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Messaggi - niko

#2806
Citazione di: viator il 29 Ottobre 2020, 11:46:36 AM
Sale Niko. Tu mi attribuisci una qualche mia - esplicita o sottintesa - definizione, connotazione, descrizione del concetto di benessere. Purtroppo, all'nterno di quanto ho scritto non c'è nulla di tutto ciò. Non ho parlato nè di benessere materiale, nè di abitudini consumistiche, nè di benessere esistenziale, nè di benessere salutistico e corporale.


Ho solamente osato sostenere che - secondo me- a questo mondo alcuni si credono o vengono creduti vivere in condizioni di benessere sociale (qualsiasi cosa tale espressione significhi per me o per te)........per passare poi a valutare la eventuale relazione tra tale condizione e le possibilità-facoltà libertà esistenti all'interno dei corpi sociali del cosiddetto "primo mondo". Saluti.


Ah, quindi uno non dovrebbe rinunciare alla libertà per il benessere, ma per farsi definire dagli altri, e autodefinirsi nominalmente così: in stato di benessere. Questo benessere non vale nulla, la felicità non può essere un'autodefinizione o una definizione altrui, perché è un'emozione.
Il corpo lo sa, quando le parole con cui definiamo la felicità funzionano, e quando no.


Non gli sacrifico nemmeno una gomma, a questo benessere qui. E penso che nessuno dovrebbe mai farlo.
#2807
La ricchezza materiale è solo una parte del benessere, che è uno stato più complessivo di felicità, o quantomeno serenità, duratura, insomma uno stato interiore soggettivo delle persone, in cui la ricchezza materiale è solo una parte e un fattore tra i tanti.


Alla fine, non è vero, come dice viator che benessere e libertà si oppongono, se con benessere si intende la felicità, libertà e felicità vanno insieme, e sono inseparabili l'una dall'altra, quindi l'unico vero benessere è quello compatibile con la libertà e realizzativo di essa, quindi diritti sociali, diritti politici e diritti civili dovrebbero andare insieme.


Ma mi pare che viator con benessere intenda una sorta di opzione socio-culturale disponibile per la libera scelta dell'individuo neutralmente ed esistenzialmente considerata, senza alcun giudizio di valore, insomma per lui il benessere è genericamente l'opzione di vita sociale per come essa si configura in una civiltà per un certo individuo, una cosa che appunto o la si accetta o si va a fare l'eremita, quindi la libera scelta è tra benessere ed eremitaggio, laddove il benessere è particolare e variamente denotato in senso destinale per classe sociale, sesso, luogo di nascita eccetera, quindi per contro l'opzione opposta di eremitaggio e rifiuto della socialità vale come universale contrapposto a questa particolarità.


Ovviamente per me questo non è benessere, perché benessere per me è la felicità e la felicità non è una generica opzione sociale e socializzante, e tantomeno l'opzione si può rifiutare per un conformismo totalitario, tanto meno darà libertà, e quindi tanto meno darà felicità, politicamente non c'è niente di peggio che imporre il "benessere" come opzione, e filosoficamente pure è fuorviante porlo come opzione, perché la felicità non è opzione ma necessità, quindi per me pollice verso per tutte quelle etiche che pongono la libertà come opzione, e di conseguenza la felicità come opzione, non è vero che solo nel bene si è liberi, io sono abbastanza nichilista da considerare il bene come ciò che soddisfa, e quindi estingue, la volontà, e il male come ciò che non soddisfa, la volontà, e quindi indefinitamente la mantiene, il desiderio umano tende a un godimento temporalmente esteso, a un mantenersi volenti in presenza dell'oggetto di volontà, e quindi si compone tanto del bene, quanto del male, che poi questo bene sia definito a livello individuale o sociale poco mi importa, la società non ha vita se non concettuale e astratta, ma anche l'individuo è un costrutto culturale e un'astrazione, soprattutto radicata in una tradizione illuminista poi e cristiana prima, il soggetto è ciò che vi è di intermedio, tra individuo e società, è l'interindividuale, quindi il dialogico, il soggetto è il soggetto del dialogo, interiore poi, e con l'altro prima.



#2808
se bastasse farsi ammazzare per una cosa per farla diventare vera, a quest'ora ne avremmo fin troppe, di cose strane vere...
#2809
phil, su un numero alto di eventi casuali, se la probabilità di indovinare è 50%, la media dei risultati corretti e non corretti tenderà sempre di più al 50% tanti più tentativi si fanno, più è alto il numero dei tentativi, più il risultato medio esprime esattamente la percentuale propria del tentativo singolo, quindi se hanno ottenuto 60 di risultati corretti sul totale laddove l'uomo della strada con un numero alto di tentativi, tipo cento o mille, avrebbe sicuramente ottenuto 50, (perché l'uomo della strada va a casaccio e cerca di indovinare, può andargli meglio o peggio della media su un numero basso di tentativi, su un numero alto la statistica detta legge) il metodo che hanno usato ha almeno in parte funzionato...
#2810
Citazione di: Dante il Pedante il 25 Ottobre 2020, 14:00:33 PM
Al momento la neuroscienza non ha ancora dimostrato un caxxo sulla autocoscienza. Solo ipotesi e teorie. Se sono bravi come quelli che studiano il covid  ;) ..L'esperimento di Libett è ampiamente superato.Sono interessanti i più recenti studi sul "libero veto" piuttosto che sul libero arbitrio, che dimostrebbero le capacità della mente di fare scelte libere. la visione meccanicistica è ormai preistoria ;D
Famoso anche l'esperimento di questi ricercatori. Essi, attraverso la tecnica della pattern recognition hanno studiato la scelta di alcuni volontari, che avrebbero dovuto decidere quale tra due bottoni avrebbero dovuto premere. Essi scrivono:
«Abbiamo verificato che il risultato di una decisione può essere codificato nell'attività cerebrale della corteccia prefrontale e parietale fino a 10 secondi prima che il soggetto raggiunga la consapevolezza. Questo ritardo, presumibilmente, riflette l'operazione di una rete di aree di controllo di alto livello che cominciano a preparare una decisione imminente ben prima che venga raggiunta la consapevolezza».
In poche parole, per loro, è l'inconscio a determinare l'attività conscia (Fonte: Nature - Unconscious determinants of free decision in human brain). Ma attenzione a non lasciarsi ingannare...

