Citazione di: Sariputra il 31 Dicembre 2016, 00:43:24 AMSe anche esistesse qualcosa come una "filosofia perenne", questa sorta di corrente mistica trasversale a tutte le forme umane di spiritualità, le sue realizzazioni resterebbero incomunicabili. Su quale base si potrebbe sostenere una simile ipotesi, visto che non è possibile comunicare con il linguaggio l'esperienza viva dell'Indescrivibile-Indescrivibile? Alla fine cosa resterebbe di una simile teoria sottoposta al vaglio della logica? Come possibile argomentare che l'esperienza vissuta da Maister Eckhart sia comune a quella, per esempio, di Hui Neng, come sostiene Huxley ( ma prima di lui Steuco e Leibniz mi sembra) ? Forse può essere qualcosa più che non una speranza, un desiderio umano di sintesi, che tenta di trovare e conciliare un punto di comunione tra intuizioni a volte radicalmente opposte? C'è sicuramente invece, a parer mio, una comune esigenza, un comune sforzo. Se prendiamo i protagonisti della storiella, l'americano e il tibetano, potremmo dire che entrambi soffrono la sete e che entrambi anelano a qualcosa che possa dissetare. Quel qualcosa però, l'esperienza di quello che sanno poterli dissetare, non possono/riescono a comunicarla tra loro. Nel caso della storia raccontata , tutto sarebbbe stato più semplice se l'americano avesse esclamato:"Oh, desidero un bel bicchiere d'acqua fresca" trovando un punto di contattto con l'esperienza del tibetano. E il desiderare entrambi la stessa acqua avrebbe rivelato la comune necessità, ma non la comune sensazione prodotta dall'acqua fresca nel corpo di ognuno; sensazione che rimarrebbe incomunicabile in senso ultimo, ma comunicabile solo in senso convenzionale ( con termini come :'rinfrescante' o 'deliziosa', ecc.). Tra l'altro la filosofia perenne intenderebbe dimostrare che , in ogni forma religiosa, è presente lo stesso anelito al divino e vorrebbe scoprire nell'anima umana qualcosa di simile, o addirittura uguale a Dio. Huxley però dimentica che esistono forme di spiritualità ( e di mistica) che rifiutano l'idea di un'anima sostanziale e di un Dio simile o uguale ad essa ( in primis il buddhismo stesso...) e che anzi vedono nell'assunzione di simili teorie la base dell'inganno umano che porta alla sofferenza. Mi chiedo poi: ma dove risiede questa necessità di trovare una filosofia perenne? Un desiderio di "globalizzazione" anche dell'esperienza spirituale? Per trovare un simile risultato dobbiamo sfrondare tutti gli alberi spirituali del loro vario fogliame e così facendo arrivare a dire che hanno il tronco simile. Ma così facendo ogni albero perderebbe pure la sua singolarità e la sua Bellezza, che lo rende prezioso e che rende prezioso il Giardino dell'Uomo! Non si risolve certo l'aspetto conflittuale dell'esistenza umana sostituendo le molteplici forme spirituali con una superiore spiritualità onnicomprensiva, su base sostanzialmente puramente etica . Si dovrebbe invece, a mio parere, arrivare ad amare, e tollerare quindi, ogni "cammino" con il suo unicum che lo rende prezioso e che arricchisce di infinite prospettive la dimensione spirituale dell'uomo. A nessuno verrebbe in mente di sostenere che necessitiamo di una filosofia uguale per tutti ( Nietzsche e Tommaso d'Aquino che ballano insieme...); allo stesso modo che impoverimento avremmo da una spiritualità raccomandata per tutti? Si ridurrebbe veramente, a quel punto, al "volemose ben" e poco altro... E' proprio il fatto che ogni cammino spirituale sia personale e incomunicabile nelle sue realizzazioni che rende preziosa e "sacra" la spiritualità, sacra come la persona in cammino. Se anche la Vetta è Una, l'esperienza della vetta è indescrivibile e su questa esperienza il teorizzare qualunque cosa ( anche che sia comune a tutti i sentieri) è un esercizio vano, a parer mio.
La filosofia perenne è la sapienza dell'universo, non una "corrente mistica trasversale a tutte le forme umane di spiritualità"; una sapienza che quando si manifesta si esprime in ogni ente e nelle relazioni fra enti, e che l'uomo può osservare in ogni istante della sua vita, purchè il suo occhio sia educato a farlo e non abbia invece lo sguardo indirizzato esclusivamente verso il proprio ombelico. Nel tuo messaggio qui sopra e anche in quello precedente mi sembra che si sia un errore di fondo che è piuttosto strano che provenga da uno come te. Ci si aspetta infatti che tu tenga sempre presente il famoso aforisma del dito e della luna, mentre nella tua storiella racconti di due signori che discutono delle proprie dita e qui sopra fai la stessa cosa. La comunicazione è il dito, i testi sacri sono dita, le varie forme di spiritualità (la mistica cristiana come l'induismo o il sufismo o il buddhismo o il taoismo) sono dita che indicano tutte la medesima luna (o anche "zattere", se vuoi), e il fatto che queste siano più o meno lunghe, più o meno pelose o più o meno colorate a nulla rileva ai fini della comprensione di ciò che indicano. Alcune "dita" saranno più comprensibili o più autorevoli per alcuni, altre lo saranno per altri, quindi non si auspica un dito uguale per tutti poichè tutti siamo diversi, ma solo la consapevolezza che tutte queste dita (o "filosofie", o dottrine spirituali, o metafisiche) indicano la medesima luna, e visto che questa è solo una non si potrà indicarne una diversa ma solo sbagliare direzione, e chi sa vedere la luna sa anche se un dito indica la direzione sbagliata. Io ho inserito il buddhismo fra le dottrine spirituali considerando le successive elaborazioni (in particolare nella versione Mahayana) perchè se ci limitassimo al mero insegnamento del Buddha storico non si potrebbe neanche parlare di dottrina spirituale ma semmai di dottrina psichica (relativa a quella che nell'induismo viene definita "materia sottile" mentre lo spirito è immateriale per definizione) e quindi una sorta di psicoterapia paragonabile a quelle moderne in cui di spirituale non vi è nulla. Se dunque l'esperienza spirituale personale non è comunicabile non per questo non è evocabile, indicabile, suggeribile; poi ognuno, una volta che avrà visto la "luna", ne ricaverà impressioni diverse e tenterà di spiegarle a modo suo, magari aiutando qualcuno e nel contempo confondendo altri. Tu citi Nietzsche e S. Tommaso, ma anche se ai più sembrano antitetici ti posso assicurare che se si potessero parlare si troverebbero concordi su moltissime cose ed entrambi hanno saputo indicare la luna, sia pur con dita diverse.