Io penso sempre che la democrazia, nelle sue forme storiche, nel bene e nel male è sempre stata solo una democrazia d'elite, una democrazia delle elite: se la seguiamo un po' nel suo percorso storico reale, comincia come la democrazia assembleare dei maschi autoctoni proprietari di schiavi e di mogli in condizione di servitù, con assoluta esclusione appunto degli schiavi, delle donne e degli stranieri non assimilati.
Il modello di perfezione della società che nella democrazia antica si persegue, direi l'areté come perfezione e virtù, ha per base, di riflesso, un grado minimo di perfezione richiesto ai membri stessi dell'assemblea per essere tali, che sono emancipati dal lavoro manuale e di sopravvivenza, perché un certo numero di inferiori, appunto donne, schiavi e stranieri, svolgono il lavoro manuale e di sopravvivenza anche per loro: in generale, è l'uomo emancipato dal lavoro, tendenzialmente grazie allo sfruttamento del lavoro servile di un altro uomo, che può occuparsi dei quattro punti fondamentali intorno a cui direi si struttura nucleo etico e valoriale di tutto l'occidente antico, quanto meno pre-medioevale, nel valutare come degno, o buono, uno stile di vita umano rispetto a un altro: quattro punti che elencherei come: guerra/atletica (come professione, pensiamo agli spartani, o agli atleti olimpici antichi), filosofia/religione, arte, e, ultima ma non meno importante, politica come professione (cursus honorum tutto il pensiero antico sul buon governo).
Ricapitolando quindi, solo chi ha la tavola imbandita può fare il guerriero di lavoro, solo chi ha la tavola imbandita può fare l'artista di lavoro, solo chi ha la tavola imbandita può fare il "filosofo", nel senso antico del termine, di lavoro (filosofia che, vale la pena di ricordarlo, nel mondo antico era un esercizio spirituale per la felicità e dunque una condizione di vita totalizzante, non una questione accademica o al limite dilettantesca come è adesso), solo chi ha la tavola imbandita può fare politica di lavoro, e anzi gli antichi avevano già ben capito che più un politico è già ricco di suo, meno è tentato di farsi corrompere e quindi di danneggiare il bene pubblico per il suo bene privato. Ma i valori del guerriero, del buon governate, del filosofo/sacerdote e dell'artista, sono, i valori dell'uomo antico civilizzato, non esiste un riconoscimento etico del lavoro manuale se non come premessa a tutto il resto, quindi il rapporto tra ideologia e realtà nel mondo antico è col senno di poi più facilmente leggibile: una assemblea elitaria ritiene di funzionare secondo valori elitari, che i membri dell'assemblea sanno essere tali. Tale assemblea è l'unione degli uomini liberi che sanno di essersi resi tali grazie all'asservimento degli altri, l'attività del loro "spirito", corrisponde in gran parte ad una cessazione effettivamente reale della loro manualità (da un punto di vista prettamente manuale non fanno niente tutto il giorno), e a un abbassamento del livello di urgenza dei loro istinti e bisogni elementari, fame, sonno, riparo eccetera.
Il valore del dialogo come modo per garantire la pace, si comprende abbastanza bene in questo contesto: vi può essere un'alternanza di potere tra fazioni nell'assemblea e quindi nel governo della città, ma nessun membro dell'assemblea ha interesse a che il meccanismo assembleare sia definitivamente sovvertito, quindi, mentre i primi filosofi denunciavano le fallacie logiche e la condizione di vita mercenaria dei sofisti, i sofisti, che non erano degli scemi, già teorizzavano che il risolvere i conflitti tra gli uomini con la parola è una soluzione imperfetta, ma un male ben maggiore sarebbe prescindere completamente dalla parola, e risolverli con la pura forza. Il caos totale, in cui potrebbe dissolversi l'assemblea e dunque la stessa città se non si accettasse il dialogo come mezzo supremo di risoluzione dei conflitti, metterebbe in dubbio il diritto dell'uomo proprietario di schiavi ad essere mantenuto e non fare niente per occuparsi di cose "spirituali" tutto il tempo, e questo nessuno, degli uomini mantenuti, che si radunano in assemblea, lo vuole: da questo punto di vista, i sofisti e i primi filosofi sembrano più che altro in conflitto su quale e quanto, grado minimo di caos, in una comunicazione finalizzata alla persuasione intendo, sia accettabile.
