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Messaggi - niko

#2866

In questi tempi apocalittici, una piccola digressione sull'apocalisse e sulle possibilità del suo pensiero:


Il mondo ha avuto a disposizione infinito tempo, in passato, per giungere ad uno stato definitivo, ad uno stato di stasi, e non vi è mai giunto, tanto che tutt'ora in questo attimo diviene, e diviene dopo già infinito divenire.. perciò, perché dovrebbe giungervi in futuro, ad uno stato finale o di stasi?


In un mondo eterno, ingenerato e imperituro come lo immaginavano i Greci, la somiglianza della natura con sé stessa, il limite intrinseco a quanto le cose possano differire tra di loro, ci fa pensare che se non c'è mai stato eskaton, fine della storia e redenzione della natura nell'infinito passato, tanto che noi stessi siamo qui, "emergenti dall'infinito", in uno stato ancora provvisorio e diveniente, non ci sarà niente di simile neanche nell'infinito futuro.


Il divenire, che è ininterrotto dall'infinito, sarà eterno anche nel futuro: la fine del tempo, che ha già avuto infinite possibilità di accadere, infinito tempo per accadere, non è accaduta, nessuna configurazione possibile del mondo la fa accadere, nessuna configurazione del mondo è l'ultima, tutte le configurazioni possibili hanno già dimostrato in passato di averne una successiva, altrimenti noi non saremmo qui. Quindi l'unico eskaton che la ragione può accettare se il mondo non ha inizio, è il non eskaton: se il mondo non ha inizio, non ha neanche fine.


Perciò si può comprendere come il pensiero di una apocalisse, sia legato a doppio filo a quello di una creazione, di un inizio del tempo: solo un tempo che inizia, può finire.



#2867

Dio ci ha creato liberi dal peccato originale, poi noi abbiamo peccato e la nostra natura è stata corrotta.



Da Gesù in poi, gli uomini si possono redimere grazie all'insegnamento di Gesù stesso e al battesimo, Maria no, perché è una generazione prima di Gesù (non poteva certo battezzarsi!), quindi per "redimere" lei è stato necessario un intervento speciale, appunto l'immacolata concezione. Il suo peccato non poteva essere tolto nel modo "tipico" istituito da Gesù, ma era necessario comunque che fosse tolto.


Quindi, riassumendo, abbiamo avuto tutti una possibilità di non peccare con Adamo, ce la siamo giocata, Dio da a tutti, almeno da un certo punto della storia in poi, una seconda possibilità con Gesù, la "seconda possibilità" di Maria però doveva essere qualcosa di miracoloso e di diverso, perché Maria è in linea temporale prima di Gesù, ma allo stesso tempo era necessario che fosse immacolata per concepire Gesù.


L'immacolata concezione è tardo come dogma, ma era già implicito da molto più tempo (dal 431) nel fatto che Maria è stata proclamata mater dei e non mater christi, intendendo con questo che ha messo al mondo Dio in senso proprio, e non solo il corpo fisico di Gesù. [/size]


#2868
  E' perché il nulla non è che ogni cosa, secondo l'ordine del tempo e la distanza nello spazio, degenera eventualmente nell'altro da sé e nel suo opposto... ma non sparisce mai nel nulla. Il fatto che non ci sia il nulla, significa che non c'è un termine ultimo ne un inizio delle cose, che non c'è alcun "posto" o "momento" spazialmente, concettualmente e temporalmente separato da cui le cose possano iniziare, o andare a finire quando non sono più.
Questa constatazione, che sembra ovvia, è importante in filosofia, perchè implica una conseguenza più sottile e meno ovvia: se il nulla non è, allora la molteplicità, l'opposizione e le differenza tra gli enti è reale almeno quanto gli enti stessi, perchè in assenza del nulla l'essere è realmente, e non illusivamente o metaforicamente, limitato e negato da altro essere, ovvero da altre parti di se stesso.


Se non c'è nulla a limitare l'essere, la differenza tra enti,  tra parti costitutive dell'essere (banalmente possiamo dire per esempio, tra acqua e fuoco), è interna all'essere stesso e ha la stessa inviolabilità, unità, eternità e necessità dell'essere in quanto totalità escludente il nulla.
L'essere non esprime solo la collezione degli enti, ma la realtà della loro differenza; e se questa differenza è reale, anche il pensiero, che la pone e sostanzialmente si esaurisce in essa, è reale: come esseri pensanti non pensiamo direttamente ne noi stessi ne il mondo, pensiamo la differenza, tra noi stessi e il mondo. Il pensiero è limitato dall'impossibilità del totale autoriferimento e del totale eteroriferimento e si muove tra questi due estremi, come pensiero delle differenza, innanzitutto della differenza da se stesso, della distanza del singolo pensiero attuale (che non è il pensiero, ma un pensiero) dal polo del totale autoriferimento.




E' questa una delle chiavi per comprendere Eraclito: se neghi il nulla e affermi l'essere, hai necessariamente la danza degli opposti, perché ecco che il nulla dell'uno, non essendo più se stesso, è diventato l'essere dell'altro: il nulla dell'acqua è il fuoco, il nulla del ferro il legno, il nulla del tavolo è il non tavolo, il nulla del nulla è l'essere. La molteplicità non si è dissolta, si è aperta al flusso del pensiero, si è legata causalmente. Il dissidio è reale, perché ovunque un essere-altro ha preso il posto dell'impossibile nulla. La funzione astrattamente tolta del nulla è ancora esercitata, ma da altro, dall'altro. La vita, nel suo divenire e nelle sue contraddizioni, è sopravvissuta al vago pensiero di un monismo dell'essere. La contrapposizione tra essenti (tra due essenti qualsiasi) è reale, proprio perché la contrapposizione tra essere e nulla NON è reale: a essente si contrappone sempre altro essente, non mai mancanza o nulla. E' la legge della guerra, nulla è incontrastato o irresistito, nulla è assoluto, proprio perché non c'è nessun nulla-assoluto.


Si dice spesso: "accetto tranquillamente il nulla nel senso che una cosa non è un altra, ma non accetto il nulla assoluto".


