Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - PhyroSphera

#286
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
31 Ottobre 2024, 09:40:35 AM
Citazione di: Il_Dubbio il 30 Ottobre 2024, 13:46:49 PMQuesta è un'affermazione che sminuisce il ruolo del farmaco.
Ma vorrei capire bene. Per palliativo intendi che non potrebbero far male, o solo che non risolve il problema?

Perchè se può far male e in piu non risolve alcun problema, per quale motivo dovrebbe essere riconosciuto (lo psichiatra) come, a differenza dello psicologo che invece non è un medico, un esperto che può utilizzare cure farmacologiche?

Per chiarezza anche il medico di base può prescrivere farmaci riconoscibili come psicofarmaci... non sono del tutto palliativi, in quanto qualche sintomo viene effettivamente tenuto sotto controllo.
Ma qua si parla di situazioni molto piu complesse... quindi i farmaci utilizzati non credo siano quelli che gia un medico di base potrebbe utilizzare. Utilizzo un altro termine che potrebbe far discutere (tipo quello di santone precedentemente usato): intruglio farmacologico. Servirà oppure no? Da sollievo o no? Potrebbe far male si o no? Ma poi, verrebbe utilizzato con quale metodo? Partendo da quello che hai detto potrebbe curare il cervello dai danni fatti dalla psiche (e non il contrario, come hai suggetito tu). Ma se fosse vero che il cervello subisce un danno dalla psiche, almeno questo danno dovrebbe essere appurato, prima di dare un farmaco.
Non è una buona cosa che io ripeta quanto ho già scritto. Questo il link:
https://www.riflessioni.it/logos/index.php?msg=93095

Aggiungo solo che cervello e psiche non sono realtà in antagonismo. Si critica tanto il dualismo platonico, scambiandolo per ontologico... Invece tanti filosofi di grido dovrebbero dedicarsi a smentire gli approcci come i tuoi alla mente e il corpo, a cominciare dal fideismo da cui sono mossi, anzi a cominciare dall'intento di fare da bastian contrari per per partito preso — pessima fazione, se la conseguenza è scambiare la nostra identità psicofisica per un campo di lotta. Neppure era San Paolo che commetteva un errore così quando diceva che lo Spirito di Dio annulla le debolezze della carne (che appunto è tutt'altro che il male)... Insomma sembra che tu voglia fare il paolino scambiando materia e spirito e dimenticando che i drammi di fede riguardano la relazione Dio – uomo, non il rapporto intimo con noi medesimi. Mi sono azzardato... se sbagliassi su di te, su molti altri no. Una fuoriuscita dall'insano percorso mentale che voialtri volete imporre con le vostre reiterazioni ci vuole.

MAURO PASTORE

#287
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
31 Ottobre 2024, 09:22:47 AM
Citazione di: Jacopus il 30 Ottobre 2024, 13:45:25 PMSul merito di questa dichiarazione (tralasciando di redarguire il solito tono giudicante veramente improprio fra tutto noi dilettanti della psiche), mi limito a dire che psichiatria e psicologia sono soft sciences, e per questo possono e devono orientare la loro conoscenza in modo più flessibile e umanistico, altrimenti, ad esempio, si incorre in quegli esperimenti di "psicologia scientifica" che affermano come  il cervello decida autonomamente rispetto alla consapevolezza (cfr Libet, Soon). La psiche umana però non è rinchiusa o rinchiudibile in una stanza sperimentale. Se al posto del movimento del dito (esperimento di Libet) si chiede al volontario di scegliere fra una azione egoistica ed una altruistica, o di fare una dichiarazione etica o un'altra, i sistemi automatici di risposta del cervello, che sembrano provare l'assenza di libertà, non funzionano più e la risposta coincide con il tempo in cui il decisore l'ha decisa, rimettendo in campo una capacità "agenziale" non più esclusivamente deterministica. Se si proclama una visione solo scientifica delle scienze psicologiche la prima conseguenza coerente è quella di accettare il fatto di essere predeterminati e mai capaci di esprimerci liberamente.
Per converso, dichiararsi antiscientifici comporta altri problemi, ovvero la spiritualizzazione di una disciplina (il famoso "santone") che invece interagisce e deve interagire in modo fruttuoso con il metodo scientifico, pur concependolo come un metodo che deve essere connesso ad altri metodi e ad altre discipline. La psichiatria, ancor più della psicologia, è materia interdisciplinare.
Io non svolgo professione di psicologia ma non sono un dilettante. 
Non ha senso identificare scienza e determinismo come fai tu. In fisica c'è la meccanica quantistica e il principio di indeterminazione e in psicologia la sincronicità, generalmente si può dire che il dato scientifico è discreto se ben interpretato, non è l'espressione diretta della legge cosmica.
Io ho scritto cose serissime e per offrire saperi necessari che non devono e non sono riservati agli addetti ai lavori. Se tu vuoi solamente dilettarti, rivolgiti verso altri messaggi.

MAURO PASTORE 
#288
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
30 Ottobre 2024, 12:40:23 PM
Citazione di: PhyroSphera il 28 Ottobre 2024, 13:29:20 PMFreud filosofo è secondo alcuni psicoanalisti il pensiero-rifugio di quelli che vogliono avere un'idea troppo fantasiosa di sé stessi e vedono nel dato scientifico un impedimento. Non smentisco questa affermazione, tuttavia c'è anche la tendenza opposta a vedere in un dato scientifico la totalità e nel dato scientifico in sé la verità assoluta. Questa sopravvalutazione, definibile positivista, genera dei rifiuti che a volte inavvedutamente fanno scartare assieme alle illusioni scientiste le certezze scientifiche.
Detto questo, aggiungo che Freud viene ritenuto filosofo anche da chi lo ritiene scienziato. Si tratta di uno sproposito, per il semplice motivo che il risultato delle sue ricerche, l'inconscio, da lui indicato solo scientificamente e soltanto dopo e da altri individuato scientificamente (con la psicologia analitica, da Jung...), restò sempre un oggetto ingestibile per Sigmund Freud, che vi si rapportò senza saggezza e senza veramente aprirsi a una sua interpretazione effettivamente tale. Molti lo annoverano nella storia della filosofia, attuando uno scambio. Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche furono i maggiori pensatori che filosoficamente aprirono alla scoperta scientifica dell'inconscio tramite la psicologia. Al posto di questi viene a torto annoverato Freud. Attorno alla sua persona c'è fanatismo, come pure si sopravvaluta la psicoanalisi, che è solo un metodo psicologico, finendo col sottovalutare la psicologia, che esiste anche quale scienza, illudendosi che i suoi risultati siano traducibili, trasformabili e riducibili a neurologia... il che è falso e disastroso perché genera la tendenza a cercare di attuare rimedi di ordine fisiologico, cioè a sbagliare e a violare o danneggiare i pazienti. Le famose 'mappe del cervello' dei neurologi, da ipotesi qual dovrebbero essere sono erroneamente e disastrosamente presentate per geografie della mente e il corpo. In realtà cambiano sempre anche contraddicendosi e dovrebbero essere considerate non in sé stesse a solo per far progredire gli studi neurologici e pervenire a teorie; e solo in tal senso le si può chiamare "ipotesi operative", con nulla a che vedere con interventi chirurgici di sorta. Invece c'è chi le usa per produrre sistemi e farmaci, puntualmente fallendo, quindi allineandosi sui risultati di altre ricerche, ma poi reiniziando a sbagliare proprio come prima e non volendo ammettere il fattaccio. Nel frattempo continuano le violenze e vessazioni di o da manicomio!
La parabola di Freud, dal còmpito assegnatogli dalla psichiatria francese e svolto con successo — ma senza etica, dato che muoveva da un pregiudizio meccanicista nel quale coinvolgeva i pazienti — alla consegna del testimonio a Jung — che ingiustamente veniva disconosciuto proprio da Freud stesso — prese inizio a discendere verso il fondo proprio quando egli pensò che tutto si potesse risolvere al livello della fisiologia. Abbandonò la fiducia nella psicoterapia e promosse la farmacologia, sostituendo le nozioni di conscio e inconscio con quelle 'geometriche', e in realtà inservibili da sole, di 'sub' e 'supra', sopra e sotto. Ne disse E. Fromm, di questa caduta a detrimento degli stessi successi ottenuti, a danno della categoria degli psicologi e degli interessi della psicoterapia, contro i bisogni dei malati di mente. Già esisteva la distinzione tra sfera superiore e inferiore della mente e il provare a sostituirla alla nuova aggiunta, di conscio e inconscio, era una dissennatezza. Certo, lo sviluppo farmacologico spropositato è meno grave dei sistemi di intervento a livello fisico più o meno diretto, quali elettricità, custodie di tipo ortopedico... Ma si tratta di un fallimento e di un tradimento; infatti i drogaggi restano tali e un disagio psichico non può che essere risolto a livello psicologico.
La psicoterapia però non serve a dare un senso. Trovare un senso può essere psicoterapeutico, ma non viceversa. Inoltre la psicoanalisi, che è metodo scientifico, offre dati, non teorici ma di ordine tecnico per la riuscita della psicoterapia e questi da soli non hanno senso e il senso che possono acquistare non riguarda la dimensione filosofica. Non bisogna confondere il dato che si offre al filosofo interprete della scienza con la ricerca filosofica del senso, la cui dimensione è esistenziale, quindi al di là di quella di teorie scientifiche e di parametri tecnici.


