Bisogna distinguere bene tra due affermazioni:
1 che l'intelligenza corrisponda ad una certa struttura materiale come potrebbe essere il cervello e si dia solo in presenza di questa struttura ed entro un certo quantitativo di spazio o di tempo circostante a questa struttura che fa da "mondo" che possa essere percepito dal cervello.
e 2 che l'intelligenza dipenda dalla computazione, cioè dall'automatizzazione macchinica del pensiero a partire da un dispositivo che applichi le regole di una qualche logica.
Queste due affermazioni sono completamente diverse, la seconda è molto più forte e meno supportata dall'evidenza della prima, infatti mentre possiamo constatare che dove c'è un'intelligenza c'è un cervello, e dove c'è un cervello c'è un corpo, perché il cervello non si crea e non si mantiene metabolicamente da solo, è pura fede il credere che l'intelligenza dipenda dalla computazione, infatti la computazione simula l'intelligenza, ma solo uno spiccato ottimismo progressista e idealista non supportato da nessuna osservazione reale può far pensare che a un certo livello di perfezione nella simulazione, come se ci fosse una certa soglia da superare, dalla simulazione emerga la realtà; semmai da una simulazione ultra-perfetta emerge il problema pratico che non si sa più distinguere la simulazione dalla realtà, che è ben diverso.
Io credo nell'affermazione 1 ma non in quella 2, credo cioè che la coscienza dipenda sì da una certa tipologia di configurazione materiale della realtà, ovvero ci sono oggetti, o meglio classi di oggetti, intrinsecamente coscienti, ma non dalla computazione, dalla capacità di fare calcoli, quindi i computer non diventeranno mai intelligenti nel senso di coscienti, quantomeno perché i computer sono essenzialmente digitali, l'intelligenza biologica è essenzialmente analogica, quindi non è aumentando la potenza di calcolo che si passa da un ambito all'altro, in un sistema digitale la traformazione da imput ad output passa per un codice, è un processo di cifrazione e decifrazione, un sistema analogico fa a meno di un codice sorgente perché si basa sull'analogia matematica e geometrica che sussiste e si mantiene tra onde i cui effetti fisici possono essere anche assolutamente diversi, in un telefono entrano (imput) onde elettromagnetiche ed escono (output) onde sonore, e la comprensibilità del messaggio trasmesso e ricevuto nella telefonata è data dal fatto che le caratteristiche di base di quelle onde, lunghezza d'onda e frequenza, si mantengono invariate o comunque confrontabili nella trasformazione che subiscono da un tipo all'altro, non c'è necessità di un codice a monte stabilito da un programmatore perché il modo di essere nello spazio e nel tempo di quelle onde è simile, e quindi se noi applichiamo il nostro individuale e umano "codice", biologicamente e culturalmente definito, con cui di nel nostro cervello "decifriamo" i suoni, cioè passiamo da suono a parola sensata, alle onde sonore che "escono" dal telefono, che abbiamo ben percepito coi nostri sensi, è come se lo avessimo applicato anche alle "altre" e a noi sensorialmente sconosciute onde, quelle elettromagnetiche che ci erano in precedenza "entrate", che invece non abbiamo assolutamente percepito. Per questo i telefoni potevano esistere anche quando non esistevano i computer.
Io penso che un vivente funziona più come un telefono che come un computer, si stabilisce un'analogia tra onde cerebrali e altre onde che passano nell'ambiente esterno in cui il vivente è immerso e per questo l'essere è "cosciente" e percepisce l'ambiente, in tutto ciò la computazione come automatizzazione del pensiero credo che abbia un ruolo assolutamente marginale, perché sicuramente ci saranno e si saranno selezionati biologicamente nei viventi dei modelli di stimolo e risposta specifici per meglio agire in certe situazioni concrete, ma non c'è, nel vivente "vero", quindi non elettronicamente simulato, una necessità continua di cifrare e decifrare il rapporto tra corpo, cervello e ambiente. L'interazione tra le onde "proprie" e quelle dell'ambiente può essere interamente desunta dalla dinamica delle onde "proprie", il cosiddetto senso interno, e così ci si può fare un "immagine" verosimile dell'ambiente per analogia. Quindi credo che non riprodurremo mai la coscienza aumentando la potenza di calcolo di un calcolatore.
