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Messaggi - niko

#2776
Tematiche Filosofiche / Credete nel libero arbitrio?
02 Gennaio 2021, 15:48:14 PM
Permettendomi una piccola eccezione al fatto che sul forum bisognerebbe argomentare e non fare chiacchiere generiche, non posso non rilevare come da quando sono iscritto questo tema del libero arbitrio venga fuori in continuazione, per davvero, con una frequenza che mi ha sorpreso...


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detto questo, io personalmente non credo nel libero arbitrio, al massimo intendo la liberta come indeterminazione e multi-causalità, quindi la libertà è difetto di conoscenza, e difetto di unità e unicità nella causa che determina o sembra determinare un fatto.


Siamo liberi in quanto agiti da cause sconosciute, che quindi ci possiamo permettere, almeno temporaneamente, di ignorare.


Cosa che per vivere e sopravvivere è molto importante, infatti il vivente aumentando troppo nella conoscenza, taglierebbe le radici stesse di libertà, e quindi di ignoranza, che lo fanno vivere... quindi è nell'ordine delle cose che ci tocchi anche l'illusione di essere liberi.

#2777
Il mondo esiste, ma in linea generale mi piace pensare la coscienza come contenuto mondano, quindi secondo me la coscienza coglie il mondo, ma solo una minima parte del mondo, non ne rispecchia l'unità, ovvero l'unità del mondo è reale, l'unità della coscienza è illusoria, quindi l'individuo, la cosiddetta unità psicosomatica qualsiasi cosa essa sia, non rispecchia in assoluto il mondo come in un rapporto tra micro e macro cosmo che davvero possa darsi nell'uomo, ne fa parte con l'abisso sconfinato di ignoranza che si porta dietro; fare parte non è rispecchiare, la componente quantitativa della conoscenza, conta; riassumendo non solo il mondo esiste ma è grande, così grande che a pensarci bene a quanto è grande, fa girare la testa.


Detto questo, direi anche che a differenza di quanto dicono molti ottimisti da Platone in poi, secondo me il mondo non è abbastanza congenere, non è abbastanza armonico, da poterlo dedurre dalla piccola parte che ne vediamo in vita dalla culla alla tomba, da un granello di sabbia si può in linea di principio dedurre il deserto, ma solo nel presupposto che il deserto sia uniforme, ma il mondo non è davvero uniforme come un deserto, quindi ognuno di noi si porta dietro un granello di sabbia, un pezzettino del mosaico del mondo, da cui non potrà mai dedurre davvero niente, quantomeno niente di freddamente conoscitivo e universalmente riferibile al mondo nella sua unità, ognuno è un finestra su una parte del mondo così piccola da non essere indicativa di molto altro, quindi il destino caotico di essere noi stessi, e di incontrare lungo il cammino, individui che del mondo e della loro vita dicano tutto e il contrario di tutto fa parte del gioco, oggi lo fanno con l'aggettivo "quantistico", ieri lo facevano con chissà che altro; in generale la immensa parte ignota del mondo è fonte di vita per noi che ne siamo la minuscola parte nota, questo abisso magari non ci farà vivere per sempre, ma certamente ci fa vivere adesso, voglio dire, la presunzione che il mondo esista come altro dalla coscienza e sia reale, vuol dire che viviamo come caso e dato di fatto ma "altro" ci fa vivere, altro da quello che è completamente in nostro potere e sotto la nostra volontà; ci sovrapponiamo a qualcosa (che siamo noi come contenuto mondano) nel presupposto che questo qualcosa esista e faccia parte di altro (del mondo), abbiamo un rapporto di "godimento" con l'ignoto nel senso che l'ignoto, che lo amiamo o no, che ci piaccia o no, ci fa esistere.


Pensare che il mondo esista, non essere idealisti e non essere in un solipsismo, vuol dire pensare che la conoscenza non sia diversa dal mondo, ma sia di meno del mondo, la componente quantitativa e "misurata" della conoscenza deve emergere e avere il suo peso, al di là di ogni azione, di ogni prassi,  siamo, vivere è trovare, non è creare.
#2778
Tematiche Filosofiche / Oltre Cartesio: Hegel
31 Dicembre 2020, 10:54:09 AM
Personalmente, se devo pensare ad un filosofo che mi dica come la storia del mondo occidentale sarebbe potuta andare e non è andata, mi viene in mente Rousseau, non Hegel.


Hegel è quello che mi dice come la storia del mondo sarebbe potuta andare... ed è andata.
#2779
E' assolutamente possibile non essere particolarmente interessati all'erotismo, all'amore  o addirittura al sesso ed essere persone "normali" e sufficientemente felici; se accettiamo gli stili di vita e le scelte di genere di tutti nel senso di gay, lesbiche, transessuali, persone non monogame interessate al sesso o alle relazioni erotiche in più di due persone, è ovvio che esistono anche gli asessuali: persone che se ne infischiano del sesso e vivono bene lo stesso.


Insomma, non per fare sempre i discorsi fricchettoni o politically correct, ma anche l'idea che bisogna essere per forza in qualche modo interessati al sesso per essere persone felici o dignitose è legata alla normatività sociale della famiglia eterosessuale patriarcale, al di là di questo modello ci sono molte altre possibilità di autodeterminazione degli individui e dei gruppi, e sarebbe il caso di capirlo, e di accettarlo.
#2780
Credo che l'autocoscienza non esista perché in definitiva la coscienza stessa è contenuto mondano, il tutto che l'individuo crede di essere è parte di un tutto più grande, che resta in grande misura sconosciuto, quindi piuttosto che una posizione nel mondo, abbiamo una sovrapposizione, di quello che noi siamo, col mondo.


L'autocoscienza non è la propriocezione, perché tutto nel vissuto di un uomo è propriocezione, per dirla con Spinoza, la mente è l'idea del corpo, quindi, di nuovo, è proprio la dipendenza assoluta del modo di essere finanche microfisico del nostro corpo dalla sua posizione spaziale e temporale che ci distingue dagli oggetti, il rapporto che si instaura soprattutto a livello di genetica e di reti neurali tra posizione e forma, due lattine di coca-cola possono essere simili se stanno una in una città e una nell'altra, o se escono fuori da un ciclo di produzione della macchina che le produce o da un altro, due uomini hanno lo stato neurale e quindi di coscienza interamente determinato dalla loro posizione, non sono "simili" se stanno uno in una città e uno nell'altra, vivono vite diverse, i loro sensi recepiscono stimoli diversi e il loro cervello si organizza in modo diverso, ma questo vuol dire che un uomo è immensamente più sensibile all'ambiente esterno di una lattina di coca cola per come può variare se stesso, il suo corpo, in funzione dell'ambiente esterno, la lattina non registra, nella sua struttura di oggetto, la differenza posizionale con le altre possibili lattine che la rende unica o comunque difficilissimamente imitabile (non una lattina qualunque ma quella lattina, che sta su quel tavolo, in quel posto a quella data ora), l'uomo sì, (non un uomo qualunque ma quell'uomo, che sta in quella città, ad una data ora: è tutto registrato nel suo cervello, quindi nel suo corpo, possiamo dedurre la posizione e la storia nel tempo analizzando i micro dettagli del corpo, mentre i micro dettagli della lattina ci dicono poco sulla sua posizione e del suo passato), quindi, se per assurdo volessimo copiare l'uomo, fare una copia del signor Rossi, che vive a Milano, non solo fisicamente, ma anche mentalmente ed esperienzialmente fedele, dovremmo copiare insieme a lui tutti i suoi dintorni spaziali e storici ingannando la sua propriocezione e memoria (o meglio la propriocezione e la memoria della copia che andiamo a generare) secondo le capacità e la raffinatezza di questa propriocezione e memoria, insomma dovremmo non solo coltivare un clone del signor Rossi geneticamente identico, ma anche mettergli intorno dalla culla alla tomba una realtà virtuale o un truman show, in cui rivede tutte le stesse cose, rifà le stesse cose rincontra, le stesse persone dell'originale su cui abbiamo preso perfette e dettagliatissime informazioni, e la "grandezza" come terrario di coltura di questo immenso spettacolo o "bolla di realtà" che dobbiamo mettere su per copiare il signor Rossi, risulterà immensamente più estesa del corpo del signor Rossi in sé, sarà grande magari quanto una piccola nazione, mentre per creare al copia della lattina, aspettiamo che esca una seconda lattina dal nastro trasportatore della macchina ed è fatta, la copia è subito perfetta, e questo perché la "bolla di realtà" che esprime la copia della lattina è grande, o meglio estesa, quanto la lattina stessa, ne più e ne meno, perché ed esattamente nella misura in cui la lattina non "registra" le condizioni del mondo esterno e non reagisce strutturalmente alle variazioni a distanza del mondo esterno, quindi due lattine posizionalmente diverse sono "uguali", in un senso in cui non sono uguali due uomini posizionalmente diversi. L'alterità tra il signor Rossi e la sua propriocezione dunque non esiste, il signor Rossi ha dei dettagli del suo corpo che cambiano a seconda della sua esperienza, e avrà le stesse esperienze al ricorrere degli stessi stati e degli stessi dettagli del suo corpo, e queste esperienze gli suggeriranno l'esistenza di un mondo complesso e immenso molto più esteso del suo corpo, al di là di se questo mondo complesso e immenso esista o no, o di se sia essenzialmente proprio come Rossi lo immagina o molto diverso.

