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Messaggi - bobmax

#2896
Sì, Eutidemo, quelli che evidenzi sono i cardini della razionalità.
Il Principio d'identità: A = A e la legge di Causa-Effetto.
Ossia l'essere molteplice e il suo divenire.

Tuttavia sono convinto che questi stessi cardini siano sì fondamentali, ma soltanto per la nostra orientazione nel mondo. Cioè non siano davvero assoluti.
La realtà ultima prescinde da essi.

Che non siano assoluti è una necessità etica.
Nel nostro esserci il male, qualsiasi male, se ne sta incastonato in quel momento che fu e non è più possibile annullarlo.
Di modo che, se affrontiamo la cosa razionalmente, ma senza nasconderci l'inaccettabilità del male avvenuto, l'unico esisto possibile è che questo esserci altro non sia che vuoto meccanismo.

Di fronte al male, che è nel mondo, che seguii, che io stesso sono, l'etica chiede perciò l'impossibile.
Ossia che il male, qualunque male, diventi nulla. Perché mai avvenuto.

L'avverarsi dell'impossibile richiede però il superamento degli stessi cardini della razionalità.
#2897
Per Donalduck,
condivido la tua impostazione.
Vi sono alcuni aspetti che vorrei comunque approfondire.

Citazione
Io la metto così: soggetto e oggetto si definiscono a vicenda e non si dà nessuna esistenza (o almeno non riesco a immaginare come si possa concepire e definire l'esistenza) senza la compresenza di soggetto e oggetto, coscienza e realtà. Di conseguenza trovo assurdo l'"oggettivismo" ossia la pretesa che esista una oggettività che non presupponga e non sia intrinsecamente legata alla soggettività. Azzardando una definizione di esistenza potrei dire "l'esistenza è la manifestazione di un oggetto subita o accolta da un soggetto". E qui mi fermo, perché soggetto e oggetto si definiscono (e mordono la coda) a vicenda: è oggetto ciò che si presenta al soggetto, è soggetto ciò che percepisce la presenza di un oggetto.
Ci sono correnti di pensiero che conducono a considerare l'informazione come costituente più fondamentale della "realtà", o anche soltanto come un'utile e illuminante chiave di interpretazione della realtà. Se proviamo ad assumere questo punto di vista, ossia proviamo ad interpretare i fenomeni come messaggi, ci rendiamo subito conto che non può esistere messaggio senza un mittente e un destinatario, senza un soggetto e un oggetto. Non ci può essere informazione senza che qualcuno sia informato di qualcosa.
Sì, sono anch'io convinto che sia arbitrario credere nell'oggettività in sé.
Così come pure nella soggettività in sé. Occorre prestare attenzione secondo me a considerarle entità a sé stanti, finendo magari col privilegiare (dare patente di realtà) a uno dei due poli a scapito dell'altro.
 
Questa scissione soggetto/oggetto è l'esserci.
Mentre il termine "esistenza" preferirei riferirlo al possibile superamento della scissione. Seguendo perciò la filosofia dell'esistenza di Karl Jaspers.
 
In quanto slancio che cerca di andare oltre il soggetto/oggetto, l'esistenza si manifesta attraverso la comunicazione.
Tuttavia sotto questa luce la comunicazione assume un significato radicalmente diverso dall'usuale.
 
Nell'esserci, il messaggio consiste in uno scambio di informazioni tra soggetto e oggetto
Perché anche se lo interpretiamo tra soggetti, in realtà, essendo il soggetto sempre uno solo (ossia noi stessi) lo scambio avviene sempre tra soggetto e oggetto.
 
Ma in quanto "comunicazione esistenziale" questa non è più da intendersi come uno scambio di informazioni. Perché l'esistenza è comunicazione pura. Ossia prescinde dai cosiddetti attori (!) che dovrebbero comunicare.
 
L'esistenza, che si manifesta attraverso la comunicazione, consiste nel gettare un ponte per superare la scissione soggetto/oggetto.
Di modo che l'esserci, scissione soggetto/oggetto, nella prospettiva esistenziale altro non è che l'occasione, attraverso la comunicazione, per il manifestarsi dell'esistenza.
Che non è "qualcosa". Come potrebbe esserlo, visto che i qualcosa appartengono al regno dell'esserci?
Ma possibile ricostituzione della scissione, perciò slancio trascendente.
In estrema sintesi, l'esistenza è coscienza della propria Trascendenza.
 
Secondo me, la realtà dell'esistenza, così come ho cercato di descriverla, è un presupposto necessario della stessa comunicazione.
Difatti la comunicazione cosa riguarda alla fin fine?
Pensiamo davvero che il cosiddetto "messaggio" consista nel trasmettere una "verità" da un'entità all'altra?
Quasi che sia possibile vi sia un luogo dove manca la verità e un altro dove invece vi sia. E che perciò trasmettendone l'informazione dal secondo al primo si possa così "inculcarla" nel primo?
Davvero ciò che è Vero può essere qui ma non là?
 