MAURO PASTORE

A fronte dei messaggi inviati dopo il mio, voglio sottolineare qualcosa di quanto ho già scritto e aggiungere anche preziose notazioni. Preciso che io non sono medico ma che quanto segue è stato ottenuto secondo conoscenze ottenibili anche senza svolgere la professione medica.

Per ciò che riguarda gli altrui testi inviati qui al forum, trovo ottimo l'aver citato la cronaca della distinzione tra psicologia e neurologia accaduta istituzionalmente prima della cosiddetta Legge Basaglia. La vicenda, che io ho descritto, di Freud e Jung alle prese con l'inconscio, offre proprio l'evidenza della estraneità del còmpito del neurologo alla vera e risolutiva cura delle malattie mentali e dei disagi psichici. Il fatto che il sistema sanitario italiano ne recepisse, è ovviamente favorevole e sarebbe stato anche dovuto prima (e ugualmente vale per l'estero); c'è da ricordare che le pretese dei neurologi erano soltanto tali già da prima delle valutazioni psicologiche sulla realtà dell'inconscio e sul suo ruolo nella genesi e cura di nevrosi e psicosi.
Disastrosa nel forum invece la identificazione della psichiatria con la scienza al posto del riconoscimento che esiste anche la psicologia scientifica. L'àmbito medico può essere scientifico solo se lo si unisce alla scienza; e la medicina, essendo per definizione e pratica un ritrovato utile, in sé non è scienza. Il medico agisce metodicamente oppure tecnicamente e lo può fare su base scientifica, ma questa resta distinta. A riguardo l'orientamento culturale prevalente è confusivo; e quando si confonde atto medico e dato scientifico si smarrisce il senso, l'effetto e la funzione diversi di entrambi. Da tale errore (per esempio) le famigerate imposizioni dei vaccini, oltre che la nota violenza contro chi soffre di patologie mentali — che peraltro non in tutti i casi è un malato.
Ho trovato poi discorsi, circa la psicosi e la schizofrenia, che abbisognano di provvidenziali specificazioni. In verità si dovrebbero individuare dei punti fermi. Dalla considerazione non superficiale dell'inconscio, quale si ritrova nella psicologia analitica, è stato possibile catalogare la psicosi quale perdita — mai totale, ciò non sarebbe mai possibile — del Sé da parte dell'Io, a causa di un vissuto interiore travagliato in concomitanza con un fattore esterno di difficoltà. Ciò, a livello psichico. Se il fattore è fisico, può essere concomitante solo in ordine al vissuto psicologico, cioè non per sé stesso — ma ciò non significa che sia negativo per arbitrio mentale. La degenerazione della psicosi in schizofrenia non consiste in una fisicizzazione: il problema resta solo psichico pur coinvolgendo il corpo — e mai viceversa. Questo è quanto scientificamente si afferma sull'accadere delle psicosi e schizofrenie e non è necessario affermare altro, nel senso che le componenti interessate queste possono essere e interagiscono sempre così, tra l'Io e il Sé. Per ciò che riguarda la spiegazione delle nevrosi, essa può prescindere dal riferimento al Sé, limitandosi a definire un rapporto difficoltoso tra Io e non-Io. Per entrambe le situazioni, è necessaria una psicologia dell'inconscio per intervenire psicoterapeuticamente, mentre nella prima situazione, che è quella più grave, c'è bisogno di una psicologia che sia anche del profondo. Interventi a livello fisico, anche specificamente fisiologici, non sono adatti; rimedi a livello psicofisico sono impropri, quindi insufficienti da soli o insufficienti — gli psicofarmaci infatti sono solo palliativi. Tali inadeguatezze sono dimostrate semplicemente dal tipo di problema cui si ha a che fare, che è proprio psichico, e dalla caratteristica della psiche, la cui dinamica è indipendente da quella fisica pur essendone sottoposta. Non è comparando psicologia e neurologia che si ottiene questo dato, ma tramite la psicosomatica. Questo studio discende dal parallelo tra mente e corpo attuato scientificamente dallo psicologo e non da osservazioni fisiologiche né neurologiche. Lo psicologo infatti comprende il corpo quale manifestazione della mente, senza necessità di aiuti interdisciplinari. Lo studio scientifico della psicosomatica mette in luce che la mente pur essendo soggetta al corpo e alla restante materialità non è mai decisivamente passiva verso queste realtà. A parte la successiva costituzione di una specifica disciplina della psicosomatica, la psicologia scientifica e quindi per conseguenza anche la psichiatria su basi scientifiche, hanno sempre avuto una minima cognizione di questo principio, che deriva dagli inizi stessi della scienza psicologica, attuati con Wundt.


MAURO PASTORE
#289
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
28 Ottobre 2024, 13:29:20 PM
Citazione di: iano il 28 Ottobre 2024, 12:20:03 PMTriste destino è quello della filosofia, se ogni volta che se ne trova un utile applicazione (scienza, psicologia) gli si cambia nome.
Certamente la psicologia resta più fedele alle sue origini se qualcuno tende a riconsiderare oggi Freud come un grande filosofo, mentre si tende ad escludere la filosofia del tutto dal processo scientifico con dubbia utilità, a mio parere.
Espellere la filosofia dalla scienza significa oggettivizzarla, come se non fosse una nostra creazione, ma solo qualcosa che ha una esistenza indipendente da noi, e che noi posiamo solo scoprire.
Quindi se la scienza è oggettiva ci rimane solo da rammaricarci di non poter dire altrettanto della psicologia, e la psicologia quindi certamente se la passerebbe meglio se si ammettesse che la stessa scienza non è poi così ''scientifica''.
Il risultato, volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, è che della psicologia, per quanto ci siamo sforzati, non siamo riusciti a farne un idolo.
Che le prove strumentali siano oggettive ad esempio è una posizione filosofica, che dimostra quanto la scienza di filosofia sia ancora innervata, nel bene e nel male,
perchè a voler essere obiettivi le prove strumentali sono solo ripetibili, anche se a ciò siamo liberi di aggiungere che perciò le considereremo obiettive, senza che però ciò segua in modo logico.
Non dico che questa aggiunta sia di troppo, se libero è il pensiero filosofico, però mi sembra che così si ponga il primo mattone per la costruzione dell'idolo scientifico.
Poi magari succede che chi quell'idolo ha introiettato, notando che nulla vi corrisponda nella realtà, impresa scientifica sul campo compresa, inizi una critica a 360 gradi contro la scienza, per tacere della psicologia ,che si prende ad esempio quando si vuol ''vincere facile'', per criticare in modo indiretto la scienza.
Lo schema è questo: se la psicologia è una scienza, se questa è la scienza, allora la scienza non è obiettiva.
La scienza non è obiettiva, ma per un altro motivo, perchè nessun agire umano può esserlo, e la scienza è uno dei modi in cui l'uomo agisce, di cui la psicologia è un altro esempio.


Freud filosofo è secondo alcuni psicoanalisti il pensiero-rifugio di quelli che vogliono avere un'idea troppo fantasiosa di sé stessi e vedono nel dato scientifico un impedimento. Non smentisco questa affermazione, tuttavia c'è anche la tendenza opposta a vedere in un dato scientifico la totalità e nel dato scientifico in sé la verità assoluta. Questa sopravvalutazione, definibile positivista, genera dei rifiuti che a volte inavvedutamente fanno scartare assieme alle illusioni scientiste le certezze scientifiche.
Detto questo, aggiungo che Freud viene ritenuto filosofo anche da chi lo ritiene scienziato. Si tratta di uno sproposito, per il semplice motivo che il risultato delle sue ricerche, l'inconscio, da lui indicato solo scientificamente e soltanto dopo e da altri individuato scientificamente (con la psicologia analitica, da Jung...), restò sempre un oggetto ingestibile per Sigmund Freud, che vi si rapportò senza saggezza e senza veramente aprirsi a una sua interpretazione effettivamente tale. Molti lo annoverano nella storia della filosofia, attuando uno scambio. Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche furono i maggiori pensatori che filosoficamente aprirono alla scoperta scientifica dell'inconscio tramite la psicologia. Al posto di questi viene a torto annoverato Freud. Attorno alla sua persona c'è fanatismo, come pure si sopravvaluta la psicoanalisi, che è solo un metodo psicologico, finendo col sottovalutare la psicologia, che esiste anche quale scienza, illudendosi che i suoi risultati siano traducibili, trasformabili e riducibili a neurologia... il che è falso e disastroso perché genera la tendenza a cercare di attuare rimedi di ordine fisiologico, cioè a sbagliare e a violare o danneggiare i pazienti. Le famose 'mappe del cervello' dei neurologi, da ipotesi qual dovrebbero essere sono erroneamente e disastrosamente presentate per geografie della mente e il corpo. In realtà cambiano sempre anche contraddicendosi e dovrebbero essere considerate non in sé stesse a solo per far progredire gli studi neurologici e pervenire a teorie; e solo in tal senso le si può chiamare "ipotesi operative", con nulla a che vedere con interventi chirurgici di sorta. Invece c'è chi le usa per produrre sistemi e farmaci, puntualmente fallendo, quindi allineandosi sui risultati di altre ricerche, ma poi reiniziando a sbagliare proprio come prima e non volendo ammettere il fattaccio. Nel frattempo continuano le violenze e vessazioni di o da manicomio!
La parabola di Freud, dal còmpito assegnatogli dalla psichiatria francese e svolto con successo — ma senza etica, dato che muoveva da un pregiudizio meccanicista nel quale coinvolgeva i pazienti — alla consegna del testimonio a Jung — che ingiustamente veniva disconosciuto proprio da Freud stesso — prese inizio a discendere verso il fondo proprio quando egli pensò che tutto si potesse risolvere al livello della fisiologia. Abbandonò la fiducia nella psicoterapia e promosse la farmacologia, sostituendo le nozioni di conscio e inconscio con quelle 'geometriche', e in realtà inservibili da sole, di 'sub' e 'supra', sopra e sotto. Ne disse E. Fromm, di questa caduta a detrimento degli stessi successi ottenuti, a danno della categoria degli psicologi e degli interessi della psicoterapia, contro i bisogni dei malati di mente. Già esisteva la distinzione tra sfera superiore e inferiore della mente e il provare a sostituirla alla nuova aggiunta, di conscio e inconscio, era una dissennatezza. Certo, lo sviluppo farmacologico spropositato è meno grave dei sistemi di intervento a livello fisico più o meno diretto, quali elettricità, custodie di tipo ortopedico... Ma si tratta di un fallimento e di un tradimento; infatti i drogaggi restano tali e un disagio psichico non può che essere risolto a livello psicologico.
La psicoterapia però non serve a dare un senso. Trovare un senso può essere psicoterapeutico, ma non viceversa. Inoltre la psicoanalisi, che è metodo scientifico, offre dati, non teorici ma di ordine tecnico per la riuscita della psicoterapia e questi da soli non hanno senso e il senso che possono acquistare non riguarda la dimensione filosofica. Non bisogna confondere il dato che si offre al filosofo interprete della scienza con la ricerca filosofica del senso, la cui dimensione è esistenziale, quindi al di là di quella di teorie scientifiche e di parametri tecnici.


