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Messaggi - sgiombo

#2701
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
04 Maggio 2017, 20:07:23 PM
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 18:19:24 PM
È che non porre a sfondo uno o più principi stabili pensare è mal di mare. :)
CitazioneD' accordo.

Ma tieni conte che

pensare (che qualcosa sia/accada realmente; o meno) =/= essere/accadere realmente.
#2702
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
04 Maggio 2017, 20:03:45 PM
Citazione di: Sariputra il 04 Maggio 2017, 16:22:28 PM
@Sgiombo scrive:
Ma questa "essenza" permanente dell' ente (di ciascun "ente" considerabile nell' ambito del divenire reale; che è permanente soltanto in quanto fissata "una volta per tutte" del pensiero, salvo rare "ridefinizioni") non è altro che il concetto con il quale per l' appunto il linguaggio (pensiero linguistico) definisce, stabilisce o "costituisce" arbitrariamente per definizione che cosa è (=che cosa sia considerato essere, nell' ambito del pensiero linguistico stesso) ciascun ente "isolandolo o delimitandolo", cioé attribuendogli convenzionalmente dei "margini" o "confini" (questo è il significato etimologico di "definire") mentalmente dal resto del divenire reale.


Concordo con Sgiombo che "essenza permanente" può essere intesa solo in senso di concetto linguistico, necessario per definire e delimitare in senso convenzionale il mutare  reale delle cose ( divenire delle cose, dei fenomeni che mi paiono termini di più immediata comprensione del termine 'ente'...problema mio ovviamente  ;D ). E' necessaria per 'l'intelligibilità' umana del mutare ma non per il 'mutare' in sè delle cose. Non c'è alcun motivo per cui sia necessario qualcosa di permanente, per giustificare l'impermanenza. Anzi, alla mia modesta riflessione, appare problematico conciliare proprio il concetto di permanenza con l'impermanenza ( mutare, divenire) dei fenomeni che colpiscono la mia percezione e che in definitiva potrebbero pure risolversi semplicemente in essa.
Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...).Il pensiero tenta di 'fissarlo' in enti pretendendo che la determinazione concettuale indichi una 'permanenza', che mi appare più simile ad un'illusione...
( Ovviamnte spero di aver bene interpretato il pensiero di Sgiombo...altrimenti dovrò fare un fioretto questa sera... :( ).
CitazioneBeviti pure un buon bicchiere o due (meglio comunque non esagerare) di prosecco, stasera, che mi hai inteso benissimo!
#2703
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
04 Maggio 2017, 12:08:39 PM
Citazione di: davintro il 04 Maggio 2017, 00:43:25 AM
essere e divenire convivono nel piano dell'essere contingente, piano che però non può essere assolutizzato, perché ciò che è contingente richiede per render ragione di sé, di ciò che esiste come necessità, mentre se la contingenza fosse l'unica realtà possibile, allora sarebbe autosufficiente, quindi necessaria, senza derivare il proprio essere da altro da sé, perché di altro oltre la "contingenza" (le virgolette a questo punto sono decisive...) sarebbe nulla. Ma in questo caso la contingenza si negherebbe in quanto tale.
CitazioneMa perché mai essere e divenire dovrebbero essere contingenti, non autosufficienti, ovvero richiedere l' esistenza o l' accadimento di qualcosaltro di necessario per poter accadere realmente?
 
Nella realtà si dà solo l' essere/accadere o il non essere/non accadere di qualsiasi cosa (ente o evento).
Contingenza e necessità di enti e/o eventi sono solo considerazioni del pensiero circa la realtà
 
Perché mai dovrebbe esserci bisogno di altro (preteso necessario) oltre a ciò che di fatto é/accade (preteso contingente)?
Come si dimostra questa affermazione?
Forse col fatto che si potrebbe anche pensare (in maniera logicamente corretta, come "ipotesi sensata") che ciò che é/accade non é/non accade e invece é/accade qualcosaltro (compresa l' ipotesi sensata del nulla, del non essere/accadere di alcunché)?
Questa non mi sembra affatto una dimostrazione: il fatto di potere (anche) pensare che ciò che é/accade non è/nonaccade non "scalfisce" minimamente, non ha alcuna conseguenza o implicazione per, non "c' entra per nulla" con il il fatto dell' essere/accadere di ciò che é/accade; non implica affatto alcuna necessità che sia/accada qualcosaltro di necessario ovvero di non pensabile (sensatamente, in maniera logicamente corretta, non autocontraddittoria) non essere/non accadere. Anche perché (con buona pace di sant' Anselmo d' Aosta) non vi è nulla di (pensabile e di) determinato che necessiti di essere/accadere, ma è necessario che sia/accada unicamente ciò che è/accade qualsiasi cosa sia, cioè del tutto indeterminatamente, inidiscriminatamente.



Questa convivenza si costituisce come la presenza di un mutamento che in ogni ente sviluppa la natura, l'essenza propria dell'ente, che lo costituisce come tale e permette al linguaggio di poter definire in tal modo tale ente, essenza che può essere considerata come l'elemento che permane.
CitazioneMa questa "essenza" permanente dell' ente (di ciascun "ente" considerabile nell' ambito del divenire reale; che è permanente soltanto in quanto fissata "una volta per tutte" del pensiero, salvo rare "ridefinizioni") non è altro che il concetto con il quale per l' appunto il linguaggio (pensiero linguistico) definisce, stabilisce o "costituisce" arbitrariamente per definizione che cosa è (=che cosa sia considerato essere, nell' ambito del pensiero linguistico stesso) ciascun ente "isolandolo o delimitandolo", cioé attribuendogli convenzionalmente dei "margini" o "confini" (questo è il significato etimologico di "definire") mentalmente dal resto del divenire reale.



Il punto è che questa dialettica tra mutamento e permanenza si costituisce in modo diverso sulla base dei gradi gerarchici della realtà: quanto più si sale nella gerarchia, ci si avvicina all'essere nel senso pieno del termine, tanto più prevarrà l'elemento di permanenza, tanto più ci si riferisce all'essere in senso vuoto, tanto più prevarrà l'aspetto del divenire, ma fintanto che si esiste si resta sempre in qualche modo legati a un'idea di permanenza. La pietra, la pianta, l'animale, l'uomo partecipano tutti dell'Essere, in quanto tutti possiedono una loro natura, l'essenza in base a cui attribuiamo loro certe proprietà, ma occupano livelli diversi dell'ordine, l'uomo possiede un carattere di permanenza maggiore della pietra e della pianta, in virtù della sua essenza di razionalità e libero arbitrio, che permette all'uomo di resistere con maggior forza ai tentativi dell'esterno di manipolarlo, non solo con il suo corpo, ma anche con la ragione, che lo porta a criticare e rifiutare di dare l'assenso a opinioni ritenute false, perché l'essenza permanente che costituisce l'uomo come "uomo" è l'anima razionale. La pietra o la pianta possono reagire al tentativo di operare in loro manipolazioni solo in virtù della loro materialità, nella pietra l'essenza è data dalla forma intesa solo come forma geometrica che unifica una materia, la pianta occupa un livello superiore alla pietra, in quanto in essa la forma è vivente e non solo contorno geometrico, ma è priva di razionalità, come la pietra può offrire come resistenza a tentativi esterni di manipolazione solo la sua massa, massa che la tecnologia umana può facilmente piegare. La permanenza, lungi dall'essere solo un'astrazione, è in realtà ciò che vi è di più concreto nell'ente, perché costituisce quell'elemento che porta un ente a partecipare, ad essere adeguato all'idea dell'Essere puramente in atto, necessariamente esistente, mentre il divenire presuppone la componente di "potenza", cioè di indeterminazione, di irrealtà, qualcosa diviene fintanto che possiede delle potenzialità insite nella propria natura non ancora realizzate. l'uomo non è atto puro, infatti diviene, ma è adeguato all'idea dell'essere immutabile in misura maggiore della pianta e della pietra (ma la pianta in misura maggiore della pietra).
CitazioneSono ben fiero della razionalità umana e la considero la cosa più importante in natura.
Ma ciò vale unicamente per me (per noi), è una valutazione del tutto soggettiva, arbitraria, che non ha nulla di oggettivo: oggettivamente tutto ciò che è/accade può benissimo essere pensato non essere/non accadere: tutto parimenti, indiscriminatamente, qualsiasi cosa: dal minerale alla ragione e ai sentimenti, valori, ideali umani.
 
Oggettivamente non esiste alcuna gerarchia fra gli enti/eventi reali.
 