Non si comprende che questo dissidio non è reale, che questa bisemia non è reale, perché il nulla assoluto è già, un caso quasi come gli altri di nulla relativo in cui si afferma che una cosa non è un'altra e non si afferma a ben vedere nulla di più di questo: il nulla del nulla è l'essere, sotto la spinta della contraddizione il nulla non si auto annulla, semmai si auto esserifica, passa nell'altro da se. Si può togliere il nulla e avere la danza degli opposti -la coppia conseguentemente sorgente di opposti- anche e soprattutto nel caso del nulla assoluto, della riflessione sul nulla assoluto. Ciò che è nulla non può eccedere il significato letterale e semantico di nulla relativo, il significato blando di nulla per cui semplicemente una cosa non è un'altra: per eccederlo, dovrebbe essere qualcosa, quando invece nel dire la parola "nulla", proprio come parola, si sta dicendo solo che: "la cosa che non è non è, quindi > tutte le altre cose sono". Come referente esterno, ci si sta riferendo ad altro. La parola stessa, vuole indicare altro. Tolta, l'opposizione tra essere e nulla, resta, l'opposizione tra sè ed altro. Essere e nulla si identificano, questo è l'unico caso in cui il conflitto, il dissidio implicito nel parlare e nel pensare, è illusorio, perché non è interno all'essere, ma è il conflitto sorgivo dell'essere, il confitto da cui l'essere sorge per esclusione; ma per esclusione-di-nulla, quindi come totalità.


Quindi non immagino il nulla come qualcosa di privo di conseguenze o di separato, il nulla genera l'opposizione nell'essere, perchè se è nulla, la sua funzione limitante e libertaria, la sua funzione imprevedibile (come di jolly) , è usurpata, è sostituita dall'essere. Il jolly sta davvero nel mazzo dell'essere, e, a scorrerlo tutto, rima o poi esce.


L'assenza del vuoto ha come conseguenza la contiguità di ogni cosa: se anche il vuoto è cosa > allora tutte le cose sono contigue, e sono limitate l'una dall'altra. Le cose apparentemente non limitate da nulla (le cose fluttuanti), sono limitate dall'aria, dal vuoto-cosa, dal vuoto assurto a cosa.  Così la definizione logica, secondo cui una cosa non è l'altra, ha un immediato corrispettivo nella disposizione spaziale delle cose, secondo cui una cosa è limitata da un'altra contigua. Di nuovo, non c'è il nulla a contrapporsi alle cose, ma l'alterità extra liminare secondo cui una cosa non è un'altra, e nella pienezza che ne consegue, non rimane spazio per il nulla, per cui si può dire che il nulla sia l'assenza di spazio.


Ma la conseguenza più incredibile del nulla è l'infinito. Se non c'è nulla a limitare l'essere, siamo autorizzati a fare congetture sulla struttura spaziale e temporale dell'essere, e a trovarla infinita.

Dove mai dovrebbe finire l'essere?


Se anche il limite dell'essere appartiene all'essere, ogni limitazione dell'essere è anche una cumulazione, un accumulo di molteplicità nella stessa sostanza.


Anche il mondo sferico, il modo quadrato, il mondo delle sfere concentriche, il mondo piatto, il mondo a forma di banana, qualunque mondo con una forma definita, è espresso dall'opposizione tra sé e altro e non da quella tra sé e nulla, ovvero la sua forma, qualunque essa sia, si può sempre immaginare iscritta, contenuta, in una forma più grande.


Parmenide aveva metaforizzato e proposto di immaginare l'essere come una sfera, perché la sfera era il simbolo dell'autolimitato, del finito ma illimitato, di ciò che aveva confine in sé stesso. Il confine curvo è il confine perfetto, che non ha irregolarità come facce o spigoli, che è uguale a sé stesso, ha le stessa caratteristiche, in ogni punto. La sfera è anche simbolo di immobilità, perché rimane uguale a sé stessa anche se ruota, muovendosi su se stessa in qualunque direzione e per qualunque tipo e durata del movimento, alla fine del movimento stesso non manifesta mai variazioni visibili. Ma si poteva obbiettare che anche una sfera ha spazio fuori di sé, ad esempio la si può immaginare perfettamente contenuta in un cubo, ed è ovvio che, a parità di massima estensione, il cubo ha molto più volume. Se l'essere è la sfera, Il volume residuale, del cubo ma non della sfera, è il nulla, che si voleva escludere.
Melisso attribuì all'essere parmenideo l'infinità di spazio e di tempo, abbandonando la sfera (e l'istantaneità) anche come metafora, e immaginando come spazio e tempo dell'essere (spazio e tempo in cui si desse l'essere come evento e come sostanza) uno spazio e un tempo immutabili e infiniti, quindi indefiniti anche come forma. Dalla sfera all'abisso, all'immenso spazio aperto, una metafora dell'essere meno geometrica, ma più efficace. L'essere è il contenuto mimino del tempo e dello spazio, ed è facile concordare con questo, anche al di là dell'estremizzazione antisensista e controintuitiva eleatica, per cui ne è il contenuto unico. Lo spazio e il tempo non possono finire, perché non possono esaurire il loro contenuto minimo, minimo per definizione. C'è sempre continuità nell'evento dell'essere, e c'è sempre "sostanza" nello spazio, quantomeno lo spazio stesso. L'abisso non ha nulla che lo limiti, neanche potenzialmente.
L'infinito è ciò che non ha confini, che ha come confine il nulla. Con-fine, questa è una parola strana: dove finisce l'uno, finisce l'altro (fine insieme) e insieme dove finisce l'uno, comincia l'altro (fine-con, fine nel con, conseguente all'avvento del con, destino di incompatibilità). Applicata ad essere e nulla, significa che l'essere non finisce mai, e dunque anche il nulla non finisce mai, di non essere, di essere sé stesso non essendo. Confina con l'essere, ma nel senso di sovrapporsi invisibilmente: la differenza non emerge. Dove finisse l'uno, comincerebbe definitivamente l'altro, e questo è sommamente impossibile. L'infinito, così pensato come abisso di spazio e di tempo implica l'unità: se ne esistesse un altro, si limiterebbero a vicenda e nessuno dei due sarebbe infinito. Ma non c'è un tempo e luogo dell'essere separato da un tempo e luogo del nulla. Non a caso anche al dio delle principali religioni monoteistiche, nelle riflessioni teologiche mature, influenzate dalla filosofia greca, saranno attribuite insieme sia l'infinità che l'unità. L'una non avrebbe senso senza l'altra.