Ma veniamo all'oggetto dell'argomento, alle democrazie moderne: le democrazie moderne sono, in parte, elitarie quasi come quelle antiche, nel senso che possono esistere perché un sistema-mondo, coloniale prima e neocoloniale poi, le fa esistere: il mondo non sarà mai tutto costituito da paesi democratici per come è allo stato attuale, perché alcune forme di dittature fanno in modo che stati oggetto di saccheggio e depredazione di materie prime rimangano tali, altre fanno in modo che il costo del lavoro in certi stati dove gli stati ricchi "delocalizzano" rimanga basso, ci sono troppi interessi in gioco, e insomma il diffondersi della democrazia non dipende dallo spirito democratico, ma dall'assetto economico e geopolitico del mondo.
Però l'insieme dei votanti non è solo un'elite improduttiva, c'è un'integrazione di chi svolge lavoro manuale in quanto operaio, o impresa così piccola da prevedere il lavoro manuale del proprietario (esercenti, artigiani eccetera), e c'è quindi un'integrazione dell'etica del lavoro nelle ideologie delle moderne democrazie.
Nonché dell'etica della scienza, della tecnologia eccetera. La questione è che gli eletti sono tutti fancazzisti, ma gli elettori non lo sono, e questa è la grande differenza ideologica, di autorappresentazione, tra democrazie antiche e moderne: il discorso sul lavoro ci deve stare nella propaganda e anche nelle costituzioni, perché l'elettore deve avere quanto meno l'illusione, di votare qualcuno che rappresenti i suoi interessi: è anche per questo che valori filosofici, militareschi, o estetici, sono stati spazzati via da un discorso sulla solidarietà, sulla produttività, sulla tecnoscienza: i lavoratori non sono più dei disabili mentali a cui la miglior cosa che possa capitare è essere governati da un governante abile, un buon tutore per un tipo umano che non saprà mai trovare il bene in se stesso ma saprà al limite, con massimo sforzo, obbedire formalmente a morali esterne, come li vedeva per esempio Platone nella Repubblica, ora, ai giorni nostri, la democrazia ha assunto in sé l'aspetto cristianeggiante socialista del discorso, pretende di essere l'autogoverno di tutti e quindi anche dei lavoratori, e tutto si complica di conseguenza.
Però la falsificazione in senso popperiano del discorso cristiano-socialista applicato alla democrazia, la falsificazione dell'etica democratica del lavoro è immediata ed evidente agli occhi di tutti secondo me: se davvero le esigenze dei lavoratori fossero integrate nella democrazia, dato che il lavoratori sono di più degli improduttivi, possono formare stabilmente maggioranza e i loro partiti dovrebbero essere per definizione i più forti, la democrazia stessa non esisterebbe o esisterebbe in forma transitoria per diventare comunismo, dittatura del proletariato: se così non avviene, e così non avviene, perché la democrazia è una forma stabile, c'è qualcosa che non va nell'integrazione reale degli interessi del lavoro nella democrazia, e il discorso sull'etica del lavoro e sul progresso garantito dalla scienza e dalla tecnica è in gran parte falso, ideologico, perfino quello sulla solidarietà lo è, perché la solidarietà dovrebbe prevedere, un certo prevalere degli interessi della maggioranza su quelli dell'infima minoranza, evidentemente qualcosa neutralizza il "naturale" funzionamento della democrazia, e i moderni schiavi votano per i moderni padroni di schiavi e il sistema schiavistico si rinnova, cioè il fancazzismo degli eletti, in termini di potere e rapporto di forza, conta di più e plasma la forma di vita di più, della probabile e frequente vita lavorativa manuale e orientata alla sopravvivenza degli elettori.
