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Messaggi - niko

#2911
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
08 Marzo 2021, 11:18:43 AM
Citazione di: InVerno il 08 Marzo 2021, 09:37:03 AM
Ti rendi conto, spero, che le "dittature" di natura politica generalmente non nascono con l'intento di creare disoccupazione, ma di saccheggiare i diritti dei lavoratori  a favore della clack del dittatore? Ti rendi conto, spero, che far precipitare nella povertà le persone non va a favore dell'eventuale "clack capitalistica" \ "plutocrazia" o che altro tu voglia chiamarla, che abbisogna di consumatori sufficientemente dotati economicamente, e non di nullatenenti? Vuoi parlarci apertamente di chi sono questi dittatori così capiamo il famoso "cui prodest?" oppure vuoi lasciarlo indefinito così da poterci incollare qualsiasi teoria, sebbene contradditorie una con l'altra, perchè è celato il conflitto di interessi che le tiene insieme? Non siamo per niente OT, questa è pura metafisica, della più fumosa e vaga delle specie, assente di qualsiasi appiglio con il reale, manca di nomi, manca di fatti, manca di relazioni, manca di storia, è carne senza osso, incapace di sopravvivere al più basilare scrutinio fattuale del "chi\come\dove\quando", e sopravvive solamente nel fantastico teatrino di enti metafisici che interagiscono tra loro come presi da vita propria.


La disoccupazione è un modo come un altro per saccheggiare i diritti del lavoratore, non c'è contraddizione tra disoccupazione e saccheggiare i diritti del lavoro ma sinergia, appunto l'esercito industriale di riserva, se in tanti sono disoccupati, i pochi che lavorano accettano, e sempre più accetteranno, di lavorare come schiavi, ecco un bel cui prodest.


Sul fatto che secondo te servano consumatori abbienti anche nell'interesse degli industriali e dei grandi ricchi, beh, che dire, il fordismo è strafinito, ma era strafinito pure prima di questa situazione, si può avere consumo sufficiente pure in condizioni di povertà generalizzata, basta che il sistema si regga sui consumi di lusso e sulle grandi differenze di reddito tra cittadini, sulla guerra, o meglio sull'alternanza pace e guerra che crea nuovi mercati, e sulla sovrappopolazione data anche dal non controllo delle nascite e dall'immigrazione indiscriminata: se si è in tanti, se si è stipati, mediamente qualcuno dei tanti consuma e gli atri possono andare a farsi benedire ed ecco che anche solo per questo il padrone non ha più la maschera del padre buono; lo stesso saccheggio infinito dei beni pubblici, delle conoscenze e dei flussi di informazione spontaneamente prodotte dalla vita umana, dei vari aspetti biopolitici dell'esistenza non ultimo quello medico, per poi rivenderli, in forma privata, e ridarli a chi ne fu il legittimo proprietario in modo però che a condizioni mutate di esistenza questi debba pagarli (l'essenza del postfordismo è Totò che vende fontana di Trevi), è un trovare all'infinito nuovi mercati e nuove scoperte dell'America anche se le verdi praterie del pianeta in senso prettamente geografico appaiono ben esaurite; per tutti questi motivi dovrebbe esserci chi consuma i balocchi inutili che escono dalle catene di montaggio del capitalismo ancora per qualche secolo anche in condizioni di grave impoverimento, mancanza di welfare e di diritti elementari, se era questa la tua preoccupazione, tranquillo...


su chi sono i nuovi dittatori mi vuoi tirare dentro a tutti i costi in una discussione che come ho già detto prima non mi interessa: non c'è nessun complotto, qualcuno ha preso la palla al balzo di un'epidemia al 99% delle probabilità assolutamente naturale, per farsi "gli affari suoi", più realistico di così, si muore.


Comunque, visto che siamo alle domande retoriche, ma secondo te che deve fare un sedicenne in queste condizioni da un anno? Tu ci staresti a sedici anni a queste regole? Il mondo non è solo degli adulti e degli anziani, il mondo è di tutti...
#2912
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
07 Marzo 2021, 21:22:58 PM
Citazione di: InVerno il 07 Marzo 2021, 07:35:53 AM
Nella consapevolezza che le dittature cambiano di forma ma non di segno, e perciò bisogna essere guardinghi nell'individuare nuove forme di totalitarismo comunque esse si presentino e al di là del quantitativo di zucchero dietro le quali esse si nascondono, ci troviamo in una forma di strana dittatura, unica nella storia umana : anzichè lottare per autoalimentarsi, ha messo in moto una macchina gargantuesca per autoestinguersi il prima possibile. Salutiamo con nostalgia le vecchie dittature che tentatavo di propagarsi e di autoalimentarsi perpetuamente, oggi abbiamo le dittature con il timer per l'autodistruzione.
Le scuse sono dovute. Ricordate prima di internet si diceva : il problema è che manca l'accesso all'informazione, è per questo che le persone hanno idee balzane. Scusate, ci siamo sbagliati. C'è una certezza tuttavia. Alla fine di tutto questo, e la fine ci sarà, quando questa famigerata dittatura scomparirà come una bolla di sapone quando incontra la punta di un ago, l'ago della siringa di un vaccino, i suoi teorici non faranno un post per presentare la più semplice ed umile ammissione, sempre la stessa: Scusate, ci siamo sbagliati. Scompariranno, cambieranno discorso, sarà acqua sotto i ponti, si ricicleranno, come se non fosse mai successo che un granchio grosso come un tir gli avesse mosso l'alluce, o ci sarà da puntare il dito altrove. Ma "scusate ci siamo sbagliati"? L'attesa sarà lunga e invano, per leggere queste poche e semplici parole.


primo, se pure questa storia finisse nel giro, diciamo, di due anni, due anni di dittatura mi basterebbero e mi avanzerebbero, sarebbe semmai chi mi ha tolto la libertà per due anni che mi dovrebbe, al limite, deve delle scuse: non c'è bisogno di nessun complottismo, l'esagerazione di questa emergenza al fine di rimuovere ogni libertà e precipitare milioni di persone nella povertà avviene per strumentalizzazione politica anche senza una regia occulta e un complotto vero e proprio, ovvero è un problema di rapporto costi e benefici, per limitare la circolazione di un virus non si può rinunciare ad essere una società aperta e liberale, perché se si smette di essere una società aperta e liberale ne conseguono fame, morte, imbarbarimento e abrutimento che fanno tanti morti quanti il virus, e comunque uccidono la qualità della vita, a prescindere dalla sua durata o quantità.


Si è detto, abbastanza impropriamente, che il lavoro per i più è stato conservato e sono state tolte cose secondarie, come divertimenti e svaghi: innanzitutto milioni di persone hanno perso il lavoro, chi dice che per i più la possibilità di lavorare è stata conservata dovrebbe vergognarsi, milioni di persone hanno perso il lavoro milioni di imprese hanno chiuso, e visto che anche se il virus passerà, la povertà e la barbarie che il virus ha portato non passeranno, tutti quei milioni di persone che oggi hanno perso il lavoro, un domani non lo ritroveranno o lo ritroveranno a condizioni peggiori di prima, e le imprese chiuse non potranno riaprire, o riapriranno a condizioni peggiori di prima, perché come a seguito di ogni crisi, il capitale si sarà concentrato nelle mani di pochi, che avranno potuto sfruttare il tempo di crisi per investire su, e comprare, ciò che i disperati saranno stati costretti a vendere, con conseguenti condizioni di lavoro più disumane per tutti, e conseguenti minore possibilità di autorealizzazione e di impresa per tutti, quindi scordiamoci che tutto sparirà con un vaccino, le conseguenze di impoverimento e di abrutimento psicologico le porterà un'intera generazione, se ancora questo non vi è chiaro, che dire, svegliatevi...


secondo, appunto, vengono tagliati gli svaghi, (con questo, con svaghi, si intende non solo divertimento, ma anche turismo, arte, cultura... fatti non foste a viver come bruti, non vale più di questi tempi) ma questo configura, appunto una figura generazionale di schiavo, perché chi lavora senza poi, almeno nel tempo libero, svagarsi e senza usufruire di socialità umana e arricchimento culturale questo tipo umano è, appunto, uno schiavo, chi lavora oggi solo per portare a casa la pagnotta con cui avere le forze per lavorare domani, il lavoratore non emancipato e senza diritti, che dopo il lavoro sta segregato in casa, è una figura di transizione tra un cittadino, che un tempo era, verso un robot senza diritti, che è quello che lo stanno facendo diventare.