O non sarà invece che la Verità è già ovunque?
E che perciò la comunicazione non consiste affatto nel tramettere verità da un posto all'altro, ma semplicemente nel "risvegliare" la medesima verità là dove è stata, in un certo qual modo, dimenticata.
 
Il lavorio della comunicazione ha come obiettivo finale la Verità, che l'esistenza non conosce, ma in cui ha "fede".
 
Citazione
Io per ora lascerei fuori l'"io". Non che sia un elemento poco importante o aggirabile, ma farei un passo alla volta. Il primo passo prevede di considerare solo il soggetto in generale, la soggettività contrapposta all'oggettività; il percepire contrapposto all'essere percepito; il mittente contrapposto al destinatario. In modo impersonale, senza io, tu, noi... In questa prospettiva, quando dici che potrebbe sussistere un "essere" in sé indipendente dal soggetto, se al posto di soggetto ci metti "soggettività" le cose cominciano ad apparire sotto un'altra luce. Sei costretto a fare i conti col paradosso di un'oggettività indipendente dalla soggettività, senza la quale però l'oggettivo perde ogni significato.
Ecco, secondo me si dovrebbe invece iniziare con l'io. Perché il termine "soggettività" implica di aver già fatto un passo avanti. Con la soggettività abbiamo infatti già compiuto una generalizzazione, che in realtà è solo una scommessa. La scommessa  di non essere il solo soggetto.
 
Direi di più, prima ancora dell'autocoscienza dell'io, vi è l'indeterminato. Cioè io vivo, ma l'altro non mi appare ancora pienamente nella sua oggettività, e di conseguenza non vi sono neppure io.
Quando la razionalità prende il sopravvento, il molteplice con cui tutto l'altro compare si fa via via più definito (e così l'io). Finiamo in questo modo col considerare lo stesso molteplice la realtà originaria.
Ma secondo me non è così.
 
Gli stessi numeri non sono nella sequenza in cui normalmente li consideriamo.
Difatti, il 2 viene "prima" dell'1. Perché solo dopo aver notato 2 oggetti simili, può nascere l'idea dell'1.
#2898
Tuttavia Angelo, mi pare che la considerazione di Euritemo sia significativa. Ossia che l'insieme dei cappelli non scelti abbia come probabilità 2/3. Questa probabilità dell'insieme deve rimanere necessariamente la stessa anche nel caso un suo cappello si rivelasse vuoto.
Abbiamo così, che nel caso i cappelli fossero 100 e dopo averne scelto uno, dei rimanenti ne venissero mostrati vuoti 98, cambiando cappello la probabilità di indovinare sarebbe 99%
#2899
&Eutidemo
Il caso è tremendo! 
Se esiste...
E se non esiste lo è ancora di più.
#2900
&Donalduck
All'inizio pensavo che l'azione di togliere un cappello vuoto modificasse la probabilità della prima scelta aumentandola, cioè da 1/3 diventasse 1/2. Ma non è così. Anche dopo che è stato tolto C la scelta fatta di A resta 1/3. Perché non tutti i cappelli possono essere tolti. Solo quelli che non sono A.
Ho infatti pensato che se viceversa se ne aggiungesse uno, anche in questo caso la probabilità della scelta di A sarebbe rimasta 1/3.

Comunque sia, ringrazio Eutidemo per questa occasione, dove ho potuto toccare con mano la mia stupidità. A parole mi dico che so solo di non sapere, ma poi nei fatti vince la presunzione...
#2901
Errata corrige, dopo lunga elucubrazione ho cambiato idea. A 1/3, B 2/3, C 1/2
#2902
Tutto si gioca sulla parola "strategia". Che significa una pianificazione di scelte. In quanto strategia, la c ha probabilità 1/2. Mentre la a e la b hanno solo 1/3.
#2903
@Iano
A volte capita che dentro di noi nasca un desiderio di assoluto. Dobbiamo allora lasciare il porto sicuro e veleggiare in mare aperto. Fino a non scorgere più alcuna terra ferma. Ma è proprio quando rischiamo di naufragare che può nascere una nuova consapevolezza.
#2904
Per Davintro,
concordo con la tua analisi.
Vorrei aggiungere che secondo me il pensare, a differenza del sentire, implica uno sdoppiamento dell'io.
Per pensare, da uno divento bino, in modo che possa svilupparsi un dialogo tra me e me. Una lotta, un continuo flusso,  dove ipotesi, anche le più assurde, sono proposte da un polo e rifiutate o accettate dall'altro. Un brainstorming che si conclude quando ritorno ad essere uno, per la necessaria sintesi.
#2905
La prima considerazione che vorrei fare riguardo ai "qualcosa", è che con il loro stesso esserci rendono possibile che io ci sia.
Io ci sono solo perché vi è pure altro da me.
Il mio stato è esser-ci. Ossia la contemporanea presenza di me stesso e di qualcosa. Che è qualcosa proprio in quanto non è me stesso.
 
