x sgiombo
cit sgiombo
"Cerco di capire, ma continuo a non riuscirci.
Se per "rappresentazione" intendi (i fenomeni, le sensazioni mentali costituenti) "il pensiero dei (di altri) fenomeni predicati dal pensiero stesso accadere realmente e -se essi effettivamente accadono realmente- conosciuti accadere realmente" (in generale; e in particolare i fenomeni, le sensazioni mentali costituenti il pensiero, il predicato "io penso"), allora non vedo come lo scetticismo possa essere superato.
Infatti (con Hume contro Cartesio) ritengo che di tali sensazioni fenomeniche ("cogito"), come di qualsiasi altra sensazione fenomenica (anche di quelle materiali), l' "esse est percipi": di sicuro vi è unicamente il loro accadere in quanto tali (sensazioni fenomeniche; e null' altro di in sé, permanente anche oltre ad esse e dunque - distinto da esse, che ne sia il soggetto-oggetto (l' ego che cogitat – cogitatur); ed anche questa conoscenza certa certezza -se e quando accade- è effimera, limitata al fuggente lasso di tempo presente in cui accade (in cui accadono le sensazioni fenomeniche costituenti il pensiero "cogito", dalle quali non consegue necessariamente l' ulteriore "esse" di un "ego")."
Certamente se l'in-se che tu poni nella argomentazione stia all'interno del fenomenico. Ma io prendo in considerazione l'in-sè come categoria dell'esistente, dell'essere, dell'esistenzialità (scegli pure il termine che più ti confà) fuori dalla rappresentazione.
Quindi non parlo dell'esse percepi. Dovresti capirmi meglio se uso il termine anima, spirito, Dio. Il fatto è che quei termini andrebbero ridefiniti razionalmente e non irrazionalmente come di solito si fa.Nella storia della filosofia l'hanno chiamato il problema dell'Essere, ma avrebbero potuto anche chiamarlo pinco-palla, in quanto riguarda qualcosa che è fuori dall'esistente fenomenico, e che ha a che vedere con la stessa categoria, universale di esistente. Qualcosa esiste, qualcosa è come se esistesse.
Come hai detto tu trattasi di una ulteriore congettura. Che io credo tu ritenga pretenziosa.
All'interno invece del campo fenomenico, la temporalità è ovviamente una delle molte sfacettature del discorso scettico.
Però ti faccio notare che hai usato nella argomentazione il termine accade, qualcosa se pur di effimero, accade.
E se accade dovrebbere in linea di principio esistere. Cosa sia non si sa perchè non si vede. Ma per esempio un Platone afferma che si puà udire, ascoltare nell'altro. E l'altro qua è da intendere proprio come esistente di una alterità assoluta.
Diffido di Platone, perchè non capisce che questa alterità in fin dei conti è una semplice categoria. Non è Il BENE!
(vabbè le ultime note sono per un pubblico più vasto, non solo per te Sgiombo, comunuqe...)
cit sgiombo
"Continuiamo a non capirci, purtroppo.
Per me la rappresentazione co-sciente non presuppone necessariamente un ipotetico "in sè", che per l' appunto é ipotetico, non dimostrabile logicamente -cioè "teoricamente evitabile", pensabile non essere reale "senza alcuna contraddizione di ogni categoria di esistente"- né tantomeno constatabile empiricamente).
Ma questo ipotetico "in sé", se realmente esiste, allora necessariamente, onde evitare una patente contraddizione, non può essere "rappresentabile (fenomenicamente per l' appunto", ma solo pensabile, congetturabile ("rappresentazione sensibile, apparente ai sensi, fenomenica" è ben altra cosa che "supposizione" o "congettura") senza alcun problema, a mio parere."
No hai capito benissimo, infatti per me è una congettura, la contraddizione sarebbe se fosse esistente come fenomenico.