Distruggere il cosiddetto "tempo libero", con la scusa che tanto, secondo i tecnocrati, il tempo libero non è una necessità, è immediatamente distruggere la dignità e l'emancipazione del lavoro, se non si lavora per il tempo libero, la conseguenza sul piano umano e sociale è che allora, tragicamente si lavora per il lavoro, cioè si è schiavi, si vive come bruti, si va verso un futuro di ancora minore libertà rispetto al presente; che il senso critico sia così mancante che neanche questo si capisca anche mi sembra terribile. Che cosa è un lavoratore di venti, trenta o quaranta anni che dopo il lavoro non esce di casa? Che cosa è uno studente che dopo lo studio non esce di casa? Se non un recluso, uno ai lavori o agli studi forzati? Quello che mi pare incredibile è che la dittatura, sia sul piano dei diritti sociali, che sul piano dei diritti politici, ce l'abbiamo sotto gli occhi ma non vogliamo vederla. Ci beviamo la scusa che la dittatura è per il nostro bene, che senza dittatura sarebbe peggio. Beh vi dirò una cosa sconvolgente, tutte le dittature, in passato, hanno detto di essere per il bene dei sudditi, e che senza di esse sarebbe stato peggio.


Per rispondere anche a viator, la sanità deve essere al servizio del cittadino, questo vuol dire che la priorità deve essere lavoro, dignità e socialità: ogni misura sanitaria deve essere compatibile con queste priorità o essere accantonata. Quindi è una risposta "sanitaria" e quindi secondo me accettabile al virus, potenziare medici e ospedali, ma è una risposta inaccettabile recludere la popolazione, perché così si salava la vita ma non la qualità minima della vita. Lo scopo in cui dovrebbe muoversi la sanità dovrebbe essere solo e limitatamente curare e assistere i malati, non impedire al massimo la circolazione del virus con misure da stato d'assedio francamente disumane qualora protratte per più mesi, il medico, l'esperto della sanità non è un igienista, non è un induttore di ipocondrie, sta lì per curare gli ammalati, di questo si è persa la dimensione con questa crisi: i riduttori dei contagi, quelli che devono occuparsi dall'aspetto propriamente igienico, e non sanitario del problema, sono i politici, che devono farlo nel rispetto della libertà e della sanità anche mentale del popolo, quindi trovare misure di sanità compatibili con una vita normale e qualora non siano compatibili accantonarle e accettare il rischio calcolato che qualcuno si ammali, perché il disagio di una malattia per alcuni cittadini, non è minore o di minor valore del disagio di una reclusione, di un rapporto tra persone spezzato, di una scuola negata per altri, e il tema deve essere equilibrare costi e benefici, non contrastare il virus rinunciando alla nostra umanità, cioè fare una cura peggiore del male. Io chiamo negazionisti dell'ovvio, quelli ce ancora non vedono che la cura, da oltre un anno, in mezzo mondo, è peggiore del male.


La sanità è al servizio del malato, e, dato che fino a prova contraria il malato è un essere umano civilizzato e socializzato, che di solito lavora o studia, il limite intrinseco di un atto per poter essere definito "sanitario" è che quell'atto deve permettere il più possibile il lavoro, la dignità e la socialità del "curato", di colui che usufruisce dell'atto sanitario. Deve dunque facilitare tutto ciò, e non impedirlo. Si cura un uomo per facilitare la sua auto realizzazione, rimuovere gli ostacoli ad essa che possono essere a volte le malattie fisiche, non certo per farlo vivere uno, o due, o cento giorni in più come una pianta, come una bestia o comunque in un modo in cui lui, o la maggior parte degli uomini, non vorrebbe vivere.


Ogni medico o operatore sanitario in senso lato ha una responsabilità, secondariamente verso tutta la società, ma primariamente verso lo specifico paziente, verso le singole persone di cui si prende cura, che è prioritaria e va oltre quella verso la società in generale. Se la sanità si pone contro le attività realizzative e auto realizzative dell'uomo non è sanità, è tecnocrazia, è ospedalizzazione del mondo. Un uomo che vive quantitativamente e temporalmente di più rispetto a una presunta data destinale o prestabilita di morte ma vivendo male, non avendo intorno a se le condizioni minime per essere felice, si riduce a uno strumento utile a chi lo sfrutta, ad esempio un moderno sistema più o meno impersonale di sfruttamento tramite consumo e lavoro come il capitalismo, non a se stesso, e quindi quella "cura" non è una cura rivolta a lui, è una cura verso i suoi nemici o sfruttatori, verso il sistema che a vari livelli su di lui ci campa. Lo schiavo funzionerà meglio per un po' e questo farà la felicità dei padroni di schiavi, non dello schiavo. Per curare davvero qualcuno in carne ed ossa, ti devi fermare quando la cura lede la sua dignità. Tale limite è stato, presso di noi come popolo di malati, di recente abbondantemente superato.
#2913
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
07 Marzo 2021, 01:07:53 AM
Ma come fate a non vedere la dittatura:


negazione dei più elementari diritti umani, istituzionalizzazione della delazione e dell'infamità, segregazione di milioni persone che non hanno commesso reati, modello lavoristico e familistico di tipo ottocentesco dei criteri di elargizione della poca libertà di movimento residualmente concessa, con segregazione particolare persecutoria e infame dei giovani, degli studenti, degli artisti, dei vagabondi, dei sessualmente non conformi, delle prostitute e degli improduttivi in generale: chi non ha un lavoro e una famiglia è un cittadino di serie b che secondo loro può essere segregato in maniera più crudele e più duratura di tutti gli altri, la vita di chi non ha un lavoro e una famiglia non è necessaria, ribadisco, non è una vita necessaria, per questa dittatura tecnocratica di merda, ma un comitato di medici che mi dice in base alle mie personali scelte (abitative, riproduttive, occupazionali eccetera, insomma scelte ricadenti nell'ambito dell'autodeterminazione come intangibile valore) se io, cittadino come gli altri che vota e paga le tasse, posso camminare per strada o no, se posso varcare una frontiera o no, non è un comitato di medici, è un comitato di nazisti, qui si è impedito ad ognuno, individuo, famiglia, gruppo sociale di vario tipo che sia, di scegliere il livello di accettazione rischio che era disposto a correre, e si invece è imposta una soglia di accettazione del rischio standardizzata da pazzi ipocondriaci, da gente che accetta (accetta per modo di dire, nel senso che comunque lo fanno accettare) oltreché di perdere l'umanità di sorrisi e strette di mano, oltreché di perdere l'intangibile diritto costituzionalmente sancito di far entrare in casa propria chi cavolo si voglia a che ora si voglia e in che numero si voglia (a questo punto siamo arrivati...), accetta anche, per colmo dell'assurdo, di impoverirsi fino a non avere più un futuro e una dignità, e tutto questo pur di non ammalarsi di una cosa che se sei sano e non anziano non uccide e ti fai cinque-dieci giorni al letto.


Il fatto è che se io come individuo intangibile, soggetto di diritto, cittadino ed essere umano, maggiorenne, in pieno possesso delle mie facoltà mentali, voglio rischiare la morte (ovvero di avere un rischio di morte di un milionesimo per cento più di un anno solito al netto di tutta la montatura)  pur di non piegarmi a una regola da ipocondriaci che mi impone di lavarmi le mani quando tocco un mio simile, non lo posso fare perché qualcuno a già deciso per me il livello di accettazione del rischio relativo a questa "emergenza", e questo livello di accettazione del rischio, deciso dallo stato, prevede una gerarchia di valori, da me assolutamente contestata, per cui la mia sopravvivenza fisica viene prima del mio diritto a toccare un mio concittadino non convivente senza prima e dopo lavarmi le mani, ma la questione è, di di chi sono le mani? Le mani sono mie, la vita è mia, il corpo è mio, e questa dittatura lede il diritto più fondamentale dai tempi della magna carta inglese, l'habeas corpus, il possesso individuale e non statuale dei corpi, inteso principalmente come il diritto a non essere imprigionati senza processo.


Vogliamo poi parlare del termine "emergenza" usato per una situazione che si strascina da un anno?


