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Messaggi - niko

#2806
Tematiche Spirituali / Fuga dalla libertà
05 Ottobre 2021, 12:39:53 PM
Si è liberi -solo- quando si sceglie il bene...

è questo un tema ricorrente del pensiero occidentale, mi vengono in mente Socrate, Platone, Sant'Agostino, ma davvero è un tema molto ricorrente. Si cerca di far coincidere libertà con bene, come anche nel Padre Nostro, liberaci dal male.

liberi di scegliere il bene, liberi di scegliere x...

il che è un paradosso solo se si immagina il bene come un'opzione tra le opzioni, come un qualcosa di preesistente.

E' chiaro che se qualcuno ci dice che la libertà, nella scelta tra x ed y, è scegliere sempre e sistematicamente y, ci sta prendendo in giro. Siano pure x ed y il bene e il male, sempre assurda la cosa rimane.
La possibilità ineliminabile di scegliere x integra la libertà per come comunemente intesa, quindi se la libertà è necessaria al bene, e il male è necessario alla libertà, il male è necessario al bene.


La questione della coincidenza tra bene e libertà dunque, torna molto di più se si immagina il bene come l'opzione che tra le opzioni attualmente disponibili non c'è, non esiste, o quantomeno non preesiste, e deve essere aggiunta/creata dallo scegliente.

Quindi la libertà che dovrebbe in teoria coincidere col bene è, tra x e y che sembrano le uniche opzioni che la situazione o il destino ci mette davanti, con un certo sforzo creativo o conoscitivo aggiungere anche l'opzione z, e poi scegliere z.

Contemplare la terzità del bene, rispetto alla dualità in generale delle opzioni.

In questo senso "si è liberi solo quando si sceglie il bene", può essere tradotto con "si è liberi solo quando si sceglie il divenire". In ogni situazione prevedibile, in ogni tentativo di progetto, Il bene è quello che manca, o quantomeno quello che mancava.

Del resto il bene secondo me è quello che fa incontrare la volontà con il suo appagamento, quindi con la sua limitazione e finitezza, viceversa il male è tutto quello che non appaga, e dunque che infinitizza, che slancia verso l'infinito, la volontà.
In questo senso il bene ha la stessa dignità e necessità del male, perché la volontà per essere e per sussistere ha bisogno avere in sé infinitudine quanto finitezza, tanto di essere a tratti felice quanto di non volere mai per troppo tempo la permanenza del voluto, quindi non può essere questo, il "vero" bene.

Il vero bene, la vera necessità prima ingiudicabile da ogni morale, il bene in quanto oggetto del desiderio e non in quanto giusto, per me è riflettere su cosa può essere terzo tra smettere di volere e volere all'infinito, quindi l'essere liberi di iniziare a volere altro, il volere la volontà dell'altro, il grande gioco delle volontà che si vogliono tra di loro.





#2807
Citazione di: green demetr il 23 Settembre 2021, 01:15:25 AM
Partire da una posizione post-umana che rivendica la sua validità (politica) nella sua ipotetica origine, fonte di tutti gli orrori genealogici, di tutti i testa-coda, uroborici (del Dio Ur), mi è aliena al massimo grado.
Poichè semplicemente raddoppia, o meglio è mimesi, dell'attuale ideologia post-umana, che verrà chiamato post-capitalismo, come tu, chissà per quale sintomatologia, capisci benissimo essere la condizione del post-comunismo contemporaneo.
In tutto questo la parola libertà suppongo che per te ha già smesso di valere alcunchè, figuriamoci la fraternità, solo una lugubre e funerea uguaglianza (sembiante ovviamente).
Del valore umano, della sua potenza di linguaggio, non c'è rimasto più niente, tutto è destinato all'utopia che schiaccia la realtà al suo simbolico.
Ma come spiegato da Cacciari, il tempo delle utopie è finito.
Ora si può iniziare a fare critica, io non credo che dalla tua posizione tu possa nemmeno farla, non la trovi una posizione che va contro la tua umanità?
La posizione è impossibile, sarà da seguire la sintomatologia (inevitabile) dell'occidente, come aveva immensamente compreso Heidegger e Nietzche, il nichilismo è semplicemente alle porte.
Mi fa ridere, non ci siamo nemmeno accorti di essere morti (idealmente).
Bisogna trovare una nuova consapevolezza.
Come dice Ipazia, manco il cristianesimo aveva simile ardire.
Ma questo è d'altronde il neo-gnosticismo.
Un Dio al posto di un altro.
No, grazie dell'intervento niko, ma non è proprio la mia direzione di pensare.
Il comunismo che tu tratteggi è esattamente il comunismo che sto cominciando a conoscere, e che voglio combattere.
Molte letture mi attendono.
Al di là del lutto della tecnica come destino dell'occidente (e dell'oriente a quanto pare).
Il pensiero diventa l'ultimo ineliminabile baluardo del pensiero vivente, del bios naturale, e non artificiale, quello della nuda vita.
La nuda vita non è più vita.
E' la parola che dà vita alla nuda vita.
La parola è il bios, è la politica, è al suo più alto grado la filosofia.

con stima tuo (nonostante tutto ;) ) green demetr




Collocare il post-umano nel suo giusto posto, cioè nel passato, come chiave di lettura del passato, facendo saltare il banco di tutte le ideologie progressiste e futuriste secondo cui
post-umano=futuro, è comprendere la semplice verità che accettare il post-umano significa (proprio per l'uomo nella sua specificità!) accettare il passato, e in generale accettare il passato, per chiunque voglia finalmente cambiarlo questo benedetto passato, prendendolo per la corna come un toro dall'unico punto materiale e disponibile alla volontà da cui si possa fisicamente acchiapparlo, cioè dal futuro, stante la realtà sempre potenziale e appesa al filo della volontà del cerchio del tempo, (per cui il futuro non è altro che il passato ci viene incontro)non è un'opzione, è una necessità; quindi questa è la fine che fa la libertà in questo mio discorso, si riduce a quello che già è in natura, cioè a indeterminatezza; quanto alla fratellanza lasciamo perdere, preferisco di gran lunga la sorellanza.

