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Messaggi - green demetr

#2746
x maral p1

cit maral
"Carrera riconosce come cruciale il problema del "come" che ho introdotto nella domanda che gli ho posto e il rischio che esso  istituisca a sua volta una gerarchia nel momento in cui si presenta più risolutivo del "che cosa" .  Ma in realtà non affronta questa problematica (il come a cui si riferisce non è modale, ma comparativo come nel pensiero ermetico)"

Ho letto l'intero riassunto. (grazie infinite a te e al prof Carrera dunque  ;))
Ma io mi fermerei all'inizio, se l'analisi deve essere comparativa, allora ci fermeremmo alla modalità.
Sia ben chiaro, la comparatistica è difatti l'analisi più "in auge" nel mondo della letteratura critica.

Ossia ad una ermeneutica. Quello che me la rende noiosa, è che si occupa dell'artistico.
Ma come diceva Nietzche ripreso dal Carmelo Bene (discorso con Zeri), l'arte invece di occuparsi delle forme, sbaglia ad occuparsi delle sostanze, diventando un immenso monumento. Un cimitero delle idee.
Carrera opportunatamente allora prova la via estetica, per uscire dalle impasse del metafisico.
(ma non è il solo, quasi tutti i filosofi passano all'estetica).
Eppure l'arte (nei sui 4 discorsi sul nulla di Carmelo Bene) è di nuovo solo, al massimo, consolazione.
Non ha nulla della vita. Dunque queste soluzioni le vedo sostanzialmente come soluzioni deboli.

Approfondimento Carrera.

cit maral
"Carrera è la comunità degli interpretanti che:  «grazie al loro lavoro trasformano quell'enunciazione in un macrotesto composto di discussioni scritte e orali, tesi di laurea, libri, voci di enciclopedia, pagine di antologie, siti web, documentari, qualunque cosa la semiosfera ci metta a disposizione»."

Certo ma la semiosfera divetasse biosfera? Mi sembra che Carrera non legga Agamben, Sloeterdijk, strutturalismo francese in generale.
(derrida, deleuze, baudrillard etc..etc...etc...).
In realtà l'eredità di questi filosofi è proprio far notare come la semiosfera, il simbolico, sia diventato pensiero ideologico.(teso al controllo o governo dei corpi)

cit maral
"i riferimenti vanno agli errori di Foucault quando si occupa di pensiero classico ...
Anche se la tecnica implica una diacronia, facendo riferimento a una tradizione, «lo sguardo della compresenza e sulla compresenza è sincronico."

Ma Focault non si è mai interessato della storia del pensiero classico, a lui interessava invece la modalità, la tecnica in cui quella storia veniva raccontata.(nella "storia della sessualità" e nella "ermeneutica del soggetto", lo ripete più volte)
Non è minimamente una questione di diacronico, sincronico, la questione è quella delle tecniche del pensiero unico.
Per Focault dunque la chiave è nel formale.(in ogni tempo).

Detto questo è interessante la chiave di lettura tra sincronicità venduta senza diacronicità.
A mio avviso insufficiente rispetto alla portata dei problemi politici da pensare.
#2747
No l'interpretazione è corretta  :) , d'altronde bisogna ri-citare anthonyi, per poter far capire l'errore ad Angelo.

E' vero avevo dimenticato completamente la generosità, come fulcro di una morale, non so se effettivamente retributiva, ma comunque di fatto lo era.
Generosità che si realizza nella convivialità e anche nel relazione sacrale col cibo.
E' vero a questo terzo punto non ci avevo ancora pensato. grazie inverno!
Forse non sarà più sacrale, ma in molte feste patronali, di paese, o nelle fiere o sagre che dir si vogliano, il piatto della festa un pò ancora lo ricorpre il carattere di sacralità anche solo se nella forma dell'appartenenza. Appartenenza ad un luogo e dunque ad una comunità.

Hai ragione, noi possiamo ricevere solo qualcosa di quell'esperienza.
Eppure alla lettura, l'emozione che la scrittura mi ha suscitato la ritengo genuina.
Ancora qualcosa (e anche di rilevante) passa della tradizione.

Non ho capito la storia dei Re, quella storica a quanto dici inverno.
Ma mi fido, se esiste una letteratura sterminata (trattandosi della bibbia, qualsiasi cosa che la riguarda è sterminata). Preferisco non indagare, sopratutto per quella parolina, "gerarchico"....ne sono allergico  ;)

Mi sembra tre punti da mettere nel paniere.
Perché la convivialità era molto presente nell'Induismo, basti pensare che i Veda erano dei ricettari!
Anzi a dire il vero in India, la convivialità e la sacralità del cibo è ancora presente! (anche se è più formale, più devozionale, che conviviale, anche se il risultato è comunque la convivialità  ;)  )



#2748
Citazione di: anthonyi il 26 Maggio 2017, 17:35:10 PM
Nel leggere il 3d ho trovato un ragionamento del quale mi è difficile cogliere il senso.
Cosa vuol dire che il parlare non può essere gerarchico? La comunicazione, per quanto ne so io, si pone a livelli differenti di autorevolezza, essa contiene una gerarchia, o no?
Sarei grato se qualcuno potesse chiarirmi la cosa.

Ciao anthony

grazie della domanda.

Si hai ragione, forse mi sono espresso male.  ;)

Intendo dire che il linguaggio, il parlare, è una gerarchia formale.

Non ha necessariamente la funzione di coercizione fisica.