Emergenza semanticamente significa qualcosa che "emerge" e coglie tutti di sorpresa, quindi semmai, soluzioni da dittatura e coprifuoco erano vagamente accettabili a marzo scorso, quando nessuno sapeva la letalità del virus ne come affrontarlo, ne vi erano misure di contenimento, cura, ricovero, monitoraggio e risposta all' "emergenza" adeguate appunto perché l'emergenza coglieva tutti di sorpresa, quindi si poteva sostenere che "nel dubbio" erano state scelte le misure più drastiche.
Ma cosa sta a significare lo strascinarsi dell' "emergenza" in una situazione completamente mutata come a novembre, in cui ormai, avendo visto la situazione a marzo, si sapeva tutto della malattia, della sua (blanda) letalità, di come il problema fosse l'afflusso eccessivo e non gestibile di malati negli ospedali e nelle strutture di cura e non la letalità in se.


Ricapitolando marzo ci hanno detto: "dovete restare a casa (negazione di ogni libertà, socialità e  e autodeterminazione) perché sennò si intasano (neanche fossero gabinetti) gli ospedali, oltre un certo numero di malati, i malati rimarrebbero abbandonati nelle ambulanze (come poi è anche successo) non curati eccetera. C'è la soglia non ben definita ma sempre gravante come minaccia, della soglia di malati da non superare, se no, oltre quella soglia non verrà curato più nessuno, se no non verremo più curati neanche noi, sennò i medici dovranno scegliere chi far vivere o no e avranno tanti problemi di coscienza eccetera. Non si sa mai bene quale sia tale soglia, ma è sempre, nella rappresentazione ideologica dell'emergenza infinita, a un passo dall'essere raggiunta, e, naturalmente, pur non essendo facile da quantificare, sicuramente ci deve entrare ben in testa che essa deriva da una questione prettamente di allocazione delle risorse, ovvero naturalmente sta per essere raggiunta la soglia critica di saturazione degli ospedali perché le disponibilità degli ospedali sono poche e contate, perché i medici sono pochi, perché i farmaci sono pochi, perché tutto è poco. Come se questi parametri non potessero, in tempi ragionevoli, essere corretti e aumentati. Come se l'essere "poco" di tutte queste risorse fosse un destino, una iattura per cui davanti al virus invincibile tutto è per definizione poco, e non una cosa contingente (se fosse reale e comunicata in buona fede), che deriva non solo dall'avere in generale in Italia una sanità sfasciata anche da prima dell'emergenza, ma dal non averla aggiustata con una mobilitazione straordinaria di mezzi e risorse tra marzo e novembre, cosa per cui l'intero consiglio dei ministri Conte è secondo me da mandare ai lavori forzati in miniera, il peggiore dal dopoguerra.


E noi, da bravo popolo bue abbiamo fatto la nostra parte, siamo riamasti a casa, con inni dai balconi e strombazzamenti vari.
Poi a novembre ricomincia l' "emergenza" insomma questa storia "emerge" ancora. Ancora la motivazione per la privazione della libertà è l'intasamento (termine sempre idraulico) degli ospedali.
Ora, non so se qualcuno ha idea di quanto, in soldi, in euro, sia costata la gestione di questa pandemia, chiudendo tutto, dando ristori alle imprese, sussidi a chi rischiava la fame, azzerando l'intrattenimento, il turismo, l'immobiliare, buona parte dell'istruzione. Miliardi e miliardi e miliardi andati in fumo o dirottati da un uso produttivo a un uso meramente speculativo o parassitario. Gestione basata sulle chiusure, sulla negazione della libertà che genera stress problemi psicosomatici e altre malattie, e sul mantenimento assistenziale, welferistico eccetera, (contro la loro volontà!) di lavoratori e piccoli imprenditori disperati.


E' un'ordine di grandezza di ricchezza persa che si misura in miliardi di euro, generazione di debito pubblico, dissesto finanziario a livello nazionale ed europeo eccetera. E il problema, secondo la grancassa ideologica del regime è che si intasano gli ospedali. State a casa, ci dicono perché si intasano gli ospedali. A novembre, come a marzo, come a febbraio, come sempre. E' un mantra.
Gli ospedali si intasano, sempre.

Ora, mi chiedo io, con un decimo dei soldi, dei quattrini sonanti, ma anche delle energie lavorative, delle conoscenze, della forza lavoro che questi geni di politici tecnocrati hanno buttato, hanno letteralmente mandato in fumo, per affossare intenzionalmente il mio paese e far regredire di duecento anni la mia civiltà (politica delle chiusure e del creare milioni di nuovi poveri, sfamati con le briciole di un welfare che alla lunga non reggerà), quanti ospedali, si sarebbero potuti costruire?


Invece di pagare miliardi di ristori, costruiamo gli ospedali. Invece di affossare la mobilità con danni per miliardi, costruiamo gli ospedali. Invece di creare un debito che dovremo pagare per decenni tra tasse e inflazione, costruiamo gli ospedali. Invece di distruggere le imprese e i posti di lavoro, costruiamo gli ospedali.


Un piano di gestione territoriale razionale del problema, per costruire altri due ospedali (che poi, in realtà, quasi sempre bastano strutture para ospedaliere tipo rsa per i problemi posti dal covid) per ogni ospedale già presente in Italia, riempirli di personale, attrezzature, assoldare cinque medici per ogni medico operante in Italia, cinque infermieri per ogni infermiere e cinque oss per ogni oss, sembra una cosa costosissima richiedente un dispendio di energie al limite dell'impossibile?  Una mobilitazione appunto "da guerra"? un'operazione con mobilitazione incredibile dello stato e del popolo tipo ritirata di dunkirk? Nel tempo tra marzo e novembre? Con i prefabbricati  e i tendoni, se necessario? Ma questo si fa quando c'è una pandemia. Si cerca di ridurre i danni, non di aumentarli. La mobilitazione straordinario dovrebbe essere di aiuto, non di isolamento e terrore.


In realtà, tutto questo sarebbe costato un decimo, un ordine di grandezza minore, dei soldi che hanno speso per risolvere il problema assistenzialmente, a suon di assistenzialismo a chi ha perso l'impresa e il lavoro che poi genererà tasse e debito pubblico per tutti, isolazionisticamente e evitando fisicamente i contagi con interi settori della vita sociale educativa ed economica andati distrutti, a suon di persone recluse che hanno perso la libertà e visto il paese andare in pezzi, danni per miliardi di miliardi che a triplicare gli ospedali e i medici di tutta Italia in confronto era un decimo o un centesimo della cifra con cui si possono quantificare e qualificare quei danni.


Il problema è che una vota che gli ospedali esistessero e fossero efficienti, e si sapesse dove mettere i malati, tutto il costrutto paranioco della pandemia si smonterebbe. Gli ospedali non si intaserebbero. La gente potrebbe camminare per strada. Invitare in casa propria chi vuole. Non ci sarebbe più motivo di spiare. Di ridurre al fallimento. Di licenziare. Un gran numero di medici assoldati temporaneamente per l' "emergenza" potrebbe sia lavorare negli ospedali, che assistere a domicilio chi facesse la scelta, più razionale e anche più civica in caso di forma non grave, di fare la malattia a casa. I malati starebbero negli ospedali, e la gente sana starebbe per strada, a casa o nei posti di lavoro a fare una vita quasi normale, come nei paesi civili tipo Svezia. Non ci sarebbe più la ratio, la ragione, di medicalizzare, e quindi di disumanizzare, la gente sana. L'ospedale permette di metterci dentro i malati anche per distinguerli dai sani. E' anche un contenimento delle anzie, delle paure e delle ipocondrie, utile, in questo senso psicologico, a chi è dentro e a chi è fuori. Per questo in una dittatura di tipo nazista sorta strumentalizzando una blanda pandemia l'ospedale si deve intasare. Sovraccaricare. Perché così non si distinguono, o meglio non si collocano più ben precisamente nel tempo e nello spazio i sani e i malati. Non c'è più il luogo dei sani e il luogo dei malati e il mondo intero diventa ospedale, o, che è lo stesso, il mondo intero diventa luogo sano redento dalle pratiche mistiche dei medici e politicanti dittatori.