Marx e Nietzsche sono i primi due rivoluzionari che non se la prendono con il passato, che non lo odiano, che non lo rifiutano, da cui il loro inevitabile educlcoramento borghese e socialmente compatibile che si ha con la psicoanalisi. Bisogna superare lo spirito di vendetta, bisogna capire che l'unico modo di cambiare il passato è volerlo, perché solo se si contempla retrospettivamente da un punto del presente il passato come oggetto di volontà la volontà può cambiare, può smettere di desiderare l'eterno e il permanente e incominciare a fare innovazione ed epoca, a volere che il voluto sia passato, e quindi che ci sia d'ora in poi un altro e differente voluto; il voluto nella sua essenza non può tornare, solo le sue cangianti e fenomeniche forme, e l'unico modo di liberarci di quello che non ci piace del passato è farne un voluto, assumersi la responsabilità in merito, affinché non possa tornare.

Non è la volontà a tornare nel tempo, ma quello che la riempie come differenza e pluralità di volontà diverse: se io amo il voluto nel tempo, amo anche il suo passare, amo questa rosa, e non le sue infinite immagini che scorrono come fotogrammi attraverso il tempo, che non costituiscono identità con l'oggetto amato, ma solo similitudine; e non c'è altro voluto reale che non quello immerso nel tempo e nel suo flusso, e che a tale flusso si riduce, quindi se amo il voluto nella sua verità, non sono sedotto dall'eternità e dalle sue ideologie, la mia permanenza è necessaria all'esperienza del godere e del gioire, non voglio un oggetto di volontà così perfetto o trascendente che una volta ottenuto mi annulli.
Perché io possa volere altro, la mia volontà deve cambiare, orientandosi a un simile e non a un uguale nella serie di ciò che il tempo e la natura produce, non basta che cambino le condizioni esterne o che ci sia un qualche tipo di educazione condizionante, e perché io possa volere altro, il voluto precedente deve avermi completamente appagato, e intendo appagato fino ad esaurire nella sua pienezza la contemplazione retrospettiva possibile stessa del tempo e rendere con ciò necessaria una differenza tra futuro e passato che non è scontata e non cade da cielo se qualcosa o qualcuno non la rende attivamente ed effettivamente possibile. Quindi c'è un'etica nella mia idea di comunismo, ma questa etica prevede che l'uomo desideri di non essere più se stesso, perché già da ora e da sempre non è, se tesso.



#2808
Citazione di: Ipazia il 22 Settembre 2021, 17:27:50 PM
Insomma le solite, mitiche, sorti magnifiche e progressive in cui lo Spirito hegeliano si incarna nel capitale prima e nel comunismo poi con una progressione provvidenziale semiautomatica che manco l'escatologia cristiana ha mai dipinto a tinte così trionfanti. Se non altro perché non cancella l'inferno. De te fabula narratur. Ma prescindendo dalla realtà umana, mi raccomando.




Non mi interessa, se non al limite poeticamente, ma non certo in filosofia, nessuna ossimorica e fin dall'origine divenuta (e quindi non diveniente, e quindi eterna) realtà umana. Come ho già scritto in questo senso sono postumano, ogni cosa umana mi è aliena.


Comunque il nesso tra capitale e natura non è Spirito, è struttura, che si incarna dal cielo alla terra, da un regno a un a un altro, secondo la realtà dell'analogia, unico legame conoscitivo e sociale possibile in un mondo nullo (e quindi globale), che non conosce identità; l'inferno c'era già anche ben prima del capitalismo, ed è banalissimo farne un uso ideologico.



#2809
Citazione di: green demetr il 20 Settembre 2021, 17:35:50 PM
"io sono felice di non avere nulla da spartire con tutto ciò, sono altro, e se sbaglio, sbaglio in altri modi e per altri versi...
e tu Green, sentenzi di voler costruire comunità tra me e te tranne poi arrogarti il diritto di discriminare tra quello che è analisi, quello che è augurio e quello che è sedimento ideologico... questo riconferma la mia sfiducia verso ogni forma "comunità"." cit niko   (messaggio 53284 del 28 giugno)


Il diritto è uno dei problemi più gravi che deve affrontare un discorso sul comunitarismo.
Il mio comunitarismo coincide con quello della società degli amici, che Nietzche ha cominciato a pensare.
Il comunitarismo di Preve devo ancora studiarlo.
L'idea di usare la parola comunitarismo me la diede proprio lui in uno dei suoi interventi pubblici.
Ma, probabilmente differisce in maniera radicale (Preve è contro Nietzche). Forse userò un nuovo termine per indicare ciò a cui mi riferisco.

Caro niko io non arrogo proprio un bel niente, semplicemente, come tutti, ho una mia posizione, che però rimane generalista e in fieri.
Anch'io sono nichilista, per me è un destino a cui tutti sono chiamati a rispondere.
E' però il destino del soggetto. Questa è la mia filosofia metafisica, non altre.


Invece non riesco a capire, e ti domando quindi, a cosa allude il tuo globalismo, proprio rispetto al fatto che per me le questioni filosofiche sono sempre legate al soggetto.

Provo a immaginare che tu ti riferisca, per contrario, a quelle condizioni del post-umano, post-moderno, post-x che insistono così tanto, e indugiano fino alla persecuzione, del nuovo uomo-macchina dell'età  attuale.