Non c' è bisogno per nessun ente e/o evento di alcun "elemento di permanenza", di nessun "adeguatezza all'idea dell' Essere puramente in atto, necessariamente esistente" per poter essere/accadere realmente, di fatto.
Ciò che è/accade é/accade senza alcun bisogno di essere adeguato all'idea dell'Essere puramente in atto, necessariamente esistente: ciò che è/accade: del tutto parimenti qualsiasi cosa sia/accada, indiscriminatamente, si tratti dei più alti ideali umani o del più umile e banale granello di sabbia (e anzi di fatto la permanenza temporale di molti oggetti minerali, come sassi, rocce, è ben maggiore di quella di qualsiasi animale e in particolare di qualsiasi uomo).



Questo discorso presuppone qualcosa che sembra controintuitivo, più che altro alla luce del nostro linguaggio nel quale è insensato dire che qualcosa è "più essere" di un'altra, l'essere è solo una copula, non una categoria che una cosa possiede più o meno. Invece il fatto che il rapporto essere-divenire muti alla luce dei diversi gradi di adeguazione all'idea di Essere pieno, implica che l'essere sia anche una categoria giudicabile in rapporti quantitativi (seppur alla luce di una scansione qualitativa e discreta tra le varie forme di esistenza), e qui l'ontologia si lega alla logica modale: quanto più l'esistenza di qualcosa è necessaria tanto più si può che dire che possiede l'essere in misura maggiore, tanto più qualcosa è contingente, cioè diviene, tanto più è privo di essere, e il massimo grado della contingenza dovrebbe coincidere con il Non-essere.
CitazioneSecondo logica non esiste "alcun qualcosa" di necessario (essere/accadere) a priori, nulla di necessariamente essente/accadente realmente, se non indiscriminatamente, del tutto indeterminatamente (qualsiasi cosa sia), ciò che di fatto é/accade: questa è l' unica necessità logica a priori (predicabile anche in negativo come necessario non essere/non accadere solamente di tutto ciò che non é/non accade, qualsiasi cosa non sia/non accada).
Sempre con buna pace di sant' Anselmo d' Aosta).



Il mancato rilevamento del carattere quantitativo dell'essere è stato forse l'errore di fondo dell'eleatismo. Il fondo di verità dell'eleatismo è il nesso tra divenire e non-essere, quanto più qualcosa diviene si riconduce al non-essere, ma l'errore sta nel confondere un'opposizione logico concettuale, essere-non essere, con un'incompatibilità ontologica, escludendo che il divenire possa porsi come fenomeno interno all'essere che però rimane tale, tagliando fuori il nulla. Caldo e freddo sono certamente opposti così come essere e non-essere, ma ciò non impedisce che una cosa sia più o meno calda e più o meno fredda, caldo e freddo si escludono reciprocamente, ma convivono come elementi, concetti che introducono una tensione polare all'interno di uno stesso ente, e allo stesso modo, essere e non-essere convivono in ogni ente contingente, producendo mutamento, il non-essere fa sì che in ogni cosa resti una potenzialità e quindi il divenire, l'essere mantiene l'essenza permanente della cosa, seppur non pienamente reale. Parmenide confonde "essere" e "realtà", (e cade nel monismo) e non tiene conto del carattere ideale dell'essere, carattere che fa si che l'essere sia presente in ogni ente, che però non può pretendere di esaurire in sé stesso la pienezza dell'essere. Uomo, pietra, pianta, partecipano dell'essere, ma nell'uomo la maggior somiglianza all'Essere totalmente Attuale e immutabile, costituita dalla sua spiritualità, cioè la razionalità, fa sì che l'uomo sia "essere" in misura maggiore della pianta e della pietra, e la pianta lo sia nei confronti della pietra, tutti possiedono l'essere, ma nessuno è "l'essere"
CitazioneIl divenire può porsi in maniera logicamente corretta (pensarsi correttamente, sensatamente) e accadere nella realtà come aspetto dell' essere (della realtà) che però rimane tale, non identificandosi contraddittoriamente col non essere (di alcunché di reale).
 
L' essere di ogni ente è presente nella realtà in divenire in quanto suo aspetto o caratteristica arbitrariamente considerabile, "definibile" (cioè letteralmente ed etimologicamente "che possa essere distinta dal resto della realtà in divenire mediante limiti" o "confini") nell' ambito del pensiero circa la realtà.
 
Resto sempre più convinto che la distinzione (non confusione) fra "realtà (in generale)" e (in particolare realtà del) "pensiero" sia il punto nodale più importante e fondamentale della filosofia:
 
di ciò che è reale/accade realmente può anche darsi che non sia pensato essere reale/accadere realmente (oltre che lo sia pensato) e può anche darsi che sia pensato non essere reale/non accadere realmente (oltre che sia pensato esserlo), mentre di ciò che non è/non accade realmente può anche darsi che sia pensato essere/accadere realmente (oltre che non lo sia pensato);
 
e
 
di ciò che è pensato essere/accadere realmente può anche darsi che non sia/non accada realmente (oltre che sia/accada realmente), e che sia pensato non essere/non accadere realmente (oltre che essere/accadere realmente), mentre di ciò che è pensato non essere/non accadere realmente può anche darsi che sia/accada realmente (oltre che non sia non accada realmente), e che sia pensato essere/accadere realmente.
#2704
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
03 Maggio 2017, 09:41:21 AM
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM


Bisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla). In questo senso non si può definire l'Essere sulla base di ciò che non è poichè appunto al di fuori di esso non vi è niente; si può però, come accade spesso, tentare di definire l'Essere sulla base di ciò che non è sottintendendo l'avverbio "solo" (o solamente); in tal modo se dico che l'Essere "non è rosso" non significa che è di un altro colore, ma che non è "solo" rosso ma anche di tutti gli altri colori, e così via. Ad alcuni (moltissimi) sembra che in tal modo l'Essere e il nulla coincidano e poichè entrambi non possono essere definiti non riescono a concepire qualcosa che non abbia limiti e quindi definizione, ma la differenza sostanziale e decisiva sta nel fatto che se il nulla non può avere definizioni o attributi perchè è, appunto, nulla, l'essere non può averne perchè ce li ha tutti; dire che l'Essere non si può definire significa solo che ogni definizione che gli si attribuisce, escludendo tutto ciò che in tale definizione non è compreso, limiterebbe l'Essere e lo negherebbe nella sua qualità di "Tutto ciò che è". A volte si possono trovare testi o dottrine in cui l'Essere viene chiamato "Nulla", ma con questo non si intende che è niente, bensì che non è nulla (niente) di particolare, di definito, di delimitato.
CitazioneOnde potersi intendere, anche il concetto di "definizione" va definito (sic!) nel suo significato.
Può infatti essere inteso come "finitezza, presenza di limiti o confini (fisica, reale, nell' ambito della realtà)", e allora a mio parere è non tanto incompatibile con (contraddittorio rispetto a) "essere" (generalissimamente inteso, nella maniera più indeterminata), quanto con "(essere) indefinito" o "essere (infinito)"; con "tutto ciò che è" purché ciò che è sia infinito (infinitamente steso nel tempo e/o nello sazio o per qualche altro aspetto, o anche per ogni e qualsiasi aspetto), dal momento che se invece fosse finito (per definizione; sic!) avrebbe limiti: per esempio se oltre al rosso esistessero solo il giallo e il blu lo spettro dei colori reali (e se inoltre esistessero solo colori, allora anche il "tutto reale" in assoluto) sarebbe finito e definito dalla somma di rosso + giallo + blu).
 
Oppure si può intendere come "stabilimento del significato, operazione di comprensione teorica di un concetto (nell' ambito del pensiero circa la realtà)"; e in questo secondo caso (la definizione de-) l' "essere" non solo non è incompatibile con il "non essere", ma ne necessita, dal momento che nessun concetto può essere compreso o spiegato per quello che è (nel suo significato, che per l' appunto viene stabilito per definizione) se non mediante altri concetti da esso diversi, mettendolo con questi in determinate relazioni, compresa la relazione di contrarietà col suo opposto; (pretendere di) predicarlo congiuntamente al quale (per esempio l' "essere definito" di "tutto ciò che è reale, essendo questo infinito") sarebbe autocontraddittorio, logicamente scorretto, senza senso: nemmeno si tratterebbe di autentica "predicazione" ma di meri flatus vocis o scarabocchi a seconda che pronunciati o scritti).
 
"Omnis determinatio est negatio" (Spinoza).