#2869
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
27 Febbraio 2020, 17:14:00 PM
Lo si capisce bene dal doppio movimento allucinatorio di separazione che anima questa nascita: la separazione dell'attore dal coro e dello spettatore dall'attore.
#2870
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
27 Febbraio 2020, 16:31:24 PM
La nascita della tragedia è la tragedia della nascita.
#2871
Tematiche Spirituali / Re:Reincarnazione senza memoria?
27 Febbraio 2020, 13:37:22 PM

Io penso che ci reincarniamo in noi stessi, e anzi lo simo già, reincarnati in noi stessi.


La cosa può essere presa anche come un mito e una metafora, da un punto di vista metafisico il fatto che "ci reincarniamo in noi stessi", significa che solo la vita, intesa come evento, può cambiare "dall'interno" la vita, identificandosi con il suo continuo divenire, essendo questo stesso divenire; la morte, che si contrappone alla vita, significa l'uguaglianza della vita a sé stessa nello spazio e nel tempo, la fine dell'evento, la fine di quel quantum specifico di divenire che la vita è, la caduta completa delle ulteriori possibilità di cambiamento interveniente in una cosa che, a ben vedere, nella sua essenza è solo cambiamento: la vita non è niente, è puro divenire, e la fine del divenire di questo divenire, da un punto di vista cosmico, dal punto di vista di chi sopravvive, si può dare solo come essere, essere della fine del divenire, sopravvenire dello statico-conoscibile, e quindi dell'ormai divenuto.
I vivi divengono e si sentono divenire, i morti sono, sono gli enti entificati dalla coscienza che a questo divenire si offrono, che si offrono alla vita e alla (parziale) conoscenza dei vivi: la vita non è annullabile perché propriamente non ha e non ha mai avuto essenza, non degenera verso il nulla che già è, ma verso l'essere che ancora non è, nell'essere che in quanto tale è non-più-divenire. Il suo cambiare non è annullarsi, ma entificarsi, perché è dal nulla che essa come evento prende avvio, non dall' essere: e la morte è l'entificazione definitiva, la consegna agli altri del proprio ricordo e del proprio cadavere.


Quindi in conclusione, solo la vita cambia la vita, e non la morte, che viene a mettere la parola fine su ogni vita ormai interamente già cambiata, già auto-modificatasi secondo le sue interazioni col mondo e le sue intrinseche possibilità... cambiamo solo dall'interno! E non solo in senso psicologico, in senso proprio esistenziale, cambiamo secondo quello che in vita vediamo cambiare intorno a noi e dentro di noi stante la limitatezza esperienziale e prospettica della vita, non ci sono eventi extra-vitali che vengono a cambiare la vita come dei deus ex machina attribuendogli un nuovo stato o al limite un nuovo non stato immaginato come un annullamento sopravveniente: non c'è morte ed escatologia nel senso comune del termine. La morte non è un cambiamento di stato della vita, è semplicemente l'altro dalla vita che avviene quando la vita non può più cambiare, e quindi non può più continuare ad essere sé stessa secondo la sua propria essenza.
Il nulla assoluto, l'inferno, il paradiso, la ruota delle reincarnazioni, sono tutte illusioni di cambiamento dall'esterno, illusioni che qualcosa di esterno, di straordinario per definizione, pur se palesemente non viene da questa vita e non ne fa parte, non fa parte della sua dinamica interna per come attualmente la percepiamo o la potremo percepire in futuro, razionalmente o istintivamente che sia, cambierà lo stesso la vita, produrrà comunque effetti sulla vita; illusioni che si possa muovere foglia oltre la vita, che ci siano in serbo per noi altri eventi significativi, o quantomeno produttivi di effetti, oltre al vissuto, oltre all'insieme degli eventi del vissuto. Illusioni che voleremo in cielo, che smetteremo di essere quello che siamo, che ci ritroveremo nel corpo di un elefante eccetera. Perché anche la morte, per come essa è comunemente intesa, se anche solo si ammette che annulli qualcosa -la vita-, che sia la fine di una soggettività precedentemente in atto, produce effetti, per quanto per l'ateo che non crede nell'aldilà, essa non sia significativa, nella misura in cui tali effetti non saranno da lui percepiti. E invece la vita è fatta in modo tale che patisce solo gli effetti da essa stessa prodotti, non effetti esterni, di nessun tipo, neanche mortiferi, neanche la morte come effetto esterno. Quando non cambia più, non è più vita. Divenire è il suo unico destino. I cambiamenti della vita, i cambiamenti che saranno tali per noi, verranno dai sussulti, dai sogni e dalle percezioni della vita, volontari o involontari, consci o inconsci che siano, ma sempre vissuti, sempre interni e interiori alla vita, sempre in linea di principio ordinabili nell'insieme del vissuto.
Che la morte ci cambi, che il nulla assoluto in qualche modo ci cambi, che la volontà di Dio ci cambi, che il tempo ci cambi, che ritrovarci nel corpo di un elefante ci cambi, è assurdo. Se ci reincarniamo, ci reincarniamo in noi stessi.

#2872

Incredibilmente Viator si è sbagliato: anche se siamo in Italia, alcune "importanti" partite di calcio le hanno già sospese per emergenza virus...


Perfino partite di serie A! Perfino la partita dell'Inter, non so se rendo... La situazione è grave, o almeno è grave il livello di allarme che si sta creando...
#2873
Ciao Niko,
letto con piacere e condividendo in gran parte i tuoi passaggi, ringraziandoti per la premura, arrivo alla fine del tuo discorso dove però devi scusarmi se mi distanzio: Il nulla relativo è pur sempre un essere che in quanto essere non può divenire un non-essere.
Il nulla assoluto non è un sottoinsieme del nulla relativo né viceversa, poiché non-essere. Quindi è vero che fra i due esiste solo il nulla relativo, che quindi è un essere, mentre il nulla assoluto non esiste, quindi non è.
Il paradosso che ne deriva e di cui parli alla fine... esiste e fa parte dei problemi del fondamento e io non parlo qui del fondamento, ma è un problema formalmente e semanticamente risolto in "Infinito. Principi supremi" (un  libro). Ma non importa: sospendiamo qui il discorso, scusandomi se qui e ora mi fermo alla sola discussione del paradigma in esame, evitando ogni discorso intorno al fondamento.