Cioè distinguo una metafisico formale (quello classico, o anche quello americano analitico) dal reale. Ossia l'esito sulle relazioni sociali e private.

L'esito è sempre una coercizione (che lo si percepisca o meno) vi sono delle norme, delle abitudini, tanto che noi parliamo di normalità e di etica o morale.


Per risolvere delle situazioni di stallo o di sofferenza reali, necessiteremmo di una lotta fisica.
Ma nella storia umana, dall'invenzione della scrittura in poi (vedi Sini) la vera battaglia si è trasferita nel discorso. (e quindi nel formale, metafisico o analitico che sia)

Ovvero in ciò che DECIDIAMO di raccontarci. (nel senso di opinione pubblica, di morale, di normalità).


APPROFONDIMENTO E SPUNTI VARI PER IL FUTURO.



Lo scopo della filosofia è sempre stato quello di criticare, di evidenziare le cose che andavano bene e quelle che no.

Abbiamo così affinato gli strumenti della ragione (scienze, economia e diritto).

Ma siamo pervenuti in uno stato dove ci siamo dimenticati di affinare gli strumenti che analizzano NOI STESSI, ossia i parlanti, i ragionanti.

E a questo punto che si apre la mia discussione.

Qui c'è l'ambizione di correggere la metafisica che ha avuto il gran torto di voler dettar legge piuttosto che di criticare.

Ossia è nel come la metafisica si è sempre presentata (come verità) che risiede l'errore-

Perchè se la filosofia pretende di essere morale, alla fine diviene vittima degli stessi meccanismi che si proporrebbe di criticare.

Ossia invece di essere critica delle scienze, dell'economia, e del diritto.
Diviene essa stessa politica delle scienze, dell'economia e del diritto.
(diventa una voce fra le voci, senza avere più l'autorità di una volta.
e non ha più l'autorità perchè si è resa conto che era male. che la verità deve essere per tutti e non per pochi. ha creato cioè l'autorità della scienza (irrevocabile).)

ha praticamente sottoscritto alla sua stessa fine.

Ma non è un male, è un bene affidarsi alla scienza piuttosto che ad una opinione, o peggio un pregiudizio.

Rimane il problema dunque di cosa fare di questa metafisica.

Come scriveva Paul, è veramente necessario farne a meno?

A mio modo di sentire no.

Quello che voglio salvare è la trascendenza, ossia la spiritualità che informa l'uomo.

Ossia io voglio ricordare a me stesso SEMPRE, la mia umanità come corpo e come spirito.

Solo a quel punto posso dedicarmi alla critica della scienza della morale etc...

Dunque l'ambizione è quello di trovare un linguaggio che controlli il soggetto, il ragionante, ossia di chi critica, ragiona etc...sulla scienza etc....

SENZA farla diventare a sua volta una POLITICA una scelta di partito, schieramento etc...

Per fare questo devo creare un discorso che metta dei paletti, il più precisi possibili affinchè il soggetto, il criticante, il ragionante si chieda sempre COSA STA INDICANDO, quali operatori logici sta mettendo in campo, il fine di questo indicare e operare, ossia il suo limite invalicabile, PRIMA DI DIVENTARE presa di parte, politica, critica SU QUALCOSA.

Insomma il soggetto, il ragionante, il criticante, il politico (finanche) DEVE ESSERE CONSAPEVOLE delle trappole a cui si va incontro con il linguaggio stesso.
Non deve diventare il linguaggio stesso.
Se parlo di critica alla scienza non posso usare le categorie della scienza.
Nemmeno quelle della nostra chiave interpretativa, deve essere qualcosa a META' strada.
Questa nuova strada deve avere dei paletti che noi decidiamo in base alle scienze del linguaggio (grammatica,semantica, fononologia) e della semiotica (semiologia, ermeneutica, forma del romanzo).
I passaggi devono essere chiari, condivisibili da tutti, argomentabili.

Sono abbastanza convinto che fosse proprio ciò che Kant si era preposto di fare.
E che tentò di elaborare il più approfonditamente possibile. (lasciando una enormità di spunti, da elaborare anzitutto nel loro fallimento, ossia da leggere come eredità)

Posso bene dire che questo ambizioso progetto è una riscrittura formale delle intenzioni di Kant.
#2749
L'eterno ritorno come volontà di doppia negazione che conduce l'individuo alla psicosi paralizzante paranoica Nietzchiana, un effetto di un tumore beningo cerebrale, il remoto caso di una sifilide a lunga gittata.
Non lo sapremo mai.

O meglio nel caso del tumore benigno si giustificherebbero molti aforismi ritenibili scritti da un invasato.
Così nel caso della sifilide.

Ma nel caso della psicosi paralizzante, no.
Ed è quello che più mi interessa.

Mi interessa leggere l'evoluzione della lotta contro la paranoia che Nietzche ha intrapreso.
Nella mia intuizione la sua lotta è finita proprio con la psicosi paralizzante. (con una sconfitta dunque).

Adottando la psicologia fenomenologica di Minkowski, la lettura è semplice, nel soggetto paziente, il tempo è deformato, si rimane prigionieri di un presente senza fine.
Pensiamo solo alle azioni coatte di tali soggetti.

L'eterno ritorno se avesse ragione Maral sarebbe dunque l'epifenomeno della sconfitta di una lotta che era iniziata tempo prima.

Avrebbe inteso Nietzche esattamente la condizione dello psicotico, dell'autistico.
Se seguiamo l'interessante lettura di Maral, allora in Nietzche ci deve essere per forza un filo delirante che percorre le pagine ANCHE della gaia scienza.(il vero capolavoro di Nietzche).
Ricordiamo che sono 2 gli aforismi citati, uno nello zarathustra e uno nella gaia scienza.