Dall'Essere inteso in tal modo proviene il divenire (o se vuoi l'essere scritto con la e minuscola), che altro non è che una "espressione" dell'essere, una sua "manifestazione", che non intacca però per nulla la sua totalità, che rimane tale e immutabile. Il "divenire" lo possiamo definire genericamente come "ciò che dell'Essere si manifesta" quindi che "esiste" (nel senso etimologico di ex-stare, stare fuori, venire alla luce), quindi se l'Essere è "tutto ciò che è" l'essere è "tutto ciò che esiste". Questo "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente":  ente è il suffisso dei participi presenti dei verbi attivi (essente, esistente ecc.) sostantivato, che identifica qualcosa che è "in progress", qualcosa connotato dal senso dell'attualità e che partecipa costantemente di una azione (foss'anche solo quella dell'esistere), dunque qualcosa condizionato dal moto, dalla mutazione, che si può collocare solo nel mondo del divenire. L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" oppure, se vuoi, lo possiamo chiamare maya, oppure mondo fenomenico, mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli". Il nome e le definizioni che diamo all'ente cane, o all'ente albero, o all'ente uomo è una mera convenzione  umana che serve per categorizzare gli enti e piegarli in qualche modo alle necessità conoscitive umane.
CitazioneA me sembra che più semplicemente e comprensibilmente si possa affermare che empiricamente si constata che un aspetto del' essere del "tutto reale", della realtà (in toto) è il mutamento o divenire: la realtà (tutto ciò che esiste) muta in continuazione, più o meno rapidamente, con apparente fissità relativa e imitata di talune "cose" (perfino dei buchi neri, ammesso che esistano: contrariamente a qualcun altro del forum mi permetto di dubitare anche di quanto affermano i premi Nobel per la fisica e di sottoporlo a critica razionale) comunque per periodi di tempo limitati, finiti.
 
Mi sembra che quanto affermi sia un modo per me più complicato e astruso per dire semplicemente questo (ovviamente se ben l' intendo).


Cerco ora di affrontare il tuo quesito centrale di dove si possa ravvisare l'essere al di là delle cause e delle condizioni esterne ad esso che ne determinano il divenire, e la risposta è talmente ovvia che è del tutto normale che non ci si pensi mai dandola talmente per scontata da trascurarla del tutto. L'essere dell'uomo lo si ravvisa dal semplice fatto che, qualsiasi siano le condizioni esterne in cui gli sarà dato vivere, quindi divenire, rimarrà sempre e comunque un "ente" uomo; il suo essere uomo rimane immutabile indipendentemente da tutto quello che accade intorno a lui, e  lo stesso discorso vale ovviamente per l'ente delfino, l'ente cipresso e tutti gli altri.
Per quanto possano variare le condizioni esterne durante la sua gravidanza sarà impossibile che da una cavalla possa nascere qualcosa di diverso da un cavallo, o che da una donna possa nascere un bambino con le ali o con le branchie. Poi se si vuole si può approfondire il discorso notando ad esempio che, a parità di condizioni esterne, l'essere di ogni ente non è mai uguale all'essere di un altro ente della stessa specie (non esistono due uomini identici come non esistono due ciliegi identici) ma al momento mi sembra che possa essere sufficiente come spunto di riflessione. Dunque se molte cause del divenire degli enti sono esterne agli enti stessi (e alcune sono indispensabili perchè senza acqua, aria e cibo animali e piante non potrebbero affatto divenire e senza i riti della riproduzione non potrebbero nemmeno manifestarsi) tali cause sono solo "accidenti" che non determinano affatto ciò che un ente è, ma tracciano solo alcuni limiti della sua manifestazione. Sono invece determinanti le cause interne all'ente stesso per fare in modo che questo si manifesti per quello che è, e fra l'altro queste condizionano anche la reazione alle cause esterne (l'essere di un uomo e quello di un passerotto reagiscono in un modo completamente differente ai medesimi stimoli esterni), e in definitiva si può dire nel caso di specie che l'essere di ogni ente rimane immutabile (e solitamente riconoscibile) mentre l'involucro del medesimo diviene e si trasforma fino a disgregarsi completamente.  Dunque è corretto, a mio avviso, considerare trascendente l'essere poiché non muta mentre è immanente la manifestazione progressiva (il divenire) dello stesso che ne rappresenta, comunque, un riflesso.
CitazioneAnche questa distinzione fra "sostanza" immutabile e uniforme e "accidenti" variabili e mutevoli mi sembra presentare uno slittamento semantico (foriero di malintesi) fra realtà e pensiero circa la realtà (o forse si potrebbe rivelare, dopo un complicato processo di "traduzione", un modo di dire le stesse cose che vado ad esporre, ma in una maniera a mio parere decisamente più arzigogolata e oscura): l' essere dell' uomo, come l' essere di qualsiasi altro concetto (arbitrariamente stabilito per definizione) rimarrà sempre e comunque tale (una volta che sia stato definito; salvo eventuali "riforme semantiche", o ridefinizioni, come eccezionalmente accade, per motivi di comprensione e comunicazione) nell' ambito del pensiero circa la realtà, non della realtà in quanto tale ma solo in quanto pensata, per l'appunto, per (in seguito ad, come risultato di) astrazione da parte del pensiero che lo definisce, distinguendolo da altri aspetti ("cose", enti ed eventi) della realtà in mutamento; e inoltre prescindendo da (non prendendo in considerazione il) lo stesso mutamento dell' ente reale (della denotazione) che il concetto stesso significa: dal fatto che prima (anzi, per meglio dire: ...dopo) ci sono (o meglio: divengono) solo uno (fra tantissimi) spermatozoo e un uovo, poi un gamete, poi un embrione, poi un feto, poi un neonato, poi un bambino, poi un ragazzo, poi un giovane adulto, poi un adulto maturo, poi un anziano, poi solo un cadavere, poi solo  dei vermi, della polvere, delle ossa, ecc., poi...( senza fine).

#2705
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 17:36:42 PM
Citazione di: green demetr il 02 Maggio 2017, 10:28:59 AMx sgiombo

come sai dovremmo per onor del vero fare i solito distinguo.

Da una parte il tuo punto di vista (scientifico) del fenomeno mentale che corrisponde biunivocamente al fenomeno sensibile.
Dall'altra parte il mio che invece ritiene il fenomeno mentale contenente/riflettente il fenomeno sensibile.

Ma il caotico, se fosse tale, sarebbe comunque originario.
Sia perchè riguarda l'entropia dell'universo a un livello scientifico, sia perchè riguarda l'impossibilità della "cosa in sè" stessa.
Che poi sarebbero i nostri 2 punti di vista.

La seconda ipotesi sarebbe leggibile secondo un liguaggio formale matematico, dove si ipotizza (e quindi si dà) un tutto universale, e al cui interno vi sono tutte le funzioni variabili ipotizzabili tra le sue parti.
All'interno del linguaggio formale ovviamente si situa quella che è la "teoria del caos"(scientifica), ovvero quella serie di equazioni che ritrovano statisticamente una ordinazione nelle varie forme entropiche.

L'unica etica che vi ravviso è però solo quella riduzionista, dove appunto il ricercato deve essere per forza un dato sensibile, ovvero passibile di ulteriori trattamenti. Nella mia visione rientra nel problema della "Tecnica". Non faccio un distinguo tra Tecnica e Tecnologia, come la maggior parte dei filosofi fa: ritengo infatti come Heidegger che il problema sia connaturato nell'uomo.(ovvero strutturato nella relazione fra immanenza e storia, come apertura del mondo, come memoria del fare e dell'agire,

che automaticamente diventa costume e quindi Etica (ripetizione in greco).

Il problema è sempre lo stesso, che si dimentica chi parla, ovvero l'interrogante come direbbe Heidegger, ovvero la riflessione di ogni medietà, e anche la tecnica rientra nel dominio del soggetto, con tutte i vari problemi politici connessi.
CitazioneFrancamente ci capisco ben poco o nulla.
 
Il mio punto di vista sul mentale (in particolare; e in generale la coscienza, la quale comprende anche i fenomeni materiali: "esse est percipi"!) e i suoi rapporti col corporeo (il materiale in generale; e il cerebrale in particolare) non è e non può essere scientifico (è una questione che va al di là delle fisica (e biologia e fisiologia, ecc.: letteralmente é "metafisica").
Anche se credo in una (indimostrabile) corrispondenza biunivoca fra coscienza e materia (in particolare cerebrale); nonché che sia perfettamente compatibile con le neuroscienze e in grado spiegare i loro risultati.
 
Non capisco cosa possa significare il concetto di "originario" riferito al "caotico", né cosa c' entri l' entropia, né tantomeno perché mai (l' esistenza reale de- ???) la cosa in sé sarebbe impossibile.
 
Mi sembra semplicemente ovvio che il determinismo fisico in generale e le teorie del "caos deterministico" rientrino nell' ipotesi di "divenire ordinato" (cioè mutamento limitato, relativo, parziale"; id est: essere fisso limitato, relativo parziale) che infatti, contrariamente alle ipotesi alternative, ritengo compatibile con la conoscenza scientifica.
 
Invece non capisco proprio per nulla le tue considerazioni circa l' etica (che non vedo in che senso potrebbe mai essere "riduzionista").
 