Naturalmente se questo è il caso, faccio fatica a seguire, in primis perché non mi interessa affatto.
Ma poi faccio fatica a vedere come il globalismo sia in alcun modo funzionale al progresso a cui ti riferisci, mi pare come interesse tuo principale.
Soprattutto legato al concetto di Natura (e anche qui mi pare che se dovessimo riferirci ad essa entreremmo in un ginepraio di questioni e contro-questioni): ma il tema post-umano del cambiamento climatico non va esattamente nella direzione opposta a quello che affermi (il capitalismo come soluzione ottimale al progresso naturale)?
Comunque nei prossimi anni sappiamo benissimo tutti, che diverrà quello il tema caldo dei post-(x)ismi, quindi avremo tempo di discuterne. Quello che mi preme è avere una base teorica di comprensione, il più possibile nitida e sintetica, prima che scoppi l'ennesimo bubbone, del post-capitalismo (come già alcuni think tank hanno cominciato a chiamarlo).

ciao, con stima




Sarò il più breve possibile, per me l'eudaimonia/felicità è mimesi della natura, accettare un ordine cosmico compreso e non sottrarvisi, e il capitalismo è la miglior mimesi della natura mai apparsa nella storia umana, solo il comunismo che viene e verrà secondo necessità come superamento del capitalismo può essere migliore ancora.


Il centro della mia riflessione non è  non può essere il post umano poiché penso che la natura si auto-continua nella scienza e nella tecnica, come l'uomo è continuazione della natura con altri mezzi, la scienza e la tecnica sono continuazione della natura con altri mezzi, quindi, mentre molti vedono nel capitalismo uno stile di vita "innaturale", io ci vedo l'auto innovazione della natura anche a prescindere dall'"uomo", stante che la natura come totalità non può cambiare unitariamente, non può essere soggetta unitariamente al divenire, ma il suo divenire, il divenire complessivo della natura, è sempre tramite l'azione di una sua parte sull'altra e dell'azione delle sue parti tra di loro.


L'animale umano smette di essere animale umano quando comincia a parlare e usare la parola, la parola è protesi ed è tecnica, e siccome parlare e usare la parola lo caratterizza come animale umano, in un certo senso non è mai esistito, il mio personale concetto di post-umano comincia quindi con la preistoria e l'età della pietra, l'uomo in quanto tale nasce già post-umano, non ci diventa; verso il post-umano io assumo dunque sostanzialmente un atteggiamento di accettazione e non di critica.


La questione centrale è invece che la natura è slancio verso l'infinito e il capitalismo anche, la mimesi che si instaura tra capitalismo e natura sta in questo, nel comune (e non comunitario) slancio verso l'infinito, quello che hanno in comune natura e capitalismo non è certo la guerra e la competizione, perché la competizione, l'hobbesiano tutti contro tutti, nella natura come nel capitalismo, è la maschera e il velo della reale e sottostante cooperazione e della possibilità della pace; difatti l'appropriazione è privata, ma la produzione nel capitalismo è comune e collettiva; la guerra e la competizione, se c'è, è tutta nel soggetto e nella soggettività, ma le conseguenze estreme del capitalismo mirano a distruggere, il soggetto e la soggettività, quindi io auspico che le conseguenze estreme del capitalismo (socialismo o barbarie, comunismo o estinzione) siano raggiunte.


Come ho scritto in un precedente intervento, l'elemento ciclico, che sembrerebbe contraddire la corrispondenza diretta natura-infinito è obbiettivo della volontà di potenza e della vita come differenza/differimento dalla natura, e data l'identificazione della volontà di potenza con il divenire e l'incompiuto, il ciclo si manifesta in realtà come elemento "spiraliforme" che anziché contraddire l'infinito lo conferma, esattamente come nell'analogia natura-capitale, il ciclo rispetto alla natura è l'origine e non ha dunque reale possibilità di compimento, la volontà non può volere la permanenza del voluto, il ciclo nella sua pluralità di fasi si compie solo quando qualcuno lo vuole e lo ama, l'eterno ritorno soddisfa la volontà di potenza, ma questa soddisfazione non può avere la forma di una permanenza del voluto e di un velle eterno, si può volere tutto solo se in passato non lo si è voluto, e questo "tutto voluto" anche se si realizza, ripropone fasi ulteriori in cui il tutto di nuovo non è voluto, perché le comprende in sé, la vera con-versione filosofica e la vera felicità dal saggio è voltarsi a guardare il passato come oggetto di volontà, questo è il vero "sole" fuori dalla caverna, difficile o impossibile da vedere senza bruciarsi gli occhi, ma se pure io arrivassi a vedere la totalità del passato come oggetto di volontà, da quel punto in poi la volontà stessa cambierebbe, quindi sarei finalmente cosciente dell'azione della volontà su se stessa e non su oggetti esterni ma con ciò non avrei esaurito il tempo nella sua immanenza o il divenire storico, inizierei semplicemente una nuova era, perché laddove tutto il passato è voluto, dall'attimo della "conversone" verso il "sole" in poi, non si potrebbe più volere nulla del passato, l'infinito non sarebbe dunque la chiusura del cerchio ma l'apertura di un cerchio più grande.









#2810
Tematiche Filosofiche / Oltre Cartesio: Hegel
04 Settembre 2021, 19:28:47 PM


Motivo, in estrema sintesi, per cui non mi è mai piaciuta la filosofia di Hegel, e neanche quella di Parmenide:

il mondo esiste perché c'è differenza, e non identità, tra essere e pensiero.

Differenza, differimento, sfasatura: io proprio non riesco a pensare l'eventuale identità di essere e pensiero se non come solipsismo, e istintivamente, e anche a ragion veduta, rifiuto il solipsismo.

Il mondo è più grande, di quello che noi possiamo pensare, è più veloce, di quello che noi possiamo pensare, è più vario, di quello che noi possiamo pensare, è più dettagliato, di quello che noi possiamo pensare, è popolato da esseri la cui volontà in generale non può volere la permanenza temporale di nessun voluto, a differenza del pensiero che di questa volontà ci possiamo fare.

Il mondo non sta dentro la nostra testa.

Possiamo pensare il falso, l'immaginario, l'inesistente. Possiamo pensare il vero per puro caso.