Capisco cosa vuoi dire ma non lo condivido, il non essere è una negazione continua autoproducentesi, non basta dire che non è: o non lo si pensa proprio e si sospende il giudizio, (per questo prima parlavo di teologia negativa e silenzio mistico) ma se lo si pensa, bisogna ammettere che almeno una parte compositiva o un effetto determinato del suo non essere (se non la totalità, del suo non essere) è proprio l'essere; in senso modale, una singola qualsiasi determinata cosa che è, è un modo accidentale di non essere del nulla valido quanto "il nulla" stesso, in modo che non si può dire quale sia il vero modo di non essere del nulla, e ce ne sono infiniti.


Il nulla non preferisce non essere in sé stesso piuttosto che in una stella o in un uccello o in un granello di sabbia, il nulla è nulla, una doppia negazione che afferma, che si toglie da sé perché altro si dia, e se lo si pensa, lo si pensa identico all'essere, come sfondo e sorgente di tutto equivalente allo sfondo e sorgente di tutto che anche l'essere è. Se nel modo più assoluto non è, non è neanche se stesso, non può coincidere stabilmente neanche con sé stesso (da cui l'elemento dinamico, produttivo della sua essenza), e ha una identità residuale nell'altro da sé, in ciò che lo contraddice, che lo nega.


Il non essente anche come definizione, come parola/nulla, non si riferisce a niente se non a un generico altro da sé, all'insieme delle alternative non nulle al nulla incidentalmente reperito in una data circostanza e indicato dalla parola, e in questo senso anche il nulla assoluto è un nulla relativo, come dire: "non c'è niente sul tavolo.": l'espressione non si riferisce al tavolo in sé, o a una condizione o a un modo di essere particolare del tavolo, o a una circostanza atmosferico-ambientale di tempo e di luogo, all'aria, al "vuoto" vicino o intorno al tavolo, ma semplicemente all'insieme numerosissimo, quasi infinito, delle cose che ci potrebbero essere sul tavolo, e che questa volta, incidentalmente, non ci sono. Nessuna cosa spicca sulle altre, nessuna cosa si distingue, quindi nessuna cosa c'è. Nessuna cosa, si riferisce di base a una molteplicità di cose. Le cose possibili che ci possono essere su un tavolo, virtualmente nell'espressione ci sono tutte, anche se, al momento, nessuna è accessibile.


L'identità, tra essere e pensiero, non può prescindere dalla differenza, tra essere e pensiero, dal fatto che ogni pensiero è fallibile e ha un necessariamente un oggetto, una proiezione
incompiuta intrinseca verso l'altro da sé e l'esterno, verso il non pensiero, verso il mondo, verso l'essere dell'altro da sé che il pensiero vorrebbe cogliere. Non si dà il pensiero infallibile, e non si dà il pensiero vuoto.
#2874
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Febbraio 2020, 17:10:43 PM
In sequenza Sampitura e Ipazia, Boomax, Nico, Pauli11 e Phil

Ciao Sampitura (e Ipazia),
alla tua affermazione «L'autorità definisce la 'verità'», contrappongo quella di Ipazia «La verità dell'universo antropologico non è la verità dell'universo fisico». Lo faccio perché dobbiamo riconoscere diversi livelli di verità (es. oggettiva, intersoggettiva, soggettiva)  e che tu nei hai parlato a livello di categoria politica, ma poi appunto c'è anche la verità come categoria naturale e poi... io qui parlo di tali distinzioni di verità: cap. 8  https://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html
"Mondo = Luogo come risultato di leggi universali e particolari" Dizionario Vito

Ciao boomax,
«Ma la Verità assoluta non ha alcun condizionamento. Non necessita di alcuna falsità da negare [e non l'ha]».

Ciao Nico,
ti segnalo questo tuo errore: «Non se ne esce, se il nulla non ha determinazioni ha almeno una determinazione, quella di non avere determinazioni, ed è il fantasma dello sfero di Parmenide.» L'errore sta in questo:

Con la proprietà A posso dimostrare se B ha la proprietà A oppure no ØA.
Quindi, con la determinazione A posso dire se B è determinabile A o indeterminabile ØA.
"Determinare che è indeterminabile", "determinare che non è determinabile", significa pertanto "non essere in grado di determinarlo", "non essere determinabile".
Cfr:
cap. 3 https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/04/14/unificazione-generale-della-logica-classica-e-non-classica/
cap. 5 https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/

Il tuo presupposto, di determinare il niente, decade. Quindi decade il discorso che ne derivi, anche se poi ci puoi aver detto dentro cose intelligenti, decade comunque il tuo discorso.
Questa è la "quinta" forma con cui ti rispondo, permettimi quindi di invitarti a leggere qualcuno dei miei articolo di questo "gioco" (quelli sopra sono formali), così alziamo il tenore della discussione e mi eviti copiaincolla.













Io non voglio determinare il niente né affermare che il niente non ha determinazioni, io dico che il nulla assoluto non esiste se non come caso limite (come "caso estremo" se vogliamo) del nulla relativo: quello che per te è il nulla assoluto per me è il nulla relativo dell'essere, il concetto di quello che anche  tu hai chiamato "vuoto" o "nulla relativo" applicato però non più ad una cosa o circostanza  determinata, come chiedersi cosa ci sia sul tavolo, ma all'essere come totalità. Dire nulla assoluto, è come estendere un concetto già noto e dire, invece che "non c'è niente sul tavolo", "non c'è niente nell'universo mondo, nel cosmo": non è un concetto nuovo, ma l'estensione di un unico e già definito concetto a una circostanza diversa.