Ma a questo punto il filo rosso che conduce ai biglietti della follia (in particolare io ho vissuto tutti i tempi),deve essere assai più vasto.

Vi dirò la verità, anche UTU può essere letto nella forma di un racconto di un paranoico.
Ma la mia intuizione è che è l'esatto contrario, è uno che sa di essere sotto il controllo paranoico, e cerca di superarlo.

Ma in cosa consiste la paranoia, la paranoia consiste nel "io sono già morto", "io non ci posso far niente".
Se ognuno di noi ci ragiona o medita sopra scoprirà di essere in quella stessa posizione.

Per poterlo scoprire deve indagare come il prorpio modo di essere al mondo, e di parlare, raccontare sopratutto, NASCONDA le 2 frasette scritte sopra.

Questa questione diventa automaticamente la nuova filosofia. Senza quella ricerca la filosofia è morta.
E se lo è detto tante volte (fino ad entrare nel loop infinito delle filosofie analitiche americane).
Fino alla celebre frase di Fukuyama:" La fine della storia".

Un grave peso, un grave coperchio è su tutti noi.

E' la società dello spettacolo, del benessere, ma è anche la società fordista, meccanica, che scandisce i tempi del vissuto a mò di ripetizione folle, fuori dal tempo, completamente MORTA. (e quindi completamente impaurita della morte).

La società morta (terrorizzata della morte) allora comincia a divorare se stessa. (esplodono i telefilm sugli zombie)
(l'allerta sociale diventa sempre più percepita, sempre più radicata, apre ai nuovi populismi di destra).
la gente comincia a farsi del male a togliersi i diritti gli uno con gli altri.

Non crede più di poter vivere perchè sà di essere già morta, E dunque DEVE vivere per forza.(è la mimesi dell'incoffessabilità delle 2 frasette dette sopra)
Arriviamo così alle distopie previste da Focault e Agamben.
La dietiestica, l'attenzione alla forma, diventano ossessive, i programmi si moltiplicano, aprono canali dedicati, e la gente viene assorbita in questo nodo di moebius.


Ma anche questo Nietzche lo aveva previsto, anzi lo aveva scritto lui in anteprima.
Lui parlava già il linguaggio paranoico moderno.
La dietistica, la forma ad ogni costo ed altre subdolezze simili.

E le consegnava guarda caso alla scienza, alla irrevocabilità della scienza.
Al controllo dei corpi. La filosofia di nuovo morta e sepolta somatizza e inventano la bio-etica.
(che sarebbe il contraltare del nemico principale della società contemporanea, il governo dei corpi, e non più delle menti).

La contradizione di Nietzche è dunque questa. Non è contradizione! è guerra all'interno dei discorsi.
Discorsi che sarebbero così tanti, che lui necessita di forma arrocate, di riduzioni, per darne indicazione, ovvero gli aforismi.

Ma la chiave per scardinare questa roccaforte del falso (questo fordismo delle menti che si accanisce sui corpi) quale è?

Non è la verità come la metafisica si è sempre posta, è la menzogna stessa.

Ma la menzogna cosa è?

Lo dice bene l'aforisma citato da Garbino sopra.

La menzogna è l'arte del mentire, ossia il raccontare.

Raccontare e raccontarsi, criticare e sbagliare, vi sono entrambe le dimensioni in nietzche.

E' quella famosa traversata del mare del nichilismo, potersi sbagliare per poi potersi riaffermare.
Inventare, e poi smontare, re-inventare e ri-smontare, vero un orizzonte.

Quello dell'oltre uomo, quello che abbandona l'uomo che mente sapendo di mentire.

Il nuovo uomo non mente più, perchè ha già detto che la menzogna SERVE per VIVERE.

la menzogna non serve per MORIRE (che sarebbe poi il mondo paranoico).

MA come si capisce, o forse no, si è una lama di rasoio.

La famosa poesia di montale.

"Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
e' dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case"

un passo falso un passo da ubriaco ed ecco che

"Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
Alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto"

Il nulla di Nietzche è dunque il nulla dell'eterno ritorno. (sempre ascoltando maral)

Una battaglia aspra, che viene meno, nel momento in cui la scrittura abbandona il Maestro.

In cui l'invenzione, altissima, che si staglia come un "esercito di metafore", viene meno nel mare del nichilismo.

Si sprofonda. Lui che non poteva fare a meno di guardare negli occhi l'abisso, e non come il passante ubriaco che fa spallucce e torna ad ingannarsi. (montale stesso)

Preferì sprofondare, volle con ogni probabilità sprofondare. E forse questo è il terribile monito che ci ha lasciato.
( e che tutti si affrettano a NON Affrontare).

E' inutile, più ci penso, e più è evidente che Nietzche sia il maestro assoluto.
#2750
x paul

grazie dell'incoraggiamento paul!  :)

armonizzare natura e tecnica, certo è così.


la cosa che disturba forse è di utilizzare una tecnica per farlo.


ma era/è qualcosa all'interno di quella stessa tecnica che mi aveva fatto balenare una possibile via di fuga.


non dico semplicemente (insomma già una complicazione per pochi) l'analisi psicanalitica linguistica lacaniana, ma proprio qualcosa all'interno del linguaggio stesso.




flusso di coscienza (non c'è scritto nulla di rilevante, alla pazienza del lettore se lo legge)




metto come appunto qui una delle mie persistenti (non trova ancora adeguata formulazione) idee.
si dice che la riflessione è il rimbalzare dell'oggetto, ma io sento che è il rimbalzare delle parole.
come se il suono rimbalzando, emesso ed ascoltato, rimandasse a una dimensione radicalmente umana.
dimensione di raccolta, di comprensione, di simbolo in una parola.