    Innanzitutto, essi riuscivano sì a prevedere quale pulsante avrebbero premuto i volontari, ma con un'accuratezza del 60%, una percentuale non troppo alta se si tiene presente che la scelta era duale e che, tirando a indovinare, essi avrebbero avuto una precisione non troppo inferiore, ovvero del 50%. Ne consegue che essi non hanno scoperto che l'inconscio determina la decisione, ma che semplicemente un desiderio inconscio può spingere in una direzione piuttosto che l'altra.
    Veniva chiesto ai soggetti di premere il tasto non appena avrebbero sentito l'impulso. Il soggetto non doveva quindi "fermare" l'impulso, qualora lo volesse, per non compromettere l'esperimento. Quante volte sentiamo un impulso e lo fermiamo?
    Possiamo, anche qui, rivolgere la critica temporale: 10 secondi non sono anni...
    La corteccia prefrontale ha connessioni reciproche con tutti i sistemi motori ed è connessa con aree che riguardano la memoria e le emozioni. Non ha tuttavia connessioni dirette con aree motrici. Essa serve anche a mantenere informazioni o decisioni pre-stabilite. Da qui si capisce che essa non è determinante, sia per la posizione, sia perché non ha connessioni dirette con le aree della morale o del pensiero cognitivo. Anche se è lei a consigliare cosa fare (o, semplicemente, a simulare l'azione), lei riguarda solo i movimenti (Fonte: Giuseppe di Pellegrino - La corteccia prefrontale)... Bisogna comunque dire che è in parte legata a disturbi quali la schizofrenia e quindi potrebbe influenzare il comportamento (ma "influenzare" è una cosa diversa da "determinare"). Forse, il comportamento non buono della corteccia prefrontale determina un malfunzionamento della vicina memoria emotiva, ma non sta a me dire queste cose.
    Anche la corteccia parietale è legata ai movimenti, oltre alle informazioni visive, uditive e spaziali. Un danneggiamento di essa produce aprassia, ovvero un disturbo che coinvolge i movimenti (Fonte: Università di Venezia - Cervello). Anche questa non è legata alle scelte morali.
    Forse, le aree in questione, stavano semplicemente creando l'immagine visiva di un'azione pre-stabilita da compiere in quello spazio, suggerendo come compierla e quale bottone premere. Insomma, solo un suggerimento...
    La scelta era casuale: non avevano motivazioni per premere un tasto piuttosto che l'altro. È possibile che, di fronte a situazioni del genere, sia il cervello che produce "a random" l'azione. Io, forse, avrei accettato questa spiegazione se la previsione fosse stata precisa al 90%, non al 60%...
    Forse queste persone non avevano ancora deciso quale tasto premere, ma è possibile che l'attività della zona prefrontale stesse solo riflettendo il pensiero su cosa premere: se i volontari pensavano più intensamente al tasto destro (da premere, secondo l'esperimento, con la mano destra) che al sinistro (da premere con la sinistra) è logico che l'attività della zona cerebrale "simuli" l'attività della mano destra, ma non necessariamente il volontario deve muovere la mano destra per premere il pulsante, come il 40% di indeterminazione effettivamente dimostra. Quindi, è logico che ci sia un'attività cerebrale prima della decisione cosciente (Fonte: Filippo Tempia - Decisioni libere e giudizi morali).


È evidente che le interpretazioni di Haynes & co. sono frutto di idee preconcette (basta vedere l'impostazione fortemente riduzionistica dell'articolo) e sono incredibilmente forzate e arbitrarie.

da Falena Blu




Non è che magari migliori la precisione solo del più dieci percento da cinquanta, che avresti comunque perché la probabilità di scelta tra due tasti è quella, a sessanta, usando una tecnologia particolare, perché una tecnologia che preveda in anticipo quale pulsante tra due possibili premerà un uomo a partire dall'analisi della sua attività cerebrale è roba complicatissima da fantascienza, quindi in quanto costruita da altri uomini è imperfetta, quindi più che un miglioramento di prevedibilità del dieci percento sul risultato casuale non ti dà, e già e tanto e sorprendete quello? Magari una macchina simile costruita da alieni avanzatissimi ti porta all'ottanta, al novanta, al cento...
#2811
 


Io ho una posizione abbastanza precisa su uno dei punti che hai sollevato, e cioè la percezione e la conoscenza sono sempre per definizione campo limitato, sezione "chiusa" di spazio e tempo in cui qualche dettaglio o qualche ulteriorità oltre l'orizzonte sfugge sempre. Direi che l'onniscienza non è possibile, o almeno non è una forma possibile di contemplazione del mondo, perché un essere onnisciente che contemplasse il mondo, dovrebbe includere nella sua conoscenza la differenza tra se stesso e il mondo, quindi dovrebbe sapere di non sapere: o rimane ipnotizzato dalla sua stessa contemplazione, e non sa di sé, quindi non è onnisciente, o contempla il mondo e insieme, simultaneamente, sa di sé, quindi sa che il mondo come oggetto attualmente contemplato è in qualche sia pur minima misura ulteriore alla/o differente dalla, rappresentazione che lui stesso ne ha, per giunta in un modo che lui stesso non può rappresentarsi e non può indicare fin nel minimo dettaglio, quindi non è onnisciente.


