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Messaggi - niko

#2761
Che liberatoria possa essere la liberatoria relativa a una cosa che se non la fai non ti fanno più prendere la metro, tagliarti i capelli e lavorare per il pane veramente non lo so, solo ridicolo e vergogna.

Caro cittadino, non sei veramente obbligato, se perdi il lavoro e/o rimani confinato nella meravigliosa isola di Filicudi perché il traghetto non si può più prendere, hai sempre l'opzione di andare a rovistare nella spazzatura (proprio quella, perché neanche il reddito di cittadinanza danno più a chi non offre il braccio allo stato). Ma guarda, non ci avevo pensato.





#2762

Ciao eutidemo, purtroppo questo governo non ha sufficiente coraggio, anche perché subisce perennemente la pressione della lega che è sempre un po' filo no-vax.
Fosse stato per me io la vaccinazione l'avrei resa effettivamente coattiva, per chi non si vaccina, in assenza di una certificazione medica che ne definisca una ragione sanitaria, parte la procedura di TSO per certificato stato psichiatrico di vaccinofobia grave. Un medico, con due pubblici ufficiali, o anche due infermieri, vanno a casa sua, lo bloccano in camicia di forza, e lo vaccinano. Dopodiché lo liberano (anche perché la camicia serve per vaccinare un altro). niente cose ridicole come piccole multe o anche il carcere, che creano enormi problemi di gestione amministrativa.


----------------------------

Spero che piu' cavie (ex cittadini) possibile abbiano armi da fuoco e cani di grossa taglia in casa, cosi' agli infermieri e ai vigili fancazzisti vedi come gli passa la voglia, e a quel punto o squadre speciali o niente...



#2763
"Una condanna regolarmente scontata a Cesano Boscone..."


uah ah ah, scusa, ma arrivato a questo punto mi sono immaginato troppo Berlusconi ai servizi sociali col rastrello in mano a pulire i giardinietti pubblici di Cesano, con Lele Mora vicino che cancella le scritte vandaliche dai muri ::) ...


Adesso che ha raccolto bene tutte le lattine, le cicche e le cartacce, puo' anche essere perdonato per le marachelle dei vari bunga bunga (quelli si che erano tempi, altro che covid...) e tornare a fare il Presidente, lui che puo'essere il Presidente di tutto e di qualsiasi cosa...
#2764

Se i robot non fossero capaci di fare delle scelte causali, non esisterebbe nemmeno il videogioco del tetris che hanno inventato trenta anni fa.


Le scelte casuali derivano da un incrocio tra gli scopi del programma "principale" e circostanze esterne che stanno avvenendo indipendentemente dal programma principale e dai suoi scopi, ma i cui esiti mutuamente escludentisi il programma principale può conoscere in un dato attimo, e abbinare ognuno a uno e uno solo dei risultati possibili di un sorteggio, appunto i famosi algoritmi di randomizzazione.


E' come dire, invece di scegliere se mettermi una camicia blu o un'altra rossa "a caso", cosa che un computer non può fare perché "a caso" per lui non esiste, guardo dalla finestra e metto camicia rossa se fuori passa prima macchina rossa e camicia blu se passa prima macchina blu, cosa che un computer può benissimo fare, e più, e meglio, e con più imparzialità, e con più finezza di dettagli, di noi umani, e l'effetto sarà per tutti gli osservatori esterni uguale, e assolutamente casuale, tranne che per lui che conosce il "segreto",  una cosa un po' da autistici, infatti i computer sono un po' autistici, ma funzionano benissimo per quello per cui devono funzionare, compreso, a certi livelli di complessità, simulare gli uomini. 


Per dare una risposta seria al problema dell'asino, l'asino non sceglie tra A (balla destra) o B (balla sinistra), e basta, ma tra A (balla destra), B (balla sinistra) o C (morire di fame). Non è una coppia di opzioni, ma un trio, perché ovviamente anche non agire è un'opzione.


La sua scelta "casuale" è perfettamente comprensibile se ci si mette dal suo punto di vista (interno), perché la "razionalità" etologica e veteroliberista che entro certi limiti si pretende da lui che eserciti, l'ha già esercitata a monte prima di "scegliere", scremando le alternative e portandole da tre, che erano, a due, che sono diventate secondo il setaccio del suo lume asinino, escludendo sempre quella che non è conveniente per lui (la morte), e accorpando nell'unità di un agire indifferente le due che gli sono risultate equivalentemente preferibili (balla A e balla B), per la gioia, appunto, degli etologi e degli economisti (i filosofi l'asino li lascia perdere, perché tanto lo sa, che sono incontentabili).


Nella prospettiva dei viventi, spesso ci sono cause con due o più effetti, ed effetti figli di due o più cause, questo è il modo base con cui possiamo accorpare e scorporare le alternative quando ragioniamo situazionalmente, e ci fermiamo nell'incorporazione o scorporazione quando siamo soddisfatti del risultato raggiunto, è ovvio che il processo di decisione in sé è continuabile indefinitamente (e se cammina verso la balla A, perché muove prima la zampa sinistra e non la zampa destra? e se muove prima la zampa destra, perché nel frattempo sbatte gli occhi o non sbatte gli occhi? eccetera...).


