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Messaggi - bobmax

#2791
Sarà pure per una mia deformazione professionale, ma ritengo che un'esperienza lavorativa in ambito tecnico sia quasi indispensabile per chi intende filosofare.

Tematiche come la logica, per esempio, assumono un significato più profondo quando ci sforziamo di applicarle provando e riprovando per giungere ad un risultato concreto.

Occorre che l'esperienza sia proprio lavorativa, perché è qui che normalmente il gioco si fa più duro.

E quando un ragionamento si rivela inefficace occorre rimettere tutto in discussione.
E ricominciare da capo.
Alla fine, si spera, una soluzione verrà trovata.

Ma lo smacco, la frustrazione del fallimento seppur temporaneo, possono risvegliare in noi la consapevolezza della profondità del reale.
#2792
Penso che queste esperienze non potranno mai essere usate per dimostrare qualcosa.
Perché per dimostrare occorre appunto "mostrare". Mentre queste esperienze non possono essere mostrate, essendo squisitamente soggettive.

Il loro valore consiste invece in ciò che eventualmente risvegliano in chi le vive.

Sono infatti "cifre", non offrono alcuna conoscenza oggettiva, ma l'esistenza può trovare in esse un'ispirazione per la propria Trascendenza.

Nel mondo oggettivo l'anima coincide con la psiche.
Ma l'incontro con una "cifra" può risvegliare in noi la consapevolezza dello Spirito, e del nostro legame con Esso attraverso la nostra "anima".
#2793
Sono viceversa convinto che il mondo del lavoro abbia un gran bisogno di filosofia.

Vi è infatti una diffusa necessità di miglioramento e ottimizzazione delle attività lavorative. Sia come chiarimento e semplificazione dei processi lavorativi, sia nel miglior utilizzo delle risorse umane.

È necessario cioè un pensiero analitico che sappia cogliere l'essenza delle operazioni per poterle migliorare.
Un pensiero libero dai condizionamenti dell'abitudine e del buon senso comune.

E non è forse proprio questo ciò che caratterizza il pensiero filosofico?

Tuttavia pensiero, non erudizione. Perché la storia della filosofia al mondo del lavoro non interessa per niente.
Ciò che interessa è invece la forma che una mente può acquisire se forgiata dalla filosofia.

Per forgiarsi, non è però sufficiente conoscere il grandi del passato. Occorre, diciamo così, metterli invece un po' da parte.
E buttarsi nel mondo, anche in lavori magari non particolarmente appaganti.

Nell'affrontarli praticamente potrà allora forse emergere ciò che si aveva appreso, e questo farà la differenza.
#2794
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
06 Settembre 2018, 18:09:32 PM
A Oxdeadbeef
Concordo con te.

Vorrei aggiungere che la stessa idea di Dio nasce dalla medesima facoltà che produce la tecnica.

Questa facoltà è il pensiero logico/razionale.

Che arrivassimo a questo punto, con la tecnica che si propone come nuovo Dio, era nell'ordine delle cose.
Perché caratteristica fondamentale del pensiero razionale è distinguere la realtà, per poi poter eventualmente agire sulle parti ormai distinte.

Un processo che inizia agli albori della razionalità ("2001 Odissea nello spazio" lo focalizza magistralmente) e che negli ultimi secoli ha avuto una forte accelerazione.

Sono infatti convinto che stiamo raggiungendo il limite. Ossia il punto dove le profonde contraddizioni dell'interpretazione razionale della realtà non potranno più essere ignorate.

Occorre allora prepararsi.
Per esempio incominciando a prendere atto che il libero arbitrio è pura illusione.
In modo da svuotare ogni velleità di volontà di potenza: nulla possiamo.

Possiamo solo sperare nella Necessità. La quale è all'origine di ogni cosa, anche di questo mio scritto.
#2795
Sono dell'idea che l'autentico amore sia pressoché impossibile.

Perché la nostra realtà è caratterizzata dal molteplice ed è soggetta al divenire.

Il puro amore può risiedere solo nell'Uno.

Tuttavia la vita riserva svariate occasioni per provare ad amare. Essere figlio, padre, amico, partner,... sono solo alcune di queste occasioni.
Che possiamo cogliere oppure no.

In ballo vi è l'Essere.
Perché l'alternativa è solo tra essere o non essere.

Più amiamo e più siamo, se invece odiamo: non siamo.

Poiché non sono in grado di decidere di amare, ma amo o non amo, l'unica mia possibilità è di cercare di distaccarmi dal mio ego.
#2796
Come ho più volte cercato di evidenziare non esistono "fatti" ma sempre una loro interpretazione.

D'altronde, mi pare evidente che non sia possibile una reale comunicazione.
Per cui punti di vista incompatibili (per me i numeri non sono affatto archetipi) ben difficilmente possono confrontarsi.

Spiace, perché l'esistenza è comunicazione, ma tant'è.