Esclusa l'onniscienza quindi, restano i campi percettivi limitati, ed è in questi campi percettivi limitati, che si decide della verità della tua affermazione "cartesiana" secondo cui una cosa autocosciente inclusa in uno spazio, non è e non sarà mai uguale a un'altra cosa identicamente autocosciente immaginata/posta in un altro punto dello stesso spazio: certamente l'affermazione è vera agli occhi di una terza "cosa", a cui attribuiamo una conoscenza o un campo percettivo superiore, che "veda" una porzione abbastanza estesa di spazio e sappia di tutte e due le altre "cose", ma che dire della soggettività delle due singole cose laddove abbiano un campo percettivo conchiuso in se stesso e limitato, tale da escludere l'altra cosa e non sapere nulla della sua esistenza? Sarà pure vero, che sono uno "qui" e uno "lì", ma il punto è che l'essere uno "qui" e uno "lì", soggettivamente a loro, magari per l'intera durata della loro esistenza autocosciente (vita), non fa nessun effetto, dire che "hanno la stessa autocoscienza" vuol dire dire, di loro, che vivono la stessa vita, quindi "lebnizianamente", per il principio di identità degli indiscernibili, quelle due, tre, n, infinite vite "distinte" che potrebbero avere, sono di fatto una, perché sono distinte agli occhi di un eventuale altro, e non mai, ai loro occhi. Se uno di loro nasce, lo scorrimento filmico sinottico del film di quest'unica vita, non cambia di una virgola. Se uno, o più, di loro muore, lo scorrimento filmico sinottico non cambia neanche così di una virgola, finché non muoiono tutti. Indeterminato più uno, fa indeterminato. Indeterminato meno uno, fa sempre indeterminato. Non abbiamo la minima, minimissima idea di quanto sia grande il mondo. Le galassie, i pianeti, gli universi oltre al nostro, i cicli di morte e rinascita dell'universo. Non abbiamo la minima idea di quante cose non sappiamo e non vediamo, e di quante cose simili scambiamo allegramente ed inconsapevolmente per uguali perché subliminali alla nostra soglia di percezione della differenza. Ci facciamo l'idea che la ogni vita nella sua specificità sia irripetibile e propria di un singolo individuo, perché semplice come idea, e scartiamo l'idea che ogni vita sia quello che succede a una collettività temporalmente e spazialmente indeterminata di individui a certe condizioni, perché complessa. Pensiamo che ogni stato dell'anima debba corrispondere a uno e un solo stato del corpo, secondo me niente di più falso, potenzialmente in natura si danno n stati del corpo per ogni stato dell'anima ed n stati dell'anima per ogni stato del corpo, il fatto che ogni individuo sia unico non può che derivare dalla complessità ed essere casuale, già è rara la vita in sé come fenomeno, posso accettare che ipotizzando un universo "effimero" nel tempo, e "piccolo", sia plausibile e statisticamente probabile, quindi argomentabile, che ad ogni coscienza corrisponda uno e un solo corpo, oltre una certa estensione e durata dell'universo o degli universi, che ci sia una e una sola sola coscienza pe ogni corpo mi pare sempre più assurdo assurdo fino a diventare assurdissimo all'infinito, il punto è che è la coscienza che giudica della identità o differenza di se stessa dalle altre coscienze, che sa quanti e quali simili accorperebbe come uguali secondo la sua preferenza e la sua funzione, non c'è un numero di serie con cui stampano le coscienze o un rapporto giuridico di proprietà che lega una coscienza al corpo, non c'è l'occhio di Dio che ci vede, ci appiccica la targhetta e ci dice: "tu sei qui e quell'altro lì", noi siamo qui o lì solo ed esclusivamente nella misura in cui di questo essere qui o lì ce ne frega o ci cambia qualcosa.


Proprio perché non è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra mente e corpo, ma un corpo può avere e una mente più corpi, sarebbe meglio considerare la coscienza una proprietà generica del mondo, e quindi dello spazio e del tempo, a cui certe conformazioni materiali hanno accesso,  nel senso che non penso che la materia generi a qualche condizione la coscienza, semmai la materia a qualche condizione "accede" a un campo di coscienza che è genericamente presente nel mondo a prescindere dalle condizioni della materia, questo spiegherebbe anche perché il reale è intersoggettivo, se nel pensare ci connettiamo a una "dimensione" della coscienza preesistente, c'è un limite all'arbitrarietà e alla singolarità del
pensiero, perché i pensatori non pensano ognuno singolarmente, ma convergono verso la comune realtà che permette loro di pensare, quindi è un po' la questione aristotelica dell'intelletto agente, non basta l'idoneità organica del pensatore al pensiero, non basta l'idoneità fisica e logica del pensato ad essere
pensato, ci vuole una "luce" come elemento terzo impersonale del pensiero che connetta i due, la vista non dipende meramente dall'occhio e dai colori, ma dall'occhio dai colori e dalla luce, il pensatore non può pensare arbitrariamente senza limiti quel che vuole ma il pensiero ha una sua auto evidenza e
oggettività, esattamente perché e nella misura in cui certe cose sono solo incidentalmente pensate ma
esisterebbero anche se non fossero pensate, ma pensatore e pensato non sono due monadi in accordo ma due cose illuminate dalla stessa luce, la relazione che pensatore e pensato hanno tra di loro, rimanda alla relazione che ognuno di loro ha in comune con un terzo, quindi il pensiero si compone di un terzo
elemento che non è propriamente né oggettivo ne soggettivo, ma impersonale, quindi è vero che il pensiero ha un elemento atopico e intemporale, che la vita non è solo corpo e, oltre al corpo con il cervello dentro e alla cosa da pensare, come prerequisiti effettivi del pensiero, possiamo pensare qualcosa solo grazie a una generica e non locale attività del pesare, che non si predica specificamente del corpo o del pensato, che non è loro attributo, e che quindi questa attività sembra non stare nel mondo, ma essere propria di un dio o comunque avveniente in una dimensione trascendente, però se questa attività si
manifesta e si esaurisce nel connettere gli estesi, nel rivelare i rapporti che gli estesi hanno e ad altre condizioni non avrebbero (facendo così scorrere i "film" dei vari vissuti sullo "schermo" dei vari cervelli)
rimanda a quello che gli estesi hanno in comune ed è sostanza, è immanente, non è fuori dallo spazio e dal tempo, ma è quello che hanno in comune, lo spazio e il tempo, quello che hanno in comune le parti arbitrariamente possibili, dello spazio e del tempo; insomma possiamo pensare perché siamo composti
degli stessi elementi, degli stessi semi, di quello che pensiamo, e se alcune cose sembrano pensare e
altre no, la differenza è nei rapporti quantitativi di questi compositivi comuni, non c'è nessuna "qualità" intrinseca che dà la vita e fa pensare, né nella materia, ne in un altrove trascendente, semplicemente a certi livelli di complessità le parti in cui si può scomporre la materia, restano in relazione anche a distanza tra di loro, e quindi con lo spazio e col tempo. Chiamiamo disordinata, una distribuzione di elementi che sembra in relazione col solo spazio, insieme di cose buttate in giro alla rinfusa, e ordinata, una che sembra in relazione con lo spazio e col tempo, cioè che contenga registrazioni, stati della serie che sono sé stessi ma che potrebbero plausibilmente essere anche la traccia dell'ultimo elemento percepito attraverso momenti distinti, che allo sguardo sintetizzante e sinottico di una eventuale coscienza raccontino dello scorrere del tempo, che il tempo sia effettivamente trascorso o no.