Il tempo si è fermato. Non si ammette che l'emergenza è un metodo di governo. Si sentono gli annunci nei supermercati: Per la vostra sicurezza dovente rispettare delle norme sul mettere la museruola e distanziarvi come alieni in questi giorni. Ma quali "in questi giorni", dico io? E' un anno che va avanti sta storia. Di solito non linguaggio comune, ordinario, non si dice "in questi giorni" per indicare un anno o una questione che va avanti da un anno. Eppure l'annuncio non lo hanno aggiornato. Dovrebbe dire: "  gentili clienti, non c'è nessuna emergenza, dovete distanziarvi come alieni e mettere la museruola perché come soluzione a quella che a suo tempo fu un'emergenza, non si è trovato niente di meglio." Questo è il minimo che mi aspetto da una comunicazione veritiera e non dal bollettino di una dittatura.
Lo stesso ogni singolo cartello che sta in giro per la città che dice "emergenza coronavirus, fate questo e questo, con i disegnini eccetera". Ormai è un anno. Non c'è nessuna emergenza. Ci stanno pigliando per i fondelli. Dovrebbero dire "gestione ordinaria dell'emergenza coronavrus". Perché ormai lo sanno com'è la questione e la malattia, sanno tutte le variabili in gioco, e hanno deciso di gestirlo così. Ma Essendo diventata una questione ordinaria dovrebbe passare al vaglio della volontà popolare, quantomeno con fine dello stato di emergenza e libere elezioni o un referendum, se vogliamo rinunciare alla nostra libertà per la nostra salute o no. Per questo la chiamano ancora emergenza. Anche se ormai emerge solo la bassezza umana.









#2914
Citazione di: Ipazia il 03 Marzo 2021, 19:41:45 PM
Che esista un mondo-realtà a prescindere dalla nostra coscienza individuale lo dimostrano i nostri genitori che ci pre-esistevano. Che ci sia un mondo-realtà a prescindere dalla nostra specie lo dimostrano geologia e astronomia. Questo è il dato fisico non ancora falsificato da nessuno. Il dato metafisico ognuno se lo può girare come vuole.




Si tratta di pensare la relazione della parte con il tutto, io credo che la maggior parte degli uomini non sia interessata all'esistenza oggettiva del mondo come costrutto fisico o geologico, ma alla realtà dei valori, degli affetti e delle relazioni eticamente significative, insomma si interroga sul fondamento, ponendo se stesso come problema; queste "cose", relazioni, pensieri, sentimenti eccetera, stanno nel grande mondo, come lo definisce ad esempio anche viator, mondo come grande insieme di cause ed effetti, principio per cui all'infinito le cause producono gli effetti, di cui la coscienza, secondo me, è un ritaglio in senso prospettico e insiemistico, quindi sì, per me i fondamenti della vita culturale e relazionale umana esistono oggettivamente, "stanno" nel mondo nel senso dello stare sul quadro o sull'arazzo a cui il mondo potrebbe essere paragonato,  tra questi vari costrutti culturali esiste la visione scientifica, geologica e cosmologica del mondo che ne è una piccola parte, di solito nemmeno tanto interessante per l'uomo della strada.


Quindi se lo dovessi descrivere per contenuti e matriosche, c'è prima il mondo come grande contenitore di tutto, assoluto con tutti problemi che l'assoluto pone, di concetto senza referente eccetera; dentro il mondo c'è la coscienza, un micro pezzetto di mondo dedicato ad esseri che non attingeranno mai l'assoluto come totalità, ma solo la parte che non è e non sarà mai il tutto, e non darà mai informazioni sufficienti alla deducibilità del tutto, e sarebbe meglio, secondo me, che se ne facessero una ragione; dentro la coscienza c'è, insieme a mille altre cose, quello che gli scienziati e tutti quelli istruiti che avendo fatto un po' di scuola attingono alla divulgazione scientifica considerano il mondo o l'universo nel senso fisico e cosmologico del termine, compresi i terrapiattisti che se ne fanno una loro idea un po' particolare.


Può sembrare naif che il mondo fisico e cosmologico secondo me stia dentro la coscienza, ma penso che pianeti e meteoriti se ne infischino delle teorie con cui li descriviamo, e così pure leptoni e compagnia bella, quindi dal mio punto di vista ci sta benissimo. Ma il punto fondamentale è che stare dentro la coscienza, secondo me non è diverso da stare nel mondo, solo una posizione più centrata e meglio definita di un qualcosa che diversamente sarebbe indefinito: se nel cassetto c'è una pistola, e nella pistola c'è una pallottola, la pallottola sta nel cassetto, non chissà dove altro, la domanda sulla pallottola riguarda anche il cassetto e non solo la pistola, anche se magari ci vuole astrazione e un po' di attitudine contro-intuitiva per capirlo.
#2915
Citazione di: Phil il 03 Marzo 2021, 16:56:00 PM
Citazione di: niko il 03 Marzo 2021, 13:50:52 PM
non c'è il mondo esterno da percepire tramite la coscienza, ma la coscienza stessa è contenuto mondano.
Non direi debba esserci necessaria contrapposizione, quel «ma» può essere un «e» (che cancella il «non» iniziale): la coscienza è contenuto mondano, il suo esser-contenuto presuppone (fenomenologicamente) l'esserlo per-qualcuno, per-una-coscienza; quindi l'esser-contenuto-di-coscienza può essere esterno (mondo) o interno (auto-coscienza). Questo mi pare renda più nitido il ruolo di "punto prospettico/insiemistico" della coscienza, intesa come «un limite o un ritaglio passante per il mondo che finché esiste definisce primariamente cosa del mondo sia arbitrariamente interno o esterno per un soggetto»(cit.).

Citazione di: niko il 03 Marzo 2021, 13:50:52 PM
(prima relazione possibile col mondo, abitazione di un corpo, la pelle) [...] (seconda relazione possibile col mondo, abitazione di una parte del mondo che definisce il mondo in quanto conosciuto, il mondo come casa; che poi a ben vedere l'insieme delle nozioni nella mente di un uomo sono micro-modificazioni del suo corpo, soprattutto del cervello
Dal discorso proposto sembra che nella tua prospettiva ci sia anche una (implicita) terza (pseudo?)relazione possibile con il mondo: quella con il mondo supposto come ulteriorità mondana (dissimulato nell'incipit del tuo post), come idea di spazio oggettuale eccedente il mondo circoscritto di ciascun soggetto; nel momento in cui anche ipotesi, possibilità, aspettative e teorie sono pur sempre contenuti di coscienza (con annesse micro-modificazioni), tale terza relazione si invera (per dirla in metafisichese), pur restando priva di un referente oggettuale extra-soggettivo (trattandosi di contenuti di coscienza puramente teorici; il che, se magari non denota una terza relazione autonoma, suggerisce almeno una rilevante dicotomia all'interno della seconda relazione, fra micro-modificazioni che richiamano un oggettualità esterna e micro-modificazioni che sono incentrare sulla soggettività pensante).
Questa relazione terziaria che, seppur prima negata dalla «legge dell'esistenza, l'idea di una ulteriorità della realtà che si possa rivelare in una ulteriorità del conoscibile, non è e non può essere mai attualmente valevole per l'uomo» (cit.), poi si afferma con la postulazione, attuale solo nella sua astrazione, di un "grandissimo" extra-coscienziale, un «arazzo o un quadro astratto grandissimo con una cornice grandissima, quanti sotto-quadri più piccoli ci potresti ricavare sovrapponendoci delle cornici più piccole, sono i viventi ognuno preso nella "sua" visione del mondo»(cit.). Tale "grandissimo arazzo" non può essere, nella sua totalità mondana, contenuto oggettuale di coscienza individuale, tuttavia resta possibile postularlo come teorica proiezione esponenziale del piccolo arazzo oggettuale che è contenuto nella singola coscienza.
Questa implicita terza relazione con il mondo, in quanto mondo-oggettuale-eccedente-la-coscienza e i suoi contenuti mondani (eppure pensato come esistente fuori dalla coscienza con un salto "meta-fenomenologico"), si conferma, pur nella sua problematicità, nel momento in cui «quello che non sappiamo di essere finché resta tale non ci riguarda, e quando ci riguarda è perché in una certa qual misura "entra" nella nostra coscienza, ed è dunque presupponibile che sia contenuto mondano anch'esso, sia nel suo entrare nella nostra coscienza, che nel suo non-entrarvi»(cit.); nondimeno, solo il postulare tale terza relazione con il mondo rende possibile presupporre che anche ciò che "non entra" in una coscienza possa essere comunque un contenuto mondano (pur non entrandovi, pur essendo extra-coscienziale) e non solo contenuto astratto privo di referente oggettuale (detto più in sintesi: il pensare la possibilità d'esistenza oggettuale in assenza di esperienza mondana).