Se l'altro non ci fosse, non potrei esserci.
 
E se io non ci fossi, l'altro potrebbe continuare ad esserci?

Non in questo attuale "esserci", venendo a mancare uno dei poli, ossia il soggetto che sono io.
 
Potrebbe però "essere", perché indipendente dal soggetto. A prescindere cioè dal suo eventuale esserci con un diverso soggetto.
E' un'ipotesi plausibile, visto che i qualcosa del mondo paiono non dipendere da me.
 
Tuttavia in che termini questi qualcosa sarebbero?
Quale caratteristica, quale attributo potrebbero mai avere senza più esserci?
Insomma, cosa può significare essere invece che esserci?
 
Questo "essere", slegato dall'esserci, non è forse lo stesso "esser vero"? Ossia la Verità?
E anch'io, smettendo di esserci, non potrei allora essere?
#2906
Per Sgiombo,
ciò che abbiamo davanti, sia nella realtà fisica sia in quella mentale, sono solo eventi.
Eventi dove non è possibile discernere tra ciò che diviene e il suo stesso divenire.
 
Questa constatazione è, secondo me, meravigliosa!
Perché mette in discussione l'ovvia interpretazione della realtà di un essere soggetto al divenire. Questo convincimento è la principale causa del nichilismo (qui condivido il pensiero di Severino).
 
Mettere in discussione il molteplice è necessario. Lo richiede l'Etica.
Lo so che non sei d'accordo, ma l'Etica è tutto.
In qualsiasi campo, anche nella logica, ogni possibile valore lo dà l'Etica.
 
Tanto per venire dalle tue parti... il valore del Manifesto del Partito Comunista è squisitamente etico.
#2907
Per Iano.
se lo spazio fisico è composto solo da materia e da vuoto, la divisione di un oggetto materiale può avvenire solo agendo laddove vi è del vuoto.
 
Non è intuitivo, perché nella nostra esperienza dividiamo ciò che appare materialmente continuo. Ma questa continuità è solo un'illusione.
 
Se quella materia fosse veramente senza soluzione di continuità, come potremmo dividerla, dove agiremmo?
 
I cubi, sono cubi solo per il vuoto che sta loro attorno. Se il vuoto non ci fosse, non vi sarebbero neppure i cubi...
 
Penso che Aristotele, pur non dichiarandosi atomista, descriva bene la filosofia atomistica, sia in Fisica sia in Metafisica.
 
Comunque anche con una ricerca su web della voce "atomismo" puoi trovare molte fonti disponibili.
#2908
Per Sgiombo,
Zenone nega l'oggettività in sé. Se l'oggetto fosse davvero distinto da tutto il resto non potrebbe muoversi.
Ma se per te l'oggettività è verità assoluta ne consegue che il paradosso di Zenone non sta in piedi.
#2909
Per Sgiombo,
lo vedo bene che sei un razionalista!
Con "il tuo irrazionalistico relativismo" non intendevo te ma la definizione che davi.
#2910
Per Iano.

Se la materia è continua non si può dividerla. La divisione agisce sulla discontinuità. Ossia sul vuoto presente in ciò che a prima vista sembra materia compatta. Se il vuoto non ci fosse la divisione sarebbe impossibile. Questa è stata la grande intuizione greca.
Che portava però a ritenere forzatamente che tale divisione dovesse a un certo punto arrestarsi, a causa di particelle indivisibili (atomi). Se così non fosse stato, potendo protrarre la divisione all'infinito la materia non sarebbe potuta esistere! Ergo gli atomi esistono, perché necessari.
 
Tuttavia, fino ad ora questo limite non è stato trovato (non esiste l'atomo, inteso come l'indivisibile).
Di modo che la materia e il vuoto sembrano più delle semplificazioni della nostra interpretazione razionale che delle "realtà" fisiche.
 
Certo che conviviamo con il relativo! Il nostro esserci è il regno del relativo. L'assoluto per antonomasia, ossia la Verità, non c'è. Proprio perché impossibilitato ad esser-ci.
L'assoluto non può coesistere con il relativo. Perché l'assoluto è sciolto da qualsiasi legame che non sia se stesso.
Esiste qualcosa nel nostro esserci che non abbia legami se non con se stesso?
No, tutto è connesso.
Tutto è relativo...
 
La matematica è forse la maggior espressione del pensiero logico-razionale. Ma è comunque un "sistema" e come ogni sistema non può giungere ai propri fondamenti.
Il fondamento chiave del pensiero logico-razionale, e quindi anche della matematica, è il Principio di Identità (A=A).
Questo principio indispensabile per pensare è pure un assoluto? Cioè la Realtà deve necessariamente rispettare questo principio?
Secondo me no. La Realtà sta oltre qualsiasi principio.
Di modo che pure la matematica non fornisce verità assolute.