#2812
Citazione di: viator il 23 Ottobre 2020, 21:30:13 PM
Salve niko. Citandoti : "Un individuo egoista e distruttivo, ben presto tende ad entrare in conflitto con altri individui egoisti e distruttivi. Le capre brucano insieme qualsiasi cosa succeda".


Scusa ma, quando affermi di non vedere alcun benessere intorno a te (guarda che io mi stavo occupando delle cosiddette "società del benessere" o del "primo mondo", cioè di collettività di molte centinaia di milioni di persone...........non della tua, mia o specificatamente altrui condizione o definizione di "benessere").......affermando di non trovarti nel benessere mostri solamente una valutazione soggettiva ed egoistica.




Inoltre quando fai appello ad ipotesi di reazioni rivoluzionarie violente......ti mostri nuovamente sia egoista che propenso alla violenza (magari solo altrui, visto che la rivoluzione è meglio farla fare agli altri........).


Infatti tra violenti ed egoisti potrà anche svilupparsi un movimento rivoluzionario, ma il problema è che - dopo l'eventuale successo della loro rivoluzione - essi resteranno quelli che erano, cioè soggetti pericolosamente inclini alla violenza ed agli egoismi nei confronti di chi la pensa diversamente da loro. Saluti.




Guarda che quando pensi di poter definire oggettivamente il benessere, ti rendi ridicolo.
E' un livello veramente basso di discussione in cui non voglio farmi trascinare, secondo te un detenuto al 41 bis siccome mangia beve e non ha freddo è in una condizione di benessere?


Se quelli che sono al governo sopravvalutano un'influenza per chissà quali fini economici e politici e ci mettono al 41 bis in casa, secondo te siamo in una condizione di benessere?


Se con benessere intendi ricchezza e opulenza materiale, la soddisfazione dei bisogni primari eccetera, quindi alludi a una minima parte di quello che comunemente si intende per benessere, da te impropriamente assunta per il tutto, la produzione capitalistica, e quindi ciclica, di queste ricchezze, non garantisce benessere a tutti per tutto il tempo, perché se si produce per cicli, nelle parti "basse" del ciclo, enormi quantità di persone fanno la la fame, vogliamo andare avanti per crisi, espansione, crisi, espansione, crisi, espansione, per quanto tempo? Per quanto tempo ci devono essere le colonie e le zone di guerra ai margini di quei paesi che temporaneamente se la passano meglio, cioè la non uniforme distribuzione della ricchezza su tutto il pianeta? E' giustizia questa, nascere in un posto e in un momento a caso e dover sperare di avere il culo di nascere e vivere gli anni migliori nel posto giusto e nel periodo di tempo giusto?


Questa roba con cui tu valuti il benessere, quindi cibo, acqua, elettricità, riparo, sta cominciando a mancare anche nei paesi industrializzati, perché vedi, se stiamo tutti in casa per non prendere  l'influenza, nessuno lavora, se nessuno lavora, succedono brutte cose al pil, se succedono brutte cose al pil, prima o poi saltano anche gli stipendi e le pensioni di quelli che pensano di avere il culo parato e oggi applaudono al governo (Grecia, Argentina, non hanno insegnato niente)...
#2813
Citazione di: anthonyi il 23 Ottobre 2020, 17:36:05 PM

Ciao niko, viator ti proponeva un'alternativa, quello che nel linguaggio economico viene definito trade-off, tra libertà e benessere.
Ora va benissimo che tu ritenga la società in cui vivi troppo coercitiva, per altri magari non è così, per loro la poca libertà in cambio del benessere va bene.
A questo punto tu hai correttamente presentato due opzioni: 1)L'allontanamento dalla società,2) La ribellione.
Nel caso 1 tu accetti di perdere benessere per una maggiore libertà.
Nel caso 2 tu agisci per imporre anche agli altri quell'opzione che tu preferisci, costringendoli ad accettare una perdita di benessere in cambio di una libertà che solo tu consideri preferibile.


Beh certo la ribellione prevede un certo grado di violenza e coercizione, su questo di do ragione, però non concordo col tuo (tuo e di viator) modo complessivo di mettere le cose che è troppo "oggettivista", e non tiene conto della soggettività delle parti coinvolte, quindi fai (fate) l'errore di fare un discorso che le parti coinvolte non potranno mai accettare.

Voglio dire, non mi puoi dire:


"tu agisci per imporre anche agli altri quell'opzione che tu preferisci, costringendoli ad accettare una perdita di benessere in cambio di una libertà che solo tu consideri preferibile.

e neanche, nel caso opposto:

"tu accetti di perdere benessere per una maggiore libertà."