Ma tutto questo secondo me dimostra che si può ingannare l'autocoscienza riproducendo la coscienza: nel momento in cui riproduci non solo il corpo di un uomo, ma anche gli effetti del condizionamento posizionale di questo corpo, cioè fai sperimentare a quel corpo un certo "mondo" o "paesaggio" ben definito entro una certa distanza spaziale temporale, la differenza tra coscienze ed autocoscienza non è più significativa, e l'uomo non può più dire se è cosciente o autocosciente se non come differenza inesistente tra due indiscernibili, differenza che si sa in generale che esiste o dovrebbe esistere ma che non produce alcun effetto, e proprio su questa inefficacia la verifichiamo, come ad esempio avviene nella veglia e ugualmente sogni. Ma il grande equivoco è che con autocoscienza distinta dalla coscienza spesso intendiamo meramente veglia, vigilanza, cioè che in un dato luogo o momento riteniamo il mondo percepito uguale al mondo esterno, copia fedele e non allucinatoria, ma a ben guardare non intercorre niente tra i due termini di questa uguaglianza, sono la stessa cosa e li percepiamo come non-sdoppiati, quindi la loro differenza nulla è un atto di fede, non vediamo due cose indiscernibili (tra percepito immediato e intelletto come riflesso interiore della percezione), ma una cosa sola.



#2781
Senza entrare tanto nel dettaglio, io credo che il pensiero (ma anche l'emozione) si esprima nel tempo, abbia bisogno del tempo, quindi di un passato, di un futuro e di un ineffabile presente,come risorsa, dalla cui disponibilità la possibilità del pensiero dipende, e come forma contenitrice del pensiero stesso, niente tempo niente pensiero, quindi il pensiero non è una realtà inestesa e intemporale, ma inestesa e temporale.
Quindi, se delle cose materiali si predica sia l'estensione che la durata, del pensiero si predica solo la durata, dunque in un certo senso del pensiero si predica qualcosa che si predica anche dell'estensione, quindi la cesura netta tra pensiero ed estensione non esiste, e anzi il pensiero per me è una riduzione monodimensionale dell'estensione, l'estensione ha l'estensione stessa, ha se stessa, come attributo dimensionale della sua esistenza ulteriore all'attributo del tempo, che condivide col pensiero, mentre il pensiero è la realtà del solo-temporale, della pura durata, quindi un qualcosa di estratto per riduzione dimensionale e direzionale dall'estensione, come estrarre un piano da uno spazio tridimensionale, o come passare dal un mondo in cui ci si può muovere in più direzioni (la multidirezionalità dello spazio, e la reversibilità in linea di principio di tutto ciò che in esso avviene) a uno in cui si va in una direzione sola, lo scorrere del tempo, appunto.


Quindi, se in quanto esseri spirituali se vi credete superiori al vostro corpo perché esistete anche nel vostro pensiero, sappiate solo che secondo me il pensiero è come un disegno estratto facendo passare un piano bidimensionale attraverso la statua tridimensionale del vostro corpo, un qualcosa che pertiene esclusivamente e totalmente al vostro corpo nella sua natura (essendone effetto), e per giunta considerato a un livello di esistenza con una dimensione di meno.






#2782
Tematiche Spirituali / Re:Marcione, un eresiarca ?
30 Novembre 2020, 13:03:46 PM
Nei vangeli canonici ci sono molte affermazioni relative al fatto che il Padre di cui parla Gesù sia lo stesso dio del vecchio testamento, quindi la posizione di Marcione può essere sostenuta solo non tenendo conto dell'intero testo dei vangeli per come è giunto fino a noi ai nostri tempi ma considerandone solo una parte o dandone un'interpretazione molto fantasiosa.

Voglio dire nei vangeli ci sono passi come la profezia dell'Emmanuel ripresa testualmente dal vecchio testamento e riferita a Gesù e alla madonna, Gesù compie miracoli come la trasfigurazione, che sono specificamente rivolti a dimostrare la sua piena appartenenza alla tradizione ebraica e un non ebreo che assistesse al miracolo non ne capirebbe nemmeno il senso, Gesù dice cose come: "prima che Abramo fosse io sono", che non ha nessun significato "innocente" o di mera successione temporale, vuol dire: "io sono Dio e sono lo stesso Dio di Abramo", e di nuovo al momento del suo arresto: "io sono",.
Inoltre alcune cose che accadono a Gesù sono specificamente il compimento di profezie bibliche, come il fatto che i soldati si dividano tirando a sorte la sua tunica ed altre.
Un dettaglio "visivo" molto impressionante che può far capire come le persone colte del medioevo e del rinascimento sapessero che nel vangelo ci sono riferimenti precisi al fatto che il Padre di Gesù è lo stesso Dio degli ebrei, si trova, per esempio nell'annunciazione di Leonardo: proprio nel momento in cui appare l'angelo la vergine sta leggendo la bibbia al punto preciso della profezia dell'Emmanuel in Isaia, e il disegno di Leonardo è così dettagliato che si possono riconoscere alcune lettere e individuare il passo biblico corrispondente, che chiaramente non è casuale.

Anche se Marcione non è considerato propriamente uno gnostico, la posizione di non riconoscere in Dio, e quindi nemmeno in Gesù, il creatore del mondo, che sarebbe stato creato da un'entità intermedia più potente dell'uomo ma meno potente di Gesù/Dio, è tipicamente gnostica: alla base vi è l'idea neoplatonica che l'atto dell'Uno/Dio è l'emanazione e il successivo ritorno all'uno di quanto emanato tramite la contemplazione, e non un atto di separazione potenzialmente definitiva e senza ritorno delle conseguenze dell'agire divino da Dio stesso come la creazione: vi è bisogno di un demiurgo per creare materialmente il mondo, come in Patone vi era bisogno di un demiurgo per passare dal mondo delle idee al mondo materiale.
Nelle varie teologie gnostiche, in estrema sintesi, o il demiurgo è completamente e irrimediabilmente malvagio (una sorta di anti Dio) e Dio/Gesù viene a salvarci da esso, a ricondurre il nostro spirito all'eternità inviolata dell'increato, o il demiurgo, e non l'uomo, è il vero ago della bilancia tra il bene e il male: è malvagio, ma redimibile, e Gesù viene appunto a redimere principalmente esso e non l'umanità, che ha un ruolo marginale nella vicenda cosmica: il fatto che alcuni uomini siano salvi e grazie a Gesù e alla sua predicazione si redimano, è un riflesso materiale del fatto che a livello spirituale il demiurgo stesso si redime.