Ogni nulla relativo ha determinazioni, e anche il nulla relativo dell'essere ha determinazioni, infatti è identico all'essere, la sua determinazione è l'essere: il modo specifico, empiricamente prima che logicamente riscontrabile, in cui l'assenza di ogni cosa non c'è, e c'è invece qualcosa, è la presenza di ogni cosa. La meraviglia che ci fa la l'esistenza di noi stessi e del mondo, il fatto che ci sia qualcosa e non il nulla, è una conseguenza tanto dell'essere che del nulla, perché il nulla "sparisce" nell'essere, e non nel nulla. Tramonta, nel senso di diventare altro, andare oltre. La differenza tra essere e nulla, non è "a parte" nella realtà delle cose e non merita di essere indicata un concetto a parte, è identica, come differenza, a quella già empiricamente ed intuitivamente nota intercorrente tra essere e niente (ovvero tra essere e vuoto, o nulla relativo). Non è un concetto solo logico, ma un concetto che ha una componente osservativa: si riscontra che c'è qualcosa piuttosto che il nulla e questo qualcosa è anche e soprattutto un modo specifico -che si dà a prescindere da un'eventuale e ulteriore modo aspecifico- di essere nulla (di non manifestarsi) del nulla. La differenza tra essere e nulla va pensata come differenza non tra essere e non essere, ma tra sé e altro: una cosa x non è un'altra cosa y, e non è tutte le altre cose (tutte le altre cose indicate da tutte le altre lettere, meno x), ma questo è quanto: non c'è un altro modo di non essere che non sia l'essere altro, ulteriore all'essere altro. Una cosa non è un'altra cosa, ma il nulla non esiste se non in questa forma, non esiste come concetto ulteriore a questo.


L'effetto del caso limite è che si va a definire non una distinzione tra una cosa e il suo contrario, o la sua assenza, o ciò che la sostituisce nel flusso del divenire, come nei normali casi in cui diciamo "non c'è niente sul tavolo", ma  una distinzione nominale tra due indiscernibili perché la determinazione dell'essere è l'essere, e anche quella del nulla lo è. Questo è il difetto di applicare un concetto che vale per circostanze limitate a una totalità: di solito la differenza tra due cose, o tra una cosa e il suo divenire, è discernibile, quella tra essere e nulla no, quindi si dà una determinazione del nulla che va bene anche per l'essere.


Riassumendo il mio sillogismo non è


non avere determinazioni è una determinazione
il nulla non ha determinazioni
dunque il nulla ha determinazioni




ma è:


il nulla relativo, o vuoto, ha determinazioni, che in linea generale vanno cercate non nella differenza tre essere e niente, ma tra sé e altro a partire della specifica cosa di cui si predica il nulla relativo.


il nulla che alcuni chiamano "assoluto" è un'elemento dell'insieme del nulla relativo, non è che un suo caso possibile (è sbagliato chiamarlo assoluto).


dunque il nulla assoluto ha determinazioni.




Insomma nella mia concezione c'è solo il nulla relativo. Il nulla assoluto non indica nemmeno il non essere o il niente o il non essente, è un caso limite, e un fraintendimento frequente, del nulla relativo.


Se invece si stabiliscono un nulla assoluto e un nulla relativo, come due cose diverse,descritte da due concetti diversi, e non l'uno un caso particolare dell'altro, succedono alcuni paradossi, il cui più ovvio è che l'essere non descrive più la totalità: se c'è un x non essente, la totalità è l'insieme di tutti gli essenti + x, dunque l'essere è meno della totalità, che è il superinsieme di essere e nulla. Tra essere e nulla c'è un terzo termine. Cosa che non sarebbe necessaria laddove la totalità fosse interamente descrivibile dall'essere, o dal nulla.
#2875
Citazione di: Phil il 16 Febbraio 2020, 19:07:12 PM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
Il problema è in effetti fra tautos ed esperienza. Ma la scienza pura e non quindi applicata inserisce tautologie e non esperienze nei paradigmi. [...] Eppure la geometria ,la logica, la matematica, funzionano applicativamente quando ad un segno tautologico applico un segno esperienziale fenomenico.
L'applicazione pratica è ciò che spesso fonda a posteriori, retroattivamente, la legittimità del paradigma, del tautos (inteso come tautologia di sistema) e del dizionario di definizioni su cui esso si fonda. Prescindendo da tale applicazione di verifica, si rischia di cadere o nella petitio principii (o altre psudo-dimostrazioni circolari e autoreferenziali) oppure nel regressus ad infinitum, che sposterebbe asintoticamente il "luogo" del fondamento.
Ci mise già in guardia lo scettico Sesto Empirico:
«Quando qualcuno afferma che si danno delle verità, presenta questa affermazione o senza dimostrazione o con una dimostrazione. Se senza dimostrazione, deve essere consentito porre senza dimostrazione anche la tesi opposta, cioè che non si danno verità. Se con una dimostrazione, chiedo: con una falsa o una vera? Se con una falsa, l'intera affermazione non vale niente. Se con una vera, domando: con che cosa ha potuto dimostrare che la sua dimostrazione è vera? Con un'altra dimostrazione? Ma così ce ne vorrebbe sempre una nuova, per cui il nostro lavoro non potrebbe mai finire» (Sesto Empirico, Contro i logici, II, 15 s.).
Se invece la verità (senza addentrarci qui nella sua definizione) si manifesta nell'applicazione del paradigma, non c'è bisogno di ulteriore verifica, perché l'esperienza (sempre entro i suoi limiti interpretativi) risolve le perplessità teoretiche. Viceversa, se per la natura del tema o della questione, è preclusa la possibilità di verifica applicativa, e ciò nonostante si aspira ad un'unica "verità", allora si innesca il conflitto fra le tautologie dei differenti sistemi interpretativi (ed una meta-tautologia che metta tutti d'accordo, sposterebbe solo il problema del "dove" sia fondata definitivamente la sua autorevole verità).
Proprio come
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
In geometria dichiaro il punto, dichiaro la linea dichiaro un piano, costruiti i fondamenti posso con coerenza e consistenza costruire figure geometriche regolari, teoremi
parimenti in filosofia "dichiaro il noumeno, dichiaro l'intuizione, dichiaro la ragione in sé, etc. e posso con coerenza e consistenza (ma non completezza) costruire validi (≠ veri) ragionamenti interpretativi del reale" (dove «dichiaro» vale «definisco»).
Il problema applicativo di ogni formalismo resta, secondo me, la sua "compilazione", ovvero l'assegnazione dei valori (e delle esperienze, vissuti, fatti, etc.) relativi alle varie "x", "A", etc. senza tali compilazioni, la formalità non è pragmaticamente utile, pur restando una preziosa cornice di "validità teor(et)ica" (≠ verità).