Io direi che il pensiero democratico ha preso la strada sbagliata, ovvero a partire da un sogno in cui le macchine e l'intelletto generale, il sapere come potere, nelle democrazie moderne avrebbero avuto l'esatta funzione, sia pure a mutate condizioni, degli schiavi e delle donne nelle democrazie antiche, cioè avrebbero emancipato l'uomo dal lavoro manuale per orientarlo, in fondo, agli stessi quattro grandi valori dell'elite antichi "democratici": guerra, auspicabilmente sublimata dallo sport e dal perfezionamento fisico, (cosa che in fondo si rende necessaria perché le armi potenziate dalla tecnica stessa in tempi moderni arrivano a un livello di distruttività per cui la guerra in senso stretto è impossibile, o almeno è impossibile volerla, se si preme il bottone, finisce l'umanità, quindi si può supporre che a umanità esistente, il bottone non sia stato premuto), filosofia come perfezionamento spirituale dell'uomo data la conoscenza e l'accettazione delle condizioni della realtà, arte, e politica nel senso del buon governo: in questo primo modo di porre le cose, viene riconosciuta la durezza e il disvalore del lavoro manuale, e le macchine, la scienza, i valori recenti dell'occidente, sostituiscono gli schiavi e le donne, gli stranieri non integrati, gli inferiori in generale, nell'essere l'elemento non valorizzato e oggettificato che mantiene e rende possibili tutti gli altri, in vista della possibilità di un'assemblea davvero universale, e quindi di una democrazia, davvero universale; l'oggettificazione delle macchine per la prima volta nella storia avrebbe potuto essere sfruttamento senza violenza, perché corrispondente alla realtà; le macchine sono, effettivamente oggetto, e come tale possono essere inserite al grado più basso nella scala di valori della società senza che questo comporti sofferenza inflitta a un essere cosciente, senza che questo comporti struttura di classe/casta e quindi, in linea generale, violenza. Quando le macchine li sostituiscono, gli esseri umani finora in condizione di debolezza, vengono lanciati verso la loro libertà, sostituiti in un modo a loro favorevole, espulsi dalla loro stessa sopravvenuta obsolescenza, ma verso una condizione migliore, di parità con gli altri uomini.
Un mondo libero può essere immaginato come un mondo in cui a tutti è possibile fare filosofia o buon governo nel senso profondo e totalizzante che gli antichi davano a questi termini, o fare arte, o essere sacerdoti e uomini sacri o donne sacre in un contesto politeista, insomma liberati dal lavoro dalle macchine e dalla conoscenza, avremmo potuto perseguire una perfezione, un auto perfezionamento, basato sulla virtù sia come possibilità di felicità che come forma riconoscibile dell'essere-umano, simile a quella che gli antichi perseguivano in quanto liberati dal lavoro attraverso lo sfruttamento dell'energia manuale dell'uomo. Lavorare magari due ore al giorno eccetera. Usando con più saggezza le nostre risorse, avremmo potuto fare le stesse cose che faceva l'elitie "democratica" degli antichi in condizioni diverse, inseguire i loro stessi valori in condizioni diverse. L'uomo vitruviano di Leonardo applicato ad ogni uomo, ogni uomo che diviene così.
Invece la modernità e la storia del mondo è andata in senso opposto, nel senso dell'integrazione del lavoro manuale e macchinico nella categoria dell'eccellenza, o quanto meno del riconoscimento sociale e giuridico dovuto e garantito.
Visto che si rinuncia al sogno, e si ammette che i subordinati e gli ultimi sono destinati a restare tali per un tempo indefinito/infinito, il sistema si abbassa a dare il contentino, le briciole, e ormai sempre più nemmeno quelle, per rappresentare le loro istanze. Ecco la linea di tendenza in cui si iscrive il fordismo il welfare state, tutto il discorso, sui diritti umani prima, e sul politicamente corretto poi. Quello che rende (rendeva) umane, sopportabili, le nostre democrazie.
E questo davvero ha posto una distanza assoluta, un essere su due piani diversi, tra noi e loro, tra la democrazia antica e quella moderna.
Areté, virtù, non è più un qualcosa che comincia contemplando il mondo con lo stomaco pieno e il contesto di ozio e agio che può avere chi è oltre la lotta per la sopravvivenza, è qualcosa che può valere per tutto e per tutti, in un universalismo che si pretende contro ogni evidenza già realizzato: perfino per macchine e animali umanizzati comincia a valere, nel pensiero contemporaneo, il concetto di virtù (da paperino alle intelligenze artificiali). A partire da qualsiasi posizione, si può parlare del bene e definire una forma.
L'essere poveracci, l'essere incatenati al lavoro, l'essere in condizioni di lotta per la sopravvivenza, dall'essere il problema di cui ci si doveva liberare nelle utopie della prima modernità, quelle progressiste, ha assunto dignità, e quindi, inevitabilmente, stabilità, pretesa di eternità, nelle utopie contemporanee, socialiste e totalitarie, neoliberismo compreso direi, per riprendere un po' quella distinzione tra utopie moderne e contemporanee di cui parlava Cacciari, in un recente video che è stato commentato sul sito. E se un certo tipo umano acquisisce dignità, i suoi oggetti più prossimi acquisiscono dignità, i suoi animali più prossimi acquisiscono dignità, inevitabilmente, diviene una questione di ambiente umano, di seconda natura, di ecosistema.