Su tecnica, tecnologia, Heidegger, Etica (con l' inizale maiuscola), interrogante, medietà, soggetto, ecc. non posso intervenire per totale ignoranza del terzo (al pari di Sariputra), noché della Quarta", del quinto e della sesta).
#2706
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 17:07:04 PM
Citazione di: myfriend il 02 Maggio 2017, 11:30:36 AM
Diceva Richard Feynman:

« C'è un fatto, o se volete, una legge, che governa i fenomeni naturali sinora noti. Non ci sono eccezioni a questa legge, per quanto ne sappiamo è esatta. La legge si chiama "conservazione dell'energia", ed è veramente una idea molto astratta, perché è un principio matematico: dice che c'è una grandezza numerica, che non cambia qualsiasi cosa accada. Non descrive un meccanismo, o qualcosa di concreto: è solo un fatto un po' strano: possiamo calcolare un certo numero, e quando finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato... »

Questo "numero" è la Coscienza cosmica. Essa è "l'essere" immutabile. Tutto il resto (noi compresi) è "manifestazione" di questa Coscienza cosmica immutabile; noi chiamiamo le "manifestazioni" col termine "energia" (o "materia") e le "manifestazioni" sono costantemente "in divenire" o "in trasformazione".
CitazioneDubito assai che Feynman avrebbe approvato questo preteso "corollario" alle sue considerazioni.

Inoltre vorrei far notare un fatto (per me molto importante) rilevato più di due secoli fa da David Hume, e cioé che l' asserzione per la quale vi é una causazione (regolare e costante secondo leggi universali) di fatti (effetti) da altri fatti (cause) non é dimostrabile né verificabile empiricamente: si può credere (e di fatto personalmente credo) a quanto afferma Feynman (in particolare; e la scienza in generale) ma non perché lo si possa razionalmente provare.

La Fisica, spesso, è molto più chiara di qualunque elucubrazione mentale.  :D
CitazioneMa per un razionalista conseguente come me va sempre sottoposta "spietatamente" a critica razionale.
#2707
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 11:16:46 AM
Citazione di: acquario69 il 02 Maggio 2017, 10:10:38 AM
CitazioneNon è inoltre chiaro il nesso (che non sia logicamente contraddittorio) che dovrebbe sussistere fra ciò che chiami "realtà" simultanea e fissa e ciò che chiami "manifestazione apparente" diacronica, in successione, diveniente.

A meno che per "realtà" simultanea, fissa, immutabile non intenda mere astrazioni da parte del pensiero di aspetti istantanei (e magari parziali anche spazialmente) del divenire reale.


si lo so che non e' chiaro per niente.. inoltre si tratta di concepire due cose contemporaneamente e pure in contraddizione tra loro!  :o
CitazioneCaspita!

Incomunicabiltà totale, assoluta fra noi!
#2708
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
02 Maggio 2017, 11:12:01 AM
X Maral
 
La questione è sempre quella:
Noi vediamo e intendiamo dei significati, conosciamo la realtà pensandola tramite concetti che la significano.
Ma invece, indipendentemente da ciò, la realtà (in generale; in particolare il tavolo) puramente e semplicemente è/diviene; ciò che nel suo ambito significa qualcosa sono solo i nostri pensieri, concetti (o meglio le parole con le quali li intendiamo; o per l' appunto che li significano; in generale e in particolare la scritta sul cartello "vernice fresca").
 
E infatti continui a confondere il fatto della vita con il pensiero, la (eventuale) conoscenza (vera) del "fatto della vita".
 
Il pensare qualcosa, non essendo quel qualcosa, è "tutt' altra cosa" da quel "qualcosa" che si presenta alla coscienza e può venire (eventualmente!) pensato (o meno!), che appunto non si presenta affatto chiedendo di essere vissuto secondo significato, non chiede affatto un segno, un nome che lo chiami e lo richiami facendone segno; siamo invece noi (possibili) soggetti di esperienza e di conoscenza eventualmente, non necessariamente a pensarlo e denominarlo attraverso un nome significante o meno.
 
 
Non vedo proprio come mai la scienza, per essere parte del mondo e quindi parteciparne insieme alle altre parti e per il fatto di esserne ovviamente una conoscenza limitata, relativa, parziale, non possa averne conoscenza vera, anche se alla condizione della verità indimostrabile di alcune tesi proprie del senso comune e tali che chiunque in qualsiasi epoca possa essere ed essere stato comunemente considerato sano di mente si comporta per lo meno come vi credesse, per un istinto comportamentale innato universalmente nell' uomo (salvo gravi patologie mentali).
 
E questo, salvo (rari) casi di "puro culo" o (questi relativamente non infrequenti) di mero senso comune o di "pre-" o "proto-" scientificità, al contrario di qualsiasi altra concezione non altrettanto razionalmente critica ed empiricamente testata con rigore, per diffusa, lunga, "gloriosa" sia la tradizione cultuale di cui faccia parte.
 
Mi dispiace sinceramente che per te la falsificazione della concezione tolemaica non sia plateale che nell' opinione di chi ci crede (alla falsificazione), la quale sarebbe altrettanto valida e vera di quella di chi invece pensa che la terra sia al centro dell' universo: ti sbagli di grosso (e per fortuna che questo errore non ha conseguenze pratiche, contrariamente a quello di seguire le medicine degli sciamani, cosa che oso sperare per la tua salute e sopravvivenza tu non faccia).
 
 
A me risulta che lo scetticismo non sia affatto la (autocontraddittoria, paradossale) affermazione (predicato, giudizio) che nulla è vero, tutto é falso, bensì il dubbio circa la verità di qualsiasi affermazione, ovvero la sospensione (epoché) del giudizio.
 
 
Che la conoscenza scientifica non sia assoluta ma relativa e limitata l' ho sempre affermato a chiare lettere.
Ma ciò non significa affatto che sua verità sia dipendente dal contesto esattamente come quella di qualsiasi altra credenza: infatti purtroppo i bambini curati dagli stregoni (nella misura in cui ancora ciò avviene da qualche parte) o non curati affatto o non adeguatamente (come purtroppo di fatto accade non di rado) hanno vita media molto più breve di quella dei bambini curati con la medicina scientifica, pur vivendo in un contesto culturale che crede alla verità ed efficacia della stregoneria.
 
 
Per me la filosofia è (anche) critica razionale di qualsiasi credenza (anche quelle della scienza), valutazione del loro grado di certezza, del loro effettivo significato, delle loro condizioni di verità; nonché -per lo meno- considerazione della realtà fisica ed eventualmente non fisica (la realtà in toto) nelle sue caratteristiche e aspetti più generali, complessivi, e critica razionale del come dover agire (del "che fare?").
 
 
Poiché ripeti che non ci sono teorie più vere di altre e non ce ne saranno mai in futuro, e in particolare che per te la concezione copernicana del sistema solare è altrettanto vera di quella tolemaica (e di qualsiasi altra esista in un qualsiasi cultura presente o passata; e pure futura), non posso che ribadire quanto già affermato in proposito, che ti sbagli di grosso, per tua fortuna (il solito "puro culo") senza conseguenze pratiche.
 
 
Non basta certo il fatto di non estinguersi per dimostrare che ciò che si crede è altrettanto vero di ciò che dice la scienza moderna: se così paradossalmente fosse, l' umanità si sarebbe già estinta da un bel pezzo, anziché essere oggi a rischio di estinzione per le irrazionalistici impieghi pratici delle conoscenze scientifiche.
 
La razionalità non è mai assoluta per definizione.
 
 
Come è avvenuto il passaggio da un comportamento istintivo a uno creativo, come da una pre-scimmia si arrivi all'uomo lo spiega a mio avviso in maniera soddisfacientissima la teoria scientifica dell' evoluzione biologica (ovviamente si tratta di una valutazione del tutto arbitraria, soggettiva: c' è anche chi non riesce ad essere soddisfatto di una spiegazione che non sia teologica o per lo meno teleologica; comunque scusa ma, per essere sincero e senza intenzioni offensive, non posso non esimermi dal dire che metterla sullo stesso piano delle favole mi sembra decisamente penoso).
 
 
Dunque, se Il significare è una complicazione per vivere e i batteri sono le forme di vita di gran lunga più diffuse e di più lunga esistenza e se Non credi che pensino al significato del mondo, allora come da me sostenuto:
 
essere reale (in generale; e in particolare vivere realmente) =/= significare.
 
 
Constatare significa (banalmente!) vedere le cose come appaiono (come sono in quanto fenomeni).
Ho sempre sostenuto a chiare lettere che vedere (e percepire sensibilmente in generale) le cose in sé non è possibile (è anzi insensato, autocontradddittorio) e che le scienze non possono conoscere e non conoscono le cose in sé ma solo i fenomeni.
 