Non se ne esce, se il nulla non ha determinazioni ha almeno una determinazione, quella di non avere determinazioni, ed è il fantasma dello sfero di Parmenide. Ci sono dunque due sfere, una dell'essere e una del nulla. Tutte le non-determinazioni dell'una, vanno bene per l'altra.
Vale la pena ricordare che l'essere parmenideo è costruito per negazione di determinazioni, come il Dio di una teologia negativa: non ha determinazioni temporali (l'eterno presente in cui si trova lo sfero non è una determinazione temporale, ma un tempo nullo), non ha parti, non ha movimento, non ha elementi visibili e l'occhio della mente lo rivela uniforme, non ha confini spaziali (la curva della sfera vuole essere un non confine, come l'eterno presente un non tempo). E come tutte le teologie negative, anche quella di Parmenide a un certo punto si scontra con il fatto che anche non avere determinazioni è una determinazione. Il passo successivo, dopo aver tolto tutte le determinazioni a Dio, è il silenzio, non l'affermazione sguaiata, e stupida, che esso non ha determinazioni.

Con Hegel possiamo dire che anche l'essere è l'assolutamente indeterminato, proprio come il nulla, ed essere e nulla non si distinguono realmente (non si de-astrattificano) se non nel divenire. Sia l'essere che il nulla hanno l'unica determinazione di non avere determinazioni. Sono indicati dalla stessa determinazione, quindi sono la stessa cosa. L'essere e il nulla sono vuoto. Sono falsi dei finché non stiamo in silenzio.

Perché l'essere se stesso del nulla sia il non essere, il non essere deve esistere in senso forte, deve indicare una condizione di esistenza possibile, quella che il parlante attribuisce al nulla, alla cosa che designa come nulla. Se invece si ammette che, in generale e senza eccezioni, il non essere di una cosa non esiste realmente, o almeno non esiste realmente per quella cosa, non designa uno stato di quella cosa, ma uno stato di altro, il  non essere relativo di una cosa è quello che la nasconde e la sostituisce nel divenire (storico o naturale) o che gli si contrappone immediatamente nella determinazione logica sé/altro. E ciò che vale senza eccezioni, vale anche per il nulla. Se si toglie dal discorso il
non-essere, si deve togliere dal discorso anche il non-essere del nulla.

La natura ha tempo e spazio per sopportare la contraddizione manifestandola in opposti distinti spazialmente e temporalmente, nel pensiero la contraddizione è immediata perché il pensiero è inesteso, non declina la definizione contraddittoria in luoghi e tempi diversi ma la contempla come unità.
Ma che si sia nella natura, o nella storia, o nel pensiero, una volta eliminato il nulla assoluto come possibilità, il non-essere di una cosa è solo il suo essere-altro, la sua determinazione ulteriore extra-liminare interna o esterna che il pensiero, o la storia, o la natura, pone; da questo punto di vista posso ben dire che l'essere del nulla è l'essere, perché il nulla non è il buco nero, non è quello che fa sparire -nel nulla- quello di cui è nulla, ma che lo fa progredire verso una determinazione-altra, gli sostituisce o gli sovrappone qualche altra cosa o qualche altro concetto. Il nulla non sparisce nel nulla, ma nel suo opposto, cioè nell'essere, e l'azione propria e continuativa del nulla è lo sparire.

Il discorso che relativizza il nulla ha senso solo se relativizza anche il nulla assoluto, se afferma che l'essere del nulla è l'essere ed esiste almeno un livello della realtà in cui essere e nulla si distinguono solo nominalmente: il discorso che introduce il nulla relativo volendo mantenere però anche il nulla assoluto, il discorso che relativizza tutti i nulla tranne uno, quello assoluto, il discorso del niente, è un colabrodo, perché in questo discorso l'"uno", l'unità logica e matematica a cui corrisponde il nulla assoluto, l'unica cosa residua che con esso si vuole designare quando con gli ulteriori concetti di "essere" e di "nulla relativo" si è designato tutto il resto, ha la stessa perfezione, la stessa indeterminazione e la stessa genericità dell'essere, e quindi è un discorso che raddoppia l'essere, da cui appunto le due sfere: sia con "essere" che con "nulla" si designa qualcosa di perfetto, indeterminato, atemporale, unico, non ripartito eccetera.
Tipicamente poi come unica distinzione all'essere si attribuisce il potere di causare qualcosa e al nulla no, ma questa è solo malafede.

O tutto o niente, quindi: non si possono relativizzare alcuni nulla sì e altri no: bisogna piuttosto stabilire in generale se la forma del non essere sia lo sparire, -e con lo sparire intendoil cessare meramente di essere e, al limite, nel caso estremo dell'essere e del nulla, il non essere mai (per il nulla) o l'essere sempre (per l'essere)-, o il tramontare, e con il tramontare intendo il declinare nell'opposto contraddittorio di quello che non è, il non essere come essere altro. Se si scegli il tramontare, poi deve valere anche per il nulla, non si possono fare eccezioni di comodo.
#2876
Attualità / Re:Il caso Salvini-Gregoretti
16 Febbraio 2020, 17:30:21 PM
Citazione di: Ipazia il 16 Febbraio 2020, 14:43:07 PM
Citazione di: niko il 15 Febbraio 2020, 21:06:11 PM
Pensa che pure Churchill e Stalin dovettero allearsi tra loro, mischiando whisky e vodka




Anche all'assurdo dei paragoni storici c'è un limite...

Ma non c'è limite agli assurdi della storia, irriverenti verso ogni disegno variamente intelligente.


Si ma il tuo paragone è doppiamente infelice (per non dire trash), primo perché Stalin e Churcill si erano alleati contro Hitler, e non mi pare che l'alternativa a Salvini sia Hitler nemmeno in senso lontanissimamente figurato, secondo perché in precedenza Hitler e Stalin avevano pensato bene di allearsi tra di loro -a maggior gloria del socialismo in un solo paese-, e questo sì che ben esprime il livello politico, culturale e umano del sovranismo attuale, mezzo staliniano e mezzo nazista (e mezzo nulla), basta sentire cinque secondi di Fusaro.
#2877
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 13:35:23 PM
Citazione di: niko il 15 Febbraio 2020, 12:32:30 PM
Io non vedo contraddizione nel nichilismo, l'essere è l'essere nulla del nulla.