Perché per me lo stato di cose presenti non è benessere, ergo la sua soppressione per me o per gli altri non è malessere.

Non ci si può pascere del benessere delle capre e pretendere di essere in pace con la propria coscienza, e gli idioti, quantomeno di questi tempi, sono molto più pericolosi (e più numerosi) dei malvagi sadici e deliberati; i malvagi hanno enormi difficoltà ad aggregarsi e costituirsi socialmente tra di loro, difficoltà che arginano secondo natura i danni alla condizione umana che essi teoricamente potrebbero fare, laddove gli idioti nessuna.

Un individuo egoista e distruttivo, ben presto tende ad entrare in conflitto con altri individui egoisti e distruttivi. Le capre brucano insieme qualsiasi cosa succeda.
#2814
Tematiche Spirituali / Re:Quanto importa?
23 Ottobre 2020, 19:30:32 PM
Citazione di: Aumkaara il 23 Ottobre 2020, 14:24:19 PM
Citazione di: niko il 23 Ottobre 2020, 13:41:36 PM
Riflettere sulla resurrezione della carne, è un po' chiedersi come ci vestiremmo se Dio ci invitasse alla sua festa.

Formale? Elegante? Casual? Sexy?

Il corpo non è un vestito, è un armadio pieno di vestiti.
In India ti parafraserebbero dicendo "tutti i corpi, sia quello di un individuo (sia quelli fisici attraverso le reincarnazioni, sia quelli più sottili attraverso le trasmigrazioni), e sia quelli di tutti gli esseri, sono solo vestiti di un unico corpo-armadio che è la sostanza universale, la prakriti, scelti dal purusha-spirito.
Ma forse intendevi solo riferirti al fatto che come alternative abbiamo solo i vari modi in cui il corpo può presentarsi e comportarsi, senza che ci siano alternative all'avere un corpo (nel caso, concordo anche con questo, anche se non solo nel senso eventualmente più materialistico).



Sì la mia era una considerazione sugli individui umani su cui penso si possa concordare anche se non si crede alla reincarnazione, trasmigrazione eccetera, il nostro corpo non rimane uguale nella vita, è in mille modi diversi, ora embrione, ora fanciullo, ora vecchio, ma anche si mangia, si va in bagno, si suda, ci si riproduce eccetera, quindi la materia grezzamente compositiva del corpo a livello di cellule e materia fisica cambia velocissimamente proprio in senso di ricambio organico, e solo la continuità di forma e attività permette di continuare a identificare un corpo nel tempo come lo stesso corpo.


Quindi in conclusione, il fatto di "non sapere quale vestito mettersi" voleva dire che c'è chi si immagina reincarnato bambino, chi vecchio, chi giovane, chi nel pieno delle forze: la provocazione intellettuale del provare a pensare ad un evento miracoloso e un intervento divino che dopo la morte ad ogni anima "faccia riprendere il corrispettivo corpo" è che questo evento non è solo miracoloso, è proprio incoerente e impossibile, se si pensa a come "un corpo", anche solo a livello di realtà empirica e terrena, non è una realtà univoca e facilmente identificabile, ma è sottoposto continuamente e spietatamente al divenire, e dal grumo di cellule col cui aspetto cui nasce, diviene il cadavere col cui aspetto muore. I vestiti della mia metafora sono i singoli attimi e i singoli stati che attraversa un corpo, ognuno di noi ha attimi della sua vita che considera più felici, o anche solo più profondi e rappresentativi della vita nel suo complesso, di altri, momenti di esultanza psicofisica e comprensione superiori alla sua media o al suo solito o momenti che pensa, a torto o a ragione, lo rappresentino come essere unico più di altri, e penso che "il desiderio di reincarnarsi" a livello psicologico e archetipico esprima molto di più di un generico desiderio di immortalità o di vita oltre la vita, esprime proprio il desiderio di riprendere la forma migliore o più significativa degli infiniti attimi e delle infinite forme in cui si disgrega il concetto inafferrabile di corpo, il desiderio di cristallizzare e fermare nel tempo un attimo di cui abbiamo più ricordo piacevole o più nostalgie dire "quello sono io" di modo che, nella verità resa miracolosamente tale di questa affermazione (di per sé ovviamente falsa, davanti alla verità molto piò cogente del divenire e del disgregarsi del corpo), tutti gli attimi di tutta la vita confluiscano nell'attimo prescelto, quindi tra l'infinità dei vestiti, scegliere un vestito con cui presentarsi davanti a Dio, cioè un vestito che lo sguardo di Dio possa eternizzare.