 
Poiché affermi "Non saprei né potrei vivere in un mondo diverso da questo, nemmeno se fosse quello dei miei nonni o trisnonni, non vivo nella foresta amazzonica e se dovessi andarci a vivere dovrei portare con me molte cose del mio mondo per sopravvivere, prendere un pezzettino della foresta e trasformarla in un pezzetto del mio mondo" constato che per lo meno vivi come se credessi che la scienza moderna è molto più vera delle credenze animistiche degli indigeni dell' Amazzonia anche nell' Amazzonia; ma lo è anche a proposito degli indigeni dell' Amazzonia, in barba alle credenze degli indigeni stessi.
 
 
Ho mai preteso da qualche parte di "porre su un trono" la conoscenza scientifca" ? ! ? ! ? !
Né di scriverla con l' iniziale maiuscola ! ? ! ? ! ?
O che la scienza sia di fatto separata e a se stante dal capitalismo ? ! ? ! ? !
Ma ciò non toglie che sia teoricamente distinguibile da esso e praticamente impiegabile (e impieganda) al di fuori e anche contro di esso ! ! !
 
E da marxista credo che il capitalismo abbia avuto in passato una sua importante fase progressiva e anche rivoluzionaria, nella quale ha potentemente contribuito (fra l' altro) allo sviluppo della scienza e all' estensione e approfondimento delle sue conoscenze vere (anche grazie alla considerazione quantitativa e alle misurazioni della realtà naturale – materiale).
 
 
Ed ho anche sempre affermato (e ascritto a merito imperituro del mio grande a veneratissimo maestro David Hume questa scoperta) che la scienza ha come conditiones sine qua non (delle propria possibilità e della propria verità) alcune tesi indimostrabili né empiricamente constatabili ma credibili solo per fede.
 

Non la scienza si (auto-) contraddice, ma invece reciprocamente varie ipotesi scientifiche ...in attesa di falsificazione delle une/conferma della altre empirica.
#2709
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 09:41:26 AM
Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 08:49:57 AM

L'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non  a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...).
Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...).
Senza questa analisi il sole è correttamente inteso come sole.
Citazione(Credo che ci sia un evidente errore di stampa nell' ultima frase ove manca la negazione: "...il sole non é correttamente...).

Non mi é del tutto chiara la tua distinzione fra l' "avere una natura propria o un essere" e un "apparire" (da parte del sole e di tutte le altre "cose-eventi").
Riesco a intenderla unicamente nel senso che l'"apparire" sia la possibile considerazione mentale, teorica (la pensabilità, eventuale conoscibilità: "omnis determinatio est negatio", Spinoza) di enti/eventi reali, e l' "essere" o la "natura propria" sia il loro essere reali/accadere realmente".

Intendi anche tu questo o qualcos altro?
#2710
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 09:27:04 AM
Citazione di: acquario69 il 02 Maggio 2017, 03:04:31 AM
CitazioneLe cause infatti  devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...)


Secondo me quello della Causa concepita in questo modo e' sbagliato perché in questo caso si farebbe solo riferimento all'effetto, escludendo proprio cio che lo "produce" (cioè' la Causa) senza la quale non potrebbe esserci appunto nessun effetto

Quindi se e' la Causa l'agente "produttore" allora dovrebbe significare che questa non può essere soggetta ad alcuna modifica.

Ma ci si potrebbe pero chiedere:
E allora perché mai a noi le cose ci appaiono in successione?

Risposta:
Perche tra la causa e l'effetto non vi e' in realtà nessuna "separazione" o in altri termini vi e' simultaneità e se a noi "compare" tale successione e' perché questa e' dovuta alla sua manifestazione

Citazione 
In caso di divenire ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti nulla vieta (nell' ambito del pensiero circa la realtà, da parte del pensiero) di distinguere nella realtà (che cause ed effetti costituiscono insieme, congiuntamente) le cause (ciascuna causa) dagli effetti (da ciascun effetto).
 
In oltre in caso di divenire ordinato si darebbe una "concatenazione di cause ed effetti" nell' ambito della quale il "ruolo deterministico" di ciascun "evento" sarebbe relativo: ogni causa di qualche effetto sarebbe a sua volta effetto di qualche altra causa e viceversa: le cause modificano, o meglio determinano, (i loro) effetti ma sono (state) a loro volta modificate, o meglio determinate, da altre cause (in quanto effetti di queste ultime).
 
Non è inoltre chiaro il nesso (che non sia logicamente contraddittorio) che dovrebbe sussistere fra ciò che chiami "realtà" simultanea e fissa e ciò che chiami "manifestazione apparente" diacronica, in successione, diveniente.
A meno che per "realtà" simultanea, fissa, immutabile non intenda mere astrazioni da parte del pensiero di aspetti istantanei (e magari parziali anche spazialmente) del divenire reale.


#2711
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 09:25:51 AM
Citazione di: Garbino il 01 Maggio 2017, 18:07:48 PM
Essere e divenire.

X Sgiombo

Mi dispiace che tu abbia considerato la possibilità di inserire un nuovo post su un argomento aperto in un altra discussione. Per altro non è affatto vero che l' argomento devii dall' argomento principale della discussione. Ma se tu non intendi intervenire su una discussione su Nietzsche per altri motivi, che sia. Non sta a me decidere sull' opportunità o meno delle tue scelte.

Per quanto riguarda il contesto, anzi penso che sia vantaggioso avere più discussioni che trattano dell' argomento perché, a mio avviso, rappresenta il nuovo confine della filosofia. L' ambito in cui si può delineare qualcosa di veramente nuovo e a cui Nietzsche ha dato un notevole contributo. Premesso ciò mi accingo a valutare le tue considerazioni che comunque mi sembrano ben poste e che sinceramente mi aspettavo, conoscendo più o meno il tuo modo di posizionarti nel pensiero filosofico.

La mia considerazione sulle tre o quattro ipotesi di divenire che tu hai delineato è che mentre la prima è accettabile in toto, per quanto riguarda la seconda la terza e la quarta le ritengo poco probabili. Il ritenere cioè che, per quanto riguarda la seconda e la terza, vi possa essere qualcosa di immutabile nel campo fisico, è un' ipotesi discutibile e comunque non dimostrabile, compreso il paragone attinente ai colori. Quello che io temo è che si riaprirebbe la strada ad un qualcosa di metafisico anche nel campo fisico, se non addirittura nel campo metafisico. E cioè qualcosa di immutabile che non sia disposto a mutare.

Mentre la quarta non è accettabile perché determinerebbe uno status già definito e imprescindibile per lo stesso divenire che non sarebbe più un divenire ma un divenire per uno scopo che, a mio avviso, manca nell' accadere. Capisco che sia la più vicina al tuo modo di pensare, ma da come la poni nella frase finale, mi sembra che le altre ipotesi proprio non esistano come possibilità. Ma posso anche sbagliarmi.

X Sariputra

Concordo pienamente con quanto da te affermato. Ma infatti se si continua ad usare il termine essere è soltanto perché si è abituati a farlo, ma naturalmente 'ciò che è divenendo' è, ma non possiamo più chiamarlo essere. Come ho detto bisognerà rivedere tutta la terminologia o capirsi bene su ciò che intendiamo, se lo scopo è quello di capirci. Altrimenti tutto andrà in frantumi e saremmo di nuovo a punto e a capo.

Garbino Vento di Tempesta.
CitazioneHo aperto un' altra discussione per il semplice fatto che non ho mai letto (né ho alcuna intenzione di leggere in futuro) nulla di Nietzche (conseguentemente "di regola" non leggo le discussioni su di lui; ma per Sariputra, che ho in grande considerazione, a volte faccio eccezioni) e dunque in quella su questo filosofo rischiavo di dire molte sciocchezze infondate; d' altra parte la questione "essere fisso" / "mutamento" mi interessa indipendentemente da come possa averla trattata Nietzche.

Ho proposto le tre (o quattro)* varianti sulla realtà da un punto di vista meramente ipotetico o teorico.
Dunque era fondamentale, imprescindibile la loro intrinseca coerenza logica o non autocontraddittorietà; e infatti del tutto non autocontraddittoria, logicamente corretta, sensata é anche la possibilità di astrarre nell' ambito del mutamento modalità o leggi universali e costanti (e dunque non mutevoli, fisse, contrariamente agli aspetti particolari concreti degli eventi, del divenire): non vedo proprio cosa ci potrebbe essere di illogico o autocontraddittorio; e nemmeno di "metafisico"!
Ma non vedo nemmeno perché mai si dovrebbe negare per forza la possibilità che sia reale/divenga realmente "qualcosa di metafisico": perché mai la realtà dovrebbe essere limitata necessaiamente al fisico (naturale – materiale)?
Le mie ipotesi sono con ogni probabilità incompatibili con la filosofia di Nietzche, ma ciò non significa di per sé che siano illogiche o che "non esistano come possibilità"; cioè che siano impossibili (= impensabili in maniera logicamente corretta, non autocontraddittoria, sensata).