Non sempre il contenuto di pensiero e il piano dell'empirico-reale ci appaiono in rapporto di semplice identità: a volte di complessa analogia, a volte di contrasto.

Perciò, quando diciamo che c'è identità tra essere e pensiero, per me è solo una figura retorica di sineddoche, la parte per il tutto: una microparte dell' "essere" trascorre più o meno nitidamente nostro pensiero, e sulla generalizzazione di questo pezzetto di mondo conosciuto a esempio e norma della totalità, costruiamo il rapporto di identità. Ma quanto sia in generale deducibile il "totale" i il "vero" da un qualsiasi quanto di conosciuto-finito è a sua volta un inconoscibile.

Quindi più che "so di non sapere" (attribuita a Socrate) la questione è che "non sappiamo se sappiamo o se non sappiamo" (attribuita a Democrito).






#2811
Citazione di: sapa il 26 Agosto 2021, 09:16:37 AM
Nessuno equipara il suicidio a un'estrazione dentaria, l'accostamento è stato introdotto da Eutidemo perchè andare a farsi togliere un dente è uno dei pochi interventi medici che prevede la possibilità del "fai da te". E quindi, se si chiama l'aspirante suicida all'atto "coraggioso" di togliersi la vita in modo autonomo, parimenti si potrebbe pretendere che si fosse altrettanto coraggiosi, attaccandosi un filo al dente malato, legando l'altra estremità alla maniglia di una porta e strattonando forte quest'ultima. E comunque, qui si parlava di diritto al suicidio in senso giuridico. Io stesso non ho capito bene cosa intendesse dire niko nei suoi interventi, dai quali traggo solo la sensazione che, secondo lui, per suicidarmi dovrei arrangiarmi, senza ricorrere all'aiuto  di nessuno e di nessuna struttura dedicata. Posso capire questa posizione, pur non condividendola, perchè probabilmente la possibilità di suicidarsi in modo "pulito", senza dover lasciare le proprie spoglie devastate e raccapriccianti esposte in modo traumatico e infliggere a sè stessi e agli altri delle sofferenze, aumenterebbe il numero di suicidi, ma va da sè, a mio avviso, che non si è scelto di nascere e che non si ha nessun obbligo di vivere/sopravvivere.


Non si tratta di obbligo a vivere, ma di riconoscimento che con la realta' non voluta della nascita, volenti o nolenti abbiamo ereditato anche l'istinto di sopravvivenza, di evitamento del dolore anche fisico, di socialità' e di appartenenza alla specie, che tendenzialmente ci porta a temere la separazione dagli altri implicita nella morte e la prospettiva di infliggere dolore a chi amiamo: semplicemente non si possono escludere o edulcorare questi aspetti tra i vari elementi istintuali, sentimentali e razionali che un suicida deve ponderare prima di suicidarsi e pretendere poi di non averlo condizionato.


Ugualmente e per lo stesso motivo, ma a prospettiva invertita, non sarebbe seria e sostenibile nel tempo una psicoterapia o una assistenza sociale da parte delle istituzioni  volta a far sopravvivere nel mero senso di non suicidarsi, e non a far vivere dignitosamente e autodeterminatamente l'assistito.