MAURO PASTORE
#290
Citazione di: PhyroSphera il 28 Ottobre 2024, 10:14:43 AMCosì, le "resilienza", che la sinistra porta dal Parlamento Europeo alle Amministrazioni Locali che essa gestisce o influenza, si trasforma in una forma di ebetitudine, riassumibile con l'immagine di un funzionario che visita dei silos e li trova pieni di cose sempre meno adatte o in sempre maggiore scarsità e non vuol mai andare per i campi a chiedersi cosa davvero stia succedendo.
Il sistema automatico sul mio computer, innescatosi per mia inavvedutezza, mi aveva cambiato la parola 'ebetitudine' con "beatitudine". Avevo sarcasticamente pensato alla figura di un falso beato, mentre scrivevo, e il sistema automatico sembra avermi letto nel pensiero! Mi scuso per la confusione creatasi.
Ho fatto anche migliorie al testo, ma il mio pensiero resta lo stesso.

Mauro Pastore 
#291
È diventato una specie di moda l'uso della parola "resilienza", dalla politica europea a quella nazionale fino alle regionali.

Il vocabolo io lo conobbi tantissimo tempo fa', nell'uso agricolo e dei lavori connessi e annessi con l'agricoltura, cioè parlando con addetti ai lavori. Lo trovai usato per indicare la raccolta dei cereali o simili, i quali vengono sottratti al decadimento sul terreno, quindi innalzati e preservati al chiuso ma senza particolari cautele, consentendone così anche una evoluzione diversa. Difatti a seconda di luogo e modalità di conservazione, il prodotto agricolo muta.
La parola, così spiegata, può rimandare all'altra, silo o silos, di solito grandissimi contenitori dove si accumula materia granulosa o trattabile come si tratterebbero accumuli di polveri. Questa dizione viene dal latino sīru(m), dal greco σιρος, variante σειρος (ho riportato i termini senza accenti), col significato di "buca da grano". In greco σειροω significa 'colare, filtrare'. Secondo gli esperti che mi fornivano ragguaglio, i cereali accumulati nei silos sono soggetti a sorta di autofiltraggio, abbandonando gli umori o pure altro verso il basso, anche senza lasciare niente di particolare sul fondo, replicando la condizione di prima della raccolta ma non duplicandola, 'come se i chicchi fossero saltati indietro di nuovo sulle piante' (espressione che sentii dai contadini stessi).
Il termine resilienza storicamente deriva dal latino resiliens, participio presente del verbo resilio, che significa "saltare indietro; ritornare di corsa, affrettarsi a retrocedere; rimbalzare; ritirarsi, restringere; rinunziare, disdire" (dal Vocabolario della lingua latina IL). Dato però che la derivazione è dal participio*, non ci si può avvalere di questo elenco per dire qualcosa di preciso e definitivo sulla formazione e il significato della terminologia italiana 'resiliente, resilienza'. La mia esperienza a contatto con gli agricoltori, anche con quelli che utilizzavano ancora metodi artigianali, mi parve e mi pare assai preziosa e perciò l'ho menzionata.

Facciamo adesso un paragone con una parola di uso fondamentale nella religione cristiana, senza con ciò presumere tutta la precisione e concisione e universalità di un vero dizionario, ed evitandone pure le ristrettezze: resurrezione. Il senso si avvicina a 'risorgere', ma in tal ultimo caso la corrispondenza precisa è con risurrezione. Mentre 'ri' indica duplicazione, ripetizione, quindi (a suo modo) nuovo ed uguale evento, 're' indica ritorno e ripetizione, quindi anche nel senso di rafforzare rinnovando, nonché di continuazione e innovazione. Col dire 'risurrezione' ci si avvicina al significato di reincarnazione; dicendo 'resurrezione' un termine vicino è restaurazione. Entrambi i significati sono compresi nel dogma cristiano.

Nella Unione Europea il termine resilienza ha riscosso successo per dire delle azioni tese alla conservazione di forti disposizioni economiche, di grandi e tranquillizzanti capacità di portare avanti l'economia, ma soprattutto i politici lo usano nel senso di: non perdere, trattenere le risorse, conservare beni e capacità.
L'impiego politico, a livello europeo, è necessariamente legato alla economia, data la natura della UE. Riportato alle varie realtà nazionali e locali, ciò potrebbe risultare una perdita della autentica identità politica, che tenderebbe ad annullarsi nei semplici affari amministrativi economici.
In verità la politica di sinistra di impronta marxiana o marxista, ancora assai forte, è da sempre fatalmente immersa nell'economicismo, al punto da non potersi nemmeno definire politica a tutti gli effetti. Per questa vasta "zona ideologica", la parola resilienza fa lo stesso effetto che resurrezione per i cristiani; diventa parte essenziale di una sintesi suprema. Ma che dire allora di tutte le altre attività? Il mondo contadino è eloquente: non esiste solo il lavoro di accumulo e conservazione-mutazione.
Diciamo che l'imperativo attuale che giunge dai vertici politici europei concerne un àmbito del Settore Primario fortemente volto al Terziario e basato sul Secondario, l'industria che produce i sistemi per fare la resilienza, la quale è connessa al servizio di distribuzione, per la destinazione finale (le mense dei cittadini...). Nella logica della UE ciò ha un forte valore di difesa del Primario e limitazione del Terziario, esigenza che era imperiosa già negli anni '70 del XX° Secolo e presente sin dagli anni '50. Ma nella logica degli Stati nazionali la resilienza , se considerata alla stessa stregua, finisce col privilegiare di nuovo il Terziario.
Sembrerebbe il marxismo, col proprio materialismo spinto, uno strumento per ridare il necessario vigore alla economia di base, primaria; eppure non è così. Il mondo operaio è da sempre l'oggetto privilegiato degli sforzi marxisti, i quali basano la loro sentenza di condanna verso il capitalismo su una considerazione spropositata del Settore Terziario. Il loro rimprovero di sfruttamento si basa infatti sulla pretesa che coi servizi si possa eliminare ed evitare povertà, gestendo diversamente il settore industriale, cioè il Secondario. Difatti questo è quello eminentemente economico ed il marxismo antepone l'economia alla ecologia, questa inerente direttamente alle basi naturali (del Settore Primario).
L'intellettuale di sinistra legato a Marx rimprovera gli accumuli di denaro e i giochi finanziari incantandosi nel pensiero dei grandi depositi alimentari, di tanta roba pronta alla diffusione sui mercati, senza domandarsi il dovuto su cosa accada per produrla e ottenerla; e vuole gestire la mediazione tra servizi e produzioni primarie, giostrando separatamente dal mondo dei bisogni primari. Egli misura tutto dalla industria e non comprende per quali difficoltà di base il mondo operaio è stato tanto afflitto, supponendo che basti una organizzazione sociale diversa a risolvere tutto e che perciò il capitale sia sempre segno di abuso. Il suo materialismo è volto alla astrazione della materia-una, sulla scia della imitazione del misticismo della "Grande Madre", la cui metafora egli tende a letteralizzare, trasformandone il riferimento oscuro del Dio o spirito nella materia in quello improprio della materia che è tutto, anche spirito. A seguire tale falso diktat un operaio non riuscirebbe più a maneggiare attrezzi differenti, per esempio di ferro o di rame, poi neppure di singoli, supponendo una materialità di base inesistente; e un contadino non saprebbe più capire lo stato del terreno e delle piante, che deve esser intuito comprendendo l'energia, non solo delle cose ma dell'ambiente; e il gestore dei servizi dopo aver arrangiato tutto con distribuzioni egualitarie si ritroverebbe in tilt. Accadde sotto Stalin e gli stalinisti, nel Blocco Est della Guerra Fredda.
Così, le "resilienza", che la sinistra porta dal Parlamento Europeo alle Amministrazioni Locali che essa gestisce o influenza, si trasforma in una forma di ebetitudine, riassumibile con l'immagine di un funzionario che visita dei silos e li trova pieni di cose sempre meno adatte o in sempre maggiore scarsità e non vuol mai andare per i campi a chiedersi cosa davvero stia succedendo.
A questo punto, l'antico significato greco che abbiamo incontrato nella ricerca linguistica, assume un aspetto meno oscuro: meglio le buche, invece che i silos moderni, meglio la resistenza silenziosa, che esporre i beni primari a intellettuali e funzionari in ostinati errori e supponenze.