Ma il simbolo diventa rito, struttura, linguaggio e perde l'ascolto.


Qualcosa di quell'equilibrio natura (umana) e tecnica (sequenza dei simboli) viene a mancare.

Dando una rapida scorsa a Mauss, vedo che il progetto (che indicava Agamben) allora consisterebbe di controllare come la società si strutturi a partire da simboli  (scudi che non si possono portare, oggetti inutili) e poi ne perda le sue radici.

Se fosse così però rimarremmo nel "prendere atto di".

Come se il simbolo sia solo il pretesto per il gerarchico (lo strutturato, il calcolato).

Uno scudo che non si può portare....che senso avrebbe oggi come oggi.  (rimane delle vecchie tradizioni "solo" il denaro, la moneta)

E allora certamente scopriremmo quello che già sappiamo, che il "terzo" serve solo a far funzionare lo scambio sociale. L'iterazione fra individui.

In quel caso rientreremmo nel mio interesse maggiore ossia la relazioni con gli altri.
(è possibile interagire con gli altri senza un terzo? (metafisico , tecnico, sostitutivo, pretesto)

eppure anche qualcosa del formale c'era....lo giurerei.....vabbè basta flusso di coscienza per oggi.

cos' imparo ad aprire discussioni senza averne un minimo di controllo.

Ma appunto sperimentiamo!

grazie ancora!
#2751
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Maggio 2017, 00:39:41 AM
Personalmente sono ateo (anche se ateo non metafisico).

Mi sono riferito a Gesù come se fosse Dio perché l'evangelista Giovanni lo considera Dio (basti pensare al prologo: il Verbo era Dio... e il Verbo si fece carne). Dunque, leggere il vangelo di Giovanni considerando Gesù uomo tra gli uomini significherebbe non rispettare il contesto creato dall'evangelista: anche se io sono ateo, ciò non mi autorizza a travisare il contesto in cui Giovanni presenta Gesù, cioè un contesto di fede in Gesù considerato Dio, come ho mostrato.

La metafora della convivialità va bene, ma è anche importante tener presente che essa non è né l'unica possibile, né l'unico senso di quel racconto.

Nei Vangeli è ovviamente molto presente il lato umano di Gesù, ma ciò non consente di considerarlo solo un essere umano. Dico "considerarlo" sempre nel senso non che noi dobbiamo credere che Gesù è Dio, ma che va rispettato il fatto che i Vangeli lo presentano come tale.

Certamente possiamo intendere Gesù come Dio. Ma anche come uomo.

Quello che intendevo è che non ci vedo alcuna teodicea, e mi sorprende che tu ce la veda.

Tutto qua.







#2752
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Maggio 2017, 12:57:51 PM
La convivialità espressa in quel brano è senz'altro ammaliante. Considerando come tu prosegui il discorso, vedo però proprio in quel brano una malvagità colpevolizzante, cioè come se lì Dio pretendesse di dire: "Vedete? Io sono buono, con me si mangia e si beve, siete voi ad essere cattivi".

Io non ci sto e gli ribatto: "Se hai potuto saziare quel gruppo, perché non sazi il mondo intero? Se ti è piaciuto vivere la convivialità con loro, perché non lo fai con tutti? Allora il cattivo sei tu, che con brani poetici come questi cerchi di allontanare dalla nostra mente l'idea che tu sei responsabile del male del mondo". È il problema della teodicea, che demolisce in un niente ogni filosofia e ogni religione.

Ogni tanto cerco di ricordare alla mia mente che, quando ai politici ricconi ed egoisti, se io fossi al loro posto, col 99% di probabilità mi comporterei come loro. Perciò non ha senso che io accusi il loro tassare e confiscare: io sono come loro. Perciò va bene il dibattito politico, ma non devo dimenticare che devo accompagnarlo con un mio sforzo continuo di evoluzione spirituale, altrimenti non faremo altro che contribuire a far essere il mondo sempre uguale.

Quando dico che tutto è male, non intendo negare l'esperienza del bene; intendo esprimere una percezione esistenziale; ovvio che io sperimento anche il bene, tutti i giorni, ma è sempre un bene inquinato. Visto che nessuna filosofia e nessuna religione sa darmi ragione di ciò, prendo la strada dell'andare per umili tentativi, se non altro non avrò sollecitato la gente a romanticismi ingannatori e fuorvianti come fa il racconto dei pani e dei pesci.

Il sacro è una bella esperienza, umanamente apprezzabile, ma non c'è sacro che non possa essere dissacrato; credo che una buona spiritualità debba saper apprezzare l'uno e l'altro: il sacro, che è profondamente umano, e il dissacrare, che peraltro non può mai pretendere di essere l'ultima parola, altrimenti si trasformerebbe in metafisica.




Dipende, non so perchè JsebB e myfriend leggano in Giovanni Gesù come se fosse Dio, cosa che mi pare faccia anche tu.

Gesù è un uomo fra gli uomini che impersonifica l'azione divina.

Il suo messaggio è certamente ultraterreno, ma il suo esempio è totalmente umano, uomo tra gli uomini.