Il tipo di amore che informa questo tipo di eresie è platonico ed ascendete, tensione verso l'ideale e quindi verso l'increato, non accetta fino in fondo l'agape come amore discendente e orizzontale da Dio all'uomo e dall'uomo all'altro uomo, e nemmeno la kenosis come realtà ultima dell'incarnazione e quindi dell'integrazione della sofferenza e della morte nella dimensione del divino, insomma siamo ancora nella posizione "razionale" dei greci in cui si ama secondo necessità ciò che vale, e non nella posizione "folle" dei cristiani secondo cui è l'amore in sé a conferire valore, il focus della salvezza dell'umanità è ancora sulla bellezza e sulla conoscenza, e non sulla croce come valore salvifico della sofferenza.

La creazione sarebbe male se fosse realtà ultima, solo accedendo a un livello di conoscenza in cui la creazione non è reale, il male è giustificato, perché si riduce appunto all'errore cognitivo, che può esistere anche nella divinità onnipotente e onnisciente come negativo di sé stessa, e se la creazione non è reale, la divinità stessa è tutto ciò che esiste in un mondo materialmente e fisicamente nullo, e anche il male è in lei, quantomeno come confine e come assenza.
#2783
Citazione di: InVerno il 23 Novembre 2020, 07:52:56 AM
Citazione di: Freedom il 22 Novembre 2020, 18:15:56 PM

Mentre viceversa, ed è qui che io rilevo una contraddizione, la fede/convinzione nella non esistenza di Dio non viene considerata dagli atei una fede/convinzione bensì una evidenza. Una semplice rilevazione di ciò che è. Di ciò che è, in definitiva, sotto gli occhi di tutti. Incontrovertibile, innegabile, indiscutibile, non opinabile.


L'ateismo è in larga parte, storicamente e logicamente, un applicazione per esteso del principio copernicano: non c'è nulla di speciale nella posizione della terra. Esteso nel principio di mediocrità generale: non c'è nulla di speciale nell'intelligenza umana, non c'è nulla di specialmente ispirato nella Bibbia, non c'è nulla di speciale dopo la morte, etc. Una volta cessato il bisogno di "risposte speciali", o "sovrannaturali", non è questione di trovare evidenze della non esistenza, ma è questione di non avere necessità dell'ipotesi innanzitutto, a-la Laplace, e di richiedere straordinarie evidenze per straordinarie affermazioni. Non è un caso che i credenti che vogliono seguire con la logica la loro posizione "anticopernicana" stiano sempre a gozzovigliare là dove ancora risposte "speciali" non sono del tutto escluse, dal BigBang all'intellingenza umana, perchè è lì che la fiamma ancora arde.

Riguardo la fede e il dubbio. Guardavo l'altro giorno un estratto di un film(accio?) che ritraeva un pubblicatario dire (non verbatim) "L'amore? Quello che non ti fa dormire la notte, ti toglie il respiro, e ti incatena ? Non è un caso che non l'hai provato, l'abbiamo inventato noi per vendere calze da donna" E mi chiedo, chi ha inventato la fede e per vendere cosa? Sempre descritta come un sentimento caldo, quasi umido, che ti avvolge e ti protegge e toglie il respiro, la fede in senso cristiano è descritta in Ebrei11 chiaramente: credere ciecamente senza necessità di alcuna evidenza. Oggi questo comportamento è chiamato "fanaticismo", c'è stato una traslazione lessicale, ma della "vecchia fede" c'è ancora ampia traccia non solo nella Bibbia, ma anche in tutta la letteratura satellite, dove il dubbio viene additato come opera del diavolo, tentazione impura verso l'empietà, indisciplinatezza irrispettosa del decalogo mosaico etcetc.. I mussulmani, che aspettano ancora una "riforma" vivono ancora la fede alla "vecchia maniera" e dal mio punto di vista, per quanto sia una forma di tossicità sociale,provo una forma di ammirazione per la loro coerenza.




Secondo me è proprio perché non c'è nulla di speciale nella posizione della terra che si può escludere un intervento divino nella creazione dell'intelligenza, insomma la posizione copernicana è stata precisata meglio e portata fin quasi alle sue estreme conseguenze in astronomia contemporanea con il principio cosmologico, l'universo a grandissima scala è isotropo e omogeneo, non ha struttura frattale, la struttura frattale localmente c'è, e permette la vita, ma digrada a lunghissime distanze.


E' come dire che se sono a Roma non vedo intorno a me Milano, ma se due persone una a Roma e una a Milano alzano gli occhi in pieno giorno e guardano un cielo azzurro perfettamente sereno senza punti di riferimento vedono tutte e due di fatto la stessa cosa, la loro esperienza percettiva, al netto dei pensieri e delle sensazioni, è identica per identità degli indiscernibili: ugualmente gli astronomi terrestri e degli eventuali astronomi in un pianeta lontano, magari in un'altra galassia, puntando i telescopi e i mezzi di rilevazione a breve distanza vedrebbero cose completamente diverse gli uni e gli altri, ma puntandoli alla massima distanza possibile, almeno per come essa è possibile con le attuali tecnologie terrestri, vedrebbero tutti e due la stessa cosa, lo stesso universo, come si può guardare in due città diverse lo stesso cielo: questo perché non solo le leggi della fisica non variano significativamente da un luogo all'altro, ma anche la densità di materia (di particelle dotate di massa) è altrettanto identica in tutto l'universo a lunghissime distanze, quindi leggi fisiche identiche, agiscono su materia identicamente distribuita, e questo non può che risolvere la struttura frattale in una omogenea a lunghissima distanza.
Perciò la vita e la vita intelligente, non solo non possono nascere da eccezioni locali nel funzionamento proprio delle leggi naturali (veri e propri miracoli nel senso teologico del termine), ma nemmeno da circostanze in linea di principio irripetibili che si diano nel caso, nelle condizioni iniziali, nella materia, o in qualsiasi "soggetto passivo" su cui si supponga che le leggi naturali "agiscano" (circostanze così rare da avere del miracoloso).


La vita non solo non è "creata", nel senso della creazione dal nulla, ma non è nemmeno "immessa", nel senso dell'immissione di qualcosa di straordinario nel vuoto: un soggetto vivente rispetto all'universo, solo in un certo, limitato, senso, occupa un punto materiale della sua struttura, in un altro senso è "genericamente presente" poiché la struttura materiale che lo ospita su grandissime distanze non è significativa, e intendo non è significativa come eccezione, ad una regola ordinatrice dell'universo e che prevede genericamente la sua presenza e in generale la presenza almeno possibile e probabile di osservatori; non tutti i punti di vista sono posizionalmente condizionati, quindi ogni vita riflette anche la capacità complessiva dell'universo di essere a tratti ospitante la vita come oggettività del suo vissuto, al di là della sua più ovvia componente individuale e soggettiva. In parole più semplici, la vita è prevista e contemplata dalle leggi naturali, è quello che succede quando si verificano certe circostanze, non c'è niente di speciale nella "posizione" del vivente, ma l'universo è complessivamente ordinato in posizioni viventi e posizioni non viventi che sono tali solo le une rispetto alle altre.


Insomma penso che la vita sia immanente nell'universo nel senso che le cause, tutte le cause, che possano in generale rendere ragione degli eventi che osserviamo, per quanto rare siano, non si esauriscono e non si nullificano per il solo fatto di aver prodotto i loro effetti, rimangono latenti e continuano non viste nel tempo e nello spazio intrinsecamente come cause, pronte a ri-manifestarsi al ricorrere delle circostanze innescanti, quindi l'unicità di un ente qualsiasi che noi riscontriamo come effetto di cause note o ignote, uomo compreso e intelligenza compresa, è solo una questione statistica, è il caso che può ben rendere unico un ente, ma non esiste un'unicità intrinseca per cui un ente possa stagliarsi come altro dalla natura, come trascendenza: l'unicità non è mai costitutiva della natura dell'ente, ma emerge eventualmente nel rapporto tra ente e circostanze, questo va contro la percezione egoica di ogni vita intelligente che si sente unica, e si sente unica non solo  statisticamente ma proprio costitutivamente, ma io penso che il nostro senso di unicità non sia la verità ultima, è il caso che determina quanti corpi corrispondono ad una certa "anima" o a un certo stato di coscienza, possono essere più di uno, e quindi non c'è "secondo natura" un numero predefinito di essi.
#2784
Tematiche Spirituali / Re:Spiritualità atea
22 Novembre 2020, 11:51:18 AM
Io nel leggere la lettera a Meneceo penso sempre che il problema di fondo sia che per morire nell'oblio bisogna già in vita essere conoscenza, quanto della vita già qui e ora non è conoscenza (istinto, inconscio, recessi impercepibili del corpo), non morirà nella forma dell'oblio, perché non essendo nel polo iniziale del ragionamento epicureo, non può trasmigrare nel polo opposto, quindi tutto ciò che è istintuale non morirà nella forma dell'oblio.