* Ho tratto questa specifica informazione dal sito: https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/Resilienza.html


MAURO PASTORE
#292
Storia / Re: Santa Madre Russia
27 Ottobre 2024, 11:01:30 AM
Citazione di: InVerno il 22 Ottobre 2024, 12:03:34 PMC'è un passaggio, che non è circoscrivibile ad un singolo evento, ma ad un lungo processo, che ha portato la Russia a cambiare radicalmente la sua struttura e a contenere più "russie" al suo interno. Ovvero, quando la principale spinta economica cominiciò a derivare dal commercio di pelli e dall'avanzare degli avamposti transiberiani, il baricentro russo si spostò più a nord e molte zone prima fiorenti e dominanti diventarono subalterne, le zone a sud tra cui l'Ucraina diventarono meno importanti e si stabilì a nord un aristocrazia che aveva assimilato il giogo tataro mescolandolo con l'assolutismo francese.. le zone non interessate dal traffico siberiano, più agrarie, sviluppano un carattere diverso, e per vendere le pelli si sviluppano i porti del bacino baltico, di carattere più democratici e libertini. Una Russia con capitale Mosca e la sua piovra di controllo economico transiberiana, una con capitale S.Pietroburgo più baltica, borghese e aperta, e un altra con capitale Kiev, più agraria e gioviale. Non dovrebbe essere una sorpresa che la colonizzazione della Siberia abbia cambiato il carattere russo (e continua a farlo) tuttavia è un evento talmente poco conosciuto, anche per assenza di fonti scritte, che non viene quasi mai calcolato, così come le influenze tatare. Essendo stato in Siberia posso garantire che se non avessi sentito parlare russo e mi avessero detto che sono in North Dakota, probabilmente ci avrei creduto. Entrambi edificati sui tracciati dei cacciatori di pelli del 700 con vasti latifondi agrari, zone militari, comunità industriali, strade dritte e benzinai. C'è un incredibile somiglianza tra certi russi e certi americani, tra paesaggi e persone, ma il politically correct non consente di ammetterlo. Due fratelli europei, uno alla destra e uno alla sinistra, geograficamente e politicamente dell'unica vera Roma. Phyrosphera mi meraviglio di te che dai adito a certe eresie, terze quarte e quinte Rome... non è una borsa di Gucci che si può taroccare scrivendocelo sopra, Roma è il centro dell'occidente, non è un punto geografico, è Atlantide sommersa nella storia della sua caduta.
Riprendo in parte il contenuto del mio messaggio precedente (che ho corretto alacremente senza cambiare un solo significato, neppure un senso, cui rimando) per precisare che l'idea di una romanità imperniata sull'Urbe italiana di Roma e che va dalla Siberia all'America non può reggere proprio, per tanti motivi.

Adesso però vengo sùbito al dunque di questo nuovo comunicato.
La storia ufficiale della Rus' di Kiev (io conosco questa parola scritta con un apostrofo alla fine, non all'inizio) non è tutto per la Russia. Il Patriarcato di Mosca cita la Rus' come tutt'uno con la Russia, raccontando in poco una intera vicenda, la quale però differisce da quella dei veri e propri Paesi slavi. Nel caso russo il riferimento passa per la storia della ortodossia cristiana senza fermarvisi, senza la stessa storia di nascita nazionale, proprio perché il termine ultimo è a sua volta etnico, o anche solo politico, ma non religioso. Certo senza la mediazione cristiana ortodossa, non si potrebbe ritrovare in unità Rus' e Russia; però resterebbe comunque un legame fortissimo, non solo di stretta unione ma di identità con la vita del Nord; per cui la Siberia non può essere per i russi la scoperta di una vera e propria novità, come invece certe distese americane per certi europei.
Sicuramente il rapporto che i vichinghi Rus (non si confondano i due termini, rus e rus') ebbero con le terre siberiane e le tundre, non va attribuito ai russi, datoché non si trattò di discendenza né di seguito, ma di sorta di successione. Ciononostante l'incontro coi Rus mutò l'animo dei futuri russi, al punto che oltre che "Madre Russia" esiste l'espressione "Mamma Siberia". Il russo trova una rispondenza con o nella natura siberiana... che non è terra promessa perché è luogo di sopravvivenza (dato il clima...), ma neanche è luogo di conquista. Non è casa, ma mamma... Gli angusti termini del materialismo storico non possono contenere la memoria e il presente dei russi e della Russia (non a caso il Patriarca Kyrill ha recentemente ribadito la scomunica e il rifiuto per Marx, marxiani e marxismo). È inutile allora che si parli (tanto per dirne una...) di commerci di pelli per spiegare qualcosa sulla identità dei russi. Peraltro dietro i tuoi, vostri ragionamenti, si può o potrebbe nascondere anche un pregiudizio. Se si pensa che un russo siberiano sia tale per un commercio, allora si finisce anche per accusare ingiustamente quei Rus, in sèguito ai cui arrivi nacquero le Rus', che erano più di una (lo testimonia la necessità della ricorrente specificazione, "di Kiev"). Mi si consenta una digressione.
La verità è che i vichinghi nelle terre settentrionali dell'Est, e tra Est ed Ovest, cambiarono di posto agli schiavi e ai padroni fino a che non annullarono tutte le schiavitù in quei luoghi. Le apparenze narrate, di lacci, umiliazioni e peggio, sono tali solamente, non attestano i fatti per quel che erano. Provo a spiegare un po' la faccenda, che non è esoterica nel senso che molti vorrebbero intendere. Lo stato di sopravvivenza proprio del vichingo non lo poneva in condizioni di essere uno cui obbedire in tutto, sia da parte di inetti in necessità o obbligo di essere diretti in tutto (la "schiavitù" presso i romani) sia da parte di capaci posti in necessità o obbligo di insegnare tutto a degli ignari. Il vichingo Rus non poteva ricevere competenze per vivere né darne per far vivere. Non poteva esistere per lui ruolo di schiavo né di padrone. Per la società medioevale europea, ma pure per la civiltà asiatica di quei tempi, il suo arrivo segnava il sapere di una alienità destinata in un certo senso a restare tale. Così per l'uso delle armi: lo stato di sopravvivenza del vichingo era infatti anche stato di eccezione, non consentiva incontri tra nemiche intenzioni; un guerriero non sapeva come interagire con delle armi alle armi del nuovo arrivato rus e questi parimenti non poteva iniziare alcunché. Il racconto tradizionale dell'Est più noto riguarda il cosiddetto balaclava, sorta di passamontagna: non si capiva perché mai il vichingo-variago lo portasse, e se si provava a capirlo, nel mostrarsi egli senza indumento non si capiva lui cosa volesse, cosa fosse venuto a fare; e accadeva un grande cambiamento. Le vere incursioni vichinghe, cioè, erano diverse da quanto comunemente ritenuto. L'ostilità reciproca, se v'era, non poteva tradursi in violenza; se accadevano tragici fraintendimenti questo è un altro conto. Mentre la fama dell'esercito longobardo era di imbattibilità (Carlo Magno impiegò i franco-longobardi per vincere degli ex longobardi, non vi fu mai vera sconfitta longobarda sul campo, neppure coi soldati bizantini, di fronte ai quali il vero esercito longobardo non volle combattere), quella dei guerrieri vichinghi era di impossibilità ad ingaggiare con essi una vera battaglia... Il russo che fa la guerra non è il rus ma c'è attinenza, somiglianza; e ugualmente con l'economia — ma non ci si illuda che gli attuali scontri armati siano veri e propri scontri di guerra; peraltro l'operazione militare russa in Ucraina è presentata dal regime di Mosca quale intervento di polizia internazionale!... L'economia vichinga affondava le sue radici in rapporti con gli ambienti preclusi ai non vichinghi; similmente i russi; per cui mettersi a fare materialismo storico marxiano o filomarxiano per raccontare le espansioni russe in Siberia non funziona. Il famigerato esilio siberiano, fino a quando c'erano gli Zar, aveva lo scopo di dare una opportunità ai malviventi di capire ancora qualcosa su come deve vivere un russo; perché tale vita non si fonda sui rapporti civili che sono la norma in Asia e che per tantissimi europei sono di irrinunciabile utilità.

Io questo non lo ho scritto basandomi sui viaggi; la cultura e... l'arrivo del vento dalla Siberia qui in Italia, anche dove vivo, mi sono stati determinanti, anche se il mio modo di reagirvi è distinto da quello dei russi.
Mi sono permesso di comunicare qualcosa di più, perché c'è la situazione tragica del conflitto armato e della russofobia; questa a nulla vale negarla, come invece molti (anche qui su questo forum) si illudono.
Ho fatto un po' di dietrologia, ma il lettore non trova un retrobottega chiuso da una porta serrata; semmai una visione che va oltre un fossato e senza un ponte per passare, ma non ho inventato io questa situazione. Nella fattispecie, è il destino umano. L'umanità non è una sola moltitudine, non individui tutti uguali.