E dunque, come dicevo prima, non solo i poveracci hanno acquisito dignità, persino le macchine di per se stesse, le conoscenze di per se stesse.
Il discorso sul lavoro, il discorso sull'integrazione di chi non può, a prescindere dal volere, fare una vita spirituale e speculativa perché vincolato dalla necessità, comincia a entrare nell'ideologia della contemporaneità non come discorso provvisorio, ma come permanente, perdendo così ogni senso: se la democrazia universale sarà prima o poi realizzata, che senso ha fare dell'integrazione un valore? Se saremo emancipati dal lavoro, che senso ha fare del lavoro un valore? Se saremo emancipati dagli istinti, che senso ha fare degli istinti un valore?
Io non sono qui a dire se questa integrazione delle lotta per la sopravvivenza e del lavoro domestico, riproduttivo, manuale, biologico e chi più ne ha più ne metta, nella possibilità di felicità per come modernamente, e democraticamente, concepita, sia o no un bene. Non sono qui a dire se questa integrazione delle macchine e dei subordinati più o meno disperati nel discorso, e nel discorso che regge le nostre democrazie, nelle nostre costituzioni ad esempio, sia o no un bene.
Mi sento però di dire che tale integrazione non è reale, non è vera. Ad esempio se i lavoratori fossero al potere, sia pure nei limiti della democrazia, eleggerebbero rappresentati che farebbero i loro interessi. Se le donne fossero realmente al potere molti dei loro problemi e discriminazioni, tipo i femminicidi, non avverrebbero. Se i rappresentanti degli interessi degli animali fossero al potere, gli animali non sarebbero trattati come sono trattati.
Quindi, dovendo descrivere il presente, è l'improduttività degli eletti che catalizza il potere e la forma del mondo, non la presunta produttività degli elettori. Anche e soprattutto rispetto al discorso sulla democrazia. I politici sono un'assemblea di elite che prima di ogni identificazione ideologica è identificata dall'avere qualcuno che lavora e produce beni anche per loro, e il centro delle loro priorità è, e sarà sempre, mantenersi tali.
Il modello di perfezione della società che nella democrazia antica si persegue, direi l'areté come perfezione e virtù, ha per base, di riflesso, un grado minimo di perfezione richiesto ai membri stessi dell'assemblea per essere tali, che sono emancipati dal lavoro manuale e di sopravvivenza, perché un certo numero di inferiori, appunto donne, schiavi e stranieri, svolgono il lavoro manuale e di sopravvivenza anche per loro: in generale, è l'uomo emancipato dal lavoro, tendenzialmente grazie allo sfruttamento del lavoro servile di un altro uomo, che può occuparsi dei quattro punti fondamentali intorno a cui direi si struttura nucleo etico e valoriale di tutto l'occidente antico, quanto meno pre-medioevale, nel valutare come degno, o buono, uno stile di vita umano rispetto a un altro: quattro punti che elencherei come: guerra/atletica (come professione, pensiamo agli spartani, o agli atleti olimpici antichi), filosofia/religione, arte, e, ultima ma non meno importante, politica come professione (cursus honorum tutto il pensiero antico sul buon governo).
Ricapitolando quindi, solo chi ha la tavola imbandita può fare il guerriero di lavoro, solo chi ha la tavola imbandita può fare l'artista di lavoro, solo chi ha la tavola imbandita può fare il "filosofo", nel senso antico del termine, di lavoro (filosofia che, vale la pena di ricordarlo, nel mondo antico era un esercizio spirituale per la felicità e dunque una condizione di vita totalizzante, non una questione accademica o al limite dilettantesca come è adesso), solo chi ha la tavola imbandita può fare politica di lavoro, e anzi gli antichi avevano già ben capito che più un politico è già ricco di suo, meno è tentato di farsi corrompere e quindi di danneggiare il bene pubblico per il suo bene privato. Ma i valori del guerriero, del buon governate, del filosofo/sacerdote e dell'artista, sono, i valori dell'uomo antico civilizzato, non esiste un riconoscimento etico del lavoro manuale se non come premessa a tutto il resto, quindi il rapporto tra ideologia e realtà nel mondo antico è col senno di poi più facilmente leggibile: una assemblea elitaria ritiene di funzionare secondo valori elitari, che i membri dell'assemblea sanno essere tali. Tale assemblea è l'unione degli uomini liberi che sanno di essersi resi tali grazie all'asservimento degli altri, l'attività del loro "spirito", corrisponde in gran parte ad una cessazione effettivamente reale della loro manualità (da un punto di vista prettamente manuale non fanno niente tutto il giorno), e a un abbassamento del livello di urgenza dei loro istinti e bisogni elementari, fame, sonno, riparo eccetera.