Ritengo pertanto inutile proseguire.
#2797
I cosiddetti "fatti oggettivi" sono verità fintanto che restano confermati. E sono confermati ogni volta in cui si nega la loro possibile falsità.

La negazione della falsità è sempre e comunque necessaria.
Perché abbiamo a che fare con la realtà!

Anche se improbabile, tu potresti ora svegliarti rendendoti conto di chiamarti Agamennone!

Non esiste alcuna oggettività in sé.

Il principio di non contraddizione è indispensabile per il pensare determinato, ma non è la Verità.
Perché nel mondo A non è mai uguale ad A. Ossia non vi è niente che sia uguale a se stesso.

Tuttavia, a livello dell'Essere, non vi è alcuna opposizione. Gli opposti non sono complementari, gli opposti coincidono.
Guai se così non fosse...

PS
Vedo comparire i tuoi commenti con diverse ore di ritardo.
#2798
<io mi chiamo Carlo> è una verità in quanto negazione di ogni possibile affermazione contraria.
È cioè una verità perché rende falso chi per esempio affermasse che ti chiami Agamennone.

Nel mondo, la verità è esclusivamente la negazione delle possibili falsità.

Di modo che la verità dipende dalla falsità in quanto la sua forza risiede tutta nel negarla.
Se così non fosse, <io mi chiamo Carlo> sarebbe un non senso.

Viceversa la Verità assoluta non ha nessuna possibilità da negare. Non vi è alcuna possibilità di falsità.

Per questo motivo si può esprimerla come "negazione della negazione"
#2799
Probabilmente non riesco a spiegarmi...

Non sto affatto contestando la tua definizione di verità!
Sto solo dicendo che questa "verità", indispensabile per il nostro pensare, è valida comunque solo all'interno del sistema in cui noi siamo.

Con "negazione" non intendo che vi sia qualcuno che "nega"...
La negazione è implicita nell'atto stesso in cui si afferma qualcosa. Infatti, l'affermazione di una "verità" implica la negazione di ciò che potrebbe invalidarla.

Di modo che non sto affatto negando ogni possibilità di dire il vero. Sto soltanto cercando di evidenziare come questo "vero" dipenda inevitabilmente dal "falso", che deve essere tenuto distinto da questo "vero".
Questa è la condizione del nostro esserci.

Mentre la Verità assoluta non ha alcuna Falsità fuori di sé da negare.
E' l'Uno!
#2800
Per Carlo.

Provo a rispondere.
Occorre per prima cosa fare una considerazione:
Il Tutto non è un qualcosa.
Questa considerazione può sembrare stravagante, ma è invece fondamentale.
 
Ciò che esiste per noi, esiste solo in quanto è "qualcosa". Il qualcosa è tale in quanto è distinto da tutto il resto. Questa distinzione fonda la razionalità. Che è pensiero determinato, opera distinzioni.
Ed il pensiero, o è determinato o non è.
Di modo che il nostro mondo è composto esclusivamente da dei qualcosa. Ciò che non è un qualcosa per il nostro pensiero è nulla.
 
Non si tratta solo del mondo fisico, ma di ogni cosa possa essere pensata. Quindi il pensiero stesso, emozioni, sentimenti... qualsiasi cosa che appare esistente.
 
Tuttavia, occorre ammettere che il Tutto sfugge a questa condizione: esiste ma non è un qualcosa...
 
Di modo che noi intendiamo con "vero" solo ciò che, all'interno del Tutto, appare come qualcosa che non è in nessun modo negato.
 
Ossia, così come tu intendi: "per "verità" io intendo una corrispondenza, una concordanza tra ...le chiacchiere e i fatti, cioè, tra ciò che un soggetto afferma su un certo oggetto e ciò che l'oggetto è"
Perché con quei "fatti", con quel "ciò che l'oggetto è", non puoi che intendere una loro interpretazione (quindi pensieri) che non contraddicono le cosiddette "chiacchere".
In buona sostanza, per il nostro pensiero il "vero" è ciò che si oppone al "falso"
 
Nella sua più estrema sintesi, questo "esser vero" può essere riassunto dal principio di identità: A=A.
 
Che in sostanza afferma che A non è qualsiasi cosa non sia A.
 
Per cui, per il nostro pensiero, la verità necessita della falsità per poterla negare.
 
E qualsiasi "definizione" consiste proprio nel de-finire, distinguendo ciò che è da ciò che non è: nega il falso.
 
Quando però cerchiamo di parlare della Verità, allora il pensiero non è più sufficiente.

Perché da un lato non vi è più la controparte, che permetterebbe una definizione, cioè il falso.

Dall'altro, essendo noi nella Verità, essendo noi totalmente posseduti dalla Verità, come potremmo mai sperare di definirla, e quindi in qualche modo di possederla?
Come può un sistema dimostrare i propri fondamenti?
 