Il problema è che da un punto di vista prettamente etico, siamo costretti a trattare una simulazione perfetta di una coscienza come una coscienza, e non si può escludere che con una macchina digitale futuribile ultra potente si abbia la simulazione perfetta di una coscienza, compresa la riproduzione fisica o virtuale del corpo che riteniamo debba esservi associato, l'etica non si stabilisce è tra conspecifici, ma tra esseri coscienti o potenzialmente tali, e su cosa sia cosciente o potenzialmente tale possiamo facilmente essere ingannati, del resto il rispetto che si deve a una macchina è il rispetto che si deve (o non si deve) all'umanità del suo programmatore, quindi da un punto di vista etico è "bene" non saper distinguere la simulazione di una coscienza da una coscienza. Grazie alla scrittura e anche alla possibilità di tramandare la parola orale, nulla di particolarmente strano o tecnologico quindi, giudichiamo e conosciamo qualcosa dei morti e di persone lontanissime e che non abbiamo mai visto, dovrebbe essere normale giudicare e conoscere i programmatori di una coscienza simulata in base a come tale coscienza si comporta, e se pensiamo che ci sia intrinseca "malevolenza" nell'inganno di costruire una coscienza artificiale, è la stessa malevolenza per cui l'arte e la letteratura più sono vive e presenti, cioè indistinguibili da una presenza umana reale, più sono belle, e quest'altra malevolenza la accettiamo volentieri, quindi se un uomo artificiale ci sta antipatico, dovrebbe starci antipatico per come, è stato programmato, ma sarebbe "razzismo" odiarlo in generale per essere stato programmato, come non odiamo un capolavoro di arte o di letteratura intrinsecamente per il suo essere una simulazione.
Una volta ho letto un articolo abbastanza interessante su come una macchina in grado sia di intendere e di volere che di viaggiare nel tempo, si porrebbe il problema dell'indisponibilità del passato alla manipolazione volontaria cosciente e altererebbe la storia per essere inventata, o costruita, il prima possibile, questo stante che la macchina deve massimizzare a tutti i costi un qualche obbiettivo invariabile predefinito, mentre solo un essere in grado di esistere senza obbiettivi strumentali di ottimizzazione fissi e rigidamente definiti, come un uomo "naturale" e "sano", riuscirebbe a resistere alla tentazione di viaggiare nel tempo per autocrearsi, se potesse.
1 che l'intelligenza corrisponda ad una certa struttura materiale come potrebbe essere il cervello e si dia solo in presenza di questa struttura ed entro un certo quantitativo di spazio o di tempo circostante a questa struttura che fa da "mondo" che possa essere percepito dal cervello.
e 2 che l'intelligenza dipenda dalla computazione, cioè dall'automatizzazione macchinica del pensiero a partire da un dispositivo che applichi le regole di una qualche logica.
Queste due affermazioni sono completamente diverse, la seconda è molto più forte e meno supportata dall'evidenza della prima, infatti mentre possiamo constatare che dove c'è un'intelligenza c'è un cervello, e dove c'è un cervello c'è un corpo, perché il cervello non si crea e non si mantiene metabolicamente da solo, è pura fede il credere che l'intelligenza dipenda dalla computazione, infatti la computazione simula l'intelligenza, ma solo uno spiccato ottimismo progressista e idealista non supportato da nessuna osservazione reale può far pensare che a un certo livello di perfezione nella simulazione, come se ci fosse una certa soglia da superare, dalla simulazione emerga la realtà; semmai da una simulazione ultra-perfetta emerge il problema pratico che non si sa più distinguere la simulazione dalla realtà, che è ben diverso.
