parte 2 di 3 in cui anche tenendo conto delle mie polemiche finali vi sono paralleli molto forti con le mie posizioni
Allora definiamo la realtà dunque come adequatio rei et intellectu, e come coerenza a sè dell'interpretazione.
Sono assolutamente d'accordo, sopratutto perchè il punto su cui dovrebbe cadere l'interesse dell'intellettuale (maturo) è su quel "in sè" della interpretazione, per cui non potrà che essere che formale.
L'in sè deve essere formale. E quindi a sè, a sè stante. Un invenzione intellettuale (che tu aggiungi deve essere coerente, e mi sta bene). (mi rendo conto che non era questo quello che volevi intendere, prendi queste note come un parallelismo, se è possibile, e rimando invece a ulteriori approfondimenti, al segmento 3 direttamente)
Sul paradosso del mentitore, siamo parimenti d'accordo. In effetti era stato già risolto dalla logica: in quanto la categoria dei predicati è valida solo se non applicata a se stessa, quindi deve essere applicata ad un oggetto esterno.
Si ha sempre un predicato ogettuale, come dico io una funzione d'oggetto. Ma va benissimo anche la tua regola che il predicato deve essere coerente con se stesso.
La realtà dell'oggetto garante del predicato, è la cosa in sè kantiana, non ritengo di aggiugervi ulteriori impianti concettuali. anche se poi tu critichi questo concetto vedi poi
Non so cosa sia il diallele scettico, ma rimane la problematica di dire cosa è reale, senza cadere nella petitio principii.
Anche se siamo d'accordo che lo scettico confonde il suo predicato con il reale. Dunque traspongo la tua formula nel mio impianto funzionale insiemistico (è quello che ho scelto io
).
Lo riscriverei così Lf(a)=1 ; solo e solo se a < cosa in sè
L'immaginario non aderisce alla definizione della cosa in sè, mi sembra inutile aggiungerlo.
Ti poni poi il problema della decidibilità della cosa, afferendo che di una cosa dovremmo potere dire sia se il suo reale, che l'impossibilità del suo essere immaginario (visto che lo hai introdotto), o semplicemente della sua irrealtà. appunto il problema della decidibilità di tarsky
Successivamente torni ad argomentare sull'adequatio rei et intellectu. Proponendo la distinzione agostiniana della verità lucente del soggetto e della verità redarguitrice (?) dell'oggetto.
Qui certamente si sofferma tanta filosofia contemporanea, in primis lo strutturalismo.(intendo il primo argomento, la verità lucente)
La logica di Tarsky come ogni logica formale non intende il senso di esistenza a onore del vero.
Comunque poichè necessitiamo di una nuova logica formale, va anche bene far notare come notazioni complesse come quella di Tarsky si risolvano in maniera banale per un filosofo.
Siamo a metà articolo. Direi che ci intediamo perfettamente. col senno del poi mica tanto, ma le cose simili sono notevoli
Sullo statuto degli oggetti reali non mediati dall'uomo:
Infatti Heidegger parla di analitiche possibili infinite. Infatti ci può essere anche una analitica diversa da quella umana (Che concerne l'uomo specifico).
(essere e tempo).
Mi piace il tuo tentativo di salvare il costruttivismo, presumendo una unità in cui giacciono sia soggetto che oggetto.
Il punto che ti vorrei chiedere è però se tu sposi l'idea che questa unità sia a sua volta un oggetto.
(questo punto magari si intende meglio nelle critiche che faccio nel terzo segmento)
in effetti anche col senno del poi non riesco a ricavarlo
In passato in questo forum ho già avuto un violento litigio su questo punto, e in effetti la cosa che più detesto del costruttivismo o nuovo realismo come lo si voglia chiamare, è che si illude che di questa unità si possa parlare in maniera oggettiva. diciamo che ho una flebile speranza che così non sia perchè la ragione in sè, ha un carattere oggettivo solo nel campo della relazione, che di oggettivo ha ben poco. O meglio l'oggettivo è la relazione.
Dunque è un in sè, che contiene un dualismo. Spero ma non sono convinto che sia così per te.
Se noi poniamo l'unità come relazione del predicato e oggetto. Siamo chiamati ad una doppia analisi del predicato e dell'oggetto.
Cosa che formalmente è indecidibile, a mio parere. (ma non è importante per i miei fini).
Cioè non è dimostrabile tout-court. (lato esistente sì - lato inesistente no, vedi segmento 3)
Ma seguiamo invece la tua contro-argomentazione (che in parte (o del tutto?) riferendosi a Severino, intendo benissimo).
Finisco qui il secondo segmento. Nel terzo che si sta rivelando piuttosto ampio ci occupiamo di alcune notazioni erronee, e di possibili alleanze.
Allora definiamo la realtà dunque come adequatio rei et intellectu, e come coerenza a sè dell'interpretazione.
Sono assolutamente d'accordo, sopratutto perchè il punto su cui dovrebbe cadere l'interesse dell'intellettuale (maturo) è su quel "in sè" della interpretazione, per cui non potrà che essere che formale.
L'in sè deve essere formale. E quindi a sè, a sè stante. Un invenzione intellettuale (che tu aggiungi deve essere coerente, e mi sta bene). (mi rendo conto che non era questo quello che volevi intendere, prendi queste note come un parallelismo, se è possibile, e rimando invece a ulteriori approfondimenti, al segmento 3 direttamente)
Sul paradosso del mentitore, siamo parimenti d'accordo. In effetti era stato già risolto dalla logica: in quanto la categoria dei predicati è valida solo se non applicata a se stessa, quindi deve essere applicata ad un oggetto esterno.
Si ha sempre un predicato ogettuale, come dico io una funzione d'oggetto. Ma va benissimo anche la tua regola che il predicato deve essere coerente con se stesso.