Il nulla non è dunque indeterminazione totale, nebbia uniforme e oscurità, non è lo stato larvale, la morte o il sonno senza sogni, ma, a ben guardare, ha in sé almeno un modo determinato di essere nulla, ovvero di non essere, ovvero di essere se stesso, che è l'essere.

La parola chiave qui è determinazione: se l'essere è un modo determinato di essere nulla del nulla -quindi riguardo a l'identità tra essere e nulla non si afferma semplicemente A = non A, semmai A = (A e non A)- la mancanza di qualcosa nel nulla non fa segno a una nientità, di questo qualcosa che manca, ma ad una volontà, di questo qualcosa che manca e di altro. Il niente deriva dall'essere e non può prescinderne, non può darsi nel nulla come sua definizione o partizione, il nulla ha in sé delle possibilità di determinazione, ma, pur determinandosi, non si divide mai in tanti piccoli niente. Ogni niente è legato all'ente di cui è niente e ne prevede l'esistenza, la volontà no, non è legata alle singole cose che vuole allo stesso modo e nello stesso senso in cui i niente dei singoli enti sono legati a quegli enti di cui sono un niente determinato, quantomeno perché la volontà può volere più cose rimanendo se stessa, rimanendo una, mentre l'insieme dei niente è un insieme di negazioni tutte differenti, ciascuna differente dall'altra. L'insieme dei niente non fa mai un tutto o un uno per qualcuno, anche a volerlo pensare come già pieno, già completo come insieme dei niente, è ancora, come "insieme", solo una metà e quindi non un vero insieme, una parte che deriva dall'essere e ha bisogno dell'essere per completarsi, l'insieme delle cose volute invece sì, fa un tutto e un uno per chi le vuole, che le cose siano presenti o no.

Quindi abbiamo la volontà, che si definisce come mancanza di oggetto (qualsiasi), e il niente, che si definisce come mancanza di ente, di oggetto che esista, di oggetto derivato dall'essere e non dal nulla, e sono due cose distinte. Mi sembra abbastanza chiaro che la determinazione possibile del nulla nel nichilismo sia volontà, e non niente, che presupporrebbe a monte l'essere come distinto dal nulla.

Il nulla non è il niente di tutte le cose, ma l'essere di tutte le cose, poiché essere e nulla non differiscono realmente, ma nominalmente.
sei quasi nel ragionamento di Severino, nella dialettica negativa. che è paralogica.
Dal punto di vista formale ha ragione Vito. C..
Severino però spiega che A= A è regola logica dell'identità ed è ETERNO
Nel momento in cui vi fu l'aporia del fondamento, attribuita se non erro a Platone, che accetta l'eterno e il divenire nasce la contraddizione.
A= nonA che è il DIVENIRE .Ed è operato dalla volontà umana poichè accetta che la VERITA'incontrovertibile e quindi eterna operi nel DIVENIre  e quindi non può più essere verità, ma opinione temporale nel divenire.
Il divenire c'è, questo è il salto fra Severino e Parmenide.Parmenide fu fermo nell'ESSERE che non può anche non ESSERE (A=A).
Accettando la contraddizione A=nonA, da Platone in poi, secondo la logica dialettica negativa di stampo severiniano, noi vivamo tutti gli essenti nel divenire come negazione .Qualunque essente che appare e scompare è negazione, in quanto NULLA può venire dal Nulla, essendo tutto eterno. Il credere quindi nel divenire segna la cultura dell'Occidente.


Il divenire non c'entra molto col mio discorso; al massimo c'entra il rapporto tra Parmenide e Platone, nel senso che Platone recupera il non-essere come essere-altro della singola cosa che non è, tanto che il nulla, o meglio il niente, o meglio ancora il ni-ente, in Platone si può predicare del particolare ma non del generale/universale (l'idea che sola ha l'essere e lo conferisce temporaneamente agli esistenti);  il non essere è solo il negativo della determinazione che rende possibile ogni discorso. Dunque in un mondo "pieno", in cui non rimane spazio e tempo residuo per il non-essere, ogni cosa è necessariamente qualcosa, e se x non è A, allora è B (e non certo il nulla parmenideo, che in questo mondo pieno non esiste, se non nel discorso che determina le cose).
La mia metafora del mondo pieno per descrivere il mondo di Platone, e poi anche di Aristotele, non è casuale, vuole ricordare che l'altro grande tentativo di conciliazione di Parmenide con l'esperienza umana di un mondo diveniente fu l'atomismo, cioè il mondo vuoto, in cui si muovevano intrinsecamente gli atomi. Il mondo vuoto è il divenire come aggregazione e disgregazione atomica, il mondo pieno è l'ipotesi della contiguità immediata degli oggetti componenti il mondo, distinguibili, proprio per la loro contiguità, solo dal logos cognitivo immateriale che tutti li ricomprende: la parola si rende necessaria proprio perché non c'è spazio e tempo vuoto tra gli oggetti, non c'è tra di essi distinzione preverbale, intrinseca: solo la parola può dire che una cosa non è tutte le altre. in questo senso Democrito recupera in non-essere come realtà fisica, Platone come realtà logica, attinente al discernimento e al discorso.

Anche io, nel mio piccolo, affermo che il nulla non può non-essere nel senso banale e immediato che dite voi, ovvero nel senso di una cosa che "semplicemente" non è niente, e non causa, e non vale, niente (il valere nulla del nulla). Il nulla che, come tutte le altre piccole e grandi cose del "mondo pieno" non può semplicemente e direttamente non essere, nel senso di non essere niente, di sparire nel nulla, come tutte le altre cose del "mondo pieno" può invece essere altro, può avere il suo (relativo) non-essere solo nella determinazione che lo individua e lo descrive. Insomma l'essere non è il nulla come la penna non è la matita, e questo per necessità logica, a prescindere da se la penna o la matita esistano, o se esista una sola di esse, o se esistano tutte e due, o nessuna delle due; poiché, come dite anche voi, nulla è nulla, il nulla può manifestare il suo non-essere solo essendo altro, essendo una cosa che è l'altro (e quindi il niente, il nulla relativo) di un'altra cosa; e siccome operando con termini metafisici quali essere e nulla siamo ai massimi sistemi e ai termini convenzionali che tentano -invano- di descrivere la totalità, si dà il caso che l'essere altro del -e dal- nulla sia proprio l'essere.