Suicida e' per definizione colui nella cui interiorita' e storia personale  il desiderio di morire ha lottato ed è infine prevalso non solo sulla paura della morte,  ma anche sulla paura del dolore e dell'addio: una figura istituzionale o peggio privata e accessibile a pochi, che aiuti a morire in linea teorica ogni richiedente, anche non fisicamente impedito, cambierebbe il tipo umano del suicida in un tipo umano postumano medicalizzato e tecocratizzato il cui avvento, saro' qui conservatore, io personalmente non voglio vedere...
#2812
Citazione di: Eutidemo il 25 Agosto 2021, 15:58:24 PM
Ciao Niko. :)
Veramente non mi avevi "domandato" assolutamente niente, circa il "superamento della la paura del dolore e in generale il conflitto dell'ego con l'istinto di sopravvivenza"; per cui, non avendomi  tu "domandato" proprio nulla al riguardo, non vedo proprio come io avrei potuto eludere "furbescamente" una qualsiasi "risposta".
Non è possibile rispondere, se manca una domanda a cui poter rispondere!
::)
***
Il che, in effetti, vale anche per il resto del tuo intervento, per cui, ancora adesso, non riesco assolutamente a capire a che cosa tu vorresti che io ti rispondessi!
Spiegati meglio, perchè non vorrei che tu mi accusassi di non risponderti anche la prossima volta; precisa bene qual'è la tua domanda, quando desideri che ti si risponda!
***
Comunque, più che di un "conflitto dell'ego con l'istinto di sopravvivenza", io parlerei più specificamente di un  "conflitto della neocorteccia frontale con   l'amigdala", in quanto, almeno nel caso di un "suicidio razionale":
- la "neocorteccia frontale" può benissimo rendersi conto che, in determinate circostanze, il suicidio sarebbe senz'altro la soluzione migliore e meno dolorosa (ad esempio, come nel caso che sia in dirittura di arrivo una dolorosissima malattia, dagli esiti terminali comunque inevitabili e inesorabili);
- l'"amigdala", però, oppone resistenza a tale decisione razionale, perchè il nostro arcaico "cervello rettile" si rifiuta comunque di morire (anche se sappiamo di dover morire comunque, a breve termine, ed in un modo orribile).
***
Per il resto, vedo che non hai minimamente compreso il senso del mio precedente intervento, che ti invito a rileggere con maggiore attenzione.
***
In ogni caso il tuo discorso mi sembra molto oscuro, contorto, involuto, laddove tu scrivi che "superare la paura del dolore e in generale il conflitto dell'ego con l'istinto di sopravvivenza integra e definisce la decisione di suicidarsi come tale"; che cosa diamine significa questo vuoto giro di parole?
::)
***
il tuo discorso, però, diventa ancora più oscuro, contorto, involuto, e, soprattutto, molto poco "consequenziale", quando, dal rebus precedente, deduci: "...<<per cui>> possibilita' di compiere l'atto in modo indolore fornite dallo stato sono indirettamente istigazione, e anche l'"istigazione alla vita" che tali centri secondo te dovrebbero compiere e' una cosa  migragnosa e indegna perche'non diretta al benessere dell'individuo ma alla sua semplice sussistenza."
***
Facendo un faticoso sforzo interpretativo per cavare un senso da tale confusa perifrasi, "mi sembra" di aver capito, che, "forse", tu intendevi dire qualcosa del genere:
"Ognuno dovrebbe poter decidere autonomamente se suicidarsi o meno, e, quindi, la possibilita' di poter compiere l'atto in modo indolore offerta dallo Stato (scritto maiuscolo) e/o da enti privati,  costituisce indirettamente una sorta di "istigazione al suicidio"; ed infatti, anche chi, pur volendo morire, è però titubante a causa delle difficoltà e dei rischi di sofferenza che inevitabilmente si incontrano togliendosi la vita da soli, potrebbe decidersi a compiere il passo supremo grazie alla possibilità di morte indolore offerta dallo Stato e/o da enti privati."
***
E' questo quello che volevi dire?
Spero di no, perchè, se così fosse, avresti detto una castroneria da "Guiness dei primati"!
***
Ed infatti, sarebbe come dire che uno che soffre per il mal di denti, viene "istigato" ad andare dal dentista, perchè solo lui è in grado di asportargli il dente senza dolore!
:D :D :D
Ma che razza di modo di ragionare sarebbe questo?
***
Fuor di metafora, dichiararsi contrari all'esistenza di centri, pubblici o privati, che assistano coloro che hanno deciso di morire in modo indolore, solo perchè così si spera che la paura del dolore li induca a desistere dalla loro decisione di morire, è roba da Marchese De Sade; un modo di ragionare assolutamente "disumano" e "ributtante", per spero vivamente che tu non intendevi dire una "carognata" del genere.
Ma se non intendevi sostenere una scemenza del genere, cosa diamine volevi dire?
***
Poi tu, sempre in modo molto oscuro, contorto e involuto, scrivi: "... e anche l'"istigazione alla vita" che tali centri secondo te dovrebbero compiere e' una cosa  migragnosa e indegna perche'non diretta al benessere dell'individuo ma alla sua semplice sussistenza."
Al riguardo, a parte il fatto che si scrive "micragnosa" e non  "migragnosa", non capisco proprio che  cosa diamine c'entri la "micragna" con la doverosa "cautela" con la quale i centri, pubblici o privati, che dovrebbero assistere coloro che hanno deciso di morire in modo indolore, prima di procedere si dovrebbero assicurare molto accuratamente, anche per mezzo di psicologi, che chi viene da loro sappia bene quello che faccia; ovviamente, non si può mica mandare all'altro mondo il primo che passa, non appena suona il campanello del centro di assistenza.
E' una cosa che andrebbe disciplinata giuridicamente molto bene, in analogia a quanto già previsto dall'art.1 della legge 219/17, da me precedentemente riportato.
***
Quanto alla tua successiva sibillina perifrasi,  per la quale sarebbe una cosa: "...migragnosa e indegna perche'non diretta al benessere dell'individuo ma alla sua semplice sussistenza", questo va molto al di là delle mie capacità interpretative (già messe a dura prova da quanto avevi precedentemente scritto).
Che cavolo significa?
Boh!
::)
***
Infine, chiudi in bellezza con una serie di corbellerie da medaglia d'oro olimpionica!
Ad esempio: "Ci si suicida contro la vita, non contro la volontà di vivere!"
Ma che caspita significa?
::)
***
Poi tu scrivi: "Il  conflitto interiore degli aspiranti suicidi va quindi rispettato in modo assoluto!"; per cui, secondo te, una volta che, alla fine, hanno finalmente superato tale conflitto, decidendo di suicidarsi...che si fottano pure per conto loro!
Cioè, che si impicchino pure al lampadario o facciano saltare in aria il condominio col gas, ma che nessuno si azzardi a dar loro una mano, per farli morire:
- in modo decoroso;
- in modo indolore;
- in modo non pericoloso per il prossimo.
***
Comunque, complimenti...mi hai davvero fatto venir voglia di spararmi una revolverata in testa!
Chapeau!
:'(
Per cui, se riuscirò a superare tale crisi esistenziale, penso proprio che mi asterrò dal leggere altre tue eventuali repliche (visto che ci tengo alla mia salute mentale e, soprattutto, al mio fegato); non avertene a male, forse sono io che non riesco a capirti, oppure proveniamo da due pianeti di diverse galassie.
***
Un saluto! :)
***


Secondo me vuoi solo avere l'ultima parola, e a questo punto non vedo perche' la moderazione cancella me e non te...

Forse perche' tu sei troppo lungo da leggere anche per loro?

#2813

Ma soprattutto, che cosa esistono a fare gli artificieri professionisti e che si preparano a fare per anni, se tanto il filo giusto da tagliare per disattivare una bomba (qualsiasi bomba, anche biologica o atomica) e' sempre quello blu, e quello sbagliato sempre quello rosso?!