MAURO PASTORE
#293
Storia / Re: Santa Madre Russia
27 Ottobre 2024, 08:56:35 AM
Citazione di: InVerno il 22 Ottobre 2024, 12:03:34 PMC'è un passaggio, che non è circoscrivibile ad un singolo evento, ma ad un lungo processo, che ha portato la Russia a cambiare radicalmente la sua struttura e a contenere più "russie" al suo interno. Ovvero, quando la principale spinta economica cominiciò a derivare dal commercio di pelli e dall'avanzare degli avamposti transiberiani, il baricentro russo si spostò più a nord e molte zone prima fiorenti e dominanti diventarono subalterne, le zone a sud tra cui l'Ucraina diventarono meno importanti e si stabilì a nord un aristocrazia che aveva assimilato il giogo tataro mescolandolo con l'assolutismo francese.. le zone non interessate dal traffico siberiano, più agrarie, sviluppano un carattere diverso, e per vendere le pelli si sviluppano i porti del bacino baltico, di carattere più democratici e libertini. Una Russia con capitale Mosca e la sua piovra di controllo economico transiberiana, una con capitale S.Pietroburgo più baltica, borghese e aperta, e un altra con capitale Kiev, più agraria e gioviale. Non dovrebbe essere una sorpresa che la colonizzazione della Siberia abbia cambiato il carattere russo (e continua a farlo) tuttavia è un evento talmente poco conosciuto, anche per assenza di fonti scritte, che non viene quasi mai calcolato, così come le influenze tatare. Essendo stato in Siberia posso garantire che se non avessi sentito parlare russo e mi avessero detto che sono in North Dakota, probabilmente ci avrei creduto. Entrambi edificati sui tracciati dei cacciatori di pelli del 700 con vasti latifondi agrari, zone militari, comunità industriali, strade dritte e benzinai. C'è un incredibile somiglianza tra certi russi e certi americani, tra paesaggi e persone, ma il politically correct non consente di ammetterlo. Due fratelli europei, uno alla destra e uno alla sinistra, geograficamente e politicamente dell'unica vera Roma. Phyrosphera mi meraviglio di te che dai adito a certe eresie, terze quarte e quinte Rome... non è una borsa di Gucci che si può taroccare scrivendocelo sopra, Roma è il centro dell'occidente, non è un punto geografico, è Atlantide sommersa nella storia della sua caduta.
Inizio dalla fine del tuo messaggio.

Tu sei per un'unica Roma, che pensi la sola Roma. Io non solo non sono contro questa idea, ma la accolgo, l'ho sempre accolta; il punto però è questo: cos'è questa  R o m a?
È solo una città? Solo l'Urbe (quella di adesso, nel Lazio, è un'altra dalla antica; e neppure le rovine ne parlano...), o anche una 'Civitas'? Solo una Urbe e una Civitas (quest'ultima in realtà è nell'attuale Istanbul, sede del Patriarcato di Costantinopoli, come la città di Roma in Italia lo è del Papato, ma all'inverso), od anche una 'Societas'? Quest'ultima è detta Terza, dato che la Nuova Roma (Bisanzio-Costantinopoli-Istanbul) viene dopo l'antica, e il computo fa tre. Questa Terza Roma è a Mosca, in Russia...
E cosa ho da dire? Che si tratta di capire il mondo ma di capire la stessa idea di Roma, per notare che la città che si chiama ancor oggi Roma, sita in Italia, quindi il suo proprio mondo, non contengono e non possono contenere tutta questa idea. In senso assai pratico, si può comprendere che la realtà urbana di Roma non attesta parimenti la sua civiltà. Se volete conoscere questa in un luogo, dovete fare il viaggio fino in Turchia; e potreste trovare dei romani qui in Italia che ve lo mostrerebbero in vari modi. Uno assai divertente è mostrare fino a che punto si può perdere in buon senso ed educazione illudendosi di trovare nel Lazio un posto dove la civiltà romana è di casa. Dal punto di vista civile, quelli dell'Urbe italiana detta Roma non sono romani. Li si trova laziali, italiani e quant'altro, e romani in altro, per altro e non in tutto.
Pure, se vi recate ad Istanbul e cercate il "quartiere bizantino", se avete a che fare con la comunità cittadina costantinopolitana e v'illudete di poter fare tanta vita sociale... allora dovrete fare un altro viaggio, fino a Mosca... E potrebbe capitarvi tutto solo incontrando delle persone delle tre città, o dei rispettivi tre mondi, o solo contemplando il pensiero su cui essi sono basati...
Ma ultimamente si fa presente sempre con maggiore urgenza che neppure queste tre bastano per capire sufficientemente  R o m a. Se ne dice di una Quarta, secondo alcuni da costruire, per taluni invece un non-luogo. Si è sentito dire che esiste già, delocalizzata, virtuale già da prima della Rete Internet.

Religiosamente, mancherebbe all'appello assieme a cattolicesimo ed ortodossia l'evangelismo; e sicuramente troviamo così la Roma biblica, non storica, teologica, secondo le lingue nazionali moderne, non quella delle tradizioni.
Politicamente, l'Istituzione ufficiale imperiale ancora rimasta in piedi è in Giappone; luogo dal quale io conobbi anche una cultura ellenista (musicale e non solo) e pure un pensiero di Roma. Ma come per il Basileus e ancor più per gli Zar questo pensiero era solo uno tra i tanti, così e di più nel Paese del Sol Levante. Ciononostante, qualcosa è o sarebbe sempre meno che niente!

Invece tu e tanti altri pensate solo a una Roma tra le tante, le cui glorie sono passate e che erano diverse da come le immaginate. La tua immagine della caduta di Atlantide lo mostra... Ma qui io sento di dover passare a un interrogativo e di altro tipo: sei tanto sicuro che la menzione della perduta Atlantide ti funziona, o dovresti contemplare l'immagine di Platone, meditare la sua origine fenicia (una origine, dico)... provare a sognare la sua mamma invece che legare Roma a una urbanità, invece che relegarci la  i d e a  stessa?

Divagazione a parte, è passato tanto tempo da quando in tivù mostravano dei residenti di Roma esibire odio e senso di superiorità verso i cosiddetti "zingari", stanziati nella "città eterna". In Russia non poteva accadere questo, perché lì non si avverte distanza tra zingari e romanità, tutt'altro — dato che la Terza Roma riconosciuta da Bisanzio non reca continuità come la Seconda dalla Prima. C'è una continuità politica, ma non mondana; e quest'ultima si era interrotta pure nella stessa Bisanzio. Il fatto per esempio che negli imperatori macedoni di Bisanzio si scorga una fortissima alterità rispetto alle antiche gentes romanae, non significa che la Nuova Roma era una frottola o un inganno! E se si scoprisse che il Casato dei Romanov non aveva rapporti con l'Italia se non politici, non ci si dovrebbe rifiutare di riconoscerlo romano, e senza sognare dipendenze!!

Se tutto questo destino è poco, allora si consideri il resto che c'è in  R o m a   e non si faccia un idolo della odierna capitale italiana. Non conviene neppure all'Italia.


Del resto che volevo dire (in particolare sulla Siberia), nel prossimo messaggio.



MAURO PASTORE
#294
Citazione di: PhyroSphera il 15 Agosto 2024, 21:17:45 PMLa Bibbia è un tomo fatto di tanti libri... Umorismo a parte, io non stavo pensando a dei libri quando vi dicevo di rapportare il vostro pensiero a un oggetto appropriato. Si sente da parte tua una abitudine alle convenzioni.
Tu dici le illusioni, anche Leopardi ne diceva. Se la voglia di sapere di un uomo è eccessiva, gli restano le illusioni, oppure queste sono i sogni che ci fanno conoscere la realtà. Ma nella vita ci sono tante cose e il rapporto con l'Assoluto pure può essere vario.

Sicuramente il tuo ragionamento sullo scegliere di non scegliere e le leggi divine è corretto. Quello che va aggiunto ad esso, come tentavo di far comprendere con un mio messaggio di un po' di tempo fa', è il rapporto col lato negativo del mondo. In tal caso ci troviamo nella situazione opposta: non dobbiamo abbandonarci, come si fa invece con la realtà di Dio. Ciò significa quindi una limitazione dell'arbitrio, perché comunque non possiamo fare tutto ciò che vogliamo. L'arbitrio è da considerarsi libero solo nella misura in cui non lo consideriamo in rapporto con la Realtà Ultima o l'imprevedibilità del negativo. Difatti l'universo è infinito. Certo non in senso assoluto come Dio, ma pur sempre una infinità che a fronte delle nostre capacità costituisce una limitazione... E dato che nel mondo esistono gli imprevisti non solo positivi, ecco che dobbiamo tener conto di questo. Infatti, dicevo in quel precedente messaggio, anche durante i processi si dovrebbe valutare i limiti del nostro arbitrio. Lo si dica in termini cattolici, evangelici, ortodossi, o orientali, la sostanza non cambia. Nel caso del negativo il nostro limite si esprime nella necessità di doversi rifiutare a farsi travolgere dalle evenienze. Cioè: in tal caso siamo del tutto responsabili dell'abbandono al negativo, poi non possiamo capire in quali guai ci siamo messi, potendone uscire solo ricorrendo al principio assoluto (Dio, appunto). Rispetto all'Assoluto, all'Eternità, abbiamo il limite opposto: non ha senso guardarsi da Dio, non significa niente provare ad evitarne le azioni. Invece con le insidie del mondo è necessario il rifiuto.
Dicevo in quel messaggio, del fatto che dai tempi di Lutero ad oggi le legislazioni degli Stati europei e di molti altri Stati sono cambiate, indipendentemente dalla accettazione o non accettazione della Riforma. Ma restano situazioni da correggere. Spesso non si vuol capire dei casi dei criminali la differenza tra l'abbandono volontario al negativo e l'incomprensione che ciò crea in loro stessi. Non si tratta ovviamente di non potersi fermare o non più fermare dal delitto, ma del fatto di non capire il potere del negativo cui ci si è abbandonati. Penso che negli USA non riescano ad abolire la pena di morte perché in un modo o nell'altro c'è qualcuno che non vuol badare a questi principi.