Ma come ho tentato di spiegarti sopra è invece un esistente logico, formale se vuoi. Una mera astrazione.
cit sgiombo
"E senza per questo porre scarsa attenzione, se non addirittura ignoranza del problema dei rapporti fra cosa in sé e fenomeni, che credo invece della massima importanza filosofica.
Le cose in sé, infatti, se reali, avrebbero ben altra "consistenza" degli unicorni: questi ultimi (se la conoscenza scientifica è vera) sono fenomeni che si può dimostrare (se si ha sufficiente conoscenza della biologia) non esistono realmente, mentre quelle, se reali, anche se non lo si può dimostrare, esistono realmente."
Se provi a rileggere quanto da me scritto però ti comincerai a chiedere quale è la consistenza, la realtà di questa congettura, ossia della cosa in sè.
Se la cosa in sè esiste per sè, allora non potrà mai essere fenomeno.
Questo fu il problema su cui Kant stesso si arenò (mi informa un giovane amico) infatti per esigere che la cosa in sè abbia a che fare col mondo fenomenico, si deve inventare, ideare, fare astrazione su una relazione.
Ma quale relazione ci può essere fra qualcosa che è congettura e ciò che è fenomeno/realtà? se non appunto che una altra rappresentazione.
Nel mondo odierno conveniamo che sia la scienza a darne conto, con uno dei modelli verificazionisti da essa scienza ideati.
Ma il rompicapo è proprio questo che se una cosa in sè diventa rappresentazione-realtà, allora quella cosa in sè altro non sarà che una rappresentazione. Dunque la rappresentazione della cosa in sè, è di fatto la rappresentazione di una cosa, e non la cosa in sè.
Spero mi stai seguendo.
alcune notazioni di storia della filosofia.
Ci voleva una distinzione, che venne solo in seguito a kant che comunque aveva già apparecchiato lui stesso per tutti i filosofi a venire, quando si dice che kant è la ripartenza della filosofia, si parla ovviamente della sua invenzione delle categorie, degli apriori, e della cosa in sè.
Questa distinzione si chiama filosofia negativa, ossia la cosa in sè, è l'in-sè della sua contraddizione.
In sè è noumeno solo perchè non può essere fenomeno.
Le implicazioni sono quelle che la relazione è il frutto di una negazione infinita. Perchè se il fenomeno appare per quello che NON è, in quanto la cosa in sè è negazione, allora qualsiasi fenomeno è la negazione della sua negazione. Che non è come in matematica
una doppia negazione, ma una negazione alla potenza. Ossia la relazione è una assoluta negazione che possa essere qualcosa, appunto che sia qualcosa d'altro, ma non il fenomeno stesso.
La rilevanza che vado dicendo se sia materia dell'universo degli unicorni o se sia la verità, è a mio parere frutto di una lunga meditazione sul nostro vivere quotidiano, sui fatti che ci succedono.
Quando ai giorni nostri si parla di filosofia dell'evento, non si parla tanto di un accadimento del qui ed ora, piuttosto del suo contrario, ossia che vi sia una eventualità, che questo accadere accade.
Ossia che non vi è una storia qualsiasi, ma questa storia, questo succedersi di cose, esiste una immanenza, che si descrive solo come
impermanenza, noi siamo solo perchè scompariamo, moriamo dirà infine Heidegger.
Ossia tutto ciò che è reale è razionale, a patto che sia una razionale negativo.
Tornando di nuovo a noi dunque possiamo certamente dire che laddove per te è importante la coincidenza fra cosa-in-sè e fenomeno, dove la cosa in sè diventa sinonimo di mentale, per me invece questa coincidenza è del tutto fittizia, in quanto si dà come relazione misteriosa, fra un dato e la sua causa, ove con causa si intende non la meccanica, ma il suo darsi formale-logico di co-relazione impossibile e dunque come relazione negativa.
In parole povero non coincidono eppure nella loro alterità sono correlate come negativo, o è l'una o è l'altro.
O è parte o è Universale.