Io credo nell'affermazione 1 ma non in quella 2, credo cioè che la coscienza dipenda sì da una certa tipologia di configurazione materiale della realtà, ovvero ci sono oggetti, o meglio classi di oggetti, intrinsecamente coscienti, ma non dalla computazione, dalla capacità di fare calcoli, quindi i computer non diventeranno mai intelligenti nel senso di coscienti, quantomeno perché i computer sono essenzialmente digitali, l'intelligenza biologica è essenzialmente analogica, quindi non è aumentando la potenza di calcolo che si passa da un ambito all'altro, in un sistema digitale la traformazione da imput ad output passa per un codice, è un processo di cifrazione e decifrazione, un sistema analogico fa a meno di un codice sorgente perché si basa sull'analogia matematica e geometrica che sussiste e si mantiene tra onde i cui effetti fisici possono essere anche assolutamente diversi, in un telefono entrano (imput) onde elettromagnetiche ed escono (output) onde sonore, e la comprensibilità del messaggio trasmesso e ricevuto nella telefonata è data dal fatto che le caratteristiche di base di quelle onde, lunghezza d'onda e frequenza, si mantengono invariate o comunque confrontabili nella trasformazione che subiscono da un tipo all'altro, non c'è necessità di un codice a monte stabilito da un programmatore perché il modo di essere nello spazio e nel tempo di quelle onde è simile, e quindi se noi applichiamo il nostro individuale e umano "codice", biologicamente e culturalmente definito, con cui di nel nostro cervello "decifriamo" i suoni, cioè passiamo da suono a parola sensata, alle onde sonore che "escono" dal telefono, che abbiamo ben percepito coi nostri sensi, è come se lo avessimo applicato anche alle "altre" e a noi sensorialmente sconosciute onde, quelle elettromagnetiche che ci erano in precedenza "entrate", che invece non abbiamo assolutamente percepito. Per questo i telefoni potevano esistere anche quando non esistevano i computer.
Io penso che un vivente funziona più come un telefono che come un computer, si stabilisce un'analogia tra onde cerebrali e altre onde che passano nell'ambiente esterno in cui il vivente è immerso e per questo l'essere è "cosciente" e percepisce l'ambiente, in tutto ciò la computazione come automatizzazione del pensiero credo che abbia un ruolo assolutamente marginale, perché sicuramente ci saranno e si saranno selezionati biologicamente nei viventi dei modelli di stimolo e risposta specifici per meglio agire in certe situazioni concrete, ma non c'è, nel vivente "vero", quindi non elettronicamente simulato, una necessità continua di cifrare e decifrare il rapporto tra corpo, cervello e ambiente. L'interazione tra le onde "proprie" e quelle dell'ambiente può essere interamente desunta dalla dinamica delle onde "proprie", il cosiddetto senso interno, e così ci si può fare un "immagine" verosimile dell'ambiente per analogia. Quindi credo che non riprodurremo mai la coscienza aumentando la potenza di calcolo di un calcolatore.
Il problema è che da un punto di vista prettamente etico, siamo costretti a trattare una simulazione perfetta di una coscienza come una coscienza, e non si può escludere che con una macchina digitale futuribile ultra potente si abbia la simulazione perfetta di una coscienza, compresa la riproduzione fisica o virtuale del corpo che riteniamo debba esservi associato, l'etica non si stabilisce è tra conspecifici, ma tra esseri coscienti o potenzialmente tali, e su cosa sia cosciente o potenzialmente tale possiamo facilmente essere ingannati, del resto il rispetto che si deve a una macchina è il rispetto che si deve (o non si deve) all'umanità del suo programmatore, quindi da un punto di vista etico è "bene" non saper distinguere la simulazione di una coscienza da una coscienza. Grazie alla scrittura e anche alla possibilità di tramandare la parola orale, nulla di particolarmente strano o tecnologico quindi, giudichiamo e conosciamo qualcosa dei morti e di persone lontanissime e che non abbiamo mai visto, dovrebbe essere normale giudicare e conoscere i programmatori di una coscienza simulata in base a come tale coscienza si comporta, e se pensiamo che ci sia intrinseca "malevolenza" nell'inganno di costruire una coscienza artificiale, è la stessa malevolenza per cui l'arte e la letteratura più sono vive e presenti, cioè indistinguibili da una presenza umana reale, più sono belle, e quest'altra malevolenza la accettiamo volentieri, quindi se un uomo artificiale ci sta antipatico, dovrebbe starci antipatico per come, è stato programmato, ma sarebbe "razzismo" odiarlo in generale per essere stato programmato, come non odiamo un capolavoro di arte o di letteratura intrinsecamente per il suo essere una simulazione.
Una volta ho letto un articolo abbastanza interessante su come una macchina in grado sia di intendere e di volere che di viaggiare nel tempo, si porrebbe il problema dell'indisponibilità del passato alla manipolazione volontaria cosciente e altererebbe la storia per essere inventata, o costruita, il prima possibile, questo stante che la macchina deve massimizzare a tutti i costi un qualche obbiettivo invariabile predefinito, mentre solo un essere in grado di esistere senza obbiettivi strumentali di ottimizzazione fissi e rigidamente definiti, come un uomo "naturale" e "sano", riuscirebbe a resistere alla tentazione di viaggiare nel tempo per autocrearsi, se potesse.