Citazione di: niko il 03 Marzo 2021, 13:50:52 PM
c'è il mondo con tutta la verità in se stesso e la sovrapposizione delle varie coscienze al mondo come spazi visibili e vivibili di mondo, le "intersoggettività" che in questo gioco di disegni e sovrapposizioni ben possono darsi, sono solo sovrapposizioni doppie, triple, ennesime che determinano una conseguente intersezione, gli spazi condivisi da più di una vita che cadono sullo stesso tratto di mondo e lo mettono in particolare evidenza, dando ad esso un visibilità condivisa
Riguardo alla intersoggettività come mera intersezione fra quadri e ritagli, mi pare sia una rappresentazione spaziale bidimensionale a cui va aggiunta una tridimensionalità dinamica, ovvero la "profondità" del tempo (di tale sovrapposizione) in cui tali intersezioni producono ulteriorità, altro da ciò che sono, non limitandosi a coincidere nel medesimo spazio bidimensionale come l'intersecazione di due insiemi. Un esempio di tale terza dimensione (che a suo modo presuppone la terza relazione con il mondo, la presupposizione del non-ancora-noto, non-ancora-"oggettivato"-eppure-teorizzato), può essere il tuo stesso post: non si tratta di una parte di mondo pre-esistente in cui ci incontriamo (intersecando le nostre coscienze), ma di una tua produzione che diventa un mio contenuto di coscienza che a sua volta genera una mia produzione (questo post) che diventa tuo contenuto di coscienza (se lo stai leggendo), etc. nella parte di mondo in cui ci intersechiamo, ovvero questa pagina di forum, avviene non la mera «messa in evidenza»(cit.) di ciò che già è, bensì la creazione (oltre che di dati digitali prima non esistenti nel server del sito, etc.) di una "fetta di mondo" che prima non c'era e che ora entra a far parte nei nostri rispettivi mondi di coscienza, oltre ad essere ormai disponibile anche ad altre coscienze (neonata parte del mondo che innescherà differenti vissuti a seconda che si tratti della mia coscienza, della tua o di quella di un terzo lettore).


Beh,si può certamente affermare che l'idea che il mondo esista come ulteriorità rispetto a (qualsiasi) coscienza è spesso, se non quasi sempre, presente alla coscienza, e sicuramente modifica anche di conseguenza il cervello, ma come dici tu questo mondo ulteriore alla coscienza non ha oggetto, non ha referente, quindi la coscienza nel suo tentare di riferirvisi è l'essere più il nulla, nel senso della totalità e dell'imperfezione, quindi questo referente nullo è la verità della coscienza stessa, quindi il mio ragionamento è semplicemente supponiamo che la coscienza possa davvero conoscere il mondo, allora, se così fosse, il mondo "vero", numenico, non potrebbe essere altro che il doppio così perfetto della coscienza da essere da essa indistinguibile, la sovra-posizione perfetta, per quanto parziale, insomma mi trovo a riempire questo nulla con la verità della coscienza, che tanto è quello che succede nel disincanto nichilistico e post-metafisico come accesso residuale alla verità laddove ci si rende conto che nessun'altra verità è possibile.
Il fatto però che la verità coincida con la coscienza, non vuol dire che anche la totalità vi coincida, la totalità come combinazione di essere e nulla è modellizzata e attraversata in questo tipo di pensiero, quindi quello che è vero perché cade sotto i sensi e sotto la coscienza, materialismo e sensismo assoluto secondo me, potrebbe essere una parte della verità, o falso, se il vero è l'intero e solo l'occhio di Dio può osservare simultaneamente tutto il mondo, il problema della verità in questi termini non è neanche più posto.


Quindi la coscienza che si suppone ci sia un mondo oltre la coscienza, per me ricade in quello che ho chiamato abitazione del corpo e del mondo, non fa da terza relazione; per spiegarmi meglio, io penso che l'interiore ed esteriore, il distinguere in generale il pensiero dalla realtà, siano già pertinenza del corpo e quindi della mente; invece la presenza complessiva al mondo che va al di là di interiorità ed esteriorità, è data dal fatto che ogni attimo di coscienza si dispiega, e entro certa misura si accumula, al netto delle dimenticanze, nel tempo, e dal fatto che l'uomo suppone esistente un mondo ulteriore a quello che conosce e si comporta di conseguenza, e non solo per sua scelta m perché presupporre esistente il mondo è necessario a sopravvivere, e quindi rientra nel progetto in generale della vita ben al di là della storia del singolo, quindi qui siamo oltre la percezione istantanea e fotografica, sia perché ci percepiamo come esseri temporalmente perduranti e tendenzialmente desideriamo percepirci come tali (come detto prima vogliamo sopravvivere) sia perché presupponiamo, a fini sia partici che meramente speculativi, che il mondo esita, tutto questo l'ho chiamato abitazione del mondo come conoscibile e come casa.


Per quanto riguarda il tempo, di cui tu parli rispondendo a quello che io ho definito intersoggettività, io ho un'idea abbastanza strana di come sia e "scorra" il tempo nell'infinito, per me è la condizione di prossimità -spaziale- da ridefinire per definire il tempo, il passato e il futuro esistono fisicamente come esiste il presente, il che vuol dire che c'è armonia prestabilita tra più mondi che corrispondono a più attimi e la coscienza fa il salto continuo da un mondo all'altro per farci vedere il film del tempo come coerente, se vedessimo a raggio di visione più ampio, il tempo sarebbe fermo, e ad uno ancora più ampio di quello che ci restituisce il tempo fermo, tutto starebbe avvenendo contemporaneamente, quindi la bi-dimensione del quadro o dell'arazzo è solo una metafora come un'altra che se presa troppo sul serio non va bene in nessun senso a descrivere una singola vita umana, figuriamoci l'incontro tra due o più.
#2916
Io penso che la coscienza sia parte del "mondo" nel senso lato e filosofico del termine, quindi non parto dal presupposto che il mondo sia un numeno/verità fondamentalmente inattingibile da recepire ed elaborare nelle sue varie forme (variamente trasfigurate) tramite la scienza e la coscienza, ma che la coscienza stessa sia il numeno/verità o meglio parte del numeno/verità che ci è toccata in quanto parte del mondo, la parte di verità e di esperibilità che ci è toccata in sorte (se il vero è l'intero, allora quanto è conoscibile in vita, è per me tutto falso!) insomma non c'è il mondo esterno da percepire tramite la coscienza, ma la coscienza stessa è contenuto mondano.
Dunque solo il mondo (che poi secondo me è infinito) ha in se tutta la verità e la realtà, e la coscienza è solo un limite o un ritaglio passante per il mondo che finché esiste definisce primariamente cosa del mondo sia arbitrariamente interno o esterno per un soggetto, (prima relazione possibile col mondo, abitazione di un corpo, la pelle) e secondariamente cosa al netto di una vita umana istantaneamente o complessivamente considerata, sia noto o ignoto a questa vita (seconda relazione possibile col mondo, abitazione di una parte del mondo che definisce il mondo in quanto conosciuto, il mondo come casa; che poi a ben vedere l'insieme delle nozioni nella mente di un uomo sono micro-modificazioni del suo corpo, soprattutto del cervello, che gli definiscono e gli disegnano il mondo alla rovescia rispetto al "vero" come macro-corpo, proiezione dell'io).



Messe così le cose l'entità/oggettività di quello che siamo prevale sulla relazionalità, ma non è un solipsismo o un'idea di onnipotenza perché penso che ci sia altro oltre noi, solo che l'altro che c'è oltre noi, finché è oltre noi, per definizione non ci riguarda, l'insieme dei vissuti e delle relazioni è il destino di ogni singolo uomo/ente e come non vediamo nulla oltre un muro o oltre l'orizzonte, non vediamo nulla oltre la morte, ma questo non significa che un oltre in generale non esista, non esiste per noi. Credere di essere coscienti, è (immediatamente!) credere di avere limite nell'oblio, queste due cose, che spesso arbitrariamente dalle grandi narrazioni religiose o filosofiche sono state separate, in realtà non sono separabili, se io sono, ciò di cui sono cosciente o consapevole, non sono, ciò di cui non sono cosciente o consapevole, e questo vale in generale come legge dell'esistenza, l'idea di una ulteriorità della realtà che si possa rivelare in una ulteriorità del conoscibile, non è e non può essere mai attualmente valevole per l'uomo, e ciò che vale nel passato o nel futuro si riduce all'atteggiamento psicologico che si può avere nel presente verso il passato o verso il futuro, quindi principalmente alla disperazione/speranza, per il futuro o soddisfazione/rimorso per il passato, c'è poca realtà nell'accumulo infinito di conoscenze per come esso si definisce nell'utopia scientifica moderna, come nella rivelazione religiosa, e tutti gli stati di coscienza di cui possiamo avere coscienza o sono normali/vigili o confinano con quello normale/vigile, degli altri, ovviamente, non possiamo ne sapere ne parlare.