Ma il punto che chiedevo, e solo ora mi rendo conto che effettivamente è una sedimentazione mia, forse troppo ardita per i limiti di questo forum, che in fin dei conti cerca di essere il più generico e intendibile.
Dicevo che il mio punto sta che per me, qualcosa non è la cosa in sè. Se fosse mera correlazione negativa, infatti non si capirebbe come mai esiste qualcosa di originario, e se esiste non può essere il tutto (che in hegel vuol dire il niente, e forse meno del niente, come dirà Zizek)
Ossia che esiste qualcosa che pre-esiste al riflesso o meglio come dico io, che accompagna.
La cosa in sè in fin dei conti è semplicemente una congettura di tipo logico categoriale.
Come potrei dire albero se non sapessi che esiste qualcosa d'altro, altrimenti chiamerei qualsiasi cosa albero.
Ma il fatto che esista in quanto qualcosa, foss'anche tutto albero, è il problema stesso del presupporre che esista una materia sottesa primordiale.
Era stato per Primo Aristotele a parlare di forma e sostanza. Ma è ovvio che quello che ci interessa non è mai la sostanza, bensì la forma che esso prende.
Rimane però imprescindibile che ci può essere forma solo se vi è sostanza.
La scienza Sgiombo si è così per dire ferrata sulle forme, sui fenomeni e sulle loro leggi.
Come avviene che qualcosa si formi. Ma la riflessione sulla sostanza è rimasta nell'ombra.
Ma d'altronde quando Aristotele parla di sostrato sensibile, non si riferiva proprio a quella cosa in sè.
Ossia ad una sua categorizzazione formale, logica.
La mia domanda è invece proprio su cosa consista la sostanza. Perchè se non riesco a decriverne nulla, ne va della stessa concezione di cosa sia umano.
L'unico ad averci capito qualcosina è stato heidegger, che vedeva nella medianità del rapporto con la sostanza, con l'essere dice lui, il problema di qualsiasi ontologia. Ossia dell'entificazione di quell'essere.
Noi siamo un ente, siamo qualcosa, che attinge da una dimensione evenenziale, la filosofia dell'ereibnis, è questa germinazione alla radura dell'essere. E' l'inizio della stradina nel bosco dirà ancora in Sentieri.
La nostra entificazione ha a che fare con questa dimensione abissale, con questa proiezione, con questo essere per la morte.
Noi siamo enti destinali, destinati alla morte.
Certamente se uno è interessato solo all'aspetto formale, delle forme, di come una fenomeno sia correlato, irrelato, relato, univocamente, biunivocamente, è lecito e forse anche meno complicato.
Ma non capiremo mai quale sia il suo fine ma solo i suoi mezzi, i suoi enti.
cit sgiombo
"Beh, di solito per "delirio" si intende un discorso fantastico senza denotazioni reali e non le asserzioni empiricamente non falsificate delle scienze.
Non so Tesla, ma non credo proprio che Einstein gradirebbe l' epiteto di "visionario".
Credo, da seguace di Hume piuttosto che di Popper, che sia razionalmente possibile dimostrare con certezza la falsità e non la verità delle leggi fisiche ipotizzabili.
Non ho capito le tue ultime considerazioni: credi forse che religioni, superstizioni e "affini" siano o possano esser considerati razionali o razionalistico il seguirli?"
Povero einstein, il termine è proprio infelice.
Non penso affatto che le considerzioni cui sopra possano essere considerate religione, al massimo fantasmagorie.
Questione di opinioni se lo siano o meno.
Le religioni io non le sopporto più.
cit sgiombo
"Continuo a non capire: i mezzi per perseguire scopi quali l' obbrobriosa pretesa imperialistica di esportare la (pseudo!)- democrazia" possono essere più o meno razionali e "razionalmente corretti".
Ma gli scopi si avvertono e non si deducono razionalmente."