Non ho invece considerato nell'intervento iniziale di questa discussione la questione di come stiano o meno di fatto le cose in realtà (anche se ho accennato che in caso di mutamento non è dimostrabile -me l' ha insegnato proprio il mio più "venerato" maestro, David Hume!- se questo sia ordinato (in uno dei due modi alternativi) o caotico.

La fissità senz' altro ed il caos con ogni verosimiglianza mi sembrano comunque incompatibili con la realtà di noi come uomini biologici e come soggetti di esperienza cosciente e di conoscenza, cioè a posteriori se si ammette che noi, le nostre esperienze, i nostri pensieri, le nostre eventuali conoscenze (vere) esistiamo (o meglio: diveniamo): fatti che sarebbero in contraddizione del tutto evidentemente con la "fissità-immutabilità dell' essere", ma credo pure con il "mutamento caotico" (che per lo meno dubito assai sarebbe compatibile con la nostra esistenza di soggetti di coscienza, oltre che senz' altro di noi come uomini appartenenti al regno animale nell' ambito della natura con la sua evoluzione biologica).

Non vedo invece alcuna traccia di finalismo (nel divenire naturale) nelle ipotesi da me proposte.

_________________
* Già è molto significativo, a proposito della fondamentale questione dei rapporti fra realtà e pensiero circa la realtà, questa ambiguità: la realtà non solo é/o diviene di fatto come è e/o diviene di fatto (in un unico modo) e tuttavia può essere "intenzionata" o "considerata" teoricamente in diversi modi alternativi (anche se non in infiniti modi, del tutto indiscriminatamente ad libitum); ma addirittura può esserlo (può essere diversamente valutata) anche solo in quanto ipotizzata, pensata essere o accadere (mentalmente, nell' ambito del pensiero), almeno in qualche variante dei modi in cui ciò è teoricamente ammissibile.


*************************


@Sariputra e Doquixote

Secondo me se si dà (realmente) mutamento (caotico oppure ordinato), allora l' "essere" non è che astrazione (considerazione menale, teorica) di ciò che accade alla o nella realtà in un determinato istante prescindendo (nel pensiero di essa) dal (fatto reale costituito dal) suo continuo trasformarsi: la realtà diviene continuamente (non è mai fissa), anche se il pensiero può considerarne, o per così dire metaforicamente "ritagliarne", parti per come accadono in qualsiasi istante del divenire stesso (= "sono"; nel pensiero, come oggetti di considerazione teorica), prescindendo dal (ignorando deliberatamente il) tempo (lo scorrere degli istanti) precedente e successivo.
#2712
Tematiche Filosofiche / essere e divenire
01 Maggio 2017, 16:36:46 PM
Copio-incollo dall' altra discussione aperta, perché mi sembra si stia "spontaneamente delineando" un argomento diverso da quello su Nietzsche: : l' uomo e il suo diritto al futuro

Re:Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
« Risposta #123 il: Oggi alle 13:21:01 » (DONQUIXOTE)


CitazioneCitazione da: Sariputra - Oggi alle 12:40:17

CitazioneMa può "essere" un soggetto che continuamente muta? In quale momento del mutamento il soggetto "è"? Se diciamo che l'essere "è" proprio perché diviene dobbiamo necessarmente inserire il non-essere nell'essere del soggetto, altrimenti il mutamento è impossibile...almeno così, a naso, mi sembra. Temo però che siamo andando fuori dalla discussione proposta dall'amico Garbino...



Solo un accenno per evitare l'OT: non "tutto" l'essere muta, ma solo ciò che è passibile di mutazione. Vi è, necessariamente, una "parte" (notare le virgolette che sono importanti) dell'essere che è immutabile poichè eterno (ovvero fuori dal tempo, non condizionabile da esso) Quindi l'essere sempre è e sempre muta (e non è affatto una contraddizione).



CitazioneSecondo me il divenire o mutamento può essere (inteso come) assoluto, integrale, senza alcunché di fisso e immutabile, caotico; cioé come l' esatto contrario dell' immutabilità ovvero dell' "essere fisso, immutabile (altrettanto) assoluto, integrale, senza alcunché di cangiante" (l' "essere parmenideo", perfettamente uniforme, non distinguibile in diverse "parti", per lo meno  per quanto riguarda il tempo; non necessariamente in senso "parmenideo" anche per quanto riguarda lo spazio).

Oppure si può considerare una sorta di sintesi dialettica fra "essere fisso, assoluto o integrale" da una parte (tesi) e "divenire assoluto, integrale dall' altra parte (antitesi), e cioé un "divenire o mutamento relativo, parziale" ovvero ordinato secondo modalità o leggi generali-astratte universali e costanti, astraibili da parte del pensiero rispetto ai particolari-concreti mutevoli.
Analogamente alle vocali o ai colori "intermedi" (le vocali "e" intermedia fra "a" e "i", "o" intermedia fra "a" e "u" e l' "uipsilon" dell' alfabeto greco -non esiste in  italiano, venendo traslitterato talora con una "u" sormontata da due puntini, similmente a una dieresi- intermedio fra "i" e "u"; i colori "verde" intermedio fra "blu" e "giallo", "aracione" intermedio fra "rosso" e "giallo" e "viola" intermedio fra "rosso" e "blu"), la sintesi fra essere fisso assoluto-integrale e mutamento assoluto-integrale, cioé il divenire relativo o parziale ovvero fissità relativa parziale può essere inteso in due accezioni, l' una relativamente più affine all' essere completamente fisso e immutabile (divenire "maggiormente" ordinato secondo leggi "meccanicistiche laplaciane" tali da consentire in linea terica o di principio il calcolo e la conoscenza indiretta -anche- di ciascun singolo evento particolare concreto passato o futuro a partire dal presente), l' altra più affine al mutare caotico (divenire "in minor misura" ordinato secondo leggi "probabilistiche statistiche" tali da consentire in linea teorica o di principio solo il calcolo e la conoscenza indiretta delle proporzioni in cui accadono diversi eventi particolari concreti reciprocamente alternativi in serie "abbastanza numerose" di singoli casi).

Non é dimostrabile né mostrabile quale di queste tre (o quattro, considerando i due possibili sottoinsiemi di divenire ordinato o parziale - relativo = di essere fisso parziale - relativo) caratteristiche presenti la realtà di fatto (ciò che é reale/accade realmente, al di là di ciò che invece é solo pensabile essere reale/accadere realmente).
Ma credo di poter dire che possibilità di conoscenza scientifica e di (sensata) valutazione etica dell' agire possa darsi solo ed unicamente in caso di divenire ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti.
#2713
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
29 Aprile 2017, 12:13:08 PM
CONTINUAZIONE


Sgiombo:
Molte sono false e per quanto riguarda la conoscenza del solo mondo materiale che ne è oggetto nessun sistema teorico è neanche minimamente paragonabile per quantità di verità affermate (tutti gli altri ne affermano di gran lunga di meno) e per quantità di falsità affermate (tutti gli altri ne affermano di gran lunga di più) alle scienze, grazie alla critica razionale cui si servono di osservazioni empiriche e ipotesi teoriche.

Maral:
Nella nostra prospettiva teorica, solo nella nostra è così. E ti assicuro che un abitante della Papuasia, del tutto estraneo al nostro sistema teorico, avrebbe del tutto il diritto di dire la stessa cosa con riferimento al suo sistema teorico, nato dalla sua storia e dalla sua cultura e sicuramente più adatto a vivere nel suo ambiente. Il problema è che noi andiamo là, trasformiamo sempre il suo ambiente di riferimento in cui il suo sistema era valido, mentre ovviamente ora non lo è più e prendiamo questo a dimostrazione che il nostro è più valido del suo.
"L'effetto placebo" è anch'esso una definizione che nasce nel nostro modo di pensare, è una parola nostra. Vai a raccontare a uno stregone che lui pratica l'effetto placebo... penserà che vaneggi e sei matto. Ma è così difficile rendersi conto che ognuno vede le cose non per come sono, ma per come il contesto culturale glielo consente? e che questo vale per tutti, noi compresi? Che non abbiamo inventato proprio nulla di così super oggettivo rispetto a tutti gli altri? Non riusciremo mai a liberarci di questa maledetta presunzione che ha fatto e continua a fare catastrofi ovunque, illudendoci di fare tutto al meglio, ossia proprio come la pensiamo noi, così evoluti?