Insomma se a una sola causa seguisse sempre uno e un solo effetto, non solo l'asino morirebbe di fame, ma penso proprio che tutta la vita di questo mondo non esisterebbe.

#2765
I filosofi, non possono fare scelte casuali, gli asini sì.

Quindi il paradosso parte dal presupposto che l'asino sia un filosofo per giungere a conseguenze paradossali.

Poi, per come la vedo io e molta fisica moderna, l'asino non può essere perfettamente posizionato tra le due balle di fieno in un dato istante di tempo, quindi, semplicemente, andrà sempre verso quella più vicina per auto incremento di una differenza di spazio infinitesima ma ineliminabile.

Conclusione: l'imperfezione di un mondo non platonico impedisce agli asini di morire di fame.



#2766
E' meglio aiutare chi conosci, che i soldi per i bambini dell'africa al novanta per cento le varie ong se li fregano e ci fanno il parquet per le loro sedi in centro.

Poi io per esperienza ti dico che il ricovero in rsa è gratuito per chi è veramente povero e ne ha veramente bisogno, il sistema è fatto in modo tale che si può obbligare a pagare solo chi è benestante o benestante di famiglia con consanguinei in vita obbligati a pagare, tutti gli altri, i poveri risultanti tali da isee, devono essere assistiti dal comune.

Quindi, meglio che pagare per loro quando non si dovrebbe, andarli a trovare tutti i giorni dittatura covid permettendo, gli farà molto più piacere.


#2767
Tematiche Filosofiche / Filosofi nel 2021
04 Gennaio 2022, 16:48:11 PM
Ciao, tu stesso hai aperto un topic


"Marxismo oggi in risposta ad alcune considerazioni di niko"


e lì è continuata la discussione per un po', magari non te lo ricordavi, quindi, se cerchi tra i tuoi topic dal tuo profilo, lo trovi.



#2768
Io credo che il punto matematico con tutte le sue conseguenze paradossali, che non sono certo in grado di risolvere, appartenga alle tipiche conseguenze logiche di un pensiero che ricerca ad ogni costo l'unità del reale: infatti, se tutto è uno, ne consegue che tutto è composto da parti nulle.


viceversa se tutto fosse composto da parti essenti/autosussistenti, quindi da "atomi" e non da "punti", non sarebbe uno (perché la parte potrebbe mostrare a certe condizioni la qualità di poter esistere anche senza il tutto, tutto che sarebbe quindi contingente: in altre parole, gli atomi non sono frazioni, perché non rimandano al concetto di un uno originario frazionato in essi stessi e quindi in atomi; i punti hanno invece sempre qualcosa in comune con le frazioni, perché avendo una esistenza solo posizionale, hanno una esistenza che trae riconoscibilità e senso solo dal tutto, di cui la parte-punto è parte, infatti si può avere una posizione solo rispetto ad altre posizioni, e quindi solo essendo parte di un tutto).


E se tutto è composto da parti nulle, allora tutto non esiste, infatti, quantomeno il fantastico mondo della geometria pura è un mondo che appare abbastanza unificato al suo interno da poter essere pensato come concettuale/spirituale, un mondo di punti e non di atomi.


Infatti, un punto contiene infiniti punti al suo interno, e la famosa tetractis pitagorica (la quale propone come oggetto di intuizione e meditazione il parallelismo tra la successione dei primi quattro numeri interi uno, due, tre e quattro, e i quattro modi fondamentali a complessità crescente di pensare e organizzare lo spazio, adimensionalità, monodimensionalità, bidimensionalità e tridimensionalità, con queste due serie unificate concettualmente dalla serie "mediatrice" delle prime quattro figure a occupazione dimensionale crescente individuabili univocamente col minor numero possibile di punti da uno a quattro: punto, retta, piano e tetraedro) è immaginabile anche come la conseguenza di una serie di eccezioni a complessità crescente rispetto allo stato di massima semplicità iniziale in cui infiniti punti coincidono semplicemente tra di loro in un medesimo punto (un punto che contiene infiniti punti sovrapposti).


Ovvero la condizione di disegnabilità della retta e la genesi della bidimensionalità "a partire" dal punto, intendo la condizione stessa che ci siano nello spazio due punti non coincidenti, rispetto al punto-di-punti che abbiamo assunto come "iniziale", è la forma minima "elementare" delle infinite forme possibili in cui può in linea di principio darsi la non-coincidenza di tali punti, con un solo punto che differisce singolarmente dal luogo di coincidenza "perfetta" degli infiniti altri, un solo atto di prelevamento e spostamento, e quindi disaggregazione, di una di queste infinite parti nulle di cui sembra comporsi l'uno; a seguire, la condizione di disegnabilità del piano è una eccezione di non allineamento di un singoli punto rispetto agli infiniti altri sulla retta, e la condizione di disegnabilità del tetraedro è una eccezione di non complanarità di un punto rispetto a un'infinità di punti complanari, insomma tutte eccezioni a una regola iniziale di posizione e con-posizione identica ottenibili facendo la differenza nello spostare e riposizionare concettualmente un solo punto dalla serie infinita di altri.