Ma se gli scopi appartengono ad una presunta conoscenza, in questo caso di cosa sia la democrazia, e chi debba appropriasene, allora saranno deducibili razionalmente.
Nella lunga serie di cosultazioni ai membri del consiglio presidenziale, il problema non era quale era lo scopo ma perchè razionalemte non funzionava quel tipo di esportazione.
Lo scopo è semplicemente l'applicazione di una presunta conoscenza, quella della democrazia.
Quando dico che tutto è politica mi riferisco ovviamente al fatto che anche la conoscenza, non è una mera conoscenza, ma è una conoscenza che qualcuno ha deciso essere tale.
Ma siccome l'ideologia la spaccia per episteme, allora non mi rimane che conludere che allora ogni azione deriva da quella episteme.
Vi è una decisione su cosa sia episteme che poco ha a che vedere con la scienza. Per tutto quello che abbiamo detto prima sulla efferemità delle cose. E cosa c'è di più effimero di un uomo di una politica etc....
Direi che sono epistemi assai deboli. Che hanno bisogno sempre dell'imboccata tecnica-tecnologica, magari un f-25 a ricordare a tutti chi esporta cosa.
L'f-25 non parte mica per una mera azione.
Non capisco cosa c'è che non capisci. Dovresti saperlo bene.
quello che intendo è che se tutto nasce da una politica, tipo faccio partire l'f-25, poi per convincere la nazione, invento una epsiteme, che dice che democrazia è quella cosa che deve essere esportata.
e che episteme è allora mi chiedo io???
Con lo scontro di Eutidemo mi riferivo al fatto che lui leggeva la storia in chiave atlantista e tu in chiave filo-russa.
Ognuno di voi 2 si è riferita a fonti e uomini, totalmente in buona fede, ma senza porvi minimanente il dubbio delle fonti.il sottotesto alla vostra diatriba sarebbe stato chi decide cosa.
e ora penso che mi riposerò un pò!!!
scusa per la brevità delle ultime considerazioni.
cit sgiombo
"Cerco di capire, ma continuo a non riuscirci.
Se per "rappresentazione" intendi (i fenomeni, le sensazioni mentali costituenti) "il pensiero dei (di altri) fenomeni predicati dal pensiero stesso accadere realmente e -se essi effettivamente accadono realmente- conosciuti accadere realmente" (in generale; e in particolare i fenomeni, le sensazioni mentali costituenti il pensiero, il predicato "io penso"), allora non vedo come lo scetticismo possa essere superato.
Infatti (con Hume contro Cartesio) ritengo che di tali sensazioni fenomeniche ("cogito"), come di qualsiasi altra sensazione fenomenica (anche di quelle materiali), l' "esse est percipi": di sicuro vi è unicamente il loro accadere in quanto tali (sensazioni fenomeniche; e null' altro di in sé, permanente anche oltre ad esse e dunque - distinto da esse, che ne sia il soggetto-oggetto (l' ego che cogitat – cogitatur); ed anche questa conoscenza certa certezza -se e quando accade- è effimera, limitata al fuggente lasso di tempo presente in cui accade (in cui accadono le sensazioni fenomeniche costituenti il pensiero "cogito", dalle quali non consegue necessariamente l' ulteriore "esse" di un "ego")."
Certamente se l'in-se che tu poni nella argomentazione stia all'interno del fenomenico. Ma io prendo in considerazione l'in-sè come categoria dell'esistente, dell'essere, dell'esistenzialità (scegli pure il termine che più ti confà) fuori dalla rappresentazione.
Quindi non parlo dell'esse percepi. Dovresti capirmi meglio se uso il termine anima, spirito, Dio. Il fatto è che quei termini andrebbero ridefiniti razionalmente e non irrazionalmente come di solito si fa.Nella storia della filosofia l'hanno chiamato il problema dell'Essere, ma avrebbero potuto anche chiamarlo pinco-palla, in quanto riguarda qualcosa che è fuori dall'esistente fenomenico, e che ha a che vedere con la stessa categoria, universale di esistente. Qualcosa esiste, qualcosa è come se esistesse.