Insomma quanto possiamo pensare e conoscere in un secondo è di un certo ordine di grandezza, quanto possiamo pensare e conoscere in una vita è di un ordine di grandezza superiore e contiene quanto pensiamo in un secondo come una goccia di pioggia nel cielo, quanto realmente esiste ed è conoscibile nel mondo contiene quanto possiamo pensare in una vita come un'altra goccia di pioggia più grande in un cielo più grande, il mondo è come un arazzo o un quadro astratto grandissimo con una cornice grandissima, quanti sotto-quadri più piccoli ci potresti ricavare sovrapponendoci delle cornici più piccole, sono i viventi ognuno preso nella "sua" visione del mondo, la cosiddetta intersoggettività è quando un quadretto si sovrappone in parte a un quadretto e fa un'intersezione, ma è tutto vero, tutto reale, sia quanto è intersoggettivamente condivisibile che quanto no.


Nella misura in cui siamo e ci definiamo coscienza, finiamo e confiniamo con l'oblio, certo non siamo solo coscienza, esistono istinti, realtà oggettive, cose ulteriori alla coscienza che condizionano la vita, ma queste cose si palesano a noi solo entrando nella coscienza, quindi quello che noi sappiamo di essere è contenuto mondano, quello che non sappiamo di essere finché resta tale non ci riguarda, e quando ci riguarda è perché in una certa qual misura "entra" nella nostra coscienza, ed è dunque presupponibile che sia contenuto mondano anch'esso, sia nel suo entrare nella nostra coscienza, che nel suo non-entrarvi.


Con questo pensiero cerco di sbarazzarmi di ogni oltre mondo che possa essere nell'interiorità (non ci credo affatto) o nella favole dei miti e della religione, o anche nell'intersoggettività o nell'intesa con l'altro, non c'è nessun oltre mondo, c'è il mondo con tutta la verità in se stesso e la sovrapposizione delle varie coscienze al mondo come spazi visibili e vivibili di mondo, le "intersoggettività" che in questo gioco di disegni e sovrapposizioni ben possono darsi, sono solo sovrapposizioni doppie, triple, ennesime che determinano una conseguente intersezione, gli spazi condivisi da più di una vita che cadono sullo stesso tratto di mondo e lo mettono in particolare evidenza, dando ad esso un visibilità condivisa, cosa che comunque non nega la verità anche dello spazio singolare possibile di una singola vita.




#2917
Citazione di: green demetr il 27 Febbraio 2021, 00:50:47 AM
cit Niko
"Cacciari sembra parlare di se stesso da uomo vecchio e stanco che è, ed esprimere il suo personale disincanto verso le utopie; ma in realtà io direi che le utopie moderne saranno pure esaurite come dice lui, ma quelle contemporanee sono più vive che mai."


E ma quello è il problema! non è certo la soluzione.

cit Niko
"Il mondo contemporaneo è una continua crisi, e le utopie dei potenti, che sostanzialmente si avverano sempre di più e/o sono vere da sempre, sono le distopie della stragrande maggioranza delle loro vittime: la mia generazione ha visto le contestazioni no-global, poi l'undici settembre, poi questo disastro del virus (zero virgola cinque per cento di mortalità) strumentalizzato politicamente per costruire un totalitarismo del consenso, l'avvento dell'uomo-virus: ad ogni supposta "emergenza", si è risposto comprimendo i diritti della stragrande maggioranza dei cittadini occidentali e creando facile consenso intorno a una politica e a una comunicazione mediatica del terrore, quindi io ci vedo una rottura della linearità del progresso verso un qualcosa, un sistema-mondo, che è sempre meglio per l'infima minoranza dei dominanti e sempre peggio per i dominati, l'utopia dell'uno è la distopia dell'altro, e in questo non c'è nessun compimento dell'occidente, ma un disvelamento del meccanismo -potrei dire della natura- che vi sta alla base, meccanismo e natura che mi sento facilmente di identificare con il capitalismo in senso marxiano e con la decadenza in senso nietzschano, sappiamo che l'uno inizia da circa l'ottocento, l'altra dai tempi di Socrate, ma strutturalmente hanno molto in comune."


Si ma appunto l'utopia rivoluzionaria è evaporata.
Io non credo che si possa parlare di utopia dei ricchi, ma di destino incrementale della tecnica. "Che ne sanno della vita i ricchi? al massimo possono tentare a indovinare" (cit Celine)

cit Niko
"Ma senza andare troppo fuori argomento, direi che il punto è che la decadenza (che è un inversione del ruolo tra debole e forte e un sentimento della direzione entropica e tanatologica del tempo) non può di per se stessa decadere, e il capitalismo (che è un sistema economico, non un Moloch omnicomprensivo) non può finire se non con la rivoluzione o con la rovina comune delle classi in lotta (socialismo o barbarie), quindi il concetto di attimo e di crisi/rivoluzione, sono stati più che mai presenti nella storia recente, solo che non ne è seguita l'utopia per i più, ma per i pochi."


I ricchi non hanno utopia, solo noia. Appunto non esiste felicità umana, ma loro che ne sanno? Sotteso sempre al video di Cacciari.

cit Niko
"La realtà dell'utopia è molto simile alla posizione del soggetto rispetto alla natura, quindi al discorso che si faceva in precedenza sul dovere, di amare la natura o no."


Ma il discorso sulla natura come ti ha spiegato Cacciari nelle risposte che ha dato nel finale, è una ideologia, instaurata dalla tecnica e dal suo bisogno incrementale, che ad oggi spinge le scienze dell'IT (industria tecnlogica) e della comunicazione, e che Sloterdijk chiama Sfera, e io sulla scorta di Baudrillard chiamo Ipersfera, e di cui la green ecology, con la letterina della Greta a Draghi (cioè è già avvenuto, quello che prospettavo ironicamente, ma appunto la velocità del cambiamento si mangia anche qualsiasi possibile ironia), è semplicemente solo una delle infinite mimesi. Ovvero la potenza della Realtà Virtuale.
La capacità dell'intero sistema industriale di convertirsi in un immensa produttrice di bolle virtuali, come i giovani ventenni oggi le chiamano, nella più totale tranquillità.
Insomma non è un problema. E' un problema di chi insiste nel voler vedere l'utopia.

cit Niko
" Insomma la società è una "seconda natura" rispetto alla natura nel senso tradizionale del termine, alla natura "selvaggia"; ma la posizione di amore, odio, ignoranza o indifferenza del singolo verso la società attuale in cui questo si trova a vivere non è, non costituisce, di per sé, una terza natura, per questo le utopie "buone" raramente si realizzano... esattamente come chi ama, odia, ignora o è indifferente alla natura, non per questo è salvo dai suoi problemi, e dai suoi "doni".


Ma vedi riproponi ancora la questione ideologica come problematica (non lo è per le nuove generazioni dai millenials in su). In realtà è la questione sentimentale ad essere sotto-attacco. O distinguiamo, o rimarrai sempre nel tuo discorso fatalista. E allora ha ragione Ferraris a parlare di "piangina".

cit Niko
"fenomeni sociali, come il denaro, la legge, la morale, hanno potere vincolante come se fossero, leggi della natura, pur senza realmente essere, leggi della natura: possiamo maneggiare il denaro, amministrare la legge, rispettare al morale eccetera, solo obliando, in una certa qual misura, che tutto ciò sia del tutto artificiale, che le regole di scambio e di utilizzo dei dispositivi e delle conoscenze generazionalmente tramandate siano puramente convenzionali, quindi alla base del "gioco" della tecnoscienza e del sapere come potere, visto come un gioco proattivo, manipolatore, simulativo, incrementabile all'infinito, c'è sempre il gioco del fare finta che non sia un gioco, l'eterna natura dissimulante dell'umano, che non è mai cambiata nemmeno con il passaggio alla modernità, l'oblio dell'artificiale che ri-manifesta il paesaggio naturale; è questa la vera posta in gioco delle utopie e delle distopie"


si infatti, vedo che capisci benissimo la questione dell'infosfera (dell'antropocene, come è alla moda dire), della sfera, dell'ipersfera etc..

Ma poi in coda mi dici che questa è la posta dell'utopia?
Non capisco proprio.