#2769
Citazione di: green demetr il 31 Dicembre 2021, 21:07:50 PM
Ma nessuno vuole essere agnello.
E infatti siamo tutti lupi. Volersi tenere fuori dall'equazione significa non aver capito niente.
Si pensa che la violenza sia importata dal mondo nomade, ma il mondo nomade è violento per mangiare della carne dell'agnello, è il lupo che fa il lupo.
Ma è la civiltà sedentaria che effettua la consegna alla violenza.
Infatti per non sbranarsi a vicenda, sbrana l'animale.
Tutti gli alfabeti iniziano con la lettera a, che significa agnello sacrificale.
Ossia la violenza è consegnata al sacro. Come Agamben sta dicendo da anni, la violenza è il sacro.
Lo stato di eccezione è invece il continuo erodimento del sacro, ossia un continuo erodimento del confine della violenza.
Laddove l'impuro è il violento, ossia il confinato, ossia l'animale.
Il violento è l'agnello.
E' curioso come nel mondo moderno, dove più nessuno studia più un cazzo, Agamben venga considerato uno strano, infatti Agamben sta semplicemente riscoprendo ciò che gli antichi sapevano benissimo.
Ossia che noi siamo lupi.

E' all'interno della comunità che sovviene il problema della salvezza.
La comunità essendo la forma del D-o (Dio).

Per capire queste due cose, serve studio caro Niko.
E' per questo che il frivolo non si salverà mai, e nemmeno saprà perchè è necessario salvarsi.
Naturalmente il teologo idiota, penserà che frivolo voglia dire piacevole, e quindi sesso.
Tutte cazzate, frivolo è chi non studia.
Ovvero tutti noi poveri imbecilli che viviamo ad ovest, e tutti gli imbecilli che sono a oriente e che ora ci seguono da  bravi vitelli pasciuti per il massacro. (2024, ormai è proprio una certezza, visto quello che stanno combinando).
Altro che 2024 inizio di una nuova era di bene: è l'esatto contrario!!! E' l'inizio del trionfo del male.
Ma uno che non studia un cazzo che ne vuole sapere.
No caro amico, io sto con le forze portanti del bene, sebbene nella mia vita ho disseminato solo karma negativo, non avendo studiato mai niente.
Il che mi fa ridere, perchè sin da bambino pur da famiglia ignorante venendo, l'ho sempre saputo, come se le mie vite passate continuassero a dirmi: salvati, salvati....e io cazzo ho fatto? niente.
E come me, tutti voi, e con tutti voi dico tutti ma proprio tutti, esiste tradizione spirituale che legga la bibbia con occhi colti? lasciamo perdere va.
Non mi rimane che in questi due ultimi anni, raccogliere le briciole, BOT permettendo e pazienza dell'amministratore a pagare la bolletta del telefono.
La situazione è gravissima ma tutti ridono e ballano. Così va il mondo.
E lo capisco molto bene.

Per quanto riguarda Nietzche ti rimando alla discussione che ho aperto, ma che non ho ancora iniziato. Non che mi aspetti dei contributi da qualcuno: figuriamoci, non esistono nel mondo accademico, figuriamoci nel piccolo spazio che ci siamo ri-tagliati, nell'oria d'aria dalle prigioni d'acciaio.
A caro CB come mi manchi!




Scusa eh, ma rispondermi con la presunta data precisa del "trionfo del male" mi sembra una mancanza di serietà da parte tua nello sforzo condiviso di costruire insieme una discussione seguibile, senza saltare di palo in frasca e senza passare direttamente alla spiritualità, diciamo così, "spicciola".

Anche se fosse vero e tu avessi appena indovinato e saggiamente individuato l'anno dell'apocalisse/catastrofe cosmica di turno?! che cosa ci azzecca ??? ??ok per il sempreverde nesso bibbia-apocalisse, ma non dirlo come se fosse una risposta a me, che io ovviamente non voglio entrarci, in una disquisizione del genere in questa sede, e non mi sembra di averti dato indizi di volerci entrare.

Insomma la discussione è tua e ci fai quello che vuoi, ma io la lascio.

#2770
Citazione di: green demetr il 22 Dicembre 2021, 20:43:33 PM
@niko
si intendo benissimo quello che dici, ma non capisco minimamente l'inizio del discorso e tanto più la sua fine.
La comprensione del lupo quale noi siamo, è esattamente la bibbia nella sua accezione storico-letteraria.
L'attraversamento, l'età dei Pesci, come l'età dell'attraversamento cristico nell'accezione gnostico-letteraria.
Ma è quello che sto portando avanti come discorso quando parlo della caduta della prima lettera la A, che in ebraico diventa la B.
La comprensione profonda di questo rivoluzione tende proprio il passaggio dal mondo degli Dei a quello del monoteismo, dove Dio è un unicum.
E' su questa unicità che si poggia il pensiero più elevato del percorso giudaico-cristiano.
Ma questa unicità è dovuta alla domanda sull'origine del nostro agire.
Ovvero del perchè siamo lupi.
Quindi condivido la parte centrale del tuo discorso, ma mi stupisco come mai non ti chiedi quale sia questa origine.
Mi pare poi piuttosto naturale, che senza origine, ossia senza domanda dell'origine, che poi arrivi alla conclusione che butti via l'umano.