Il valore del dialogo come modo per garantire la pace, si comprende abbastanza bene in questo contesto: vi può essere un'alternanza di potere tra fazioni nell'assemblea e quindi nel governo della città, ma nessun membro dell'assemblea ha interesse a che il meccanismo assembleare sia definitivamente sovvertito, quindi, mentre i primi filosofi denunciavano le fallacie logiche e la condizione di vita mercenaria dei sofisti, i sofisti, che non erano degli scemi, già teorizzavano che il risolvere i conflitti tra gli uomini con la parola è una soluzione imperfetta, ma un male ben maggiore sarebbe prescindere completamente dalla parola, e risolverli con la pura forza. Il caos totale, in cui potrebbe dissolversi l'assemblea e dunque la stessa città se non si accettasse il dialogo come mezzo supremo di risoluzione dei conflitti, metterebbe in dubbio il diritto dell'uomo proprietario di schiavi ad essere mantenuto e non fare niente per occuparsi di cose "spirituali" tutto il tempo, e questo nessuno, degli uomini mantenuti, che si radunano in assemblea, lo vuole: da questo punto di vista, i sofisti e i primi filosofi sembrano più che altro in conflitto su quale e quanto, grado minimo di caos, in una comunicazione finalizzata alla persuasione intendo, sia accettabile.
Ma veniamo all'oggetto dell'argomento, alle democrazie moderne: le democrazie moderne sono, in parte, elitarie quasi come quelle antiche, nel senso che possono esistere perché un sistema-mondo, coloniale prima e neocoloniale poi, le fa esistere: il mondo non sarà mai tutto costituito da paesi democratici per come è allo stato attuale, perché alcune forme di dittature fanno in modo che stati oggetto di saccheggio e depredazione di materie prime rimangano tali, altre fanno in modo che il costo del lavoro in certi stati dove gli stati ricchi "delocalizzano" rimanga basso, ci sono troppi interessi in gioco, e insomma il diffondersi della democrazia non dipende dallo spirito democratico, ma dall'assetto economico e geopolitico del mondo.
Però l'insieme dei votanti non è solo un'elite improduttiva, c'è un'integrazione di chi svolge lavoro manuale in quanto operaio, o impresa così piccola da prevedere il lavoro manuale del proprietario (esercenti, artigiani eccetera), e c'è quindi un'integrazione dell'etica del lavoro nelle ideologie delle moderne democrazie.
Nonché dell'etica della scienza, della tecnologia eccetera. La questione è che gli eletti sono tutti fancazzisti, ma gli elettori non lo sono, e questa è la grande differenza ideologica, di autorappresentazione, tra democrazie antiche e moderne: il discorso sul lavoro ci deve stare nella propaganda e anche nelle costituzioni, perché l'elettore deve avere quanto meno l'illusione, di votare qualcuno che rappresenti i suoi interessi: è anche per questo che valori filosofici, militareschi, o estetici, sono stati spazzati via da un discorso sulla solidarietà, sulla produttività, sulla tecnoscienza: i lavoratori non sono più dei disabili mentali a cui la miglior cosa che possa capitare è essere governati da un governante abile, un buon tutore per un tipo umano che non saprà mai trovare il bene in se stesso ma saprà al limite, con massimo sforzo, obbedire formalmente a morali esterne, come li vedeva per esempio Platone nella Repubblica, ora, ai giorni nostri, la democrazia ha assunto in sé l'aspetto cristianeggiante socialista del discorso, pretende di essere l'autogoverno di tutti e quindi anche dei lavoratori, e tutto si complica di conseguenza.