Se il fenomeno (supposto naturale, non essendo mai naturale) si conforma come quello dell'apparire dell'immagine all'interno dell'infosfera (Ossia dei simulacri come diceva Baudrillard), è chiaro che è di nuovo un simbolo (e rientra nella tradizione magica, incantatoria, ingenua). Se le utopie rivoluzionarie e messianiche sono morte, che sono le più recenti, quella magica a maggior ragione, è morta da tempo.
(e nell'antropocene, quali volevi che fosse l'utopia? se non quella utopica magica, che tra l'altro è quella dei ricchi, appunto illusioni!)

cit Niko

"il velo di maya che ci fa accettare l'ingiustizia sociale non durerebbe neanche un secondo se si mostrasse l'artificialità della maggior parte di quello che consideriamo come "naturale", e per fondare una nuova utopia funzionante, che si contrapponga in qualche modo allo stato di cose presente, bisogna ri-tessere il velo di maya e obliarne la fondazione, il contrario esatto di una concezione giuridica o associativa del concetto di fondazione."


Esatto, e per togliere il velo magico, cosa c'è di meglio che seguire con attenzione il disvelamento fenomenico storico?
L'antropocene, non come ricerca spirituale (figuriamoci) ma come apparire dei morti discorsi del passato (gnosi e compagnia bella).
Discorsi di morte, che velano il discorso di morte della tecnica.
Sembra proprio una schisi nella vita nevvero? E infatti è così, isteria all'interno dell'orizzonte paranoico.

La risposta sarebbe trovare il discorso morto di vita (l'utopia certo), che sia mimesi del discorso di morte reale (come nel caso dell'utopia magica contemporanea), ovvero che si contrappone alla vita reale. Cioè al sentimento. O lo diciamo o giriamo a vuoto! Non è questione del sapere e basta quindi!
Noi sappiamo che queste utopie sono sintomi di un discorso di morte, che fa finta di essere di vita. Ha il volto magico di Greta (al di là di Greta).
E' la telepatia. Si sintonizzano tutti su quel discorso.
Le domande che fanno a Cacciari sono le domande di Greta.
Capisci Niko? Ma Cacciari sorride, amaramente.

Cit Niki
"A ben vedere, anche in senso psicologico, la promessa stessa di felicità per come essa può essere significativa per l'uomo, non si riferisce mai a un indefinito futuro di felicità, volto all'accumulazione indefinita di qualcosa o tanto meno alla trasformazione indefinita di qualcosa, ma al desiderio e al bisogno di saturare lo "spazio" del futuro con una felicità in qualche modo esperita, quindi passata:"


Si, dannazione si.
infatti è così vedo che anche tu intuisci qualcosa nella direzione giusta. Passata, dunque morta.
Non passata dunque futura. Non esiste felicità, lo dice Cacciari no?
E' il dialogo che ci porta oltre. Lo spazio futuro va riempito col dialogo coi morti. E' ora di prendere commiato da loro.
Il viandante e la sua ombra di Nietzche, mi capisci?

cit Niko
" nessun uomo può "insegnare" a nessun altro uomo come essere felice, e nessun uomo può auto-rappresentarsi la sua felicità, senza implicare in qualche modo il passato, e questo implica il fallimento delle utopie di progresso eterno, e l'insufficienza delle utopie di crisi: bisogna sempre in qualche modo fare un uso non scontato della storia in vista della propria e altrui felicità, come se la manifestazione improvvisa di futuri alternativi, la scelta, implichi sempre, in qualche modo, un desiderio verso il passato remoto."


Un desiderio verso il presente (non verso il passato come scrivi) che si nutre nel dialogo con gli amici morti. L'archeologia del sapere intesa da Agamben.
Se è un desiderio verso il passato per il passato, è ancora una volta un sotterrarsi.

Ci sei quasi, ma lo sviamento finale, potrebbe essere il sintomo di un discorso paranoico ben più vasto di quel che credi (forse).
Buon lavoro.




Molto rapidamente: io sarò pure su una posizione paranoide, ma tu mi sembri su una posizione abbastanza per così dire "romantica" se pensi che i ricchi provino noia come sentimento prevalente e non lottino per i loro interessi, costruendo, vittoria per vittoria, le loro utopie.


La tecnica implica per sua principale conseguenza storica, direi, che i ricchi solo ricchi tendenzialmentenon esistono, o, al limite, sempre meno possono esistere all'avanzare della tecnica: più la tecnica "incrementa" più necessariamente i ricchi sono anche-potenti, quindi vivono tutto il dramma e la gamma completa delle emozioni nel detenere e cercare di mantenere il potere e il controllo, come vedi la mia posizione posizione "paranoide" si contrappone alla tua posizione romantica: il modo determinato in cui i ricchi hanno cambiato il mondo, dal mio punto di vista e per quello che ho potuto vedere nella mia generazione, non è certo per la noia, ma per il potere.

Poi non capisco io, come fai a dire che il discorso sulla natura è ideologia? Banalmente, io volevo dire che si può dissimulare verso il bene o verso il male, quindi una futura società utopica sarà basata lo stesso sull'oblio dell'artificiale che genererà una seconda (e non mai una terza) natura, penso che questo aspetto dell'uomo non cambierà mai, forse così sarà per l'individuo post umano, ma a te da altre cose che hai scritto altrove mi sembra che non piace la categoria del bene, e nemmeno del post umano, quindi la metto nel modo in cui la mettete tu e Cacciari:

la felicità non esiste!

questo è un po' il punto chiave, quindi la felicità terrena promessa delle utopie moderne è stata criticata principalmente in due modi.

1 perché banale e squallida, 2 perché impossibile.

Cacciari faceva l'esempio di Leopardi e Schopenhauer come esempi di autori che hanno mosso simili critiche, ma tanti altri ce ne potrebbero essere.

Quello che è importante notare, è che per entrambi questi problemi, quello per cui la felicità è impossibile, e quello per cui la felicità quando collegata a beni materiali o a definizioni della felicità stessa massificate, è falsa e squallida, la soluzione possibile è una misura della felicità: infatti la felicità terrena se "misurata", ovvero considerata, dal suo interno si polarizza in un meglio e in un peggio, per cui sarà pure vero che non si può essere completamente felici, ma ci possono essere modi sensati di quantificare, o meglio di calcolare, la felicità, al fine di per preferire un quanto maggiore di felicità piuttosto che un quanto minore, insomma un'arte del vivere che venga dalla mensura intesa più che in senso greco classico, in senso in senso ellenistico ed epicureo, e su tale arte del vivere potrebbero fare presa le utopie "riscuotendosi" così dalla critica che in precedenza avevamo visto, soprattutto dalla critica numero 2, impossibilità della felicità terrena; ma non è tutto, perché se invece consideriamo la felicità terrena come misurata nel suo complesso, non quindi una misura delle articolazioni interne della felicità terrena ma una misura della felicità terrena stessa come entità unica rispetto ad altro, ne risulta che questo uno della felicità terrena, si coniuga con i vari altro della felicità intesa nei modi considerati tradizionalmente più "nobili", come felicità in senso religioso, spirituale, estetico, artistico, erotico eccetera, insomma la mensura è anche misura del trascendibile rispetto alla trascendenza, o, in parole, più semplici, è il prima vivere e poi filosofare di aristotelica memoria, che se preso sul serio, è il presupposto, cognitivo e psicologico, e non il vano fronzolo, di tutte le altre forme di felicità, e così le utopie contemporanee potrebbero risollevarsi dalla critica numero 1, quella secondo cui la felicità terrena è squallida e intrinsecamente insufficiente: sia in risposta ad una critica che all'altra insomma, bisogna avere misura per avere relazione, quindi l'utopia non contende allo stato di cose presenti l'incremento all'infinito della tecnica, ma il momento propriamente creativo, che in negativo si può vedere anche come un oblio dell'artificiale che genera la natura, cosa di cui parlavo prima. Il fatto è che per Cacciari l'utopia é, di per se stessa, l'incremento all'infinito della tecnica e del sapere, è questo che la caratterizza, e quindi la distingue dalle forme chiuse delle scorrettamente dette "utopie" antiche, come la Repubblica di Platone eccetera, ma io sono su una posizione più barbosamente marxista per cui quello che davvero caratterizza la modernità è l'incremento all'infinito del denaro-capitale e la tecnica è al servizio, è ancella di questo scopo, scopo che non deriva dalla noia, ma semmai dalla lotta per il potere con tutta la conseguente gamma delle emozioni umane al seguito.
Quindi secondo me abbiamo, incremento all'infinito del denaro, da cui solo consegue, l'incremento all'infinito della tecnica, e il concetto di capitale è l'unione di lavoro vivo con lavoro morto, di "macchine" in senso lato e forza lavoro, quindi accanto alla tecnica come evento e fenomeno di cui parliamo da un po', non c'è l'uomo nella sua presunta libertà, ma l'uomo in una relazione sociale e di produzione ben determinata, quella del lavoro salariato: è per questo che la tecnica poi viene spesso recepita e descritta come un destino. Quindi è ovvio che io veda l'utopia come la rottura di questa relazione determinata che incatena l'uomo alla macchina e l'inizio di relazioni altre (tra uomini e uomini, macchine e uomini e macchine e macchine) al momento presente solo supponibili e immaginabili, e non come un competere di un modo di produzione su un altro, o di un' "idea" su di un altra, sul piano dell'incremento all'infinito della tecnica. Non dovrebbe essere una rottura della linearità del tempo, ma della relazione, quindi non qualcosa che riguardi i rapporti tra padri e figli o tra vivi e morti, ma tra fratelli, tra persone che in qualche modo si possano guardare negli occhi nella stessa generazione.
Ma penso anche che inevitabilmente, o almeno io da una prospettiva umana immagino questo come inevitabile, che, qualsiasi utopia seguirà al presente, il fondamento giuridico, o mitico, di tale utopia, sarà sempre meno importante dell'oblio del fondamento stesso e dell'assunzione della società umana come natura, questo finché l'uomo sarà uomo, insomma.