La bibbia è la storia della domanda dell'origine, e del suo cammino per la riappropriazione di cosa sia l'uomo.
In termini allegorici, la ricomposizione dell'uomo originario, adamitico.
In questo senso, la saggezza ebraica parte proprio dalla domanda iniziale.
Quando è avvenuto il distacco dagli Dei? e perchè? questa è la domanda fuori dall'allegoria.
Il punto della mia intuizione, è che invece bisogna stare dentro l'allegoria, se vogliamo capire quelle stesse domande, che vorrebbero porsi fuori dalla storia.
Se vogliamo capire come il lupo che è l'uomo sia diventato l'uomo che diventa lupo, ossia cacciatore di se stesso, odiatore di se stesso.
Bisogna riconsiderare cosa fosse lupo e cosa fosse uomo.
Cosa fosse lupo (homo homini lupus), è la storia che lo tramanda, cosa fosse l'uomo è la domanda allegorica che si dispiega, e dispiegandosi, spiega, cosa sia l'uomo (ossia comunità religiosa).
Buttare via la categoria uomo, per pensarsi come mero lupo (mera indipendenza), non significa capire cosa sia l'uomo davvero (costruzione dell'amicizia).
(a parte il fatto che l'allegoria del lupo è biologicamente errata, il lupo è uno degli animali più comunitari del mondo   ;) , naturalmente questi esempi naturalistici a me non piacciono. )




Io volevo semplicemente dire che il desiderio della salvezza, e tutto il possibile discorso umano sulla salvezza, implica il pensiero dell'uomo come fine: se l'uomo è un fine, allora si deve salvare. Viceversa se si "osa" pensare che l'uomo non sia un fine ma anche, o soltanto, un mezzo, un mezzo di altro e per altro, allora anche il desiderio della salvezza viene messo in dubbio; se l'uomo è un mezzo, allora si deve e si può superare.


Io sono per un pensiero che vada oltre il pensiero della salvezza, e non credo dunque che il pensiero della salvezza debba monopolizzare a filosofia, o che abbia i titoli per essere in qualche modo considerato il pensiero "serio" contrapposto al "frivolo".


Questa era la cosa che principalmente volevo dire.


Poi, tornando alla mia piccola divagazione (che vorrei smettere subito perché poco c'entra, ma cerco di nuovo di essere il più chiaro possibile), il Nietzsche/Zaratustra spesso si paragona al lupo in opposizione alla metafora biblica del pastore, il lupo è una figura disgregante mentre il pastore è una figura aggregante, ma il lupo è anche colui che può vedere l'uomo come mezzo in quanto predatore dell'uomo.


L'unica rivolta possibile contro l'autodeterminazione è sempre e solo l'eterodeterminazione, e quindi abbiamo il gioco di sguardi (irreciproco, e dunque aperto, dinamico) del lupo che strumentalizza l'uomo senza odiarlo e dell'uomo che odia il lupo; "madre" natura sembra aver distribuito iniquamente il diritto di non odiare a questo mondo secondo la potenza, e la sua legge sembra prescrivere in generale che chi si autodefinisce strumentalizza l'altro, ma chi non si autodefinisce lo odia.


La sophia come sapere del sapore, la dinamica del sapore gastronomico che diventa morale:


che buoni che sono questi agnellini, dicono i falchi, che cattivi che sono questi falchi, dicono gli agnellini.


ora, questo può sembrare un gioco di parole, e anche di cattivo gusto, ma tutto quello che c'è da sapere sul mondo in una prospettiva atea, e non di salvezza, è tutto qui.


Alla fine della fiera, il falco è se stesso e l'agnellino è il contro-falco, è l'ombra, il contrario del falco.
Se l'agnellino si è definito in opposizione al falco, i suoi valori, che sono il contrario dei valori del falco, se intesi come valori originari, auto-posti, che possano auto esistere senza ricevere la loro esistenza da altro, sono semplicemente non pervenuti, non esistono.


E' chiaro che in senso atemporale sono solo una coppia di opposti, i valori dell'uno non-sono quelli dell'altro, ma la preferibilità dell'uno sull'altro al fine di auto-porre valori, si dà secondo l'ordine del tempo, col più "antico", che pone valori, che è preferibile al più "giovane", che meramente li sovverte e li inverte.
"Tempo" qui inteso nel senso che chi è qualcosa, viene prima, logicamente, anche se non cronologicamente, di chi semplicemente non-è l'altro.


L'uomo è il modo in cui questo non voler-essere essenzialmente se stessi ma il contrario di un altro si fa cosciente, dunque volontario, dunque impossibile: essere pecora come stile di vita funziona benissimo, e a tempo indefinito, finché non sai che vuoi esserlo, finché credi di subire questa condizione, per necessità e per caso; viceversa, se da un certo punto del "tempo" in poi sai che vuoi esserlo, se sai che quella è la tua scelta, ecco che di colpo diventi troppo potente, pretenzioso e ingannevole come pecora, e constati che non ci sono più lupi, nello scenario naturale e reale, e finanche psicologico, alla tua altezza.


Da cui il bisogno/desiderio di Dio.