Come hai detto tu trattasi di una ulteriore congettura. Che io credo tu ritenga pretenziosa.
All'interno invece del campo fenomenico, la temporalità è ovviamente una delle molte sfacettature del discorso scettico.
Però ti faccio notare che hai usato nella argomentazione il termine accade, qualcosa se pur di effimero, accade.
E se accade dovrebbere in linea di principio esistere. Cosa sia non si sa perchè non si vede. Ma per esempio un Platone afferma che si puà udire, ascoltare nell'altro. E l'altro qua è da intendere proprio come esistente di una alterità assoluta.
Diffido di Platone, perchè non capisce che questa alterità in fin dei conti è una semplice categoria. Non è Il BENE!
(vabbè le ultime note sono per un pubblico più vasto, non solo per te Sgiombo, comunuqe...)
cit sgiombo
"Continuiamo a non capirci, purtroppo.
Per me la rappresentazione co-sciente non presuppone necessariamente un ipotetico "in sè", che per l' appunto é ipotetico, non dimostrabile logicamente -cioè "teoricamente evitabile", pensabile non essere reale "senza alcuna contraddizione di ogni categoria di esistente"- né tantomeno constatabile empiricamente).
Ma questo ipotetico "in sé", se realmente esiste, allora necessariamente, onde evitare una patente contraddizione, non può essere "rappresentabile (fenomenicamente per l' appunto", ma solo pensabile, congetturabile ("rappresentazione sensibile, apparente ai sensi, fenomenica" è ben altra cosa che "supposizione" o "congettura") senza alcun problema, a mio parere."
No hai capito benissimo, infatti per me è una congettura, la contraddizione sarebbe se fosse esistente come fenomenico.
Ma come ho tentato di spiegarti sopra è invece un esistente logico, formale se vuoi. Una mera astrazione.
cit sgiombo
"E senza per questo porre scarsa attenzione, se non addirittura ignoranza del problema dei rapporti fra cosa in sé e fenomeni, che credo invece della massima importanza filosofica.
Le cose in sé, infatti, se reali, avrebbero ben altra "consistenza" degli unicorni: questi ultimi (se la conoscenza scientifica è vera) sono fenomeni che si può dimostrare (se si ha sufficiente conoscenza della biologia) non esistono realmente, mentre quelle, se reali, anche se non lo si può dimostrare, esistono realmente."
Se provi a rileggere quanto da me scritto però ti comincerai a chiedere quale è la consistenza, la realtà di questa congettura, ossia della cosa in sè.
Se la cosa in sè esiste per sè, allora non potrà mai essere fenomeno.
Questo fu il problema su cui Kant stesso si arenò (mi informa un giovane amico) infatti per esigere che la cosa in sè abbia a che fare col mondo fenomenico, si deve inventare, ideare, fare astrazione su una relazione.
Ma quale relazione ci può essere fra qualcosa che è congettura e ciò che è fenomeno/realtà? se non appunto che una altra rappresentazione.
Nel mondo odierno conveniamo che sia la scienza a darne conto, con uno dei modelli verificazionisti da essa scienza ideati.
Ma il rompicapo è proprio questo che se una cosa in sè diventa rappresentazione-realtà, allora quella cosa in sè altro non sarà che una rappresentazione. Dunque la rappresentazione della cosa in sè, è di fatto la rappresentazione di una cosa, e non la cosa in sè.
Spero mi stai seguendo.
alcune notazioni di storia della filosofia.
Ci voleva una distinzione, che venne solo in seguito a kant che comunque aveva già apparecchiato lui stesso per tutti i filosofi a venire, quando si dice che kant è la ripartenza della filosofia, si parla ovviamente della sua invenzione delle categorie, degli apriori, e della cosa in sè.