#2814
Citazione di: Eutidemo il 25 Agosto 2021, 06:37:12 AM
Ciao Niko. :)
Vedo che tu cerchi di "confondere un po' le acque" ricorrendo ad un ben noto ed abusato "paralogismo"; quello, cioè, del cosiddetto "paragone asimmetrico"
;)
***
Ed infatti,  per formulare, correttamente, un "paragone simmetrico" (cioè logico e ragionevole), tu avresti dovuto fare un confronto:
- tra chi è in dubbio se andare dal dentista o meno per farsi togliere un dente / e chi è in dubbio se suicidarsi o meno;
ovvero:
- tra chi, avendo definitivamente deciso di togliersi un dente, preferisce minimizzare il dolore dell'operazione ricorrendo a un dentista e alle sue tecniche "analgesiche" /  e chi, avendo definitivamente deciso di togliersi la vita, preferisce minimizzare il dolore dell'operazione ricorrendo a un medico e alle sue tecniche "analgesiche".
***
Tu, invece, molto "furbescamente", ma  "scorrettamente", proponi un "paragone asimmetrico" (cioè illogico e irragionevole), facendo  un indebito confronto:
- tra chi, avendo definitivamente deciso di togliersi un dente, preferisce minimizzare il dolore dell'operazione ricorrendo a un dentista e alle sue tecniche "analgesiche" /  e chi è in dubbio se suicidarsi o meno.
Come è facile notare, i due termini del confronto non sono "omogenei", per cui le conclusioni che intendi trarne sono fallaci!
;)
***
Anzi, paradossalmente, riformulando il tuo confronto in modo corretto, con esso tu, involontariamente, non fai altro che "portare acqua al mio mulino"!
:)
***
Ed infatti, se proprio vogliamo paragonare chi ha il "mal di denti" a chi ha il "mal di vita", è evidente che:
- così come è del tutto lecito e logico che chi, avendo definitivamente deciso di togliersi un dente, preferisce minimizzare il dolore dell'operazione ricorrendo a un dentista e alle sue tecniche "analgesiche"; 
- allo stesso modo è del tutto lecito e logico che chi, avendo definitivamente deciso di togliersi la vita, preferisce minimizzare il dolore dell'operazione ricorrendo a un medico e alle sue tecniche "analgesiche".
***
Ciò premesso, nessuno mette minimamente in dubbio che, come tu scrivi, "...se uno è genericamente stanco di vivere o disperato ma attualmente l'istinto di sopravvivenza gli impedisce di suicidarsi, è doveroso da parte di chiunque altro supporre che la sua decisione in merito non sia definitiva, e non interferire in nessun modo con essa."
Su questo sono d'accordo con te al 100%, e non mi sono mai sognato di sostenere niente di diverso!
***
Ed infatti io non sostengo minimamente che sia lecita l'"istigazione" al suicidio, bensì, soltanto, che, se qualcuno, per conto suo, decide in modo consapevole e definitivo di suicidarsi, dovrebbe essere del tutto lecito aiutarlo a compiere l'atto:
- nel modo meno doloroso possibile per lui (senza dover soffocare appeso a una corda, o annegato in un fiume);
- nel modo meno pericoloso possibile per il prossimo (senza cadere in testa a nessuno saltando dalla finestra, e senza far saltare in aria col gas il suo condominio).
***
Anzi, qualora venisse consentita l'esistenza di istituzioni, pubbliche e/o private autorizzate al "suicidio assistitito",  dovrebbe essere obbligatoria, da parte loro, l'"istigazione" alla vita; cioè, prima di aiutarlo nel suo intento, gli "psicologi" del centro dovrebbero cercare in tutti i modi di dissuaderlo, e procedere solo dopo un certo tempo e dopo ripetuti tentativi di dissuasione.
***
Il che, in effetti, avviene già "adesso", laddove, finalmente, al paziente è consentito di scegliere di "morire" anzichè di continuare a "vivere" in modo indegno.
Ed infatti, l'art.1 della Legge 22 dicembre 2017, n. 219, sancisce che:
"Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto  di  trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari,  le  conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove  ogni  azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi  dei  servizi  di assistenza  psicologica. Il medico, però, e'  tenuto  a  rispettare  la ribadita volonta'  espressa  dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario  che lo tiene in vita, e, in conseguenza di  cio',  il medico è esente  da  responsabilita' civile o penale."
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Sono anche d'accordo con te che la  "medicalizzazione" e la "burocratizzazione" del suicidio di una persona sana e razionale che per motivi intimi suoi non voglia più vivere, costituisca una soluzione assolutamente deprecabile; però, se, per legge, fosse "consentito" al suicida di ricorrere ad enti pubblici e/o privati per porre termine in modo "indolore" alla propria vita (cosa che ritengo assolutamente ragionevole), mi sembra naturale che una qualche "cautela", in analogia ai citato art.1, andrebbe pur presa.
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Tuttavia, fermo restando che, secondo me, in un Paese civile dovrebbe essere "consentito" al suicida di ricorrere ad enti pubblici e/o privati per porre termine in modo "indolore" alla propria vita, questo non significa certo che il suicida, se lo desidera, non possa comunque togliersi la vita da solo, senza minimamente ricorrere ad enti pubblici e/o privati.
Chi mai potrebbe impedirglielo?
Si tratta solo di dargli la possibilità di scegliere!
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Un saluto! :)
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Vedo che anche tu, molto furbescamente, non mi hai risposto sul punto fondamentale del mio intervento, e cioe' che superare la paura del dolore e in generale il conflitto dell'ego con l'istinto di sopravvivenza integra e definisce la decisione di suicidarsi come tale, per cui possibilita' di compiere l'atto in modo indolore fornite dallo stato sono indirettamente istigazione, e anche l'"istigazione alla vita" che tali centri secondo te dovrebbero compiere e' una cosa  migragnosa e indegna perche'non diretta al benessere dell'individuo ma alla sua semplice sussistenza.


Ci si suicida contro la vita, non contro la volontà di vivere; il conflitto interiore degli aspiranti suicidi va quindi rispettato in modo assoluto, non c'e' nessun aiuto pratico utile possibile per loro da parte dello stato o di altri soggetti impersonali che agiscano per minimizzare il dolore e massimizzare l'ordine pubblico, a meno di accertati impedimenti fisici, e non genericamente  psicologico-esistenziali, alla loro decisione.







#2815
Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2021, 08:50:24 AM
Stavolta ero quasi d'accordo con Bobmax. Ma mi avvedo che anche nella fede nel Nulla tutti i salmi finiscono in gloria.