Mauro Pastore

In questo messaggio qui sopra lamentavo la situazione giudiziaria derivante dal non comprendere che a fronte della massima negatività del mondo il nostro arbitrio è limitato, dobbiamo cioè praticare un rifiuto senza dover esercitare tutta la nostra libertà. Quindi a chi commette un delitto deve essere imputata la circostanza in cui si è messo ma senza illudersi che egli ne sapeva più di tanto. Ciò aiuta i giudici a non sbagliare e gli imputati a difendere i propri diritti. Guardate il video al link seguente:

https://www.ansa.it/sito/videogallery/italia/2024/10/25/turetta-piange-in-aula-incolpavo-giulia-di-non-poter-portare-avanti-la-mia_1e1540d8-00ee-43dc-9285-9b29f8ee4598.html

Non vi pare che il presunto colpevole manifesti uno sforzo di troppo, forse non per propria decisione? Sembra che (in ogni caso) gli sia stato richiesto un resoconto che non potrebbe mai essere rispondente a un atto commesso da un uomo. Sembra cioè che lui confessando di aver ucciso la sua compagna sia spinto, non saprei se da altri o sé stesso, a fornire una versione esagerata dei fatti, irreale, forse in presenza di un auditorio un poco sognante e troppo poco realista. A tratti si ha l'impressione — vagamente dai modi — che sia costretto (autocostretto?) ad ammettere una responsabilità in più, a mostrare una coscienza, nel fare delitto, che non può esistere per nessun essere umano. Come se dovesse fornire il resoconto dell'attacco di un bufalo o un caprone o di una pietra che si stacca e fatalmente travolge qualcuno!
D'altronde, mi pare di ricevere pure l'impressione di un certo fatalismo, un senso fatale dell'abbandono, come se volesse dare a vedere di non essere stato lui a volersi mettere in una situazione troppo negativa per essere gestita favorevolmente alla vita, cadutoci per caso e non per responsabilità.
Certo in tal caso durante il processo c'è da chiedersi, a prescindere dalle eventuali dichiarazioni di colpevolezza dello stesso imputato, se sia stata una vera scelta o se qualcuno lo abbia costretto. Ma in tal ultimo caso, si tratterebbe di spostare il nostro ragionamento su un'altra persona, o supporre non un vero crimine ma un incidente dovuto a tragica incomprensione. Nel caso del link, si può ipotizzare, per esempio, una richiesta di suicidio da parte della persona poi uccisa, per via di un estremo fraintendimento.
Ciò, riguardo ai rapporti dell'arbitrio col Negativo.
Riguardo a quelli con l'Assoluto ovvero Dio, inutile sarebbe richiedere a un credente di spiegare come ha fatto per trovare la fede. Nel caso di un imputato in un processo che si dichiari credente, bisogna evitare di pretendere dimostrazioni di una propria buona disposizione verso l'oggetto della propria fede, sarebbe sbagliato screditarlo, ritenerlo un bugiardo nel dichiarare il suo rapporto con l'Assoluto cioè Dio rimproverandogli di essersi trovato con una fede senza procurarsela proprio lui.


Nel discorso filosofico o nel dibattito culturale, ma pure a suo modo in un qualunque dialogo, non si dovrebbe pretendere dall'interlocutore o dal contendente di accettare una forma particolare di pensiero, di espressione. Chi usa dire "servo arbitrio", chi no; e non è questo il punto; chi racconta in un modo, chi in un altro, e non si tratta di uniformare idee e omologare concetti.



MAURO PASTORE
#295
Quest'oggi sono stato alle prese con un'altra pubblicazione di Byung-Chul Han, Infocrazia.
Ho letto un po' dell'inizio, che fa un'impressione quasi monumentale, ma con un difetto, manca la specificazione: di quale capitalismo si sta dicendo, qualsiasi o uno in particolare, per esempio quello selvaggio additato dal papa polacco (l'autore ha anche studiato teologia cattolica)?
E una volta descritta la estrema aberrazione dell'uso violento e pervasivo delle informazioni nella 'era di internet e del digitale', si può davvero attribuirne a un potere politico, a una '-crazia'? Quando il torto è troppo non ci può essere vero potere della politica ma solo nella politica.

Il libro Infocrazia è del 2021, due anni prima (secondo date delle pubblicazioni originarie) della proclamazione della "crisi della narrazione", da parte dello stesso autore.
Tra le Grandi Narrazioni che nella Età del postmoderno finivano v'era pure quella di Marx ed Engels col loro Manifesto. Dopo lo spartiacque della caduta dell'URSS, il marxismo restava senza il proprio racconto fondatore ma senza abbandonarne il linguaggio. L'incubo del borghese cattivo, responsabile della indigenza diffusa nel mondo e con un piano assolutamente spietato per sfruttarlo, il sogno della fatale superiorità morale e sociale del proletariato: da elementi di un prepotente e falsificante schema intellettualistico a insistenti e invadenti (più di prima, forse, senza i fronti ideologici contrapposti) relitti del discorso pubblico culturale, organizzati comunque in una storia, narrati... Non è forse anche questa residua narrazione di sinistra quella che odiernamente sta cadendo? Tutte le cadute sono un male o sono un vuoto?

Il 'capitalismo infocratico' esiste ma va distinto dalla organizzazione violenta e superficiale dei dati attuata dalla degeneazione propriamente dicibile neoliberista. La versione dei fatti che accomuna cose differenti ed altre sotto una unica accusa, che confonde una forma generale, quella del potere del capitale, con una sua insensibile e distratta applicazione fra tante, non è una narrazione che deve entrare in crisi, mentre altre innocenti perdurare?
(La domanda è retorica, per chi ha seguito il mio ragionamento.)


MAURO PASTORE
#296
Quest'oggi ho fatto tappa in libreria dove ho dato un'occhiata a un libro, Sull'arroganza, Saggio di psicoanalisi, di G. Civitarese; e ho ripensato a questa discussione qui su questo forum.

Arroganza o hybris... Quale patologia da curare, anche della stessa psicoanalisi — dall'autore purtroppo ridotta a una, quella malsana dei freudiani "ortodossi" ossessionati dalla figura mitica di Edipo, la quale essi non comprendono nel suo valore archetipico e nella sua non centralità psichica, oltre che non unicità... O quale natura ineliminabile del soggetto umano.
Certo nel libro si usa un linguaggio pessimo... Difatti dire hybris non è come dire psiche: quest'ultimo è termine acquisito, il primo solo importato... L'autore oscilla tra linguaggio di stampo criminologico — l'arroganza, che è pure dei molestatori... — ed espressione di tipo etnico — la hybris, che è un concetto universalizzabile a patto di non fraintendere o abusare la cultura greca classica, dai freudiani e i loro compari trattata come un cadavere illustre, essendo invece anche un retaggio vivo...
Tuttavia (linguaggio a parte) si avvia una critica al sistema sanitario comunemente imperante, che appunto convince o obbliga o seduce a trattamenti tesi a eliminare l'ineliminabile, a produrre sorta di gentilezza, irreale, tendendo, in casi estremi di apparente insopportabile aggressività, direttamente verso la non-vita (questo non lo ho trovato scritto in suddetta pubblicazione, durante la mia rapida, brevissima ma strategica scorsa di alcune sue pagine).

Insomma la vera e propria hybris è un dato connaturato alla vita greca, la cui manifestazione è a torto imitata e avversata. Anche il mondo non greco ne ha il corrispettivo. Direi che unitariamente, antropologicamente, si potrebbe definire tale elemento: pre-potenza, non nel senso necessario di ignoranza dei limiti.


MAURO PASTORE
#297
Citazione di: Visechi il 20 Ottobre 2024, 22:41:24 PML'animale uomo agisce ed è agito in funzione di due moventi, istinto o emozione (che è assai più del semplice istinto) e ratio. Questi due moventi (tali sono, perché entrambi concorrono, spesso in disputa fra loro, a determinare l'agire umano) convivono all'interno della camera magmatica che offre loro ostello, in un equilibrio instabile e assai precario. Giacché siamo ANCHE e soprattutto animali di relatio, l'impegno che profondiamo quotidianamente, che altro non è che il vivere d'ogni giorno, è proprio cercare di mantenerli in equilibrio entro un range di compatibilità col mondo circostante.
La precarietà è praticamente la norma per l'essere umano, non un accidente, come mi pare tu voglia raccontarci. Fra l'altro, non capisco per quale motivo se l'istinto (continuerei a definirla sfera emotiva/sentimentale) dovesse essere soggiogato (utilizzi il verbo prevalere) dalla razionalità 'bisogna lasciarlo agire'. Perché mai e a qual fine... per recuperare un equilibrio 'rotto'? Direi che è assurdo. Né la psicologia né l'antropologia(?) – forse alludi alla psicologia sociale, che appunto dell'interazione fra individuo e sistemi antropici complessi si occupa – sosterrebbero una cosa simile.