Questa distinzione si chiama filosofia negativa, ossia la cosa in sè, è l'in-sè della sua contraddizione.
In sè è noumeno solo perchè non può essere fenomeno.
Le implicazioni sono quelle che la relazione è il frutto di una negazione infinita. Perchè se il fenomeno appare per quello che NON è, in quanto la cosa in sè è negazione, allora qualsiasi fenomeno è la negazione della sua negazione. Che non è come in matematica
una doppia negazione, ma una negazione alla potenza. Ossia la relazione è una assoluta negazione che possa essere qualcosa, appunto che sia qualcosa d'altro, ma non il fenomeno stesso.
La rilevanza che vado dicendo se sia materia dell'universo degli unicorni o se sia la verità, è a mio parere frutto di una lunga meditazione sul nostro vivere quotidiano, sui fatti che ci succedono.
Quando ai giorni nostri si parla di filosofia dell'evento, non si parla tanto di un accadimento del qui ed ora, piuttosto del suo contrario, ossia che vi sia una eventualità, che questo accadere accade.
Ossia che non vi è una storia qualsiasi, ma questa storia, questo succedersi di cose, esiste una immanenza, che si descrive solo come
impermanenza, noi siamo solo perchè scompariamo, moriamo dirà infine Heidegger.
Ossia tutto ciò che è reale è razionale, a patto che sia una razionale negativo.
Tornando di nuovo a noi dunque possiamo certamente dire che laddove per te è importante la coincidenza fra cosa-in-sè e fenomeno, dove la cosa in sè diventa sinonimo di mentale, per me invece questa coincidenza è del tutto fittizia, in quanto si dà come relazione misteriosa, fra un dato e la sua causa, ove con causa si intende non la meccanica, ma il suo darsi formale-logico di co-relazione impossibile e dunque come relazione negativa.
In parole povero non coincidono eppure nella loro alterità sono correlate come negativo, o è l'una o è l'altro.
O è parte o è Universale.
Ma il punto che chiedevo, e solo ora mi rendo conto che effettivamente è una sedimentazione mia, forse troppo ardita per i limiti di questo forum, che in fin dei conti cerca di essere il più generico e intendibile.
Dicevo che il mio punto sta che per me, qualcosa non è la cosa in sè. Se fosse mera correlazione negativa, infatti non si capirebbe come mai esiste qualcosa di originario, e se esiste non può essere il tutto (che in hegel vuol dire il niente, e forse meno del niente, come dirà Zizek)
Ossia che esiste qualcosa che pre-esiste al riflesso o meglio come dico io, che accompagna.
La cosa in sè in fin dei conti è semplicemente una congettura di tipo logico categoriale.
Come potrei dire albero se non sapessi che esiste qualcosa d'altro, altrimenti chiamerei qualsiasi cosa albero.
Ma il fatto che esista in quanto qualcosa, foss'anche tutto albero, è il problema stesso del presupporre che esista una materia sottesa primordiale.
Era stato per Primo Aristotele a parlare di forma e sostanza. Ma è ovvio che quello che ci interessa non è mai la sostanza, bensì la forma che esso prende.
Rimane però imprescindibile che ci può essere forma solo se vi è sostanza.
La scienza Sgiombo si è così per dire ferrata sulle forme, sui fenomeni e sulle loro leggi.
Come avviene che qualcosa si formi. Ma la riflessione sulla sostanza è rimasta nell'ombra.
Ma d'altronde quando Aristotele parla di sostrato sensibile, non si riferiva proprio a quella cosa in sè.
Ossia ad una sua categorizzazione formale, logica.
La mia domanda è invece proprio su cosa consista la sostanza. Perchè se non riesco a decriverne nulla, ne va della stessa concezione di cosa sia umano.
L'unico ad averci capito qualcosina è stato heidegger, che vedeva nella medianità del rapporto con la sostanza, con l'essere dice lui, il problema di qualsiasi ontologia. Ossia dell'entificazione di quell'essere.