Essendo una metafora, sta a mio avviso ad indicare nella convivialità uno dei mattoni sacrali della spiritualità (della vita spirituale come ci siamo già chiariti).

E' sempre nel canone della imitatio christi. Un canone lato umano, è evidente a mio parere. (e non capisco come invece sia diventato celebre come uno dei miracoli più citati, lato divino immagino).

La teodicea non riesco a sentirla in quei passaggi.

Certo se parliamo di teodicea, stiamo portando una balena nell'acquario di questo thread, forse sarebbe il caso di aprire 3d a parte.
Ma chi sarebbe in grado di farlo. Io non ho abbastanza cultura generale per farlo.

La dissacrazione a cui alludi però dovrebbe avere un chiaro riferimento.

Ed è quello della sperequazione dei beni, fra poveri e ricchi. Tema politico presentissimo nel vangelo di Giovanni, che non a caso è il vangelo della conversione per eccellenza.

Ma ripeto non vorrei che l'admin di questa sezione poi protestasse. Parlavano di dolcezza come motivo essenziale all'apertura di ogni discussione.

A mio modo di vedere di quello possiamo parlarne altrove.

Ti consiglio di aprire 3d su filosofia tra legami fra religione e politica, oppure di continuare tale discorso sul 3d del Dubbio.

Non ha senso qui insomma mettere timore nella gente (come il telefilm "il giovane papa", testimonia).
#2753
Oddio anzitutto scusatantissimoooo Mymind!!! :-[  I primi caldi...e già deliro?  ;)  ;)  ;)


Hai ragione!! la domanda "cosa è l'uomo" automaticamente sposta la questione sull'epistemologico e non sul reale.

(chissà perchè una questione così banale è sempre trascurata  :-[ )

Eh sì direi che sono proprio spalle al muro.

Ma ripeto è un progetto a lungo termine. Se riesco poi a leggere come non mi capitava da anni, forse qualcosina ne riesco a ricavare, e sicuramente a pensare.  ;D
#2754
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Maggio 2017, 23:59:59 PM
Non so da dove tu deduca questo, ma per me metafore e simboli sono importantissimi; per oltre vent'anni di sacerdozio ho vissuto di simboli (la Messa e tutti i sacramenti non sono altro che simboli e insiemi di simboli); la Bibbia si è prestata e si presta moltissimo a innumerevoli letture simboliche che per me sono di valore vitale. A me stesso piace tante volte scegliere con cura le parole con cui mi esprimo per mettere in esse significati più o meno simbolici.

Mi scuso allora.
Per quanto riguarda la storicità del Cristo, non mi avventuro. ;)
Mi interesso solo della parte simbolico-morale.
Ma leggo con interesse gli interventi di Myfriend e di JsebB.
#2755
Pensiamo alla scena in Giovanni del pane e del pesce e del vino.

Prima di leggere i meravigliosi paesaggi di giovanni, la conoscevo sopratutto per via dei miracoli.

Ma alla mia prima lettura effettiva, un senso sacrale mi ha preso. 

Era invece la celebrazione della convivialità, del gusto di stare insieme, del mangiare e bere insieme.

Dell'elargire (e non del tassare e confiscare) agli uomini per gli uomini.

E quindi Angelo, sì, esiste del bene a stare con gli altri.

Ed esiste anche il tassare e il confiscare, esiste l'uomo che è nemico dell'uomo.
#2756
risposte  a Myfriend e Paul

Ciao MyFriend

cit MyFriend.
Si Peirce partendo da Saussure(padre invece della semiologia) e finendo con Umberto Eco.

Saussure per forza di cose. (è alla base di tutto lo strutturalismo francese degli anni 70 - 90)

Umberto Eco non penso, si è reso colpevole di una cosa ai miei danni che non posso dimenticare.

Ma a parte la componente autobiografica, non mi sembra che sia molto considerato dai miei autori, anzi alcuni lo criticano aspramente.
Invece quasi tutti indicano in Mauss l'uomo da cui ripartire. Non lo conoscono, e per ora i consigli rimangono a livello quasi sacerdotale. Vedremo.

cit MyFriend.
Già dire soggetto e pensarlo implica un sistema che gli sta dietro e sorregge il significato che esprime, quindi siamo già nello specialistico, già nel limite e nella gerarchia. Invece che soggetto possiamo parlare di essere se vogliamo togliere uno strato di "umanità", di costrutto logico. Le forme di controllo servono a capire non sono obbligatorie alla prospettiva pratica. Ed è vero non è facile, di sicuro bisogna passare dal nichilismo superandolo in una sorta di concezione zen. Nel fuggire un pericolo imminente non c'è una logica categorizzante ma un semplice rapporto di causa effetto e oltre quello non si va, non c'è verbo soggetto e complemento non c'è nemmeno un contesto a meno che non ti fermi a guardarlo. È nell'azione depensata che possiamo trovare una sorta di degerarchizzazione, ma se vuoi fermarti a esplorare devi per forza prendere in mano un microscopio, uno strumento, la logica che poi ci porta a una critica dello strumento, ma è soltanto la prospettiva che rende lo strumento tale e ci arrovelliamo sul perché abbia dei difetti anche se le cose sono oltre lo strumento. Ricordo una frase di Nietzsche a cui si torna sempre che diceva: "non esistono fatti, ma solo interpretazioni", quindi cambiando interpretazione(che è il cardine di tutto) cambieranno anche i fatti che non saranno mai assoluti.

Grazie del contributo MyFriend.