Filosoficamente (e non solo) si può dire:
 che la sfera irrazionale precede e motiva quella razionale - così avviene la e  nascita dell'uomo, nell'irrazionalità, ma così è anche la genesi del pensiero, di ogni pensiero ogni giorno!;

Il fatto che la sfera irrazionale preceda e motivi (non sempre) quella razionale attesta e testimonia semplicemente circa la nostra primigenia animalità. Da questa quasi tautologia non puoi dedurne o inferire che l'innegabile naturale tensione (non una necessità) dell'animale uomo verso la trascendenza sia necessitata dall'esigenza di "trovare la possibilità di un autentico e favorevole agire umano nel mondo". Questa è una forzatura indebita ove il necessitante è necessitato in maniera ideologica.
In poche parole: il paralogismo testé evidenziato espone l'ideologismo a base e fondamento dell'intera tua requisitoria. Poco dopo, infatti, scrivi in maniera spericolatamente assertiva che "la dottrina teologica nota..." la necessità di un'inclusione che solo una radicata ideologia (non fede) può notare, poiché indimostrata ed indimostrabile. Dio non è necessario per dare senso e direzione giusta alla nostra vita. Troppe biografie smentiscono categoricamente questa assurda pretesa ideologica. L'agire umano si "salva (e si danna) dal non senso" da sé, senza alcun bisogno di ricorrere ad entità soprannaturali, che nella tua algida esposizione appaiono (appare) come un tappabuchi voluto e preteso non da un sommovimento emozionale, ma da una ratio indagatrice che, seppur negandolo, tende ad escludere o tacitare il caos in cui e da cui siamo generati. Quel che tu pensi come 'impossibilità di vivere' (in chiusura del tuo intervento) che chiama Dio e la fede a garantirci dal Nulla entro cui saremmo destinati a sprofondare, è sempre e solo frutto del paralogismo che lo genera e che lo tiene in piedi.


La tua replica non è commisurata al mio messaggio, giacché essa si basa su una riduzione psicologica: quel che la stessa psicologia riflettendo sui propri limiti rimproverò a Freud, cui E. Fromm imputò la costruzione di una falsa antropologia, un fittizio Homo Psicologicus (che Freud ancora più assurdamente poi abbandonava per il ritorno alla prospettiva neurologica). Tutto quello che dici su razionale e irrazionale è smentito dalla scienza antropologica. Questa si può occupare di mente e corpo contemporaneamente, ovviamente senza entrare nello specifico, occupandosi genericamente di umanità.
La tua obiezione alla mia affermazione del bisogno dell'Assoluto ovvero di Dio, nei casi estremi del Dio cristiano, è dogmatica ma — a differenza delle analoghe affermazioni delle religioni — non è sostenibile perché il dogma ha senso quando è una inesplicabile traduzione di quanto offertoci dal Mistero, non per sostenere che la precarietà umana non è veramente tale, come fai tu.
Io non ho descritto una esistenza al riparo dal rischio, tutt'altro. I rapporti uomo-Dio non accadono deterministicamente e quindi io so bene delle difficoltà della vita; è la tua pretesa di autosufficienza umana che è un ottimismo di troppo.
Il ricorso sociologico che tu tenti è vano, difatti la possibile decadenza umana (che non è una crisi psicologica) da me indicata accade proprio in quanto la relazione sociale è intrinsecamente insufficiente a una sicurezza.
Il fatto che la ricerca antropologica arriva sulla soglia della riflessione teologica e cristologica sulla salvezza non è in conflitto con l'osservazione di sociologi, psicologi, antropologi, i quali anzi sanno benissimo che la fede è in un modo o nell'altro necessaria alla vita — ammesso che costoro siano informati sui risultati raggiunti dalle loro scienze.
Sbagliando su antropologia (e teologia), tu mi imputi un paralogismo ma sei tu che lo commetti, occupandoti dell'elemento antropico come fosse quello psichico e attuando quel che in psicologia analitica viene detto proiezione. Così da un errore passi a un altro.
Ultima cosa: la Trascendenza indicata dai monoteismi non salva per una naturale tensione. Si tratta di eventi non accadimenti naturali. Prova a riflettere meglio su quanto avevo ed ho scritto in questa discussione... E ugualmente direi a tanti come te. Si percepisce in voialtri supponenza e insufficiente rispetto per il pensiero. Pensare anche a Dio non significa essere infantili.

MAURO PASTORE
#298
Storia / Re: Santa Madre Russia
21 Ottobre 2024, 10:33:55 AM
Purtroppo lo scontro armato in Ucraina imperversa e mi sento motivato a scrivere qualcosa sulla Russia nonostante l'odio che rende critica la propagazione di messaggi sull'argomento. Quanto segue è venuto attraverso la cultura (musica, letteratura, filosofia), a causa di incontri anche con persone politicamente impegnate, per affinità, e altro ancora.


Il termine "Russia europea" pare in disuso ma ha ancora un significato. Anche quello "Russia Orientale", ovvero in Asia. Geograficamente è così, perché Urali, Mar Caspio e Caucaso non sono come dei confini arbitrari posti da contadini. Segnano delle differenze climatiche e delle diversità morfologiche. Geograficamente è però constatabile anche l'appartenenza di Europa ed Asia a un unico Blocco Continentale (eurasiatico, appunto). Per tale ragione le terre russe sono ripartite morfologicamente, non solo politicamente, fra i due Continenti.

Dalla geografia alla etnologia.
La zona europea della 'Russia' comunemente detta è assai vòlta alla vita euroasiatica ma questo non è tutto. Prendiamo ispirazione dalla architettura: accanto alla rappresentatività del Cremlino ci sono anche gli edifici classici di Pietroburgo...
D'altronde le terre russe sono anche terre polari, per clima o per collocazione (le isole del Nord), e questo avvicina inevitabilmente alla Europa, il Continente tutto a Nord del Globo. L'estremo Nord caratterizza la vita russa, nella sua essenza non asiatica... Ma si è variamente russi, anche solo in poco. Si scopre così che la comunità russa è fortemente multietnica.
Essere "russo" non significa essere 'russiano'. Infatti il rapporto coi luoghi della Russia, data la forte azione della natura artica, impone, per essere stretto, una sorta di distacco.

Dalla etnologia, alla politica.
Non esiste solo la Russia etnica. In parte decisiva per la ideologia religiosa e politica della Terza Roma, esiste anche una appartenenza parziale. Essere russo significa in tal senso essere cittadino russo, o pressappoco. Quindi esiste un livello politico che non partecipa della vita etnica, ma ne è indubitabilmente relazionato o relazionabile.
Attualmente la Russia europea ha il proprio Stato tutto europeo, la Bielorussia. A rigore, si è sempre detto di Russie.
La politica della Russia, la federazione che fa capo al governo sito in Mosca, è stata negli ultimi tempi contraddistinta da un certo isolamento da quasi tutta l'Europa, tragicamente continuato ed aumentato col conflitto armato in Ucraina. Ciò dopo la drammatica decisione sovietica di istituire durante la Guerra Fredda la Cortina di Ferro col Blocco Ovest, barriera doganale anche per i cittadini la quale includeva nei propri confini anche l'Est Europa, anche questo chiuso al restante Occidente. L'attuale isolamento non è paragonabile a quello voluto dal regime sovietico.
Si deve assolutamente affermare che la Unione Sovietica non era una entità tutta russa. I confini più ampi, già ai tempi degli Zar, non significavano territorio tutto russo. Con Lenin c'era ancora meno russia. Con Stalin e lo stalinismo la vita etnica fu limitata e anche avversata per costruire la società comunista. Il racconto di alcuni dissidenti è durissimo: ad esempio, i russi etnici erano sempre trattati da omosessuali e l'omosessualità punita fino a provocare la morte anticipata; i rapporti tradizionali con la natura impediti perché troppo particolari...
Dato che i russi non sono russiani, se ne trovano spontaneamente anche fuori Russia, etnicamente od eventualmente con la politica. Dato che si può essere russi e assieme qualcos'altro, vi è una etnicità russa in varie parti delle zone pertinenti. Purtroppo i regimi ostili a Mosca in Ucraina hanno di fatto rifiutato di accettare questa vita. Ciò equivale proprio a impedire a un alpino italiano di essere tale come gli alpini francesi, svizzeri, austriaci. Peraltro della strage per fame perpetrata dal regime sovietico nel Paese contro chi rifiutava la comunistizzazione (milioni di morti) si fa conto che essa non era anche per i russi-ucraini, offrendo un concetto del tutto sbagliato sulle relazioni tra russi e non russi dell'Ucraina. La russofobia imperversa anche altrove che nell'odierno Stato ucraino.

Un po' sulla religione.
Si è detto di Roma, e ciò non interessa solo la sfera religiosa. L'Impero degli Zar in Russia era anche il sèguito di quello medioevale di Bisanzio, dopo i Cesari della Antica Roma. Religiosamente però per i russi conta più il rito greco che la romanità. Soprattutto però la Chiesa Ortodossa Russa si presenta come chiesa originale: tra i cristiani, rappresenta una radicale differenza e unicità; ma pure oltre la sfera etnica e politica e con un proprio universalismo.