Però la falsificazione in senso popperiano del discorso cristiano-socialista applicato alla democrazia, la falsificazione dell'etica democratica del lavoro è immediata ed evidente agli occhi di tutti secondo me: se davvero le esigenze dei lavoratori fossero integrate nella democrazia, dato che il lavoratori sono di più degli improduttivi, possono formare stabilmente maggioranza e i loro partiti dovrebbero essere per definizione i più forti, la democrazia stessa non esisterebbe o esisterebbe in forma transitoria per diventare comunismo, dittatura del proletariato: se così non avviene, e così non avviene, perché la democrazia è una forma stabile, c'è qualcosa che non va nell'integrazione reale degli interessi del lavoro nella democrazia, e il discorso sull'etica del lavoro e sul progresso garantito dalla scienza e dalla tecnica è in gran parte falso, ideologico, perfino quello sulla solidarietà lo è, perché la solidarietà dovrebbe prevedere, un certo prevalere degli interessi della maggioranza su quelli dell'infima minoranza, evidentemente qualcosa neutralizza il "naturale" funzionamento della democrazia, e i moderni schiavi votano per i moderni padroni di schiavi e il sistema schiavistico si rinnova, cioè il fancazzismo degli eletti, in termini di potere e rapporto di forza, conta di più e plasma la forma di vita di più, della probabile e frequente vita lavorativa manuale e orientata alla sopravvivenza degli elettori.
Io direi che il pensiero democratico ha preso la strada sbagliata, ovvero a partire da un sogno in cui le macchine e l'intelletto generale, il sapere come potere, nelle democrazie moderne avrebbero avuto l'esatta funzione, sia pure a mutate condizioni, degli schiavi e delle donne nelle democrazie antiche, cioè avrebbero emancipato l'uomo dal lavoro manuale per orientarlo, in fondo, agli stessi quattro grandi valori dell'elite antichi "democratici": guerra, auspicabilmente sublimata dallo sport e dal perfezionamento fisico, (cosa che in fondo si rende necessaria perché le armi potenziate dalla tecnica stessa in tempi moderni arrivano a un livello di distruttività per cui la guerra in senso stretto è impossibile, o almeno è impossibile volerla, se si preme il bottone, finisce l'umanità, quindi si può supporre che a umanità esistente, il bottone non sia stato premuto), filosofia come perfezionamento spirituale dell'uomo data la conoscenza e l'accettazione delle condizioni della realtà, arte, e politica nel senso del buon governo: in questo primo modo di porre le cose, viene riconosciuta la durezza e il disvalore del lavoro manuale, e le macchine, la scienza, i valori recenti dell'occidente, sostituiscono gli schiavi e le donne, gli stranieri non integrati, gli inferiori in generale, nell'essere l'elemento non valorizzato e oggettificato che mantiene e rende possibili tutti gli altri, in vista della possibilità di un'assemblea davvero universale, e quindi di una democrazia, davvero universale; l'oggettificazione delle macchine per la prima volta nella storia avrebbe potuto essere sfruttamento senza violenza, perché corrispondente alla realtà; le macchine sono, effettivamente oggetto, e come tale possono essere inserite al grado più basso nella scala di valori della società senza che questo comporti sofferenza inflitta a un essere cosciente, senza che questo comporti struttura di classe/casta e quindi, in linea generale, violenza. Quando le macchine li sostituiscono, gli esseri umani finora in condizione di debolezza, vengono lanciati verso la loro libertà, sostituiti in un modo a loro favorevole, espulsi dalla loro stessa sopravvenuta obsolescenza, ma verso una condizione migliore, di parità con gli altri uomini.
Un mondo libero può essere immaginato come un mondo in cui a tutti è possibile fare filosofia o buon governo nel senso profondo e totalizzante che gli antichi davano a questi termini, o fare arte, o essere sacerdoti e uomini sacri o donne sacre in un contesto politeista, insomma liberati dal lavoro dalle macchine e dalla conoscenza, avremmo potuto perseguire una perfezione, un auto perfezionamento, basato sulla virtù sia come possibilità di felicità che come forma riconoscibile dell'essere-umano, simile a quella che gli antichi perseguivano in quanto liberati dal lavoro attraverso lo sfruttamento dell'energia manuale dell'uomo. Lavorare magari due ore al giorno eccetera. Usando con più saggezza le nostre risorse, avremmo potuto fare le stesse cose che faceva l'elitie "democratica" degli antichi in condizioni diverse, inseguire i loro stessi valori in condizioni diverse. L'uomo vitruviano di Leonardo applicato ad ogni uomo, ogni uomo che diviene così.