Anche se mi sembra una critica, critica che si somma alle mie perplessità su una effettiva utilità del formale.

Andando indietro nel tempo però mi sembrava che avere in mente uno schema di relazione, foss'anco gerarchico, o di causa-effetto come suggerisci tu, avrebbe potuto essere utile.

Però voglio dire (ed hai ragione a dubitare) anche avere uno schemino di riferimento da ricordare, ho paura che non toglie, che la prospettiva usata, quella della causa prima, probabilmente, infici completamente su un effettivo controllo del metafisico.
Hai fatto bene a ricordarlo.

(Purtroppo proprio in questi giorni l'amico con cui lavoravo sul progetto si è dato per disperso. Boh, c'est la vie.)

C'è molto da pensare da parte mia, e questo caldo non aiuta affatto.


Ciao Paul  :)

Grazie ancora del contributo.

Effettivamente anche il tuo contributo mi sembra una critica, e anche più consapevole di quella di Myfriend.
Credevo che fosse una questione poco pensata, ma vedo proprio che è il contrario.

E' vero Paul, mi sembra che il formale non possa catturare in nessun modo il modo circostante.

Ed è vero anche il secondo punto che penso posso ridurre a quanto dice anche Myfriend o alla critica di Philip a Ceravolo.
Rendere il conoscitivo coerente, sposta completamente il punto alla causa prima, nel tuo caso il mentale, meglio il culturale. (ovviamente rimando alla tua attenta analisi in toto, non riesco a sintetizzarla meglio).

cit Paul
"Se la scienza indaga, ma non pensa, la metafisica pensa ,ma non indaga. Perchè la prima è troppo induttiva e la seconda è troppo deduttiva."

Molto immaginifica ed illuminante la metafora. Complimenti.


cit Paul
Il problema quindi non è la gerarchizzazione, ma una metafisica che deve rispondere alla pratica e non rendersi avulsa dalle prassi.
Una metafisica che non può essere distante dall'esistenza e quindi dalla pratica, prassi, pragmatica, e che quindi aiuti e trovi il rimedio alle problematiche del giorno dopo giorno che la vita, come orizzonte spazio/temporale, ci pone .

Sono d'accordo, ed allora mi ricollego a quanto pensavo ieri nella risposta sopra a Myfriend.

Il formale come sorta di mini-mappa, schemino, per avere una sorta di controparte, nel momento in cui si passa alle prassi.

Rimangono tutte le problematiche che avete brillantemente sollevato. Quello schemino rischia di essere una mera illusione.

Non so! era una intuizione di 3 anni fa, si è diluita nel tempo, e ne ho perso la dimensione.

C'entrava però con il mentale. Nel senso che l'analitica americana (se fatta come Dio comanda) si interessa a quello.
Ossia il problema mente-realtà con la nota divisione tra dualisti e monisti.
Io mi porrei decisamente come dualista.

ma la realtà del binomio mente-realtà, che si cala nella cornice (così detta) deve essere destrutturata, prima ancora che (ri) strutturata. Ossia deve aver presente in cosa consista il binomio mente-realtà (che come dici tu è frutto delle dinamiche continue tra deduzione e induzione, e qui Peirce ci arriva) in cosa consista la cornice (cultura, storia, paesaggio o natura come desideri).
E infine in cosa consita appunto la realtà, che sarebbe poi il punto d'arrivo. Ora avevo intuito che questa realtà è derivata, controllata dicevo nei post precedenti, ma forse semplicemente è di fatto la formalità stessa.
Perchè come realtà all'uomo è praticamente sconosciuta.

Messa così però mi sembra di creare una specie di aporia. Quali sono le chiavi di controllo, che mi permettono di agire su una realtà formale, e perciò stesso immaginaria?????

Questa cosa era nata come una lontana intuizione, più che altro un esperimento, per vedere come le cose sarebbero pensate, applicando quel sistemino.
Con il mio (ex?) amico purtroppo già notavamo che la metafisica 2.0 era sempre una metafisica 1.0.
Quindi anche omettendo le critiche tue e di Myfriend, c'è qualcosa che non tornava.
Ed era sempre il problema del soggetto. Eravamo rimasti alla domanda ma allora cosa è l'uomo?

Certo è strano che molti intellettuali o primi venuti (come lo siamo noi) raggiungano come punto critico proprio quello.

Perchè "cosa è l'uomo?" si proietta all'interno della metafisica, e non fuori. La cosa è inquietante. Aporetica.

E io odio le aporie, con tutto me stesso. Non mollo amici miei. Mai (anche se per ora mi avete messo spalle al muro).

Grazie ancora per i bellissimi contributi.
#2757
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Maggio 2017, 14:08:32 PM
Mi hai fatto venire in mente il libretto "Il deserto nella città" di Carlo Carretto, in cui l'autore mostra come nell'ambiente chiassoso della città sia anche possibile coltivare spazi di deserto, cioè silenzio, meditazione. Aggiungerei di più: il silenzio, oltre ad essere uno spazio ricavato in mezzo al non silenzio, può essere contenuto anche proprio nel non silenzio: anche una musica o un parlare possono contenere molto silenzio, non tanto per le pause che contengono, ma per come i contenuti sono organizzati ed espressi.

E' proprio vero, grazie a Dio quello possiamo ancora farlo.
Un abbraccio.
#2758
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Maggio 2017, 13:45:32 PM
Citazione di: green demetr il 23 Maggio 2017, 13:25:03 PM
Elaborare il lutto d'altronde non significa affatto dimenticare le nostre care figure di riferimento, i nostri amori.
Significa convivere con ciò che rimane di loro, nel reale.