Quindi mi tocca concludere che tutto ciò di me che non è coscienza...


o morirà in altra forma, altra dall'oblio;


di altre forme possibili con cui potrebbe morire il corpo e con esso l'istinto/intuito, per citare due risposte filosofiche ovvie e molto date nella tradizione, o una forma implicante realmente il nulla ontologico, e non il mero oblio (insomma non solo il nulla gnoseologico, non solo la larva della tradizione omerica che vaga nell'ade cieca e sorda ma quantomeno vegetativamente vivente anche se non sa di esserlo, vivente per eventuali altri -il campo di coscienza vuoto-, ma proprio il buco nero dell'inconcepibile, vero nulla, in cui non si è più, ne per se, ne per gli altri -il campo di coscienza nullo, e non solo vuoto-), o una forma di morte implicante la disgregazione, e non il mero oblio, semplicemente si muore perché non si è più uno, ammesso che anche l'istintuale e il pulsionale abbia bisogno dell'unità per vivere, ma in un certo senso, io lo sento già da ora vivere nella molteplicità, e ne dubito)


o non morirà mai: proprio quello che è già oblio, sopravvive alla morte come oblio, e non c'è altra morte, altro tipo di morte, che possa piegarlo. Insomma tutti convergono sull'idea che tutto quello che sappiamo di essere morirà con la nostra morte, ma noi non siamo tutto quello che sappiamo di essere, ci influenzano gli istinti, il destino, il carattere, i casi strani, le alternanze di coscienza e oblio, e su questo anche, quasi tutti convergono, e da qui le varie speranze più o meno fondate di immortalità. Rispetto a quello che sappiamo di essere siamo, in un certo senso di più, perché influenzati da tutte le cose che ho detto prima e dalla dinamica stessa della conoscenza che può aumentare e diminuire, e in un certo senso di meno, perché se c'è anche un'ombra di una minima verità oggettiva al mondo, molto di quello che sappiamo di essere sarà falso rispetto a questa verità oggettiva.


Insomma sta di fatto che per morire completamente all'oblio, bisogna essere completamente scienza, coscienza e conoscenza, in questo deve esaurirsi l'identificazione umana, perché se viceversa non si esaurisce in questo, non si muore completamente di oblio e la verità è più complicata, ovviamente si può essere convinti di essere identificati compleamente con la trasparenza a sé stessi e l'autocoscienza (il vero saggio), e credere per ciò coerentemente di morire di oblio, e accettarlo serenamente senza preoccuparsene, come fa Epicuro.


Però allora bisogna convenire che questo tipo di morte è ricompensa del vero saggio e rarissima, perché più un individuo è bruto e rozzo, (o anche si tratta di un dignitosissimo animale non umano, e della sua morte) meno mi viene facile credere che il suo essere coincida perfettamente e specchiatamente con la sua conoscenza e autocoscienza.


Il problema però è sempre la morte dell'altro.
L'inconscio, il pulsionale, sono l'altro della coscienza, quest'altro "c'è" sempre, anche se non lo percepiamo come tale, sappiamo della sua esistenza, tranne forse nel più irriverente e avventuroso solipsismo, perché non siamo onniscienti, e perché e cause di cui nulla sappiamo possono avere effetto su di noi; insomma difficilmente si dubita del caso o destino, di una gran parte del mondo che non dipende dalla nostra volontà, dell'oggettività di eventi e percezioni che accadono intersoggettivamnte e involontariamente, e si conosce la libertà dell'altro entrando in relazione con lui e difficilmente si dubita di questa libertà. L'altro è l'altro, nel senso di altro essere umano con cui ci si relaziona, ma anche tutto il "resto del mondo", l'oggettività e la sostanzialità non illusoria del mondo, in quanto non-io e non-volontà dell'io, è altro. E tra questo altro c'è il nostro inconscio, il nostro carattere, il nostro destino, il ricordo del nostro apprendimento passato subliminale sempre operante, tutto quello che ci influenza involontariamente e non consapevolmente.


La morte dell'altro è possibile, appunto, ma non nella forma dell'oblio che già è.


ma che il "già-in-vita-oblio" sia indistruttibile è ipotesi, non certezza, potrebbe esservi disgregazione, annullamento eccetera. La mia impressione è che gli individui evoluti, anche se accettano la consolazione di Epicuro in quanto alla morte propria, si preoccupano e si fanno carico della morte dell'altro, perché quando ci muore una persona amata abbiamo esattamente la rivelazione che la morte, quantomeno la morte dell'altro, è il contrario esatto dell'oblio, ed Epicuro su questo punto non ci consola, anzi si capovolge: quando c'è la morte dell'altro, noi ci siamo, e quando noi ci siamo, c'è la morte dell'altro, quindi è un problema non da poco, questo.


Volendo restare sempre in Epicuro e nella lettera, direi che per la morte dell'altro c'è solo la considerazione che i dolori insopportabili non durano a lungo, nel senso che anche il dolore fa parte della coscienza, quindi ogni dolore attuale è compatibile con la coscienza, e se diamo alla coscienza il significato di vita (come lo dà lui, che crede di morire nell'oblio, quindi di essere interamente trasparente a se stesso, di non avere parti inconsce, beato lui), allora ogni dolore è compatibile con la vita, quindi ha qualcosa di buono o quanto meno di migliorabile, di compatibile con una sopportazione attiva.


Che ogni dolore sia compatibile con la coscienza, è proprio la conseguenza della funzione naturale di valvola di spegnimento del sonno, coma o morte, quindi noi sentiamo solo i dolori delimitati entro la coscienza, quelli in cui la nostra "vita" continua, quindi se diamo alla vita il valore di bene, nei dolori il bene continua, e al livello di quelli in cui non continua si spegne la coscienza.


Quindi la mortalità della vita può valere come speranza, il dolore si alterna e, anche istantaneamente considerato, si completa, sfuma nell'opposto, o, col piacere o con la morte/oblio, quindi in generale è sbagliato relazionarsi al dolore come a un eterno e a un non-delimitato, il dolore, anche quello per la morte dell'altro, è sempre un ospite di passaggio, perché si risolve o morendo, o riscoprendo la gioia e il piacere, giocoforza per natura e per destino una delle due accade, mentre chi è disperato a seguito di un lutto, spesso è intrappolato in una falsa eternità in cui sembra non possa accadere nessuna delle due cose, assume il suo dolore come eterno e quindi non può superarlo.



#2785
Inverno ha scritto, come al solito non mi prende il quote

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Se il più grande risultato degli "sveglioni" è quello di aver ospitato il direttore di RadioMaria su Repubblica, ho paura che quelli ad arrivare in ritardo dal dottore sono loro, perchè ce n'è ancora di lavoro da fare, sempre che il loro "dottore" sia svelare il complotto prima che sia troppo tardi, e non dire "avevo ragione" a frittata fatta (chissà quando, le attese, come il direttore di RM sa, possono essere tragicamente lunghe).

Neanche io correrei a farmi il vaccino, ma se avessi una qualche responsabilità e autorità in materia, starei attento a ciò che dico se non voglio essere poi in seguito citato da persone a casaccio. E' successo anche per l'inventore della PCT, che viene continuamente citato a casaccio su siti complottardi, così, tanto per migliorare il prestigio di questi luoghi di spaccio..