Chi si offre volontariamente al potere, chi si offre al lupo, come sacrificio e come vittima, non trova più un potente abbastanza potente da sovrastarlo, non trova più nessun lupo, o meglio nessun lupo reale corrispondente al lupo immaginario che svolge la funzione salvifica di accettarlo come vittima volontaria: in natura, e nello scenario reale, nessuno domina un altro nell'interesse o su richiesta di questo altro, o completamente e in ogni aspetto della vita; questo tipo di volontà, di eterodeterminazione assoluta, di morte valoriale, di ribellione al valore della potenza in genere come forma dell'autodeterminazione in sé, si scontra con un'assenza, assenza dell'altro originario e capace di autodefinirsi da cui essere volontariamente altro e di cui essere il contrario nel gioco naturale delle volontà, e quindi con il sentimento di una volontà infinitamente vuota, auto-trasparente, che non comanda altro che la volontà stessa di chiunque "osi" desiderarla e la continuazione di questa volontà; è per questo che l'uomo perde la possibilità di essere pecora nel momento in cui desidera, essere pecora, e ha bisogno di Dio, perché il suo desiderare fino in fondo di non-essere lupo, lo ha portato ad essere necessariamente volente e potente, più lupo del lupo. La volontà che ordina che cosa fare è imperfetta, resistibile e fonte di sofferenza, ma la volontà che ordina cosa volere, a cui si giunge per il parossismo della volontà che ordina cosa fare, per il parossismo della paura del lupo, è indistinguibile dalla volontà propria, è nulla in quanto nulla-di-altro.

Pensare che un altro ci voglia autodeterminati, voglia e permetta la nostra libertà e volontà, insomma pensare gli antropomorfismi più importanti con cui di solito immaginiamo Dio e l'anima, è pensare la nostra stessa volontà, che si è nascosta, che si è mascherata, che si è fatta troppo grande o troppo piccola, per non farsi predare e trovare dai lupi, per non sfidare l'altro e per non essere inutile come mezzo-di-volontà almeno in qualche misura indefinito e quindi definibile nelle mani dell'altro, per non esprimere se stessa una forma oggettuale riconoscibile, e dunque limitata, e dunque fallibile.

La mia verità oltre l'anima che vuole per noi e con noi, e oltre Dio che crea e permette il mondo,
oltre queste due alienazioni, e quindi duplicazioni, del lato assertivo e permissivo della nostra stessa volontà, è che siamo soli al mondo a volere la nostra volontà; l'altro non salverà la nostra volontà, cioè rimarrà sempre altro sul piano della volontà, non comanderà un'altra volontà ad essa identica, altrimenti, nel volere la nostra stessa volontà, non sarebbe o non sarebbe più altro, cesserebbe di esserlo. Siamo unici, o al limite infinitamente ritornanti, in ogni caso non siamo salvati da nessuno.






#2771
Attualità / BUON NATALE A TUTTI!
25 Dicembre 2021, 21:06:46 PM
Figuriamoci, una via di mezzo tra un'orgia consumista e il festeggiamento di una divinità antropomorfa e archeo-salvifica in cui apertamente non credo, in buona compagnia del circa novanta per cento della popolazione del mio paese che fa finta di crederci in modo ipocrita.

Buon niente, niente da festeggiare!


#2772
secondo me se spari a uno "per scherzo" di cattivo gusto e non puoi pensare seriamente di nascondere l'accaduto a lungo termine perché il tutto è avvenuto in casa tua, poi fai di tutto perché il poveraccio si salvi e la tua posizione non si aggravi, che tu sia il padre o il figlio, e quindi i soccorsi li chiami, perché non c'è modo di nascondere il fatto in se e la responsabilità di uno di quelli che stavano in casa, quindi chiamare i soccorsi è una questione di buon senso e di cura dei tuoi interessi, oltreché di umanità.

Se lo hanno lasciato morire, è per farlo tacere, e quindi non credo a nessuno scherzo, o perché è un delitto, quindi un fatto intenzionale fin dall'inizio, o perché non è stato uno scherzo ma una minaccia dovuta a un motivo di contesa reale tra di loro per motivi abbietti, cioè gli hanno puntato la pistola o peggio pensato di sparare in un punto vicino a lui "per avvertimento" e per spaventarlo per un reale motivo di odio e di ira da parte dello sparatore e in qualche modo il colpo è partito e lui è morto, e penso che da un punto di vista penale e processuale sia molto più grave se punti la pistola a uno per minaccia e odio reale e poi parte il colpo, che se la punti per scherzo e stai cazzeggiando, e la versione del cazzeggio e della bravata finita male, appunto una cosa sostenibile solo in assenza totale di movente, la puoi sostenere solo se lui muore e non parla sul vero movente (e tu sei ammanicato, perché col cavolo che in una famiglia non ammanicata almeno uno in condizioni simili non si sarebbe beccato l'ergastolo...).


E poi, anche perché i colpi nella realtà non partono per caso come nei film, per fare uno scherzo, anche idiota, a uno, non c'è nessun motivo di premere il grilletto durante lo scherzo, al limite basta dire "bang! bang!", a voce...