L'elaborazione dunque è un analisi del reale, non una sua accettazione supina.
Quest'idea di elaborare mi fa nascere il sospetto che possa nascondere un tentativo di esorcizzare, anestetizzare, nei limiti del possibile. Questo mi richiama l'espressione di Gesù del bere il calice, in riferimento alla sua morte: mi pare che significhi che la sofferenza va giustamente guarita, evitata, per quanto le tecniche permettono, ma ci sono momenti in cui la vita ti chiede nient'altro che farti prendere da tutta l'amarezza della morte, del soffrire. In questi casi, ulteriori tentativi di esorcizzare, evadere con la mente verso qualcos'altro, possono significare nient'altro che rifugiarsi in una forma di ipocrisia, quindi diventa un vivere la sofferenza con ipocrisia, che poi non sarebbe altro che tentativo di atarassia, stoicismo. Il vantaggio di non nascondere a noi stessi l'amarezza che ci attraversa dovrebbe consistere nel far esistere dentro di noi un'esperienza interiore che si sforza di essere fedele, aderire a ciò che, per quanto riusciamo a capire, sta davvero succedendo. Questo sforzo di adaequatio rei et intellectus non è una metafisica, un tentativo di raggiungere una verità, ma un tentativo di portare avanti una spiritualità il più possibile fruttuosa, per come al momento ci sembra. In questo senso è anche analisi del reale, come tu hai scritto, ma un'analisi che ammette la possibilità che a un certo punto non ci rimanga altro che il soffrire, senza alcun rimedio intellettuale, il puro sperimentare l'amarezza che il soffrire comporta.

L'elaborazione del lutto è necessaria alla vita.
Altrimenti il dolore ci inghiotte.

Altra cosa il passo successivo, ossia la resistenza, il convivere con il dolore.
Direi che è l'esatto opposto che l'anestetizzazione di cui parli.

E d'altronde anche la convivenza col dolore fa parte di una elaborazione del lutto.

Persino il Cristo ha dovuto elaborare la sua destinalità (Dio perchè mi hai abbandonato?), prima di poter accettare il dolore (sia fatta la tua Volontà, ossia la Croce).

E d'altronde nella tradizione ebraico-cristina, il dolore è sempre il pertugio verso DIO.
(dall'altra l'ESODO).

Poichè io credo che questi racconti siano solo metafore, che indicano una saggezza di destinalità, ecco che allora nella nostra epoca, dobbiamo riformulare un lutto.

Ma lungi da me banalizzare, anzi!

Il tuo tentativo Angelo non è poi in fondo quello? solo che credi più alla dimensione della conoscenza, piuttosto che della metafora, del simbolo.
E può darsi che hai ragione, forse io mi butto troppo presto sulla materia simbolica.

ciao!




#2759
Citazione di: Apeiron il 22 Maggio 2017, 09:44:27 AM
Citazione di: green demetr il 22 Maggio 2017, 00:17:48 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2017, 20:28:15 PMTrovo simpatico questo tuo sospettare. Di fronte al bisogno di individuare mete, orizzonti, la via che io seguo è quella del raccogliere nel presente la storia. Cioè, mete e orizzonti non possono essere stabiliti con pretesi criteri assoluti, universali, validi per sempre: quanto più si pretendono tali, tanto più facile è sottoporli a critica e demolirli. Perciò ritengo più sensato tener conto che, sia ognuno di noi, sia il mondo intero, facciamo parte di una storia con fisionomie ben precise. Allora, quando mi trovo in necessità di compiere delle scelte, oppure di individuare mete e orizzonti, cerco di fare una sintesi della storia mia e del mondo, una sintesi ovviamente soggettiva, tutta da sottoporre a revisione la volta successiva in cui compirò lo stesso lavoro. Faccio una sintesi, non solo razionale, ma in ascolto di tutte le mie migliori facoltà, e compio la mia scelta provvisoria, individuo il mio orizzonte provvisorio, assumendomene le responsabilità e dico: "Oggi mi sembra bene questo, mi sembra bene andare in questa direzione, domani vedremo". A questo punto è ovvio che poi la questione si trasferisce sull'interpretare la storia, e quindi discutere anche di politica, ma non solo.
Di politica qua proprio no ;) non si può. (ciò già provato ;) ) Ma ovviamente se per esempio diciamo l'amore, si aprirà la possibilità di andare contro a questo concetto. (ma d'altronde giona veglia su di noi comunque ;) ). Ma infatti mi sembrava strano l'apertura di questi topic da parte tua. Per come ti sto conoscendo, per te la priorità è proprio sulle modalità di conoscenza. Ma le religioni (spero giona, in mancanza di duc in altum possa correggere se lo ritiene) non impostano un discorso di conoscenza, ma di divulgazione di un certo tipo di saggezza. Io da quando ho provato a stare in questa sezione, devo ancora trovare la dimensione giusta. Sono felicissimo delle conoscenze di JsebBach, e ora di myfriend. ma come mi sembra scriveva Inverno, dire delle questioni storiografiche ancora non dice nulla della religione, come saggezza diffusa. E d'altronde essendo un neofita della religione cristiana, nemmeno riesco a capire certe durezze di un duc in altum, o di un giona, cerco di seguire, ma non trovo ancora la mia dimensione. Poi certo capisco benissimo il tuo discorso che cerca la sintesi, precaria molto precaria, o semplicemente debole. Ma mi pare astratto. Troppo astratto. (le cose più importanti d'altronde sono quelle che hai deciso di raccontarci del tuo vissuto). Seguo comunque con interesse.