Mauro Pastore
#299
Citazione di: green demetr il 14 Ottobre 2024, 00:34:18 AML'ho riletto, ma continuo a non capire.
A mio avviso anche i simboli devono avere a che fare con un io che li razionalizzi.
Mentre tu mi dai dell'ateo che non vuol vedere che questi simboli esistano.
Se i simboli devono diventare qualcosa di universale, io non sono d'accordo.
A mio modo di vedere anche il simbolo è legato totalmente all'io individuale.
Che il sole sia un simbolo universale lo giustifico per esempio col fatto, che tutti quanti noi, in quanto viventi, abbiamo a che fare col sole, con gli alberi, con i fiumi etc...ma se creo l'unicorno, è una faccenda privata, non esistono unicorni universali.
Se è questo che intendevi dire con "non vuoi vedere" ci sta.
Ma non sono sicuro che sia così.
Se ti va, visto la lapidaria risposta, puoi meglio distinguere.
Ciao!

Io avevo detto: rilegga quello che lei stesso ha scritto.
Il resto che lei ha aggiunto è fuorviante. Il fatto che il simbolo ha a che vedere con l'Io non significa che è ridotto alla logica dell'Io. Esiste anche la logica del Sé nella nostra mente e se uno psicologo si interessa di poco non deve stravedere su quello che fa e negare i giusti discorsi altrui, tantomeno tacciarli di fantasiosità. Sarebbe disonesto e anche pericoloso per il prossimo.

P.S.
Lei può capire benissimo che non ho cominciato a usare il lei per ricevere un ciao. A chi non vuole confidenze, non dia confidenze. Parlare di simboli psichici non significa entrare in confidenza con la mente del prossimo. L'ufficio del bastian contrario è vietato dalla Légge.


MAURO PASTORE
#300
Citazione di: green demetr il 14 Ottobre 2024, 00:53:15 AMMa su questo siamo d'accordo.
La religione nella visione giudaica è quel movimento popolare che preserva le conoscenze spirituali a cui si dedicano i rabbini.
Il giudaismo poichè sempre attaccatto nei secoli ha dovuto di necessità fare virtù. Il suo stato di minoranza è ciò che lo ha sempre salvato, ed è ciò che ci consegna la più grande morale, da cui come taurus ci insegna, ma come per esempio anche il cardinale televisivo accerta, il cristianesimo COPIA praticamente tutto.
Il problema del cristianesimo (ieri) e l'islamismo (oggi) è che da religioni di minoranza diventano religioni UNIVERSALI (ossia della maggioranza), e come detto giustamente da Taurus, meri strumenti del potere che le innalza a tali (universali appunto).
Ora quando si parla di rispetto, a me sembra sempre una questione mafiosa, cosa dovrei rispettare? il fatto che sei violenza pura?
Allora io parlerei di ubbidienza.
E fa senso vedere che il cristianesimo che ha sempre combattuto l'islamismo, a RAGION VEDUTA, ora addirittura chieda il rispetto dello stesso.
Le frasi agghiaccianti del papa alla giornata della gioventù a rispettare questa religione che impone l'uccisione degli ebrei e degli occidentali (piccolo e grande diavolo rispettivamente) dovrebbe far ragionare che qui non c'è nulla di spirituale.
E le persone che usano la spiritualità per non vedere il MALE è dovuta al fatto che non sanno, non hanno capito che la SPIRITUALITA' è RAGIONE.
Ragione spirituale, intelligenza divina, non dabbenaggine sentimentale.
Ma in questa sezione religiosa non voglio infierire.

Quindi si alla religione (giusnaturalismo) si alla spiritualità (salvezza), ma CON RAGIONE.


Questa coincidenza che tu fai tra giusnaturalismo e religione non sta in piedi, innanzitutto per i monoteismi il cui àmbito è il soprannaturale, ma pure per i paganesimi, la cui ricerca di virtù non si fonda sui giudizi ma sulle stime.
A partire da questa coincidenza che tu cerchi di avvalorare non c'è da capire niente di sufficiente e tutti i ragionamenti risultano inadeguati. Difatti il quadro che tu componi è falso, al di sotto di una comprensione minima.
Innanzitutto bisogna capire in cosa consiste una fede religiosa; quindi notarne le opportunità nella realtà, distinguendo i falsi dai veri credenti, senza supporre che a un libro o un oggetto sacro ci si debba rapportare pedissequamente o passivamente.

Tu vai scrivendo che la religione islamica impone l'uccisione degli ebrei e degli occidentali, che il cristianesimo copia il giudaismo... Quest'ultima è una sciocchezza che può essere smentita con uno studio adeguato o con una osservazione perspicace; la prima è una calunnia che può essere evitata distinguendo l'àmbito propriamente religioso dalle scelte politiche terroriste praticate da alcuni musulmani o sedicenti tali. Avresti voglia di procedere nel còmpito?
In che senso, per restare al caso menzionato, il contrasto tra mondo occidentale e mondo arabo non occidentale è religioso? Le Crociate sarebbero state sostituite da un altro conflitto senza il dissidio tra cristianesimo e islam? Tra sponda meridionale e settentrionale del Mediterraneo e tra continenti europeo e asiatico vi era una conflittualità precedente a tali contrasti religiosi. Sappiamo delle guerre puniche, delle guerre tra greci e persiani. Su queste cose va riflettuto con attenzione.

Quanto alle tue ultime righe, tanto supponenti: esse presentano degli errori non di àmbito teologico ma antropologico ed anche psicologico.
Psicologicamente: pensiero e sentimento non sono nei rapporti che certi filosofastri dànno a vedere col prossimo. La sentimentalità può essere anche soggetta a critiche da parte della ragione, ma il sentimento è di primaria importanza e non è fatto per essere normato dall'intelletto. Si sa che la degenerazione della ragione dell'epoca dei Lumi provocò una forte reazione, la Tempesta e lotta dei primi 'romantici'... Va di moda tra i filosofastri giudicarla come uno sproposito da squilibrati ma in realtà si trattava della giusta reazione psicosociale a una mortificazione di troppo.
Antropologicamente si può notare come istinto e ragione (psicofisicamente dunque) funzionano in un equilibrio, non secondo il prevalere della seconda sul primo. Quando questo accade, l'istinto preme e diventa primitivo e bisogna lasciarlo agire. L'antropologo si riferisce con questa osservazione al comportamento umano, non dell'uomo in qualità di semplice possessore di mente. Cioè si valuta l'agire umano rispetto al mondo naturale e a quello spirituale o, per meglio dire, civile e culturale.

Filosoficamente (e non solo) si può dire:
che la sfera irrazionale precede e motiva quella razionale - così avviene la nascita dell'uomo, nell'irrazionalità, ma così è anche la genesi del pensiero, di ogni pensiero ogni giorno!;
e che la sfera razionale agisce dopo senza sopprimere la forza emotiva e senza giudicarla, ma come compimento, realizzazione, dell'umanità.
Quel che di assolutamente importante la riflessione cristiana ha negli ultimi decenni messo in forte e adeguata evidenza è la necessità, da parte dell'uomo, di far riferimento a una Trascendenza per trovare la possibilità di un autentico e favorevole agire umano nel mondo. Per farla breve:
la scienza antropologica scopre che l'umano è un essere aperto, che non ha regole determinate nella sua azione;
e la dottrina teologica nota che in questa apertura è necessaria la inclusione di quel che le religioni, in particolare monoteiste, chiamano Dio, per dare senso e direzione giusta alla nostra vita.
In tal senso il Cristo è la manifestazione estrema, la rivelazione, del Dio che salva l'agire umano dal nonsenso. Quindi ragione e istinto possono entrare in un conflitto estremo, esiziale, risolvibile solo col ricorso all'Assoluto nella sua forma più vicina, per altro verso ancora più remota, alla nostra esistenza, cioè il Dio di Gesù Cristo.

Invece che snobbare e offendere la religione e la fede di Cristo, invece che sognare domini razionali inesistenti, dovreste riflettere sul dissidio che esiste, in voi, tra razionalità e istintualità; e riconoscere nelle dottrine teologiche, nei casi estremi quelle cristiane, un elemento insostituibile di salvezza.
Quegli intellettuali che cercano nella antropologia - esiste finanche quella medica ma il dissidio che ho detto è peggio di una malattia, cioè genera decadenza totale - la forza per rimediare ai guai della umanità attuale, possono trovare soltanto nella teologia una via al successo dei propri sforzi.
E' inutile da parte vostra concentrarvi sulla sentimentalità secondaria o di riflesso, sulla sua inadeguatezza eventuale; inutile accusare la dabbenaggine altrui, presunta o vera che fosse, mentre siete avviati verso un conflitto estremo, antropologico, tra ragione e istinto. Per tale conflitto accade, alla fine del percorso, una impossibilità di vivere; e per evitarne, bisogna ricorrere alla fede in Dio.

Il paganesimo si occupa solo della naturalità, della scintilla divina nell'uomo, quel che il cristianesimo definisce "a immagine e somiglianza di Dio"; e ciò vale quando bisogna affrontare le insidie del mondo con la conoscenza delle virtù (ciò lo dico anche per rispondere alle critiche antimonoteiste e filopagane che mi sono state insensibilmente mosse)... Senza negare questo, i monoteismi si occupano dei casi più imprevisti e per consentire all'umanità di continuare a stare al mondo, a vivere degnamente.


Tutto questo non lo ho scritto per rispondere solo a una persona e tantomeno per replicare a scopo di primeggiare con qualcuno. Non si trovano sui giornali, se non raramente o mai di questi tempi, discorsi così... La filosofia ne può partecipare e ne ha anche contribuito.
Si tratta di un argomento cruciale, ma soprattutto di affermazioni vitali salvifiche.



MAURO PASTORE