Il discorso che relativizza il nulla (nulla è nulla) è giustizia distributiva, dà a ognuno il suo: Il nulla della notte è il giorno, il nulla dell'acqua è il fuoco, e il nulla del nulla è l'essere. Non è solo una danza degli opposti, è proprio che se il nulla dell'indeterminato è il determinato, l'equazione tra nulla e indeterminato, e quindi tra essere e pensiero, cade, deve essere abbandonata. Si prefigura il mondo degli istinti, di quello che sta oltre il pensiero.
Stando così le cose, non rimane più niente del vecchio concetto del nulla come indeterminazione totale, del nulla come cosa tabù, di cui non si può pensare e parlare (per questo prima dicevo nebbia e ombra): il nulla assume in sé la determinazione almeno parziale dell'essere, e quindi lo supera, lo causa e lo contiene.

Il nulla è pieno di determinazione, quindi non di niente, ma di volontà: si definisce a partire dalla mancanza di oggetto, pur non identificandosi completamente con questa mancanza e rimanendo anche-nulla, anche-se stesso, sicché il nulla del nulla è l'essere. Il nulla è la mancanza di una o più cose, ma, se anche la mancanza nel suo complesso è nulla, grazie al nulla una o più cose sono.

In questo senso dicevo A=(A e non A), a prescindere da tanti formalismi logici, quando vuoi una cosa, ad esempio quando vuoi l'acqua, non vuoi solo l'acqua, vuoi l'acqua e vuoi continuare a volere; è la volontà che pone A e non A, perché se il tuo appagamento in presenza dell'acqua fosse istantaneo (come lo è la corrispondenza diretta dell'ente col niente) non sarebbe possibile: devi rimanere, per una durata non inestesa, col desiderio in presenza dell'oggetto del desiderio: è questo il nullificarsi del nulla che genera l'essere come processo e insieme rimane sé stesso, è questo che apre lo spazio al tempo e al divenire, questo rimanere desideranti nella totalità nulla delle cose mancanti pur in presenza dell'oggetto del desiderio; la contraddizione è psicologica, non è logica, perché nel nulla c'è una volontà, non un ni-ente.

Oltre a Nietzche, l'altro grande padre del nichilismo è Schopenhauer. In Schopenhauer la volontà vuole solo sé stessa e la volontà che si protende oltre se stessa, la volontà d'oggetto, è pia illusione, tanto che la volontà umana cambia continuamente oggetto solo per mantenersi; in Nietzche la volontà vuole davvero sé stessa e l'oggetto (l'unico oggetto possibile che si può trovare al fondo di in un mondo nullo fatto di volontà: la volontà dell'altro), è una volontà diveniente, incantata dal mondo ma in grado di trasformarlo.
#2878
Oltretutto da me il niente non deriva dall'essere, da me il niente assolutamente non esiste, non può esistere, non è mai esistito, quindi non deriva e non può derivare da alcun che, tantomeno portare possibilità di determinazione.




quindi ogni volta che dici: "non c'è niente sul tavolo" ti riferisci al nulla parmenideo?
#2879
Attualità / Re:Il caso Salvini-Gregoretti
15 Febbraio 2020, 21:06:11 PM
Pensa che pure Churchill e Stalin dovettero allearsi tra loro, mischiando whisky e vodka




Anche all'assurdo dei paragoni storici c'è un limite...
#2880
Io non vedo contraddizione nel nichilismo, l'essere è l'essere nulla del nulla.

Il nulla non è dunque indeterminazione totale, nebbia uniforme e oscurità, non è lo stato larvale, la morte o il sonno senza sogni, ma, a ben guardare, ha in sé almeno un modo determinato di essere nulla, ovvero di non essere, ovvero di essere se stesso, che è l'essere.

La parola chiave qui è determinazione: se l'essere è un modo determinato di essere nulla del nulla -quindi riguardo a l'identità tra essere e nulla non si afferma semplicemente A = non A, semmai A = (A e non A)- la mancanza di qualcosa nel nulla non fa segno a una nientità, di questo qualcosa che manca, ma ad una volontà, di questo qualcosa che manca e di altro. Il niente deriva dall'essere e non può prescinderne, non può darsi nel nulla come sua definizione o partizione, il nulla ha in sé delle possibilità di determinazione, ma, pur determinandosi, non si divide mai in tanti piccoli niente. Ogni niente è legato all'ente di cui è niente e ne prevede l'esistenza, la volontà no, non è legata alle singole cose che vuole allo stesso modo e nello stesso senso in cui i niente dei singoli enti sono legati a quegli enti di cui sono un niente determinato, quantomeno perché la volontà può volere più cose rimanendo se stessa, rimanendo una, mentre l'insieme dei niente è un insieme di negazioni tutte differenti, ciascuna differente dall'altra. L'insieme dei niente non fa mai un tutto o un uno per qualcuno, anche a volerlo pensare come già pieno, già completo come insieme dei niente, è ancora, come "insieme", solo una metà e quindi non un vero insieme, una parte che deriva dall'essere e ha bisogno dell'essere per completarsi, l'insieme delle cose volute invece sì, fa un tutto e un uno per chi le vuole, che le cose siano presenti o no.

Quindi abbiamo la volontà, che si definisce come mancanza di oggetto (qualsiasi), e il niente, che si definisce come mancanza di ente, di oggetto che esista, di oggetto derivato dall'essere e non dal nulla, e sono due cose distinte. Mi sembra abbastanza chiaro che la determinazione possibile del nulla nel nichilismo sia volontà, e non niente, che presupporrebbe a monte l'essere come distinto dal nulla.

Il nulla non è il niente di tutte le cose, ma l'essere di tutte le cose, poiché essere e nulla non differiscono realmente, ma nominalmente.