#2773
Tematiche Filosofiche / Il paradosso dei due aviatori
13 Dicembre 2021, 20:54:16 PM


Io salvo la partita e tiro dritto urlando il sacro nome della patria.
#2774
Tematiche Filosofiche / Re:La scommessa di Pascal
13 Dicembre 2021, 11:50:36 AM
Citazione di: Phil il 12 Dicembre 2021, 18:37:09 PM
Citazione di: iano il 12 Dicembre 2021, 17:36:52 PM
Direi che l'unica scommessa da evitare è dunque di puntare tutto su se stessi, che banalmente equivale poi alla coscienza di essere animali sociali.
Puntare sul proprio essere animale sociale, in fondo, non è nemmeno una scommessa, ma una certezza, ben oltre il "vincere facile". La "diversificazione religiosa" mi ha fatto tornare in mente questa scena di un vecchio film (che senza i sottotitoli appare assai più sarcastica di quanto vorrebbe essere...).

@Niko
Non a caso ho scritto che una vita «per quanto lunga e prospera non è quantitativamente né qualitativamente paragonabile all'infinito gaudio paradisiaco»(autocit.): alla qualità del nostro tempo-vita possiamo attribuire certamente un valore soggettivo, ma Pascal, da buon matematico, ne fa anche (se non soprattutto) una questione quantitativa, di durata temporale. Certamente si può anche non "stare al gioco" proposto di Pascal, o prenderne le distanze per le sue inconsistenze e le sue "faziosità", ma filologicamente è corretto almeno inquadrarlo nel suo contesto culturale, sicuramente molto differente dal nostro (in cui persino la domanda «quale Dio?» è molto meno scontata che ai suoi tempi, ma non possiamo fargliene una colpa).




Beh per dirla con parole semplici, che spero che capiranno tutti,


dal punto di vista dell'ateo sia lui che anche il credente stanno andando verso la nullificazione assoluta del loro essere che incontreranno con la morte,


quindi l'ateo non può non pensare che il credente sbagli di grosso a non dare un valore infinito alla sua vita terrena, perché perdere tutto quello che si ha (e soprattutto che si è, e che si ama...), trovare la propria fine e la propria alienazione nel nulla, cosa che secondo l'ateo succederà sia all'ateo che al credente, è come perdere l'infinito; quindi l'unica massima possibile da trarne è che bisogna vivere finché si può sulla terra come se si possedesse l'infinito, quindi non farsi ricattare da premi e punizioni del presunto padreterno che languono in un futuro indefinito in cui si realizzerà, appunto per noi, l'infinito come destino; sia perché il futuro in generale è sempre di suo indefinito (e quindi impossibile da volere dal punto di vista della vita se non si vuole insieme anche il passato quantomeno come riserva delle sue possibili visualizzazioni e forme), sia perché lo stato della "vita" di pura sofferenza o di puro piacere in cui si suppone finiremo con un destino paradisiaco o infernale è uno stato indefinito al quadrato, perché inimmaginabile da esseri che sia godono sia soffrono, cioè da noi finché viviamo.


Se la premessa di un famoso pardosso/sofisma è che non ho le corna, ne consegue che potrei sia averle perse che non averla mai avute (le due possibilità per semplificare diciamo sono al 50%), invece se poniamo come premessa che ho perso le corna, sicuramente (100%) le ho avute.

Ora, io mi ritengo libero di pensare che le corna (elemento corporeo transumano che introduco volontariamente in quanto satirico e satanico  ::) )[size=78%], [/size]in questo nuovo gioco che propongo, rappresentino metaforicamente la totalità, e quindi l'infinità soggettiva per me della mia vita, l'infinità-della-perdita che rappresenta per un vivente la perdita della propria vita.

Questa è la morte, il momento in cui si perdono le corna.

Se le perderò, le corna/vita, con la morte che mi ridurrà a nulla e quindi sarà la perdita di tutto, vuol dire che già fin da ora posso perderle, e se posso perderle, vuol dire che le ho, e se le ho, ho già la totalità e l'infinito, e se ho già la totalità e l'infinito, non me lo devo guadagnare, e se non me lo devo guadagnare, nessuno mi può sedurre promettendomene un altro se tengo certi comportamenti, pensieri e modi di sentire e non altri: due infiniti e due totalità non esistono, perché si limiterebbero tra di loro, e quindi la promessa del prete di turno (di qualsiasi dio...) che mi promette un infinito di godimento se faccio credo e penso questo e quello (un infinito di prostituzione perché lo usano per... pagarmi!) cade da sola nel momento stesso in cui viene formulata, se io penso di averne già uno. Non mi possono pagare con quello che già ho.

In generale chi si fa pagare con quello che già ha è in errore, e se quello che ha e con cui crede di farsi pagare è l'infinito, egli è infinitamente in errore.

Ugualmente chi si fa minacciare con la minaccia di quello che gli accadrà di certo nel medesimo stesso istante di tempo anche a prescindere dalla minaccia è in errore, e se la falsa minaccia è infinita (la perdita di tutto, che non necessità dell'inferno per avvenire, ma è sufficiente ad essa il fatto stesso della morte), l'errore di chi da essa si fa spaventare è infinito.

Quindi il credente per me fa un errore infinito a non dare un valore infinito alla sua vita terrena, come io secondo lui farei un errore infinito se mi mettessi in condizione di finire all'inferno.