Sgiombo: 
Chiunque, anche un abitante della Papuasia ha il diritto dire ciò che vuole, ovviamente.
Ma ciò non toglie che le sue conoscenze del mondo materiale naturale (se sono quelle tradizionali della sua cultura e non della scienza moderna, cosa peraltro ben possibile e di fatto reale almeno per parte di loro) presentano solo minimi semplicissimi elementi di conoscenza vera e molte "scorie" false, al contrario di quelle della scienza moderna.
L' imperialismo occidentale e i suoi orrendi crimini non scalfiscono minimamente questa verità (ma fanno ben altri danni!).
 
Lo stregone può pensare quel che vuole, ma l'eventuale efficacia delle sue cure può dipendere solo da tre fattori:
a)    conoscenze empiriche di tipo pre- o proto- scientifico;
b)    l' effetto pacebo;
c)    il solito "puro culo".
Ma è così difficile rendersi conto che i diversi contesti culturali vedono le cose diversamente, alcuni più conformemente a come sono (=più veracemente) alcuni meno (o al limite, per lo meno limitatamente a talune loro credenze, per nulla)?
 
La presunzione, che è irrazionale e non scientifica, può fare sempre grossi danni; tendenzialmente tanto più quanto più si associa a maggiori conoscenze scientifiche proprio per la maggiore verità delle conoscenze scientifiche e conseguente maggiore efficacia delle loro applicazioni rispetto a qualsiasi altra pretesa forma di conoscenza del mondo fisico – naturale!.

****************
Sgiombo:
Se così fosse non si spiegherebbe come sia nata naturalmente (cioè in un mondo naturale nel quale prima non c' era) la cultura umana: poiché per lo meno prima della comparsa dei primati (a voler essere molto prudenti in proposito) non esisteva cultura, come potrebbe essere sorta? Forse perché Dio avrebbe insegnato agli uomini le prime verità, i primi elementi di cultura, le prime conoscenze vere ("pensieri veri") di cui non potevano essere rispettivamente "gli autori" e "i fondatori" per lo meno quanto non potremmo esserli noi dei nostri?

Maral:
La cultura umana c'è da quando è comparso l'uomo, perché l'uomo non esiste senza una cultura di riferimento. Gli ominidi che scheggiavano la pietra, quasi un milione di anni fa, già avevano un forma di cultura. E' come se mi chiedessi come si spiega che gli uccelli hanno cominciato a volare e i pesci a nuotare? 
Un'ipotesi che vale quello che vale ed è sempre in termini relativi (relativi a noi che la pensiamo così) è che la cosa sia collegata con l'assunzione della posizione eretta da parte di alcuni primati usciti nella Savana. La posizione eretta ha liberato gli arti anteriori con i quali si è potuto cominciare a fare e rappresentare delle cose. Ha liberato la bocca dalla sua funzione prensile e con la bocca libera si è potuto cominciare a parlare. Nessun animale si prende cura dei morti con riti funerari, al massimo li custodisce, nessun animale conserva degli attrezzi per un futuro utilizzo, nessun animale si riveste delle pelli di altri animali o si decora e si manipola il proprio corpo, nessun animale prima di andare a caccia scende in fondo a una caverna buia e comincia a pitturare gli animali che andrà a cacciare, nessun animale alza le braccia e prega e nessun animale parla e propriamente danza. E tutto questo è solo in virtù del significare per noi del mondo ed è solo nel significare che viviamo. 


 Sgiombo:
Dissento: l' uomo (le prime specie del genere "homo"; ed eventualmente qualche "precursore di" altri generi di scimmie antropomorfe) si è evoluto da specie precedenti come evento naturale, senza alcuna cultura "innata"; ed ha sviluppato (epigeneticamente, come comportamento acquisito -"ha inventato"- e non geneticamente, come istinto comportamentale innato) la cultura (le culture); è nato con "la capacità potenziale" di fare cultura", non "dotato di cultura in atto".
La cultura delle specie del genere "homo" (ed eventualmente e alquanto limitatamente di qualche specie di scimmia antropomorfa "precorritrice" delle specie "homo") é nata ben diversamente dai comportamenti delle atre specie (come il volo degli uccelli e il nuoto dei pesci): proprio in questo passaggio da un comportamento istintivo stereotipato e uniforme a un comportamento creativo, variabile al variare delle circostanze, sta il "salto di qualità" (un "superamento dialettico" e non una "negazione assoluta") dalla natura alla cultura.
 
Ti faccio notare che vivono (realmente) anche gli altri animali che non hanno cultura e pensiero simbolico: essere reale (anche il nostro, di uomini dotati di pensiero simbolico e cultura) =/= significare!.

**************
Sgiombo:
Non confondiamo valutazione di fatti constatati con valutazione di giustezza o doverosità di azioni!

Maral:
Come diavolo fai la valutazione dei "fatti constatati" se non hai un metodo di valutazione che stabilisca come procedere, rispetto a cosa valutarli e un metro di misura? E quale metodo valuta il metodo di valutazione dei fatti constatati? E quale constatazione li dichiara constatati? 
Ogni sistema di conoscenza, funzionando, dimostra la sua ragionevolezza.

Il minimo comune denominatore richiesto dal senso comune, c'è nella misura in cui il senso comune di una certa cultura sociale funziona nel contesto in cui si esprime, quando non funziona quella cultura e quella società inevitabilmente si disintegra. La nostra cultura è stato un fattore disintegrante per molte altre, ormai lo è diventata anche per se stessa. 
La sanità mentale la si misura nella misura in cui un individuo non si disintegra psicologicamente, una società non si disintegra culturalmente. L'individuo normalmente sano di mente non è quello che crede nella scienza piuttosto che nei racconti dei miti, ma è quello che vive in consonanza con il contesto culturale in cui si trova, ove il contesto culturale non sia a sua volta in disintegrazione. Quando questo accade, l'individuo, salve rare eccezioni, non ha speranza, muore mentre muore la sua cultura. 
Non è folle ritenere i pipistrelli degli dei: l'uomo ha visto Dei in tantissimi animali, gli animali sono state le sue prime divinità e fin qui è sopravvissuto moltiplicandosi a dismisura e producendo arte, scienza,  tecnologie e filosofie. Forse il problema della sanità mentale non è mai stato vedere un Dio in un pipistrello ... o forse sì e in qualche modo siamo sempre alla ricerca di quel pipistrello. 

 
Sgiombo:
Constatare significa semplicemente osservare empiricamente.
Questo è il metodi di valutazione (falsificazione o conferma) del senso comune e, a un livello molto più sofisticato e sottoposto a critica razionale, delle scienze.
Ma non vorrai mica equiparare il "funzionamento" (e dunque la ragionevolezza e la verità teorica) delle medicine empiriche primitive con quello della medicina scientifica ? ! ? ! ? !
 
La nostra cultura è diventata un fattore potenzialmente (e probabilmente di fatto; anche se l' ottimismo della volontà mi fa sperare che così non sia) distruttivo anche per se stessa non affatto per le verità scientifiche di cui dispone, bensì per l' irrazionalità estrinseca degli assetti sociali capitalistici che condizionano gli impieghi tecnici – pratici distruttivi delle conoscenze scientifiche.
 
Mai scritto che L'individuo normalmente sano di mente è [solo e unicamente] quello che crede nella scienza, ma invece che la scienza ammette di indimostrabile unicamente quello che inevitabilmente ogni individuo comunemente ritenuto sano di mente (tutti) per lo meno si comporta come se ci credesse.
 