L'ateismo radicale non sostituisce un idolo con l'altro, Dio con la Scienza. Se in qualche luogo ci fosse una salvezza, almeno dell'anima, solo quell'ateismo radicale ci potrebbe salvare.


Io propenderei per il panateismo: il Dio che non esiste, si identifica completamente con il cosmo e la natura, che non esistono, e cosi' anche noi, che ne siamo piccola parte, non esistiamo.
Salvi fin dall'eternita' da ogni possibile rottura scatole, compresa l'eternita' stessa, secondo fede e secondo ragione.  :)
#2816
Citazione di: Eutidemo il 24 Agosto 2021, 06:40:41 AM
Ciao Niko. :)
Secondo il tuo ragionamento, "una persona in buona salute fisica, deambulante, non fisicamente paralizzata e non allettata", non avrebbe alcun bisogno dell'aiuto di un dentista per togliersi un dente; ed infatti, chi gli impedisce di legare il suo dente alla maniglia di una porta, e poi di farselo saltare via sbattendo la porta stessa?
Sono sicuro che, tu, coraggioso e non ipocrita, quando hai male a un dente, fai sempre così; solo i vigliacchi vanno dal dentista!
:D
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Secondo me, invece, se mi consenti, in un Paese "civile", quando uno ha male a un dente, ricorre all'aiuto di un dentista!
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In un Paese "incivile" come il nostro, invece, dove tutto è affidato al "fai da te", capita spesso che il suicida, buttandosi dalla finestra, cada in testa al primo che passa, e faccia fuori pure lui;  il quale, invece, non aveva la benchè minima intenzione di passare a miglior vita.
Le cronache sono piene di casi del genere.
https://www.fanpage.it/esteri/si-suicida-lanciandosi-dal-palazzo-ma-atterra-su-29enne-che-passeggia-e-la-uccide/
:(
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Evviva il medioevo!
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Un saluto! :)
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Se uno ha un dente che gli fa male e non riesce a toglierselo da solo, è lecito supporre che, nella stragrande maggioranza dei casi, la sua decisione di togliersi il dente sia definitiva, e che sia solo un problema pratico, organizzativo e di minimizzazione del dolore ad impedirgli di fare da solo, allora, stando così le cose, è ragionevole che la persona vada dal dentista; viceversa se uno è genericamente stanco di vivere o disperato ma attualmente l'istinto di sopravvivenza gli impedisce di suicidarsi, è doveroso da parte di chiunque altro supporre che la sua decisione in merito non sia definitiva, e non interferire in nessun modo con essa.


Ricordo che nel caso di una persona sana disperata e stanca di vivere, ma trattenuta dal suo stesso istinto di sopravvivenza a suicidarsi, tale istinto è da considerarsi parte integrante del suo sentire e della sua interiorità, altrettanto quanto la decisione razionale o presa "a parole" del suicidio, e non un impedimento fisico di qualche tipo.

Quindi in questo caso non c'è impedimento da rimuovere, ma decisione da maturare.

La possibilità sempre presente del suicidio, per cui anche il continuare a vivere e il non suicidarsi è di riflesso una scelta, è parte integrante della condizione umana, ma questo tipo di scelte e decisioni è giusto che la persona razionale le maturi e le prenda da sola: dipendiamo di certo in modo inestricabile dagli altri per avere facoltà di linguaggio e per vivere, ma almeno, vivaddio direi, per prendere al decisione estrema di morire, tendenzialmente non dipendiamo da nessuno; è da millenni così e secondo me è giusto che continui ad essere così. La medicalizzazione e la burocratizzazione del suicidio di una persona sana e razionale che per motivi intimi suoi non voglia più vivere,
è un obbrobrio, almeno secondo me, un ennesimo avanzamento della società della merce e della tecnica.



#2817
Citazione di: Jacopus il 23 Agosto 2021, 23:19:38 PM
Niko. In che senso ipocrita? Ipocrita è colui che dice di volere una cosa ma in realtà ne fa un'altra. Qui è tutto chiaro. Il suicidio assistito è tutto fuorché ipocrisia. A proposito dell'equazione che fai sul coraggio mancante sia in condizioni controllate dal sistema sanitario così come in situazioni "spontanee", ti devo smentire, essendovi già una casistica di suicidi assistiti nei paesi dove è consentito. In realtà, a mio parere, si tratta di un caso analogo all'IVG (interruzione volontaria di gravidanza) o alla richiesta di cambio di genere. La società deve predisporre gli strumenti per facilitare queste richieste affinché non siano messi in atto comportamenti pericolosi è ancora più violenti di quelli necessari. L'unico aspetto sul quale si dovrebbe discutere è in realtà l'efficienza di tutte le procedure per evitare la scelta finale o per essere certi che quella è la scelta effettiva di quel soggetto. Altro aspetto etico che andrebbe affrontato (in realtà lo è già) riguarda il possibile aumento di suicidi, grazie a questa formula assistita. Personalmente credo il contrario, visto che si attiva una procedura, che in primo luogo tende a far superare la crisi sucidiaria al soggetto, che altrimenti resterebbe solo con i suoi incubi. In realtà ciò che dà fastidio, in tutti questi tre casi (IVG, transizione di genere e suicidio assistito) è la pretesa di avere il controllo del proprio corpo, senza dover sottostare a poteri esterni, civili o religiosi.
Last but Not least, l'esempio del cambiamento climatico o della depressione erano solo esempi. Penso che sia chiaro a tutti noi, esseri senzienti, quali possono essere i motivi di solito terribili, che portano alla decisione di farsi fuori.




è ipocrita perché nel caso del suicidio, a differenza dell'ivg e del cambio di sesso, esiste già, intendo senza bisogno di "aiuti", nella stragrande maggioranza dei casi e per quasi tutti i potenziali suicidi, il pieno controllo dell'individuo sul proprio corpo e la possibilità di fare da soli.