Nei momenti di vera felicità , il corpo esulta, o è comunque in un qualche stato di quiete profonda e trascendimento della sofferenza, per questo questi momenti sono facilmente distinguibili da quelli di fredda soddisfazione, di gratificazione dell'ego, di rassegnata soddisfazione intellettuale o morale, di senso di superiorità. Non puoi trovare nessuna verità spirituale che non sia psicosomatica, che non sia anche fisica, quindi il tuo vestito migliore, è anche il tuo massimo grado di perfezione raggiunto. Non tutti sanno quale sia, e non tutti hanno accesso al loro vestito migliore nella confusione e nel dimenticatoio dell'armadio, e appunto reincarnarsi può essere gioia tale per definizione, ma può essere tematizzato anche come problema, appunto la mia domanda "che vestito mi metto davanti a di Dio?" se dovessimo scegliere un attimo della vita, e dunque un singolo stato tra i mille attraversati dal nostro corpo, a cui restare legati per sempre, quale attimo sarebbe? La questione non è ovviamente che solo i più saggi ho i più fortunati hanno attimi, e dunque corpi, belli da sfoggiare e viceversa gli sfigati anche prendendo il loro attimo, e dunque stato del corpo, migliore rimarrebbero comunque ineleganti e indegni agli occhi di Dio, il punto è che anche ammesso che tutti abbiano una possibilità e quindi un vestito gradito a Dio nell'armadio, solo i più saggi o fortunati sanno scegliere bene, altri potrebbero reincarnarsi male, cioè legarsi per sempre a forme ed attimi che non sono la scelta migliore per loro, e dunque non sarebbe Dio, che li ha giudicati male, si sarebbero loro stessi, giudicati male, un po' come le anime nel mito di Er nella Repubblica di Platone, che sono per l'ennesima volta morte e devono scegliere una sorte nella loro prossima vita, un destino che poi nella loro nuova vita dimenticheranno di avere volontariamente scelto ma che le plasmerà inconsciamente come demone/carattere, e tutte scelgono in base non solo alla loro eterna e invariante natura, che sempre in qualche modo influirà, in base non solo alle circostanze, perché la gamma di destini possibili tra cui scegliere ha una componente aleatoria e non sempre, purtroppo o per fortuna, restano disponibili tutte le opzioni per tutte le anime, ma anche e soprattutto in base alle esperienze e alle conoscenze fatte nell'ultima vita appena trascorsa, che, al netto quindi di natura e caso, sarà il terzo elemento fondamentale che influirà su un'anima morta in procinto di scegliersi il proprio destino carnale e terreno per il prossimo "giro di giostra"; un mito molto simile si potrebbe raccontare per un'anima che muore, con ciò apprende che il corpo non è nulla, quantomeno nulla di unico e ben definito, eppure viene invitata a una festa a cui non può mancare e deve pur scegliersi, tra i suoi ricordi, un bel vestito-corpo, pur sapendo, ormai, dell'impossibilità logica e della difficoltà di questa scelta, se riferita al corpo nella sua totalità: con le esperienze della totalità della sua vita compiuta e finita, deve scegliere qualcosa sulle singole parti che questa totalità compongono, sui mille corpi che ha attraversato per il semplice fatto di aver avuto "un", -uno tra virgolette- corpo, quindi con un tipo di esperienza che può essere propria solo dello spirito, perché disincarnata per definizione, il paradossale giudizio che una vita potrebbe dare su se stessa solo a vita finita, si deve scegliere, e preferire, qualcosa che in vita ci ha identificato e rappresentato; insomma la vita nella sua completezza, ben lungi dall'essere valore e significato in sé, ben lungi dal giungere, dopo la morte, a qualcosa o in qualche luogo, non serve che a giudicare retrospettivamente del valore dei singoli stati di se stessa lungo il percorso di quella che fu una conoscenza incompleta, perché non (ancora) suggellata dalla morte.


Il desiderio di reincarnazione, è il desiderio, e quindi la mancanza, del corpo; il desiderio che il nesso tra conoscenza ed esperienza sia esso stesso la verità, e quindi permanga, dopo la morte.
#2815
Tematiche Spirituali / Re:Quanto importa?
23 Ottobre 2020, 13:41:36 PM
Riflettere sulla resurrezione della carne, è un po' chiedersi come ci vestiremmo se Dio ci invitasse alla sua festa.

Formale? Elegante? Casual? Sexy?

Il corpo non è un vestito, è un armadio pieno di vestiti.
#2816
La società attuale è così marcia che non mi dà alcun benessere, e infatti permanendovi ho sempre di più l'impressione di sacrificare la mia libertà in cambio di nulla, del nulla assoluto. La libertà sarà pure un bene solo possibile, un qualcosa che può essere un bene solo se e solo se "utilizzato" bene, ma qui, per come siamo messi, questo bene solo possibile, lo perdiamo in cambio del male.



L'alternativa però non dovrebbe essere solo secedere e fare l'eremita, ma anche ribellarsi.
#2817
Magari più tardi darò una risposta più complicata ad altre cose che sono state dette, per ora volevo rilevare solo che quello che ha scritto Paul11


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Se riteniamo la vita una questione  meramente biologica o termodinamica, vale a dire che appare con la nascita e scompare con la morte fisica, pensiamo superficialmente che noi siamo solo trasformazione  di energia, metabolismo che comprende azioni anaboliche o di costruzione e cataboliche di distruzione,[/size]Ma prima dell'apparizione della vita con la nascita e dopo la sparizione con la morte? Il nulla detta l'attuale cultura nichilista.


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Mi pare un po' eccessiva come posizione, proprio nel senso che la posizione che con la morte finisce tutto non è affatto una posizione "antifilosofica" ma una posizione filosofica come tante altre, non c'è, direi, un nesso necessario tra pensare che ci sia altro oltre la vita biologica e interessarsi di filosofia.


Molti filosofi del passato, anche grandi, erano molto vicini a pensare che con la morte finisse tutto o qualcosa di simile, mi vengono in mente gli atomisti, ma anche Aristotele che non credeva nell'immortalità dell'anima.