Nel 1991 c'era un videogioco, si chiamava "Lemmings", questi erano piccoli animaletti che venivano creati da un lato dello schermo e tendevano per istinto irrefrenabile ad andare verso il lato dello schermo dove sarebbero caduti in un baratro, annegati, schiacciati o altro, insomma la pulsione al suicidio era il loro modus vivendi; e il giocatore aveva il compito di trovare un modo per ostacolarli nel loro percorso e tentare  di salvarne il più possibile. Qualcuno è stufo della "dittatura sanitaria", io comincio ad essere stufo dello "stato dei lemmings", sia per le persone fisiche che giuridiche, la costituzione fa da ombrello a tutti e ci frena dagli impulsi più egoistici, ma forse se la smettessimo di scrivere "pericolo di morte" vicino ai cavi dell'alta tensione, ci toglieremmo questo alone di "dittatura elettrificata", la smetteremmo con interviste quotidiane agli elettricisti, e ognuno metterebbe le dita dove gli pare.. purtroppo i costi di questo sarebbero pagati dalla comunità nel suo insieme, ed è questo motivo economico che continua a tenere in vita la grande dittatura..

@Baylham , è una domanda che devi fare al dottor Scoglio, io sono d'accordo.


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Ecco il paragone con la scossa elettrica è il classico esempio di ipersemplificazione ideologica imposta al popolo bue dal pensiero unico della dittatura sanitaria, si paragona il virus a un pericolo univoco e unitario, del tipo prendere la scossa, l'equazione che si vuol far digerire alla gente è qualcosa del tipo:

prendi la scossa=muori, quindi, accetta anche: prendi il virus=muori.

Lo scopo, ipnotico, è quello di far sembrare qualsiasi comportamento diverso da quello che innesca il pericolo unitario, come più desiderabile, del tipo:

non prendi la scossa=non muori, non prendi il virus=non muori.

Il problema è che il virus non è un pericolo unitario perché non è abbastanza marginale nella vita di un cittadino da poter essere paragonato a un cavo dell'alta tensione, che se ne sta fermo in un punto difficilmente raggiungibile, e ferisce chi lo tocca.

Il virus ha abbastanza dinamicità da venire esso a disturbare un cittadino che si fa i fatti suoi in qualsiasi situazione, quindi non c'è una specifica situazione riconoscibile ed identificabile in cui si può prendere il virus, come sarebbe toccare i cavi, ma un livello generale di rischio, che può innescare molteplici situazioni di contagio: mezzi pubblici, casa, scuola, lavoro, svago, poi vari modi in cui si può diffondere, diffusione con le goccioline di aria, sulla superfici, i droplet eccetera.

Inoltre, anche in caso di contagio, non tutti stanno ugualmente male con il virus, e non con lo stesso livello di varietà possibile con cui anche non stanno ugualmente tutti male quelli che si fulminano su un cavo, intendo con un livello di varietà possibile molto più ampio. Posso immaginare che, di quelli che i fulminano su un cavo, alcuni vadano solo in coma, altri, i più, muoiano, altri riportino shock gravi e restino paralizzati o dementi, ma mediamente oserei dire che tutti o quasi quelli che si fulminano su un cavo, stanno molto male e sfiorano la morte.

Sarei invece matto se dicessi che tutti quelli che prendono il virus stanno molto male e sfiorano la morte, alla stragrande maggioranza di loro non succede nulla o quasi, sono asintomatici o leggermente malati.

Non a caso sottoporre all'alta tensione il condannato è stato usato come metodo per le esecuzioni capitali, infettare il condannato con un virus simil influenzale che ha il triplo o massimo il quadruplo della mortalità delle influenze di tutti gli altri anni, no, perché mediamente in questo modo il condannato sopravviverebbe, e farebbe pure una pernacchia al boia.

Quindi non è vero che

prendi il virus=muori

semmai prendi il virus=hai una certa, variabilissima probabilità di morire, che dipende da chi sei e dal tuo stato di età e salute. Mentre con una certa semplificazione si può accettare la tesi:

tocchi il cavo=muori.

Quindi, davanti a una pericolo che non uccide che una minoranza di quelli messi in pericolo, e che è pervasivo in tutti i momenti della giornata e della società fino ad essere pressoché inevitabile, l'unica cosa che si può fare è ridurre mediamente il livello di rischio finché la natura o la tecnologia non fanno il loro corso, possibilmente differenziando tra il rischio a cui sono esposti tutti, e il rischio a cui sono esposti anziani e immunodepressi, perché non sono due livelli di rischio neanche lontanamente paragonabili, quindi dovrebbe esserci un livello differenziato di precauzioni e comportamenti consigliati, o al limite, in caso di problemi di ordine pubblico e ingestibilità, imposti.

Quindi mentre prima avevamo: non tocchi il cavo=non muori, qui abbiamo,

Riduci il livello di rischio di contagio=hai meno probabilità di morire, ma magari muori lo stesso.

Mentre siamo ragionevolmente sicuri che se non tocchiamo un cavo non moriamo, col virus...
anche facendo la spesa o ricevendo un parente, o lavorando e andando al lavoro, se vinciamo la lotteria della sfiga possiamo morire, il rischio zero non esiste.

Quindi in assenza di pericolo unitario, non c'è possibilità di evitamento unitario del pericolo, non c'è un comportamento che lo evita, ma una serie infinita di precauzioni possibili, che corrisponde a un flusso continuo di cose che tendenzialmente è meglio, o non è meglio, fare. Meno ti esponi al rischio, meno muori, ma non puoi non esporti per niente, quindi quella che se affrontata ragionevolmente e responsabilmente poteva essere un'occasione di riflessione esistenziale in cittadini avvertiti del pericolo ma lasciati entro certi limiti liberi di scegliere cosa fare della loro vita, quindi una riflessione esistenziale aperta a esseri pensanti del tipo:

"stante un sottofondo di rischio minimo ineliminabile, cosa sono disposto a rischiare per ottenere un certo obbiettivo",

ad esempio: cosa sono disposto a rischiare per lavorare per il pane, per incontrare la mia famiglia anche non convivente, per non vivere da recluso dentro una casa-, (tutte cose che adesso metà dell'Italia non può più fare, e non venite e raccontarmi cazzate in merito).

diventa un incubo in cui qualcuno decide per noi quello che possiamo rischiare, e lo decide sopravvalutando fino alla follia il rischio, e svalutando fino alla follia tutte le rinunce che secondo loro dobbiamo fare, come se davvero si vivesse e si fosse al mondo per sopravvivere, e non per vivere e divenire, e come se la mera sopravvivenza fisico-vegetativa fosse sempre, in un individuo evoluto e socializzato, ricompensa adeguata per la fame, la perdita di amici, amanti, lavoro, dignità.

La dignità si perde perché nel parossismo paranoico con cui qualcuno ci fa del male "per il nostro bene" non è più possibile un livello di gestione del rischio individuale a criterio personale a seconda del valore che si dà ai momenti e alle priorità della nostra vita, e per quanto mi riguarda, bruto non è il riduzionista, bruto è chi già da oggi perderebbe la sua dignità o il suo nesso con "gli sconosciuti", quelli secondo l'ideologia "da non incontrare", per vivere un giorno di più.

Non è che se il solito team di scienziati scopre che strisciando per strada invece di camminare la probabilità di prendere il coronavirus cambia da due su un milione a una su un milione io striscio, ma ci sono in giro ipocondriaci non più umanamente socializzati che lo farebbero e applaudirebbero a una legge che imponesse di strisciare, è questo il vero problema.

Legare la prossimità sociale (e sessuale) alla convivenza è far tornare l'orologio della storia indietro di duecento anni almeno, si pretende che si faccia eccezione a norme che prevedono la distanza fisica tra i corpi secondo criteri di prossimità sociale lecita legata unicamente alla convivenza domestica sotto lo stesso tetto a al limite all'attività medica o sportiva, con l'idea (sempre più sbagliata via via che la povertà aumenta) che tutti possano permettersi una casa o un'affitto, quindi il concetto che deve passare nella nuova normalità ipocondriaca, in cui semplicemente per me non varrà più la pena di vivere, è:

Famiglia di origine come luogo di baci abbracci e carezze...

Famiglia di formazione come luogo di contatti sessuali.