La realtà dell'oggetto garante del predicato, è la cosa in sè kantiana, non ritengo di aggiugervi ulteriori impianti concettuali. anche se poi tu critichi questo concetto vedi poi
Non so cosa sia il diallele scettico, ma rimane la problematica di dire cosa è reale, senza cadere nella petitio principii.

Anche se siamo d'accordo che lo scettico confonde il suo predicato con il reale. Dunque traspongo la tua formula nel mio impianto funzionale insiemistico (è quello che ho scelto io

Lo riscriverei così Lf(a)=1 ; solo e solo se a < cosa in sè
L'immaginario non aderisce alla definizione della cosa in sè, mi sembra inutile aggiungerlo.
Ti poni poi il problema della decidibilità della cosa, afferendo che di una cosa dovremmo potere dire sia se il suo reale, che l'impossibilità del suo essere immaginario (visto che lo hai introdotto), o semplicemente della sua irrealtà. appunto il problema della decidibilità di tarsky
Successivamente torni ad argomentare sull'adequatio rei et intellectu. Proponendo la distinzione agostiniana della verità lucente del soggetto e della verità redarguitrice (?) dell'oggetto.

Qui certamente si sofferma tanta filosofia contemporanea, in primis lo strutturalismo.(intendo il primo argomento, la verità lucente)

La logica di Tarsky come ogni logica formale non intende il senso di esistenza a onore del vero.
Comunque poichè necessitiamo di una nuova logica formale, va anche bene far notare come notazioni complesse come quella di Tarsky si risolvano in maniera banale per un filosofo.
Siamo a metà articolo. Direi che ci intediamo perfettamente. col senno del poi mica tanto, ma le cose simili sono notevoli
Sullo statuto degli oggetti reali non mediati dall'uomo:
Infatti Heidegger parla di analitiche possibili infinite. Infatti ci può essere anche una analitica diversa da quella umana (Che concerne l'uomo specifico).
(essere e tempo).
Mi piace il tuo tentativo di salvare il costruttivismo, presumendo una unità in cui giacciono sia soggetto che oggetto.
Il punto che ti vorrei chiedere è però se tu sposi l'idea che questa unità sia a sua volta un oggetto.
(questo punto magari si intende meglio nelle critiche che faccio nel terzo segmento)
in effetti anche col senno del poi non riesco a ricavarlo
In passato in questo forum ho già avuto un violento litigio su questo punto, e in effetti la cosa che più detesto del costruttivismo o nuovo realismo come lo si voglia chiamare, è che si illude che di questa unità si possa parlare in maniera oggettiva. diciamo che ho una flebile speranza che così non sia perchè la ragione in sè, ha un carattere oggettivo solo nel campo della relazione, che di oggettivo ha ben poco. O meglio l'oggettivo è la relazione.
Dunque è un in sè, che contiene un dualismo. Spero ma non sono convinto che sia così per te.
Se noi poniamo l'unità come relazione del predicato e oggetto. Siamo chiamati ad una doppia analisi del predicato e dell'oggetto.
Cosa che formalmente è indecidibile, a mio parere. (ma non è importante per i miei fini).
Cioè non è dimostrabile tout-court. (lato esistente sì - lato inesistente no, vedi segmento 3)
Ma seguiamo invece la tua contro-argomentazione (che in parte (o del tutto?) riferendosi a Severino, intendo benissimo).

Finisco qui il secondo segmento. Nel terzo che si sta rivelando piuttosto ampio ci occupiamo di alcune notazioni erronee, e di possibili alleanze.