Anzi sarebbe assolutamente totalitario illiberale proprio in senso politico e filosofico concedere il suicidio assistito a persone non paralizzate e non detenute, perché il concetto alla base di tale "permesso" sarebbe che il corpo, la vita, è in un certo senso proprietà dello stato, o comunque di qualche pomposa e pseudo scientifica autorità, e bisogna far carta bollata e visita medica pure per suicidarsi, invece il diritto al suicidio ci appartiene da sempre in natura in quanto esseri umani, non deve assolutamente, in senso etico, almeno secondo la mia etica, essere alienato per poi diventare una "mera" concessione, troppi diritti in questa era stanno facendo questa fine, e il diritto al suicidio ne sarebbe il suggello...

In generale non sopporto, non sopporto più, tutti quelli che tentano di vendermi ciò che è già mio!



#2818


voglio solo ribadire solo il fatto, che dovrebbe essere ovvio, che una persona in buona salute fisica, deambulante, non fisicamente paralizzata, non detenuta in carcere o in altre istituzioni totali e non allettata, all'atto pratico e secondo verità non ha bisogno dell'aiuto di nessuno, tanto meno di un medico, per suicidarsi; quindi sono assolutamente contrario al suicidio assistito per chi non sia realmente e accertatamente paralizzato o altrimenti impossibilitato a fare da solo.

In generale una società che aiuta a suicidarsi chi cammina sulle sue gambe è una società degli ipocriti, e anzi, di una persona che di suo tanto per dire affermi di voler morire ma non ha mai trovato il coraggio di buttarsi dal cavalcavia, a logica e a pari condizioni si deve supporre che non troverà mai il coraggio di andare al fatidico appuntamento con la asl per farsi mettere in mano il pulsante con cui spararsi in vena il veleno, quindi non vedo in che senso la possibilità di avere tale appuntamento possa considerarsi un progresso di civiltà. Io sono liberale e favorevole a tutte le scelte di autodeterminazione, ma quando sento che storie del tipo che un tizio fisicamente sano è depresso per la fame nel mondo o il surriscaldamento terrestre o chissà quale altro intimistico motivo e allora pretende l'aiuto di un medico dello stato perché a farsi fuori da solo lui non riesce, mi pare che si sia passata la misura, è un'offesa a tutti quelli che veramente non riescono a farsi fuori da soli, perché confinati in un letto, in un carcere o in una sedia a rotelle...
#2819

Dunque, mi permetto un piccolo fuori tema anche io...

Io ho sempre pensato che le NDE (intendo se davvero esistono e non sono riconducibili al campo della bufala/autosuggestione) siano dovute al fatto che il morire è un processo che si svolge per un tempo esteso, quantomeno perché, in senso fisico e relativistico non esistono interazioni istantanee e c'è mediazione spazio temporale della causalità e dilatazione "durevole" del presente intrinseca alla posizione degli osservatori rispetto ad un dato evento (dunque il presente è inesteso solo per approssimazione); ed inoltre se la coscienza fosse davvero un processo spiegabile a livello quantistico, esisterebbe continuamente e normalmente sovrapposizione di stati di coscienza, che nel "momento" estremo della morte potrebbe corrispondere anche una sovrapposizione di stati "limite" vivo-e morto insieme.

Quindi penso proprio che in un modo o nell'altro la "struttura profonda" della natura non ammetta la dicotomia concettuale e filosofica vita/morte come la possono conoscere e porre gli uomini, ma solo il morire come processo temporalmente e spazialmente esteso contemplante sovrapposizione indefinita di vita e morte come stato intermedio, come un interruttore che proprio fisicamente non può spegnersi senza attraversare anche un momento in equilibrio perfetto tra i due stati (facendo con ciò piazza pulita di tutte le teologie e filosofie del discorso umano che considerano vita e morte come opposti assoluti, e addirittura le eticizzano); quindi, se c'è una durata temporale del morire, non è da escludersi che ci sia anche un'esperienza cosciente e coscienziale del morire come processo auto-contemplato dalla coscienza stessa, esperienza che potrebbe essere entro certi limiti trans-culturale e standardizzata per tutti i morenti, proprio perché, a livello organico, avverrebbe un processo entro certi limiti simile per tutti.

La gioia e le sensazioni positive nelle NDE me le spiego perché c'è una parte di coscienza "viva", che può ancora soffrire, che contempla una parte di coscienza "morta", che non può più soffrire nemmeno virtualmente in nessun senso; anche la sensazione di "passaggio all'eternità", corrisponderebbe al vissuto infinito della sensazione soggettiva della durata del morire, che potrebbe infinitizzarsi perché, anche ammessa una indistruttibilità di fondo della coscienza, all'atto del non funzionamento definitivo del corpo, non vi sarebbe più altro da percepire/pensare per la coscienza stessa che l'ultima, o meglio la terminale, "unità" o "misura" del percepito/pensato complessivo; quindi si potrebbe morire in un decimiliardesimo di secondo, e percepirlo durare eoni.



E quindi, col mio discorso infine, provo a tornare anche un po' in tema, perché, se si accetta per vero quanto ho proposto, o meglio ipotizzato, croce e delizia delle visioni del paradiso o dell'inferno, e le sensazioni, e le possibili memorie ad esse associate, pertengono sempre, (in senso ateo e soprattutto nietzschano qui intendo) al campo del giudizio forse sì, ma pur sempre a quello della e nella vita, e
non mai a quello -intrinsecamente impossibile, a-prospettico e folle- sulla vita...


#2820
Chi viola le "regole" del green pass è solo un cittadino che vota e paga le tasse come tutti gli altri, ma magari a un certo punto si è pure rotto il cazzo di due anni di dittatura ipocondriaca e va a mangiarsi una pizza con il pass del cugino.

Che il pizzaiolo non è un carabiniere, e documenti non ne può chiedere.

Non avete il diritto di dare del caso psichiatrico a chi non la pensa come voi.

Dovete andare a lavorare in miniera.