E con ciò, in otto mesi hanno spazzato via neanche il sessantotto e gli anni settanta, ma direi proprio il novecento tutto.

criteri "sanitari" falsi, perniciosi, contro ogni educazione sessuale impartibile a bambini e ragazzi perché crescano psicologicamente e fisicamente sani, che non possono andare bene per tutti, a tutte le età, in ogni condizione economica, e chi per ragioni sociali, economiche e personali è escluso dalla convivenza per mancanza di casa o stabilità relazionale, non può solo per questo essere escluso dalla prossimità sociale (e sessuale) in un paese che voglia dirsi occidentale e civile.


Non si può più toccare un povero o una persona che schifa la famiglia e il familismo e ha deciso di essere single, magari a vita? Non si può più toccare un nomade? Non si possono più toccare Nietzche e Schopenhauer? Li tocchiamo solo coi guanti a questi? E poi buttiamo i guanti? Chi esce di casa non per andare al lavoro e non per andare da un medico (le due premesse del sillogismo aristotelico del lockdown) deve giustificarsi in qualche modo agli occhi di una comunità pettegola (la bella conclusione)? Vivremo senza toccare i poveri e i non monogami e la nostra vita sarà bella e ricca lo stesso perché moriremo in ospizio del cazzo alla veneranda età di ottaatrè anni? Ma davvero? Perché c'è il virus e la salute viene prima di tutto? Questa è l'essenza della misura passata, di un'unghia incarnita curata tagliando tutta la mano, fingere di non avere idea dei modelli antropologici e biopolitici che si propongono come profilassi sanitaria, mentre invece a livello di inconscio individuale e collettivo, e di memoria storica appena preconscia, li si conosce benissimo, perché sono la riproposizione in salsa sanitaria della spazzatura moralista e classista di cui ci siamo liberati nell'ultimo secolo, a costo di guerra e rivoluzione, fieramente affrontate, fieramente fatte e su cui indietro non si torna. Abbiamo sparato dalle barricate per poter toccare Nietzche senza buttare i guanti, abbiamo una dignità, cazzo. 


Il bipensiero owelliano sta nel fatto che la nuova abitudine da prendere per la piccola e media borghesia mondiale attualmente triturata dalla grande non è veramente nuova, arriva dritta dritta dal primo 1800 europeo.


Ma la vera ideologicità perniciosa del dire:


non prendi il virus=non muori


è che in questa paranoia si è persa l'idea stessa che una vita valga una vita e le decisioni si prendono con un criterio statistico in un'ottica di etica delle responsabilità, quindi se la soluzione al virus sono la fame, la discordia sociale, la segregazione... ebbene, io sono libero di dire che  la fame uccide, la discordia sociale uccide, la segregazione uccidono, quindi non è vero che


Non prendi il virus=non muori


l'unica tesi accettabile è:


non prendi il virus=non muori stante che le condizioni sociali ceteris paribus rimangano decenti.


Perché se per non prendere il virus, ti affami o ti chiudi in casa aspettando che il governo ti porta un sussidio creato dal nulla, muori, eccome.


La gente che apre il bar in disobbedienza civile alla quarantena (ci sono stati episodi del genere, documentati e fatti non di nascosto), non sta rischiando per se stessa, sta rischiando per noi, per tutta la comunità di cui ha un'idea forse un po' meno distorta degli altri, perché una creazione di ricchezza creata dal lavoro è sostenibile a lungo termine, se i giovani e gli adulti lavorano, e lavorano più o meno alle stesse condizioni del pre-pademia,  i vecchi e gli immunodepressi possono stare a casa, mantenuti dalla ricchezza prodotta dai giovani che lavorano, e questo anche in una pandemia anche durissima e difficile da debellare di due o tre anni (il cosiddetto scenario peggiore), viceversa i sussidi governativi elargiti a pioggia su persone fino a un anno fa dignitose ridotte in stato parassitario contro la loro volontà, non sono ricchezza reale, realmente immessa nel sistema e realmente in grado di circolare, prima o poi finiscono, o il loro potere d'acquisto scompare, o si pagano a posteriori, e sono lacrime e sangue.


Se uno rischia la salute per andare a lavorare, rischia la salute per dar da mangiare a suo figlio e per pagare la pensione al suo vecchio. E per i figli di tutti. E per i vecchi di tutti. Dovrebbero fargli un monumento. E invece è considerato un untore.


Perché tanto, la pensione al vecchio e il banco a rotelle al bambino, già li paga il governo. L'untore non può che essere un egoista.


Per quanto tempo ancora?


Veramente i lemmings, ma in un altro senso.
#2786
Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2020, 23:01:42 PM
Citazione di: niko il 18 Novembre 2020, 10:44:01 AM

Io seguo la mia ragione, che mi dice che non esiste l'incausato e non esiste l'effettuale puro, e quindi, di conseguenza, non esiste nessun benedetto punto dello spazio e del tempo in cui il mondo possa iniziare o terminare, è il logos stesso che mi porta a escludere stati del mondo incausati, che quindi starebbero lì dove starebbero senza motivo e galleggerebbero nell'inspiegabile e nell'assurdo, o stati del mondo "incausanti", nel senso di puramente effettuali e non in grado di produrre più nulla di ulteriore, tolto quindi l'incausato e l'effettuale puro, rimane solo l'eternità immanente dello spazio, del tempo e della natura, il grande mondo ingenerato e imperituro dove la ragione mi porta a credere di vivere, ti può non piacere, ma di illusivo ed illusivo non c'è niente, è il frutto di un ragionamento. Questo mondo non inizia, perché anche il punto da cui inizia deve avere una causa, e non finisce realmente, perché anche il deserto omogeneo in cui potrebbe finire deve pur produrre degli effetti, e insieme a me in questo mondo ci abitano tutti quelli che possono condividere con me questo ragionamento, mentre quelli che credono nelle autopoiesi naturali o nelle poiesi divine mi sembrano abitare in un mondo a parte, ma qualcosa mi dice che finché scienza e religione si contenderanno, anche solo nella mente dell'uomo semplice, la spiegazione dell'origine del mondo, la religione avrà sempre una marcia in più...

Mi spiace per il logos, ma temo che nemmeno lui fosse presente al momento del bigbang (qualunque cosa esso sia stato) e ancor meno era presente la ratio deterministica di niko, orfana di causalità. In tal caso decenza vuole che si sospenda il giudizio piuttosto che inventarsi un feticcio dagli infiniti nomi.




Per Ipazia, ma in realtà un po' anche per paul11, che mi chiede di rendere conto dell'intelligenza dato un universo eterno.




Ma tu, Iapazia, avevi scritto:




"Ridicolo é fingere ipotesi indimostrabili mosse soltanto da una psiche illusionalmente desiderante l'eternità."


Ora, ti assicuro che l'autopoiesi del cosmo che credi di difendere con la tua sospensione del giudizio, soddisferebbe ugualmente il mio desiderio di eternità, per come la comprendo (su questo ti preoccupi per niente), magari nessuna delle due ipotesi soddisfa il tuo, di desiderio di eternità, visto che c'è sempre la possibilità di inventarsi eternità terze, e quarte, e ennesime, rispetto all'autopoiesi e all'eternalismo, eternità magari antropologiche, relativiste assolute, biologico-pagnottiste eccetera, ma il punto fondamentale qui è, perché credi di conoscere le ragioni del mio argomentare?

Non sospendi il giudizio su quelle?

Comunque secondo me un'eternità implicante l'incausato all'inizio, e l'effettuale puro alla fine del tempo è estremamente soddisfacente, in senso psicologico, è l'apoteosi della libertà e di questi tempi tutti vogliamo essere liberi, ma direi "farlocca", per usare un termine che usi anche tu, preferisco credere in cose meno soddisfacenti, ma più interessanti. La mia razio-deterministica certe cose "nol consente", ecco, si può essere orfani dell'uno e della mono-casualità e sopravvivere uguale nella jungla della vita, ma diventare orfani pure della multicausalità e dunque dell'indeterminazione in cui si risolve ogni umana pretesa di libertà, ecco, mi chiedi troppo.