E' per lo meno folle oggi, per chi disponga delle conoscenza ormai appartenenti al senso comune di quasi tutte le popolazioni del mondo, ritenere che i pipistrelli siano dei (ma non mi pare che di fatto lo sano sati creduti in passato, contrariamente ad altri animali; ma su questo potrei non essere adeguatamente informato).
#2714
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
29 Aprile 2017, 12:07:39 PM
Citazione
CitazioneTaglio una erronea ripetizione di cose già inviate (già i miei interventi sono lunghissimi, se poi li ripeto...
#2715
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
29 Aprile 2017, 12:07:00 PM
Citazione di: maral il 29 Aprile 2017, 00:38:10 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Aprile 2017, 16:46:23 PM
Quel falegname sapeva bene ciò che faceva; e ciò che faceva (il tavolo), contrariamente ad esempio alla scritta "vernice fresca" che ha apposto al tavolo dopo averlo verniciato o la sua probabile frase "questo è un tavolo ben fatto" (che è tutt' altro che il tavolo stesso!), non significava proprio nulla.
Non l'ho capita: cos'è che non significa nulla?
CitazioneNon significa nulla il tavolo, contrariamente alla scritta (su un cartello appostovi dal falegname dopo averlo verniciato) "vernice fresca" e alla proposizione "questo è un tavolo ben fatto".
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CitazioneNon ogni cosa, ma casomai il pensiero, la conoscenza (verbale) di ogni cosa richiede parole (delle quali le cose stesse sono i rispettivi significati, nel senso di denotazioni, e non viceversa), e tu continui proprio imperterrito a confondere questi due ben diversi casi.
Mi fai disperare Sgiombo  ;): come fai a sostenere che la conoscenza della cosa la confondo con la cosa, quando non ho fatto altro che dire il perfetto contrario? Quello che sostengo e mi pare evidentissimo è che ogni cosa nell'uomo richiede parole per conoscerla, dunque parola e cosa sono sempre legate, altrimenti come faccio a dire cos'è, ove il dire cos'è si richiede con il manifestarsi stesso della cosa. Ma nessuna parola può dire la cosa come davvero è, solo la indica proprio come se alzo un dito e indico la luna. La parola e tutte le scienze che non sono che discorsi sono come quel dito che indica la luna e tali restano. La parola che sentiamo di usare però non siamo noi a sceglierla, come potremmo mai? Sono le parole che ci parlano da dentro e accompagnano la cosa nel suo apparire (proprio come il bambino comincia a balbettare in un certo modo vedendo sua madre), pur non essendo mai la cosa stessa.
E per il linguaggio scientifico vale il medesimo, perché anch'esso si basa sul senso del linguaggio comune. Le verifiche che la scienza dispone per comprovare l'oggettività di un suo dire, sono regole in base alle quali si prestabilisce cosa va considerato o meno, come per dire cose scientificamente ci si deve porre di fronte ai fenomeni di modo che ci sia un senso scientifico che però non è l'unico senso possibile e non ha primati assoluti sulla realtà. In laboratorio io non mi avvicino per niente di più all'essenza delle cose che verifico, ma semplicemente seguo un modo di fare codificato precisamente secondo procedura scritta (a fronte di infiniti altri modi di considerare le cose). La verifica è sempre relativa al contesto in cui mi pongo per verificare, alle regole che adotto, agli strumenti che ho a disposizione, ai significati che con quegli strumenti e con le conoscenze che ho mi appaiono. Si è sempre solo nell'ambito dei discorsi e non delle cose in sé, della realtà. E=mc(2) è un discorso, è il segno di una mappa, non la realtà.
CitazioneLa disperazione è reciproca. Infatti a me risulta che tu abbia scritto (copio-incollo):
"Tutto questo è nel mondo delle parole (la nostra vita stessa è nel mondo delle parole e dunque dei significati), non delle cose e io non confondo le cose con le parole, proprio per questo so che "tavolo" è una parola e non una cosa, ma so anche che ogni cosa richiede la parola, un nome che le dà significato di modo da poter apparire chiamandola. In quel nome che però non è e non sarà mai, la cosa è sempre chiamata a partire dalla sensazione che significa  "C'è qualcosa, che cosa è?

Cos' è questo se non proprio per l' appunto confondere le parole che costituiscono la conoscenza della vita (la quale accade indipendentemente dalle parole con le quali -eventualmente- la si consce) con il fatto della vita?
Ogni cosa (per essere ciò che è) richiede necessariamente, contrariamente a quanto continui a pretendere, solo e unicamente di essere tale cosa (fra l' altro della realtà del fatto di esistere/accadere realmente, se si tratta di una cosa reale; oppure della realtà del mero essere pensata, se si tratta di un oggetto di fantasia e non della realtà); ma invece non richiede affatto la parola che la denota, mediante la quale è (eventualmente!) pensata (ed eventualmente veracemente conosciuta), che è invece richiesta dal pensiero (eventualmente la conoscenza vera) della cosa.
"ogni cosa nell'uomo richiede parole per conoscerla [evidenziazione in grassetto mia]", ma non certo per essere reale (accadere realmente).

Che le parole di fatto nascano spesso spontaneamente nella nostra mente non toglie affatto che ("di diritto") possiamo decidere ad libitum di utilizzarle o meno (cioè di scartarle e impiegarne invece altre; accordandoci convenzionalmente con gli altri parlanti la nostra stessa lingua, naturale oppure artificiale): le parole che usiamo le "confezioniamo" e scegliamo noi!
(e se no chi ce le suggerirebbe o imporrebbe? Dio?).

La scienza ovviamente non è l' unica attività umana (e come tutte le altre stabilisce arbitrariamente che cosa essere: è ciò che intende essere). Esistono anche le arti, la politica, la superstizioni, le religioni e infinite altre attività umane (tutte ovviamente scelte ad libitum nel loro essere quel che sono da chi intende praticarle).
Ma nessuna ha nemmeno lontanamente (e molte delle più serie e rispettabili giustamente non se lo propongono nemmeno, anzi direi che si guardano bene dal farlo: poesia, prosa letteraria, musica, teatro, cinema, ecc.) le garanzie razionalmente fondate di conoscenza del mondo materiale – naturale che sono proprie della scienza, la quale di dubitabile in linea di principio assume unicamente un minimo di credenze proprie anche del senso comune, tali che inevitabilmente chiunque è comunemente considerato sano di mente (tutti coloro che lo sono) per lo meno si comporta (-no) come se vi credesse (-ro).

E=mc(2), se la realtà diviene ordinatamente in una concatenazione causale (cosa indimostrabile: Hume!), allora è un discorso confermato da tutte le osservazioni empiriche finora effettuate: fino a eventuale falsificazione empirica futura può essere considerato vero (e di fatto funziona, ragion per cui presenta comunque certamente per lo meno tratti di verità, a meno di credere che funzioni per il solito "puro culo"), al contrario di qualsiasi altra pretesa di conoscenza del mondo materiale – naturale, per larghissimamente condivisa che sia nell' ambito di tradizioni culturali, per antiche e "venerabilissime" che siano, le cui affermazioni sono platealmente falsificate dall' esperienza e in molti casi anche aprioristicamente confutabili per via logica in quanto autocontraddittorie.
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CitazionePosto che lo scetticismo non è razionalmente superabile e allora se si vuole essere razionalisti del tutto conseguenti bisogna limitarsi a dubitare di tutto, sospendere il giudizio su tutto (anche sulla non superabilità dello scetticismo, e allora la discussione è "morta lì"; se invece si assume un minimo di credenze indimostrabili proprie del cosiddetto "senso comune" e tali che chiunque è correntemente considerato sano di mente per lo meno agisce come se vi credesse, allora è falso che qualsiasi credenza su qualsiasi cosa è vera.
Non occorre essere scettici, non si può essere scettici, è un'altra forma di assolutismo essere sempre scettici e quindi è una contraddizione. Basta ammettere che non c'è mai una identità tra quello che diciamo e quello che c'è e quindi siamo costretti ad accontentarci di quello che ci diciamo per poi vedere fin dove riusciamo insieme a condividerlo e trovare una strada comune su cui arrivare insieme senza farci troppo male, perché nessuno conosce la verità, ma ognuno un po', diversamente, la sa vivendola. Non è essere scettici questo, è solo un essere ragionevoli insieme. C'è verità nella scienza, c'è verità nei miti, nelle filosofie, ci sono verità che altri vedono e noi no, verità che si vedevano in passato e ora non più e non perché in passato fossero assolutamente in errore, e verità che si vedranno in futuro e ora no, ma non perché ora siamo assolutamente in errore. Tutti ci si muove sempre a tentoni nella realtà, come ciechi, e i discorsi che ci facciamo sono un po' come i nostri bastoni, i primi bastoni.
CitazioneLo scetticismo, essendo sospensione del giudizio, non è e non può essere autocontraddittorio (per un' impossibilità logica).

Che quello che diciamo e quello che é/accade sono diverse (e non un' identica) cose non implica affatto necessariamente (sempre e comunque, inevitabilmente) che quello che diciamo di ciò che é/accade sia falso, potendone invece anche essere (per o meno in linea di principio) conoscenza vera.
Non è possibile alcuna onniscienza, ma possiamo accontentarci (e chi si accontenta gode).

Nei miti (nella misura in cui pretendono di descrivere la realtà naturale – materiale) ci può al massimo essere qualche limitata verità empirica elementare "da senso comune" (o in alternativa qualche verità "per puro culo"): non pretenderai mica di paragonarli (quanto a conoscenza del mondo naturale) materiale alla scienza?
Te lo sconsiglio vivamente anche perché, onde essere coerente in patica con una simile pretesa, potresti esserti curato, anziché con la medicina scientfica, con la medicina degli sciamani della foresta amazzonica o della Siberia (e avresti "ottime" probabilità di essere già morto da tempo).
La filosofia è altra cosa (per me personalmente più interessante), con altri intenti.

Concordo che la conoscenza scientifica è relativa e limitata (per esempio c' era qualche elemento di conoscenza vera anche nella teoria tolemaica, come ce n' è nella cosmologia copernicana, e questo sarebbe vero anche se in futuro venisse superata da teorie -ancora-  più vere); questo l' ho imparato da Lenin (Materialismo ed empiriocriticismo).
CONTINUA