La vita non è una quantità e non è valutabile in un rapporto di quantità, e la gioia, come parte integrante della vita, è pensabile come una quantità al limite solo perché c'è a corrispondergli anche la sofferenza, quindi la quantità-infinita-di-gioia poco tiene come argomento, e non perché non possa in assoluto esistere, ma perché non può essere esperita dalla soggettività di una vita.

Non si può pagare la perdita di ciò che è unico, e per giunta a partire dal rapporto corpo-mente, a partire dallo psicosoma, (che poi tale psicosoma è quello che mi disidentifica dal godimento e dalla sofferenza assoluti come possibilità, quindi l'elemento del discorso che mi garantisce che uno spirito, che eventualmente mi sostituisse, non sarei io) non si può nemmeno propriamente dedurre con assoluta certezza di essere unici.

Quindi, a partire da un ragionamento non di sola mente ma che implichi anche il corpo, se io (io come psicosoma) sono unico nell'ordine dello spazio e del tempo, allora nessuna ricompensa infinita paga la mia perdita che devo assumere come infinita, tantomeno la mia eventuale trasformazione-in-sprito, che mi porterebbe al limite verso una gioia o una sofferenza per me irrilevanti, perché inesperibili; se non sono unico, allora ci sono già forme di immortalità cosmico/naturali specificamente "preparate" per me e rivolte a me (eterno ritorno nel senso stoico o atomistico del termine o evenienze simili) e non vedo perché dovrei stare a pensare a quelle religiose.

#2775
Tematiche Filosofiche / La scommessa di Pascal
12 Dicembre 2021, 17:57:57 PM


Citazione di: Phil il 12 Dicembre 2021, 13:27:43 PM
Mi permetto di rivedere lo schema di Alexander considerando che c'è pur sempre una puntata in gioco (chiamiamola «V»), ossia il nostro stile di vita, comprese le nostre rinunce per aderire ai dettami della religione anche quando non ci piace farlo (come già osservato da Niko); tutta la nostra condotta morigerata viene messa sul piatto scommettendo che sia un buon "investimento"; dunque:
Dio esiste ed io ci ho creduto: +∞ (ho guadagnato l'infinta gioia nel paradiso)
Dio non esiste ed io ci ho creduto: -V (tutti i sacrifici sono stati vani, avrei potuto spassarmela di più e non ho vinto nulla)
Dio esiste ed io non ci ho creduto : -∞ (ho perso la gioia infinita e mi tocca la dannazione eterna)
Dio non esiste ed io non ci ho creduto: +V (non ho puntato su Dio, ho evitato di fare sacrifici, e ho guadagnato una vita edonistica)

Risulta chiaro dallo schema, che se punto su Dio ottengo +∞ o -V, mentre se non ci credo ottengo -∞ o +V; ovviamente una vita (V) per quanto lunga e prospera  non è quantitativamente né qualitativamente paragonabile all'infinito gaudio paradisiaco, per questo Pascal ci suggerisce di puntare su Dio. Sembrerebbe che ci dica: se punti 5 centesimi su Dio puoi vincere un bancomat con credito illimitato o perdere i 5 centesimi; se non punti i 5 centesimi su Dio, non li perdi, ma eviti anche di vincere un bancomat con credito illimitato (e forse ottieni "illimitato rimpianto"). Il punto cruciale è che tuttavia non si tratta di puntare 5 centesimi, bensì tutta la nostra vita (che è tutto ciò che siamo/abbiamo), per cui la scommessa reale è: se punti tutto ciò che hai, puoi vincere un un bancomat con credito illimitato, ma se perdi, perdi tutto ciò che hai (se ogni gioco d'azzardo richiedesse di puntare tutti i propri beni in un colpo solo, probabilmente il gioco d'azzardo si sarebbe già estinto, o si sarebbero quantomeno estinti tutti i suoi giocatori, almeno se il guadagno fosse proporzionale alla puntata e quindi anche ai poveri non converrebbe puntare quel poco che hanno).
Va poi soprattutto considerato che non si tratta affatto di una scommessa del tipo testa/croce, 50/50: trattandosi di esistenza, per stimare le probabilità diventano rilevanti prove, indizi, deduzioni, etc. Banalizzando: le probabilità che nel garage del mio vicino (a cui non posso accedere), posto sicuramente freddo e da cui mi pare di aver sentito spesso dei rumori, ci sia un pinguino reale, non sono esattamente del 50% (soprattutto considerando che siamo in Italia) e se mi si chiedesse di puntare tutti i miei averi per ottenere il famoso bancomat con credito illimitato qualora il pinguino ci sia davvero, ma perdere tutto se il pinguino non c'è, personalmente scommetterei sull'assenza del pinguino e mi terrei i miei (pochi) averi.
Inoltre, molto marginalmente e lasciando da parte i pinguini, una falla strutturale della scommessa pascaliana è che non c'è garanzia della verifica dell'esito finale, nel senso che, se Dio non esiste, quando l'uomo non credente muore non saprà di aver vinto, così come l'uomo credente non saprà di aver perso.