greendemetr, la saggezza presente in tutte le religioni. Persone di spiccata spiritualità le trovi OVUNQUE: nell'induismo, nel cristianesimo, nel buddismo, nel taoismo, nell'ebraismo, nell'islam ecc. Sono davvero tutte interessanti e sono come dice Angelo un tesoro di spiritualità. Ma nuovamente hai una scelta: o ne scegli una e non vuoi nemmeno riconoscere la saggezza altrui - anzi li consideri nemici -  come fanno i fanatici o ne scegli una ma resti tollerante o cerchi di trovare il meglio. Nell'ultimo caso sarai un ricercatore solitario, uno dei pochi che cerca la strada da sé. Certa gente la vede come una sorta di arroganza o di stupidità. La scelta deve essere tua.

A dire il vero ho notato che le persone più "spirituali" delle varie tradizioni pensano (e vivono o almeno cercano di vivere) in modo simile. E queste persone sono quelle più "aperte" che nelle loro tradizioni hanno voluto però fare un loro cammino personale. Ma ricordati che la maggior parte delle persone non vogliono fare questa sfida...


Certamente lo so che la via è solitaria.

Vi è un capitolo nell'eterna ricerca dell'uomo del Maestro Yogananda, che insengnava una verità molto semplice, solo chi ha varcato il cancello del silenzio, è pronto ad accogliere Dio.
Lato occidentale, mi vengono in mente, le pratiche monacali.
La missioni di Yogananda era quella di trovare una ritualità che rispondesse al gusto occidentale.
Il suo messaggio di amore, la sua luce interiore hanno toccato persone totalmente aliene come Steve Jobs.
Yogananda era una persona altamente tollerante.

Ma la dimensione introspettiva è fondamentale nel mondo orientale, perchè da quella parte del Mondo il reale è illusione.

Ma il reale non è illusione.
Ormai anche L'India, che come scriveva il Maestro Terzani, era l'ultimo grande baluardo contro il capitalismo, sta cedendo sempre più.

Il rito non può nulla contro la tecnica. E' stato a lungo, e tutt'ora viene cavalcato come trait d'union della società, ma gli individui più colti, vanno oltre, cercano il meglio per loro e per le loro famiglie. E così anche in India.


Stiamo assistendo a quello che è già successo in Giappone, il sincretismo culturale, dove tecnologia e templi si innestano gli uni accanto gli altri.
Dove l'umanità perde sempre più il suo senso.
(e d'altronde il Giappone, essendo l'avanguardia mondiale dei fenomeni sociali (pensiamo al fenomeno del gender, avvenuto lì già negli anni 80), sta vedendo un serie di mutazioni comportamentali, che allarmano parecchio: il sincretismo sta scoppiando, le persone o si rinchiudono in sè, o spariscono).

Sto raccontando questo, perchè l'eremitismo, il monachesimo, e le forme interiorizzanti d'occidente e d'oriente, possono funzionare SOLO DENTRO una società.

Quindi è annessa a quelle pratiche un qualcosa che si dava per scontato.
(l'eremita riceveva cibo, e il monaco commerciava).

In questo senso nell'epoca moderna non possiamo occuparci solo di una cosa, ma di entrambe.

Sia del lato spirituale, sia del lato sociale.

La mia attenzione è allora stata catturata dal maestro Panikkar recentemente.

Spero presto di occuparmene.

ciao!
#2760
Il lutto della filosofia è la sua incapacità di dare una risposta alla filosofia dell'altro, del prossimo, della comunità.

Nelle sue forme più alte ha tentato di descrivere una trascendenza.
La metafisica classica è stata a lungo la gemma all'occhiello della filosofia.

Ma è stata solo una lunga illusione. Una metafisica che invece che sfociare nel pensiero sull'altro, VI SI SOSTITUISCE, diventa ideologia.

In questo senso anche le religioni dell'amore, falliscono il segno quando passano dall'umano al divino.

Ma il passaggio dall'umano al divino è esattamente ciò che tiene unite le unità umane. E' il terzo che si sostituisce al pensiero sia dell'umano che del divino.

IL passaggio diventa rito, è sempre stato rito, abitudine, consuetudine.

Non ultima, forse la religione più vicina alla filosofia, quella ebraica, illustra meglio di tutte la questione.
Nella sua punta massima (il filosofo Levinas) fa diventare la filosofia dell'altro, la filosofia dell'Altro.
Un tentativo di rendere umano un DIO che non può essere umano, diventa allora VOCE, lingugaggio astratto, differenza TOTALE.

Credo che le teologie negative (il protestantesimo, lo zen), siano l'ultimo grande tentativo di raccordo del RITO, del PASSAGGIO, del CAMMINO, della SPIRITUALITA'.

Ovvero sono l'ultimo tentativo disperato di mantenere in vita un fallimento che coinvolge un era, più che un secolo.

Noi siamo fantasmi che si aggirano persi, il resto di un fallimento generazionale.
Rimangono domande sparse, spunti, progetti.

Maestri a cui aggrapparsi, reminescenze del passato filosofico.

Si tratterebbe di elaborare il lutto allora innanzitutto.

Elaborare il lutto d'altronde non significa affatto dimenticare le nostre care figure di riferimento, i nostri amori.
Significa convivere con ciò che rimane di loro, nel reale.

L'elaborazione dunque è un analisi del reale, non una sua accettazione supina.