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Poi cotinuavi con:

"Già Socrate aveva messo in guardia dall'illusionalità del finto sapere e questo lo condusse a morte, perché l'illusionismo ha pure una sua autoconservativa ferocia.

Il suo allievo Platone, memore della lezione di quell'esito, consigliò di lasciare i superstiziosi nella loro autoconservativa ignoranza per evitare guai peggiori.Decenza etica ed epistemica é sapere di sapere quello che si sa e, socraticamente, sapere di non sapere quello che non si sa. In ció sta l'autentica (cono)scienza."




ecco, ce li hai messi quasi tutti, ti sei scordata Democrito a cui è attribuita la frase: "non sappiamo se sappiamo, o se non sappiamo", ecco, il punto non è che dobbiamo essere scettici e sospendere il giudizio, che è stato uno sviluppo pure quello fin troppo "naturale" dell'accademia platonica, il punto è che il sapere non può autoriferirsi, "so di non sapere" è già tracotanza e sfida agli dei, perché così qualcosa sai, sai di non sapere, con questo per me è già abbondantemente superata la misura di una morale delfica, il punto è che non sappiamo se sappiamo o se non sappiamo, l'immagine che ci facciamo del mondo ha un rapporto di similitudine-analogia, e non di identità, con il mondo reale. Tale immagine è microfisica, non microcosmica, noi non attingiamo la totalità nemmeno con la coscienza, non siamo microcosmo di nulla, siamo una parte del mondo (corpo) con una coscienza, cioè un orizzonte di visibilità esteriore o interiore, che esprime parte più grande o più piccola della stessa totalità da cui la parte di riferimento è tratta, da cui il corpo è tratto: proprio perché non iniziamo dal nulla e non finiamo col nulla, non sappiamo, nemmeno di non sapere; quello che sappiamo "è vero" nella stessa misura in cui "la parte è il tutto", la parte non è il tutto, ma il tutto non può esistere se si tolgono tutte le parti senza dare il tempo e l'occasione di un armonioso ricambio, la casa non è il mattone, ma avere un'idea almeno vaga e parziale di come si costruisce in generale la casa è necessario a togliere uno o finanche  tutti i singoli mattoni attuali affinché non crolli tutto, quindi quello che sappiamo è necessario ad altro, è premessa di un superamento della condizione attuale e di un superamento del superamento stesso, o quantomeno della sua possibilità, non è "vero". Non è il mondo che con l'avvento della vita "diventa autocosciente", perché se così fosse dovrebbe diventarlo integralmente, non ci sarebbe il dubbio, non ci sarebbero le cose di cui parliamo qui. Il mondo non esiste, e questo permette ad alcune sue parti di sapere di altre parti, in modo diverso e irreciproco da come sanno le altre di loro. E' forse questa irreciprocità il nulla, che permette il grande gioco per cui una serie di giocatori che non vogliono, nessuno di essi intenzionalmente, conservare il mondo, finiscono per conservarlo come conseguenza non voluta o nel migliore dei casi non prevista delle loro mosse.


L'increato è una premessa necessaria dell'esistenza, si soffre, si è felici, si ha istinto, si ha intelligenza, e si crea, si crea qualche isola di ordine nel caos perché si è operato secondo necessità e quindi si è proiettata qualche immagine gradita o terrificante del passato nel futuro, l'increato è innocenza e la più semplice delle teodicee, perché anche se si soffre potrebbe non esserci chi soffre e la divinità potrebbe stare semplicemente facendo dei sogni e delle simulazioni per cui soffriamo come soffre il personaggio di un libro o di un film, nell'increato la divinità conosce il male come negativo di sé stessa e questo processo cognitivo produce conseguenza che a noi, divinità non-più-una perché ha considerato la sua negazione, appaiono il mondo, l'increato non è insomma per tutti, almeno non per me, una mera contraddizione dell'esistenza, per cui se niente è creato, niente può esistere.


Spero che ora si capisca meglio perché l'autopoiesi per me è staccarsi da uno sfondo, il rapporto con l'extra liminare, con quello che rimane inattingibile dato il punto attuale e i suoi dintorni, è di non conoscenza, di ignoranza, non di inesitenza, perché quello è il vero nulla "da cui abbiamo origine", il rapporto tra due che non sanno l'uno dell'altro è nulla, è irrelazione cosciente tra questi irrelati per quanto possa esistere un determinismo causale dall'uno all'altro che rimane misterioso, il rapporto tra un inesistente e un esistente dello stesso tipo, il rapporto tra essere e nulla platonicamente inteso, è l'idea platonica ed è pregno di sapere e determinismo del sapere sul destino e sulla materia, quindi Ipazia, se pensi di venire dal nulla, sei tu che pensi di sapere del nulla, perché quel nulla è il negativo di ciò che sai, rispetto al mondo che abiti ti metti in una posizione di microcosmo e non di parte.

#2787
Tematiche Spirituali / Re:La chiesa è morta?
20 Novembre 2020, 00:36:18 AM
Citazione di: green demetr il 19 Novembre 2020, 18:31:43 PM
Si grazie Niko e Paul.


Non ho ben capito per quale motivo kairos e katechon siano opposti.

Dalla wiki "Nel Nuovo Testamento kairos significa "il tempo designato nello scopo di Dio", il tempo in cui Dio agisce "


Il kairos è la carità, e la carità è lo scudo che impedisce al maligno di arrivare a prenderci.

Comunque riaggiornando il senso, effettivamente il mio lapsus quasi inquadra una vera fine del mondo, perchè dopo il katechon arriva il kairos. (giusto per agitare i demoni).


La chiesa come mera custode della parola di Cristo, non ha la stessa potenza di Sposa di Cristo.


Forse è anche per questo che questa caduta è vista all'acqua di rose.


O forse leggendo dall'avvenire a proposito della fine del mondo "A patto, si capisce, che si sia compiuto anche l'altro passo decisivo, e cioè l'apostasia della Chiesa, la secessio dei credenti dalla fede. " cit https://www.avvenire.it/agora/pagine/cacciari-chi-mette-il-freno-apocalisse

Che a ben vedere è quello che diceva Dante (il Pedante  ;)  prima chi ci si confonda)




Sono opposti perché kairos è l'occasione e katechon il trattenimento, è chiaro che l'occasione è un tempo disponibile all'esperienza, il tempo di una possibile decisione del soggetto, se la vuoi vedere in senso cristiano, il tempo di un possibile incontro con Dio grazie all'abbassamento di Dio; il trattenimento invece è il tempo di un'esistenza inautentica perché mediata, astrattificata e generalizzata dalla legge, indisponibile all'esperienza (e all'emergenza) della singolarità come altro dalla conoscenza, perché il tempo qui è preesistente, non creato dall'azione, il tempo del "si fa" e del "si deve".


Un impero dunque (o una chiesa...), quello rappresentato dal katechon, che ambisce all'eternità per l'automatizzazione del comando e il godimento economico-rituale delle sue stessa procedure, ma senza il potere di fare da guida nell'attraversamento dello spazio e del tempo, senza autorità (epoché imposta ai subordinati perché non tramonti mai l'epoca, che si pretende ultima); l'apostasia generalizzata che consegue alla fine del katechon è la morte in solitudine di Dio che riverbera in ogni uomo rendendo, nel bene e nel male, solo anche ogni uomo: è chiaro che finché la religione esiste come forza organizzata, l'apostasia del singolo è riconoscibile come male, come violazione superba del contratto sociale e della legge, viceversa quando l'apostasia si generalizza, quando tutti sono apostati e il movimento di uscita di qualcuno da qualcosa non è più riconoscibile, l'apostasia stessa è kairos, occasione, occasione di presentarsi soli davanti a Dio per il giudizio, o quantomeno occasione di comprendere che la morte del corpo mistico, la sua disgregazione conseguente alla generale e non più arginabile apostasia, è la morte dell'amore che esso è sempre stato; la divinità, ma anche il leviatano, il sovrano, colui a cui è accordata l'onnipotenza, non può morire per frustrazione della volontà, ma per privazione dell'amore, come per privazione dell'amore già una volta morì.