Quindi il Tutto, la Verità, l'Essere, l'Assoluto,... sono tutte parole che pur dobbiamo usare, ma che non esprimendo un "qualcosa" non possiamo davvero pensarle. Sono un idea aperta...
 
Un'idea, che potrebbe forse esprimersi al meglio (ma non definirsi!) così:
E' la negazione della negazione.
#2801
Con la morte della persona cara mi si spalanca davanti l'abisso.
Penso sia l'evento che più di ogni altro mi ha costretto a guardare in faccia la Medusa, che mi fissa mostrandomi l'orrore del mondo: "E adesso?"
E' l'assolutamente inaccettabile! Eppure vero...

Con la morte, ogni speranza diventa vana. Perché non c'è niente a cui possa davvero aggrapparmi: tutto finisce.
E anche chi amavo, era davvero ciò che ora mi sembra di ricordare? Chi, cosa era davvero l'oggetto del mio amore? Perché tutto si fa incerto. Non è altro che una mia continua rielaborazione.
Dov'è la verità?
 
Mi ritrovo di fronte al limite, di questa mia vita assurda.
 
Tuttavia il limite, se riesco a tenerlo almeno un istante a bada, ossia senza cadere nella disperazione che mi annichilisce, e senza neppure cercare di razionalizzarlo (così va il mondo...), può scuotermi nel profondo.
Può costringermi a cercare dentro di me chi davvero io sono! 

La morte, il nulla che ho effettivamente davanti, sono la muta imperiosa domanda di senso, a cui solo io, in perfetta solitudine, posso rispondere.

Ed è tanto difficile rispondere, ma ne va del destino del mondo.
#2802
L'esistenza si manifesta esclusivamente attraverso la comunicazione.
Al punto, che l'esistenza è comunicazione, e viceversa...

Ma non nel senso che vi sono entità che comunicano...
Queste entità sono solo generate dalla stessa comunicazione. Che ne abbisogna per potersi manifestare.

Quindi anche il termine "comunicazione" mal si presta, non consistendo nel trasferimento di informazioni (verità) ma nell'emergere dell'esistenza.

Vorremmo davvero credere che sia possibile trasferire una verità, in modo da "inculcarla" là dove prima non era?

Davvero la Verità può esservi in un posto ma non in un altro?

O non sarà invece che la Verità è già ovunque? E può emergere attraverso la comunicazione.

L'esistenza cerca la Verità, ossia la Trascendenza.
#2803
La complementarietà degli opposti richiederebbe questi opposti realmente esistenti.

Sono viceversa dell'idea che l'esistenza sia comunicazione.

Pura comunicazione, che prescinde dai poli che paiono comunicare.

La comunicazione, ossia l'esistenza, crea il soggetto e l'oggetto per manifestare se stessa.
#2804
La questione di fondo, in Italia soprattutto ma pure nel resto del mondo, è il nichilismo.
Un male che infetta un po' tutti noi. L'idea cioè che niente abbia davvero valore.

A questo convincimento, spesso inconsapevole e quindi ancora più pernicioso, si risponde in vario modo.

In generale, chi è maggiormente portato al proprio interesse particolare, trova in esso una conferma. 
Chi viceversa tende all'altruismo, cerca in qualche modo di opporvisi.

Poiché i proclami come "Dio, patria, famiglia,..." sono soltanto un paravento che nasconde il vuoto nichilistico, la destra non ha difficoltà ad allearsi pur di difendere il proprio interesse particolare.

Per la sinistra ciò è più difficile, perché nello sforzo di liberarsi dal nichilismo cade facilmente nella trappola dell'illusione di aver compreso cosa sia la Verità:
Come posso allearmi con chi non la pensa proprio come me?

La crisi delle ideologie ha colpito maggiormente le sinistre, che si ritrovano senza un progetto in cui credere.
Mentre le destre ne sono sostanzialmente immuni, essendo le proprie ideologie per lo più strumentali.

Direi che attualmente la destra è più sincera  nell'esprimere le proprie convinzioni, che si fondano sul vuoto nichilistico.

Mentre nella sinistra vi è più difficoltà ad ammettere il proprio disagio, scadendo sovente nell'ipocrisia.
#2805
Tematiche Filosofiche / Re:Critica all'emergentismo
29 Agosto 2018, 23:28:06 PM
Per Carlo.
Il soggetto è uno solo.
E tutto quello che esso può osservare è sempre e solo oggetto.

Altri possibili soggetti sono inevitabilmente ricondotti a oggetti.
Di modo che la soggettività è una sola.

Gli oggetti sono tutto quello che c'è, per quell'unico soggetto che sono io.

Tuttavia, se quegli oggetti esistessero di per sé, il mondo sarebbe scisso irrimediabilmente!
Affermare perciò che i qualcosa sono una nostra costruzione consiste in uno slancio di fede:

Fede nell'Uno.

Fede che nella sua manifestazione, l'altro sia davvero a sua volta soggetto, distinto da me ma allo stesso tempo coincidente con me stesso.