Invece la modernità e la storia del mondo è andata in senso opposto, nel senso dell'integrazione del lavoro manuale e macchinico nella categoria dell'eccellenza, o quanto meno del riconoscimento sociale e giuridico dovuto e garantito.
Visto che si rinuncia al sogno, e si ammette che i subordinati e gli ultimi sono destinati a restare tali per un tempo indefinito/infinito, il sistema si abbassa a dare il contentino, le briciole, e ormai sempre più nemmeno quelle, per rappresentare le loro istanze. Ecco la linea di tendenza in cui si iscrive il fordismo il welfare state, tutto il discorso, sui diritti umani prima, e sul politicamente corretto poi. Quello che rende (rendeva) umane, sopportabili, le nostre democrazie.
E questo davvero ha posto una distanza assoluta, un essere su due piani diversi, tra noi e loro, tra la democrazia antica e quella moderna.
Areté, virtù, non è più un qualcosa che comincia contemplando il mondo con lo stomaco pieno e il contesto di ozio e agio che può avere chi è oltre la lotta per la sopravvivenza, è qualcosa che può valere per tutto e per tutti, in un universalismo che si pretende contro ogni evidenza già realizzato: perfino per macchine e animali umanizzati comincia a valere, nel pensiero contemporaneo, il concetto di virtù (da paperino alle intelligenze artificiali). A partire da qualsiasi posizione, si può parlare del bene e definire una forma.
L'essere poveracci, l'essere incatenati al lavoro, l'essere in condizioni di lotta per la sopravvivenza, dall'essere il problema di cui ci si doveva liberare nelle utopie della prima modernità, quelle progressiste, ha assunto dignità, e quindi, inevitabilmente, stabilità, pretesa di eternità, nelle utopie contemporanee, socialiste e totalitarie, neoliberismo compreso direi, per riprendere un po' quella distinzione tra utopie moderne e contemporanee di cui parlava Cacciari, in un recente video che è stato commentato sul sito. E se un certo tipo umano acquisisce dignità, i suoi oggetti più prossimi acquisiscono dignità, i suoi animali più prossimi acquisiscono dignità, inevitabilmente, diviene una questione di ambiente umano, di seconda natura, di ecosistema.
E dunque, come dicevo prima, non solo i poveracci hanno acquisito dignità, persino le macchine di per se stesse, le conoscenze di per se stesse.
Il discorso sul lavoro, il discorso sull'integrazione di chi non può, a prescindere dal volere, fare una vita spirituale e speculativa perché vincolato dalla necessità, comincia a entrare nell'ideologia della contemporaneità non come discorso provvisorio, ma come permanente, perdendo così ogni senso: se la democrazia universale sarà prima o poi realizzata, che senso ha fare dell'integrazione un valore? Se saremo emancipati dal lavoro, che senso ha fare del lavoro un valore? Se saremo emancipati dagli istinti, che senso ha fare degli istinti un valore?
Io non sono qui a dire se questa integrazione delle lotta per la sopravvivenza e del lavoro domestico, riproduttivo, manuale, biologico e chi più ne ha più ne metta, nella possibilità di felicità per come modernamente, e democraticamente, concepita, sia o no un bene. Non sono qui a dire se questa integrazione delle macchine e dei subordinati più o meno disperati nel discorso, e nel discorso che regge le nostre democrazie, nelle nostre costituzioni ad esempio, sia o no un bene.
Mi sento però di dire che tale integrazione non è reale, non è vera. Ad esempio se i lavoratori fossero al potere, sia pure nei limiti della democrazia, eleggerebbero rappresentati che farebbero i loro interessi. Se le donne fossero realmente al potere molti dei loro problemi e discriminazioni, tipo i femminicidi, non avverrebbero. Se i rappresentanti degli interessi degli animali fossero al potere, gli animali non sarebbero trattati come sono trattati.
Quindi, dovendo descrivere il presente, è l'improduttività degli eletti che catalizza il potere e la forma del mondo, non la presunta produttività degli elettori. Anche e soprattutto rispetto al discorso sulla democrazia. I politici sono un'assemblea di elite che prima di ogni identificazione ideologica è identificata dall'avere qualcuno che lavora e produce beni anche per loro, e il centro delle loro priorità è, e sarà sempre, mantenersi tali.