La morte di un Dio in solitudine, rinnegato e misconosciuto, una morte che non è solo-morire ma morire solo, una morte che è proiezione e sostituzione della morte di tutti perché è la morte di chi è morto unicamente per mancanza d'amore, la morte di nessuno, ci salva dal problema della morte così come esperibile in terra, non così come esperibile in cielo: quando si arriva a comprendere che la nostra morte è già epicureanamente nulla, che da essa si è salvi da sempre e per sempre secondo la legge e la giusta punizione prevista dalla legge, il vero problema è la morte dell'altro.
#2788
Tematiche Spirituali / Re:La chiesa è morta?
19 Novembre 2020, 02:37:55 AM
Leggiti il breve libretto di Cacciari per i tipi dell'adelphi, sul potere del KAIROS.

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Piccola nota pignola, mi sa che hai avuto un lapsus, il libro di Cacciari che dicevi è sul katechon, non sul kairos, due modi di concepire il tempo così abissalmente separati e con solo qualche inquietante analogia a legarli, che dirli invertiti è proprio un bel lapsus...
#2789
Citazione di: sapa il 18 Novembre 2020, 11:33:52 AM
Citazione di: niko il 18 Novembre 2020, 11:18:24 AM
Per me l'assoluta e patente sproporzione tra il male (un'influenza più ostica del solito con il triplo o massimo il quadruplo della mortalità di quelle normali) e la cura (un paese in ginocchio, alla fame e con la Costituzione sospesa che per pagare i danni che si è autoinflitto dovrà riempirsi di tasse, debito e inflazione tali da rovinare la vita delle generazioni successive per decenni) è innegabile e non oggetto di opinabilità, quindi per me sono negazionisti gli altri.


Negazionisti della semplice verità per cui tra persone sane di mente non si cura un'unghia incarnita tagliando tutta la mano.


Questa cura a cui ci stanno sottoponendo non ha niente di medico, è la solita cura neoliberista che centuplica i mali invece di risolverli.


Io non dico tanto, ma prima di parlare documentarsi almeno sull'affidabilità dei tamponi molecolari con cui trovano, isolano e mettono nel bollettino delle diciotto i pericolosi "asintomatici", almeno su quella. Sull'affidabilità di un tampone covid positivo come giustificazione di una quarantena e di una menzione nelle statistiche in un soggetto sano in mancanza di sintomi, in un soggetto morto o moribondo per altre cause eccetera.


E' in corso una guerra all'uomo, non al virus.
Ciao niko, immagino che l'affidabilità di un tampone molecolare covid sia pressapoco la stessa di un tampone per salmonella o di un test elisa. Però, se hai dati e informazioni diverse, sarei curioso di leggerli. Secondo me, non è in corso una guerra all'uomo, più che altro mi sembra che sia in atto una guerra mondiale al virus con uso di armi sproporzionate e inadeguate, che è molto probabile, come dici anche tu, faranno danni più gravi di quanto ne può fare il Covid. Un qualcosa, insomma, del tipo "buttare il bambino con l'acqua sporca"...




Ecco, ti mando il link, sono quattro medici insigni con ruoli direttivi e scientifici importanti di cui uno candidato premio nobel, che dicono che l'affidabilità, non tanto sempre e comunque, ma specificamente in caso di soggetto sano, in cui l'unico elemento per sospettare la malattia è l'esito del tampone, è troppo bassa, ridicolmente bassa, perché il tampone va ad individuare tutto tranne che il virus, e se esce positivo c'è un certo margine di sospetto che il virus ci sia, quindi di un malato con sintomi tipici della malattia si può dire che probabilmente è malato di quello perché il tampone conferma sospetti clinici e diagnostici che comunque dovrebbero esserci già, ma di uno sano che risulta positivo ad oltre il cinquanta sessanta percento di probabilità non è un pericoloso "asintomatico", "da isolare", da mandare sotto processo se esce a fare la spesa eccetera, è proprio il tampone che ha preso una cantonata in un soggetto sanissimo e non contagioso, le cantonate nude e crude del tempone  in soggetti sani le stimano dal cinquanta all'ottanta cinque per cento, e in base a queste cantonate le persone vengono private dei diritti costituzionali più elementari, cioè si spaccia per asintomatico (problema del paziente) quello che più della metà delle volte è un falso positivo (problema dello strumento diagnostico) perché si deve mantenere sù la facciata e il teatrino che è fatto tutto "per il nostro bene" "nel nostro interesse", per il nostro bene non possiamo lavorare per il pane, vedere i nostri affetti, uscire da case e regioni gabbie eccetera, quindi non possono dire che per diminuire la circolazione del virus e il numero di malati accettano all'oltre cinquanta per cento il rischio di sequestrare in casa soggetti perfettamente sani e lo fanno accettare, questo stesso rischio, ai soggetti stessi, con la minaccia di sanzioni penali anche gravissime.


La cosa più interessante è che fino a qualche hanno fa c'era una direttiva europea sull'affidabilità minima di un tampone diagnostico, e nessun tampone covid attualmente esistente ci sarebbe mai rientrato nemmeno minimamente in quanto inaffidabile, se quella direttiva fosse stata in vigore non li avrebbero proprio potuti fare così come sono, l'idea, se non ci fosse stata la pandemia, era  far scadere quella direttiva, lasciare un breve periodo senza direttive vigenti, cioè senza obblighi sull'affidabilità minima di un tampone sanitario, e poi fare una nuova direttiva, che già esiste come bozza e dovrebbe entrare in vigore nel 2022, per avere nuovi e più aggiornati criteri, il bello è che la direttiva sostitutiva, del 2022, ha più o meno la stessa severità di quella abrogata precedente, quindi neanche in quella che deve venire alla luce in futuro, stante che si segua la bozza, il tampone covid attuale rientrerebbe mai, il che in soldoni significa che uno strumento così inaffidabile come il tampone attuale ha potuto esistere, essere diffuso e utilizzato in un interregno tra due direttive che fissano criteri di affidabilità minima per gli strumenti diagnostici in generale in cui esso non rientra e non rientra in nessuna delle due, né vecchia né nuova, e viene spacciato come lo strumento per cui se sei positivo anche se sei sano sei il lebbroso da isolare, te ne fanno una questione morale e moralistica, ti dicono "certo sei sano tu ma potresti essere un pericolo per gli altri, vuoi essere così egoista da uscire di casa?" Mica ti dicono che l'errore de ltampone è almeno alterttanto probabile del vero asintomatico potenzialmente pericoloso...


e i quattro che hanno scritto questo documento non sono stati né radiati dall'ordine dei medici, nè denunciati, né niente... evidentemente a livello scientifico la verità ha un minimo di oggettività oltre il quale non può essere manipolata, è la verità mediatica per il popolo bue, che è manipolabile all'infinito...




link:
https://www.oltre.tv/tamponi-migliore-test-50-falsi-positivi/
#2790
Per me l'assoluta e patente sproporzione tra il male (un'influenza più ostica del solito con il triplo o massimo il quadruplo della mortalità di quelle normali) e la cura (un paese in ginocchio, alla fame e con la Costituzione sospesa che per pagare i danni che si è autoinflitto dovrà riempirsi di tasse, debito e inflazione tali da rovinare la vita delle generazioni successive per decenni) è innegabile e non oggetto di opinabilità, quindi per me sono negazionisti gli altri.


Negazionisti della semplice verità per cui tra persone sane di mente non si cura un'unghia incarnita tagliando tutta la mano.


Questa cura a cui ci stanno sottoponendo non ha niente di medico, è la solita cura neoliberista che centuplica i mali invece di risolverli.


Io non dico tanto, ma prima di parlare documentarsi almeno sull'affidabilità dei tamponi molecolari con cui trovano, isolano e mettono nel bollettino delle diciotto i pericolosi "asintomatici", almeno su quella. Sull'affidabilità di un tampone covid positivo come giustificazione di una quarantena e di una menzione nelle statistiche in un soggetto sano in mancanza di sintomi, in un soggetto morto o moribondo per altre cause eccetera.


E' in corso una guerra all'uomo, non al virus.