Noi siamo un ente, siamo qualcosa, che attinge da una dimensione evenenziale, la filosofia dell'ereibnis, è questa germinazione alla radura dell'essere. E' l'inizio della stradina nel bosco dirà ancora in Sentieri.
La nostra entificazione ha a che fare con questa dimensione abissale, con questa proiezione, con questo essere per la morte.
Noi siamo enti destinali, destinati alla morte.
Certamente se uno è interessato solo all'aspetto formale, delle forme, di come una fenomeno sia correlato, irrelato, relato, univocamente, biunivocamente, è lecito e forse anche meno complicato.
Ma non capiremo mai quale sia il suo fine ma solo i suoi mezzi, i suoi enti.
cit sgiombo
"Beh, di solito per "delirio" si intende un discorso fantastico senza denotazioni reali e non le asserzioni empiricamente non falsificate delle scienze.
Non so Tesla, ma non credo proprio che Einstein gradirebbe l' epiteto di "visionario".
Credo, da seguace di Hume piuttosto che di Popper, che sia razionalmente possibile dimostrare con certezza la falsità e non la verità delle leggi fisiche ipotizzabili.
Non ho capito le tue ultime considerazioni: credi forse che religioni, superstizioni e "affini" siano o possano esser considerati razionali o razionalistico il seguirli?"
Povero einstein, il termine è proprio infelice.
Non penso affatto che le considerzioni cui sopra possano essere considerate religione, al massimo fantasmagorie.
Questione di opinioni se lo siano o meno.
Le religioni io non le sopporto più.
cit sgiombo
"Continuo a non capire: i mezzi per perseguire scopi quali l' obbrobriosa pretesa imperialistica di esportare la (pseudo!)- democrazia" possono essere più o meno razionali e "razionalmente corretti".
Ma gli scopi si avvertono e non si deducono razionalmente."
Ma se gli scopi appartengono ad una presunta conoscenza, in questo caso di cosa sia la democrazia, e chi debba appropriasene, allora saranno deducibili razionalmente.
Nella lunga serie di cosultazioni ai membri del consiglio presidenziale, il problema non era quale era lo scopo ma perchè razionalemte non funzionava quel tipo di esportazione.
Lo scopo è semplicemente l'applicazione di una presunta conoscenza, quella della democrazia.
Quando dico che tutto è politica mi riferisco ovviamente al fatto che anche la conoscenza, non è una mera conoscenza, ma è una conoscenza che qualcuno ha deciso essere tale.
Ma siccome l'ideologia la spaccia per episteme, allora non mi rimane che conludere che allora ogni azione deriva da quella episteme.
Vi è una decisione su cosa sia episteme che poco ha a che vedere con la scienza. Per tutto quello che abbiamo detto prima sulla efferemità delle cose. E cosa c'è di più effimero di un uomo di una politica etc....

Direi che sono epistemi assai deboli. Che hanno bisogno sempre dell'imboccata tecnica-tecnologica, magari un f-25 a ricordare a tutti chi esporta cosa.
L'f-25 non parte mica per una mera azione.
Non capisco cosa c'è che non capisci. Dovresti saperlo bene.
quello che intendo è che se tutto nasce da una politica, tipo faccio partire l'f-25, poi per convincere la nazione, invento una epsiteme, che dice che democrazia è quella cosa che deve essere esportata.
e che episteme è allora mi chiedo io???

Con lo scontro di Eutidemo mi riferivo al fatto che lui leggeva la storia in chiave atlantista e tu in chiave filo-russa.
Ognuno di voi 2 si è riferita a fonti e uomini, totalmente in buona fede, ma senza porvi minimanente il dubbio delle fonti.il sottotesto alla vostra diatriba sarebbe stato chi decide cosa.
e ora penso che mi riposerò un pò!!!
scusa per la brevità delle ultime considerazioni.