Certamente considerare l'effimerità della vita è una posizione filosofica, che non porta necessariamente a conclusioni nichiliste, uno può pensare di sopravvivere esclusivamente nella catena di causa ed effetto, come dice Massimo nel film "il Gadiatore": "quello che facciamo in vita riecheggia nell'eternità", cioè la vita come effetto dell'"intelligenza" temporanea che la causa, sarà causa di altri effetti all'infinito, il che può portare a posizioni molto moraliste e di autosacrificio e tutt'altro che nichiliste, che effetto fa la tua vita sul tutto di cui essa fa parte in vista del potere di questo effetto di essere a sua volta causa di altri effetti non si misura certo con la durata e la piacevolezza edonistica della tua singola vita; non è nichilista neanche la relativizzazione dell'infinità del dolore e l'arte di vivere che si può imparare e trarre assumendo la morte come "consolatrice": se dopo la morte finisce tutto, tutto è più facile da sopportare, anche la rigidità di una morale avvertita dal singolo come necessaria, ma solo fino a un certo punto convincente. Insomma si può pensare che la morte non sia solo "consolatrice", ma anche il meccanismo fisiologico di "spegnimento" della coscienza trasceso un certo limite che poi a ben vedere è il limite di relazione possibile col mondo della coscienza stessa, per cui "ogni dolore è sopportabile", ma non nel senso che ogni dolore sia sopportabile in assoluto come verità universale che imponga una morale della ricompensa, ma nel senso specificamente epicureo che i dolori insopportabili determinano oblio e morte in colui che li subisce, non hanno conseguenze avvertibili non in assoluto, ma proprio e specificamente per chi di più ne è vittima, quindi ogni dolore è sopportabile per noi, l'orrore e il non-senso del mondo ci è risparmiato dai meccanismi intrinseci di disaggregazione e cessazione della coscienza, di cui la morte è solo il più evidente, ma anche sonno, oblio, estasi, rimozione, giocano in piccolo lo stesso ruolo della morte: se nessun dolore avvertito nel qui e ora come tale spegne del tutto la coscienza, nessun dolore è solo e semplicemente per la coscienza un black-out, c'è qualcosa da imparare, e qualcosa di meglio o di peggio da fare in ogni dolore, cioè in ogni dolore rimane possibile l'attività cosciente e consapevole, e quindi l'esercizio della virtù. Folle è assumere il dolore come eterno, chi assume il dolore come eterno di fatto si equipara agli dei e si considera immortale; ogni dolore che avvertiamo, proprio per come funziona biologicamente la vita, è destinato a mutare alternativamente o in piacere o in oblio/morte, ma è proprio prescindendo del tutto da questa alternativa e dall'importanza che possiamo attribuirgli, che possiamo comprendere e considerare l'alternativa in sé e la conseguenza fondamentale che ne deriva, ovvero che considerare il dolore che ci colpisce, e di cui siamo consapevoli come invariante nel tempo ed eterno sia sempre e comunque errato. La conclusione non è dunque che il dolore eterno di per sé non esista, è che grazie ai meccanismi fondamentali della natura ne abbiamo pietoso oblio.


Poi la considerazione che con la morte finisca tutto può portare a una presunzione di diritto al godimento dell'effimero che per quanto nichilista nei suoi presupposti può portare a rivendicazioni politiche utili e necessarie altrimenti impossibili, un volta ho letto che al culmine della rivoluzione francese è comparso all'entrata del cimitero di Parigi un bel cartello con la scritta:


"la morte è un sonno eterno".


Non so se questo sia vero, ma questo cartello se è mai esistito è l'antennato diretto delle fucilate sparate dalla folla sugli orologi durante la Comune del 1871, il concetto è che se la morte è un sonno eterno abbiamo diritto a pane dignità in vita, non ci crediamo più che se facciamo "i bravi" sulla terra abbiamo la vita eterna come ce la raccontano i preti; anche la famosa scommessa di Pascal non è a costo zero se si scommette sulla vita eterna, dato che questa scommessa si porta appresso una morale codificata che dice cosa devi e non devi fare per guadagnartela, la vita eterna, e se quando muori trovi invece il nulla, hai sprecato la tua unica vita nel seguire regole assurde mentre magari altri che queste regole le hanno ignorate se la sono goduta di più; ovviamente, per precisare meglio, quando sei morto non puoi sapere se il nulla che hai trovato lo hai trovato solo per te, perché non sei stato abbastanza conforme alle regole e sei stato oggetto di un giudizio divino negativo, quindi quel nulla è un problema tuo non generalizzabile, agli occhi della divinità "avresti potuto far meglio", o se quel nulla è semplicemente e indistintamente il destino di tutti, di tutta l'umanità, perché in verità tutta la religione o morale di riferimento con cui l'umanità sperava di guadagnarsi la vita eterna era di per sé solo una grande e falsa "cavolata", quindi, se stessero così le cose, quel nulla è un problema di tutti, e nessuno "avrebbe potuto far meglio", ma il punto è che per te che muori e trovi il nulla questa alternativa è assolutamente irrilevante, è esattamente lo stesso, quando trovi il nulla, hai ingombrato inutilmente la tua vita con regole per l'ottenimento di una vita eterna che non ottieni, quindi hai sacrificato un quantitativo di libertà per niente, libertà che in alternativa poteva essere usata per il godimento di piaceri più effimeri e terreni, quindi scommettere sulla vita eterna non è a costo zero. Insomma il "memento mori" si può rovesciare contro i moralisti, se quando muoio incontro un giudizio devo vivere conformemente a certe regole esteriori anche se non da me pienamente comprese e accettate, se quando muoio incontro il nulla, devo prendere e godere tutto quello che posso e seguire solo la mia personale legge nella misura in cui da solo me la do e la comprendo, insomma "memento mori" è uno dei motti più a doppio senso che possano esistere, se lo si riflette bene, o "vivi con moderazione", o "ogni lasciata è persa".
#2818
Sì, ma una volta che lo hai pensato, il tutto come concetto intendo, non lo hai pensato bene se ci metti dentro, in questo ipotetico "contenitore", solo tutto ciò che esiste, nel presente, o anche nella totalità del tempo e dello spazio se essa fosse conoscibile, e sostieni con questo di aver finito, ci sono cose che in un certo senso "sono" senza esistere materialmente o dualmente, quindi il tutto non esiste, perché si compone di parti esistenti e parti inesistenti, quindi non esiste tutto, quindi non esiste come tutto, quindi non esiste il tutto.