Per onestà intellettuale, va comunque notato che il credere nel Dio cattolico oggi non comporta fustigarsi con il cilicio o andare a morire in terra santa, anzi, alcuni cardini della morale cattolica fanno ormai parte della legislazione vigente e anche di molte prospettive atee, per cui il sacrificio di una "vita da cattolico" non è una totale alienazione dalla società e da ogni forma di piacere; rivalutando quindi la scommessa di Pascal in "valuta corrente" è certo meno "onerosa" che nel diciassettesimo secolo (per quanto resti ancora poco probabile che un pinguino si aggiri davvero nel garage del mio vicino...).


P.s.
Chiaramente il buon Pascal è figlio del suo tempo, quindi quando parla di un dio è condizionato dalla sua cultura d'appartenenza (non pensa ad un dio "in generale"), per quanto nei suoi Pensieri dimostri di aver ben chiaro cosa siano il prospettivismo (Pensieri, 47), i limiti della ragione, la forza dell'abitudine («abêtir» deriva da «bête»1, ossia «bestia», forse lo usa nel senso di "addomesticarsi" tramite l'abitudine, proprio come è la ripetizione dei gesti che addomestica gli animali, non la loro intrinseca "razionalità"; v. anche Pensieri, 140), etc. tutti aspetti che, coniugati con la sua lucidità da matematico, potrebbero allontanarlo dal feticismo ingenuo di una credenza in un dio definito, ma nondimeno lo confermano fulgido esempio dello scienziato che non sa/può/vuole lanciare la propria razionalità oltre l'horror vacui del "mistero" della morte.

1Non senza una certa ironia linguistica, la pronuncia di «bête» in francese è simile a quella di «bet» in inglese che significa... scommessa.

Io penso che non possiamo fino in fondo identificarci con un eterno sofferente all'inferno o con un eterno gaudente in paradiso, siamo troppo diversi qui e ora sulla terra da questi spiriti assolutizzati verso una sola polarità delle due opposte proprie della -nostra- vita, noi che volenti o nolenti non possiamo, a differenza loro, prescindere dal viverle entrambe.

E' inconcepibile godere infinitamente e soffrire infinitamente nello spazio e nel tempo, quantomeno perché noi in vita non viviamo e non sentiamo davvero il piacere e la sofferenza puri ma la loro alternanza, il mutare del loro gioco di forze.

La vita sa di essere commistione di piacere e sofferenza insieme e che cesserà di essere se stessa esattamente quando cesserà di essere commistione di piacere e sofferenza insieme, e non riconosce nulla al di fuori di se stessa, quindi quando essa dopo un colpo di bacchetta magica del Signore si trasmuterà in una neo-vita monopolare assolutizzata solo sul piacere o solo sulla sofferenza, se mai ci si trasmuterà, attraverserà comunque l'abisso di una perdita infinita di se stessa per come si è finora conosciuta.
La "versione" beata o dannata di noi stessi semplicemente non siamo e non possiamo essere noi, non siamo comunque noi quello che saremo oltre noi stessi se mai saremo qualcosa, il che, se accettato nelle sue estreme conseguenze, relativizza anche il sommo male dell'inferno e il sommo bene del paradiso.

Quindi chi veramente ama la vita non pensa a una ricompensa infinita oltre di essa, perché sa che essa se pur guadagnata non lo ricompenserà dell'infinità del fatto stesso di aver perso la vita, e intendo questa vita terrena in cui il bene è reale e discernibile perché c'è anche il male, e altro bene non possiamo concepire.

E ugualmente non teme l'inferno ultraterreno, perché sa che la vera perdita infinita non sarà  "l'essere giunti" infine all'inferno, ma il fatto stesso di essere passati prima per la realtà morte.

Davanti all'inimmaginabile, siamo disidentificati da quello che saremo se mai saremo, dal nostro punto di vista resterà solo la perdita infinita di quello che ora siamo.

La prospettiva di diventare spiriti non ci riguarda.

Quindi matematicamente secondo me, anche ammettendo l'infinito nel gioco, lo schema dell'effetto che questi destini ipotetici faranno su di noi si può ancora riformulare così:

Inferno: uguale meno infinito -per, in tutti i sensi- meno infinito, uguale zero.

Paradiso: uguale meno infinito più infinito, uguale comunque zero.

C'è sempre un meno infinito da mettere nel calcolo, perché per andare oltre la vita, si attraversa sempre e comunque la realtà innegabile, se pur secondo alcuni non definitiva, della morte.

E' per questo che l'ateo nichilista irriducibile considera nullificante, e quindi infinita, la perdita della sua vita; perdere tutto sarà come perdere un infinito che avevamo sempre avuto e che improvvisamente comprenderemo di aver perso, e chi se ne importa se dopo aver perso l'infinito saremo ricompensati da un premio o colpiti ancora da un'ulteriore punizione, falso problema.

Il mio godermi la vita al di fuori della religione non ha dunque valore di edonismo, ma di amore per un valore infinito come altri considerano infinito il valore del paradiso o il disvalore dell'inferno.

Non è come puntare cinque centesimi e poter vincere un milione, è come puntare una moneta d'argento e poter vincere infinite monete d'oro: se io per mia insondabile preferenza personale amavo quella singola moneta d'argento perderò in ogni caso, e niente e nessuno potrà farmi cambiare idea.

Quello che è unico secondo l'ordine del tempo non è solo assurdo perderlo, è assurdo poter pensare di puntarlo.