ma accogliendo le dichiarazioni o manifestazioni dei pazienti. Tutta la descrizione che fai e che tanti altri anche sedicenti professionisti fanno riguarda stati di alterazione, lo psicofarmaco cioè crea tramite un'alterazione un equilibrio fittizio che sostituisce uno scompenso non negativo, quest'ultimo semplice specchio di un problema psichico, non veramente fisico. Gli psicofarmaci sono o fanno da droghe, non risolvono, sono più o meno nocivi, non è una cosa fatta bene il drogaggio che la malasanità ha attuato e attua massicciamente. Se uno va da un medico lo fa perché pensa di averne di più che un arrangio pieno di inconvenienti anche disastrosi; e la volontaria inettitudine di massa con il pathos dei malati è un crimine, non un indice di necessità.
In Costituzione italiana si promuove la cultura, la vostra ossessione ignorante è anche contro la Costituzione. Dovreste essere disposti diversamente verso il materiale che vi ho fornito.

MAURO PASTORE