Ad esempio, con la coscienza e la vita di un essere intelligente, per dire, si ha già qualche difficoltà a sostenere che esista nel tempo, in un certo senso sì e in un certo senso no, e difficoltà assoluta a sostenere che esista nello spazio, decisamente no, eppure essa fa parte del tutto; ci rendiamo anche conto che il passato, il futuro, ciò che è solo possibile e i futuri ipotetici non esistono nello stesso senso in cui esiste il presente, eppure fanno parte del tutto, eccetera. Anche gli assurdi, come i cerchi quadrati, i bastoncini con due estremità destre, 2+2=5 eccetera, non esistono né nello stesso senso in cui esiste il presente, ne nello stesso senso in cui esistono gli ipotetici e i possibili, eppure fanno ancora parte del tutto, eccetera. Alla fine, con tutte queste considerazioni, l'esistenza mi pare più parte infinitesimale del tutto, che vera essenza del tutto, come appunto il presente, che non solo sembra non esistere perché fuggevole, ma anche, considerandolo staticamente, perché infinitesimale in un'immensità più grande, e indiscernibile comunque come singolo rispetto alle sue ripetizioni, anche ammesso che esista in questa immensità come serie.


#2819
Comunque, in parole semplici, il tutto non esiste perché se è il tutto, allora è anche uno, non partecipa della dualità dell'esistenza, deve includere in se stesso come elemento compositivo davvero tutto, quindi, a fianco a "ciò che c'è", intendo a fianco all'insieme degli enti, anche il divenire come storia e destino, la nullità e la soggettività dell'esistenza, insomma varie cose che con l'esistenza nel senso comune del termine hanno poco a che fare.


In altre parole, l'insieme degli enti, istantaneamente considerato, è giocoforza solo una parte del tutto e non il tutto, quantomeno perché:


1: esiste il divenire, quindi l'insieme degli enti istantaneamente considerato, cambia, e tutte le conformazioni possibili coesistono nel tutto.


2: esiste la soggettività, quindi la coscienza, o comunque la mente che guarda e rispecchia il tutto, o meglio e più modestamente, alcune singole parti del tutto, deve essere inclusa, nel tutto


3: esiste il nulla, nel senso che anche l'insieme degli enti istantaneamente considerato, più il divenire, più la soggettività, è un superinsieme che può ancora essere considerato, sia se stesso, che il negativo di un immanifesto che non vi compare come elemento, anzi deve, essere considerato il negativo di un immanifesto che non vi compare come elemento, perché sia determinato, cioè pensabile.


Quindi il tutto è l'insieme degli enti istantaneamente considerato, più tutto quello che è stato e sarà, più le percezioni e i vissuti di tutti i viventi che lo hanno abitato e lo abiteranno, più il nulla, che è un "resto" estraneo alla totalità spazio temporale e al vissuto che però, appena concepito, necessita di un tutto ri-comprensivo più grande in cui includerlo perché resti salda la definizione di tutto del tutto (la tuttità del tutto pare brutto), quindi il nulla esiste nel senso di essere incluso nel tutto, anche se non esiste nel senso comune dell'esistere; quindi il tutto che esiste, cioè, in altre parole, l'ammasso degli enti considerato qui e ora, è (solo) una minima parte del tutto, che non è il tutto, quindi, come volevasi dimostrare, il tutto non esiste.


PS a voler complicare un po' il discorso, se consideriamo le teorie fisiche moderne dell'universo blocco, la relatività generale eccetera, possiamo anche dire che il passato e il futuro esistono, e ci sono, quanto e come il presente, quindi rientrano nella parte di tutto "che esiste", ma anche messa così, resta comunque il fatto che la vita e il nulla non "esistono" nello stesso senso in cui esiste la totalità dello spazio e del tempo, allo stesso modo in cui prima ho sostenuto che queste realtà ulteriori "non esistono" nello stesso senso in cui si può dire che esista il presente.
#2820
Citazione di: Ipazia il 20 Agosto 2020, 08:26:43 AM
Anche il covid ci ha fatto un favore facendo chiudere le discoteche. Ha quasi del mistico come virus, epidemie e coatti siano così elettivamente affini.


Io invece trovo questo intervento estremamente volgare e irrispettoso.


Perfino su un forum di filosofia ci può essere chi frequenta/frequentava discoteche, magari proprio per l'ovvia finalità per cui il novanta percento della gente va in discoteca, di sballarsi o trovare sesso facile, e non per questo merita di essere definito virus o coatto dai pontificatori di turno.


Niente di personale, ma in generale non posso non provare profondo disprezzo per tutti gli intellettuali ricchi e col culo parato che in questi giorni gongolano per la chiusura degli spazi di socialità popolari o comunque di massa (principalmente, stadio, concerti e discoteca) senza avere la minima idea della tragedia sociale e umana che tale chiusura rappresenta. Io trovo, e lo dico chiaro e forte, che un proletario, o anche un teppista borghese disadattato, per cui andare allo stadio e magari scontrarsi con gli altri tifosi e con la polizia era tutta la sua vita e ora questa sua vita l'ha persa per colpa di quattro ipocondriaci che hanno sopravvalutato un raffreddore, abbia molta più dignità di certa gente con la puzza sotto il naso.


Questo virus di merda (che altro non è che una dittatura sanitaria imposta con la paura della morte a gente che già da prima e di suo, proprio in senso esistenziale, non era pronta a morire perché non amava veramente vita) come da un punto di vista materiale non ha fatto (e non farà) un soldo di danno a chi era già ricco e danaroso, e ha colpito solo i poveri e i precari, così di un punto di vista spirituale non ha fatto un baffo ha chi già di suo aveva un modo di "socializzare" isolazionista, familista e narcisista. E questi personaggi da torre d'avorio e da rotary club, a cui la quarantena calza a pennello, non si capacitano che gli altri non sono tutti come loro, e trovano un problema che siano chiuse le discoteche, e in generale gli spazi minimi elementari di aggregazione fuori dal trinomio
lavoro/famiglia-matrimonio/piccolo gruppo di amici, al di fuori di produzione e riproduzione insomma, e questi spazi elementari di vita oltre la mera sopravvivenza surrogati con il digitale, a beneficio di una dittatura che a prescindere da quanto durerà si configura nelle pretese e nelle intenzioni come eterna, la nuova normalità insomma, della gente che scarica le app per farsi spiare ed è contenta così.


Il massimo male non è la morte, ma la perdita della libertà.