#2918

Federico may ha scritto:


Il nucleo originario, il livello più basso è il sesso penetrativo, l'atto sessuale di base, in cui l'elemento femminile subisce sofferenza (e da ciò trae piacere) mentre l'elemento maschile trae piacere dalla sofferenza inflitta al partner. Elevandosi di un livello, lo stesso mix di sofferenza e di piacere si ritrova estendendosi alle innumerevoli attività sessuali diverse dal sesso penetrativo di base, cioè il Sadomasochismo (SM), di cui l'atto sessuale di base è soltanto un caso particolare.

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Assolutamente falso che il sesso penetrativo corrisponda necessariamente ad una dinamica sadomasochistica; di per se è solo una stimolazione meccanica che dà piacere, magari in modi e tempi diversi, a entrambi i partner; insomma al netto dell'amore e del sentimento che possono esserci o non esserci, l'atto in sé è un po' come una masturbazione a due, che, se approcciata appunto con intenti non sadomasochistici, prevede che il poco dolore che si prova sia solo il prezzo da pagare per il piacere finale ed intermedio di uno o più spesso di entrambi i partner, assunto invece come obbiettivo. Poi se si è "cattivelli" ci si può andare forti apposta ed entrare in una dinamica specificamente sadomasochistica e trarne godimento, ma dire che tutti i rapporti sessuali tra uomo e donna siano necessariamente così è solo una grande generalizzazione ed esagerazione.



Perfino gli antichi greci, che erano pederasti e la cosa era considerata normale e anzi una fase di iniziazione ed educazione extra-familiare propria dell'elite dei cittadini liberi (pederastia come paideia), quando andavano con un ragazzino spesso non facevano il rapporto anale perché sapevano che faceva, ovviamente, male, e praticavano altre forme di unione meno dolorose in rispetto appunto del giovane partener, insomma se vuoi unirti con qualcuno senza fargli del male un modo lo trovi, poi se si è consenzienti a praticare forme anche soft di sadomasochismo tipo rapporto sessuale brutale, è un altro discorso...
#2919
Cacciari sembra parlare di se stesso da uomo vecchio e stanco che è, ed esprimere il suo personale disincanto verso le utopie; ma in realtà io direi che le utopie moderne saranno pure esaurite come dice lui, ma quelle contemporanee sono più vive che mai.


Il mondo contemporaneo è una continua crisi, e le utopie dei potenti, che sostanzialmente si avverano sempre di più e/o sono vere da sempre, sono le distopie della stragrande maggioranza delle loro vittime: la mia generazione ha visto le contestazioni no-global, poi l'undici settembre, poi questo disastro del virus (zero virgola cinque per cento di mortalità) strumentalizzato politicamente per costruire un totalitarismo del consenso, l'avvento dell'uomo-virus: ad ogni supposta "emergenza", si è risposto comprimendo i diritti della stragrande maggioranza dei cittadini occidentali e creando facile consenso intorno a una politica e a una comunicazione mediatica del terrore, quindi io ci vedo una rottura della linearità del progresso verso un qualcosa, un sistema-mondo, che è sempre meglio per l'infima minoranza dei dominanti e sempre peggio per i dominati, l'utopia dell'uno è la distopia dell'altro, e in questo non c'è nessun compimento dell'occidente, ma un disvelamento del meccanismo -potrei dire della natura- che vi sta alla base, meccanismo e natura che mi sento facilmente di identificare con il capitalismo in senso marxiano e con la decadenza in senso nietzschano, sappiamo che l'uno inizia da circa l'ottocento, l'altra dai tempi di Socrate, ma strutturalmente hanno molto in comune.


Ma senza andare troppo fuori argomento, direi che il punto è che la decadenza (che è un inversione del ruolo tra debole e forte e un sentimento della direzione entropica e tanatologica del tempo) non può di per se stessa decadere, e il capitalismo (che è un sistema economico, non un Moloch omnicomprensivo) non può finire se non con la rivoluzione o con la rovina comune delle classi in lotta (socialismo o barbarie), quindi il concetto di attimo e di crisi/rivoluzione, sono stati più che mai presenti nella storia recente, solo che non ne è seguita l'utopia per i più, ma per i pochi.


La realtà dell'utopia è molto simile alla posizione del soggetto rispetto alla natura, quindi al discorso che si faceva in precedenza sul dovere, di amare la natura o no.
La natura è come lo stato di cose presenti di un mondo fondato sull'ingiustizia sociale e sull'irresponsabilità dei potenti; la puoi amare, odiare, razionalizzare, conoscere, ignorare, tentare di essere indifferente, ma la natura sempre quella è, sempre sublime e terribile, sempre più grande e più forte delle sue singole parti. Insomma la società è una "seconda natura" rispetto alla natura nel senso tradizionale del termine, alla natura "selvaggia"; ma la posizione di amore, odio, ignoranza o indifferenza del singolo verso la società attuale in cui questo si trova a vivere non è, non costituisce, di per sé, una terza natura, per questo le utopie "buone" raramente si realizzano... esattamente come chi ama, odia, ignora o è indifferente alla natura, non per questo è salvo dai suoi problemi, e dai suoi "doni".


Quello che voglio dire è che la natura nasce, sorge agli occhi dell'uomo, anche dall'oblio dell'artificiale e dell'artificio umano, oltreché dall'azione fisio-chimica delle cosiddette "leggi" della natura e da un "ordine cosmico" in certo grado reale; non possiamo mai dire se ci troviamo in un paesaggio realmente naturale, o in una natura "secondaria" che sorge dall'oblio dell'artificiale. Siamo dunque realmente vincolati da quello che i più credono e dalle convenzioni a cui i più aderiscono, non è, se non in minima misura, una nostra scelta: cose, fenomeni sociali, come il denaro, la legge, la morale, hanno potere vincolante come se fossero, leggi della natura, pur senza realmente essere, leggi della natura: possiamo maneggiare il denaro, amministrare la legge, rispettare al morale eccetera, solo obliando, in una certa qual misura, che tutto ciò sia del tutto artificiale, che le regole di scambio e di utilizzo dei dispositivi e delle conoscenze generazionalmente tramandate siano puramente convenzionali, quindi alla base del "gioco" della tecnoscienza e del sapere come potere, visto come un gioco proattivo, manipolatore, simulativo, incrementabile all'infinito, c'è sempre il gioco del fare finta che non sia un gioco, l'eterna natura dissimulante dell'umano, che non è mai cambiata nemmeno con il passaggio alla modernità, l'oblio dell'artificiale che ri-manifesta il paesaggio naturale; è questa la vera posta in gioco delle utopie e delle distopie: il velo di maya che ci fa accettare l'ingiustizia sociale non durerebbe neanche un secondo se si mostrasse l'artificialità della maggior parte di quello che consideriamo come "naturale", e per fondare una nuova utopia funzionante, che si contrapponga in qualche modo allo stato di cose presente, bisogna ri-tessere il velo di maya e obliarne la fondazione, il contrario esatto di una concezione giuridica o associativa del concetto di fondazione.

A ben vedere, anche in senso psicologico, la promessa stessa di felicità per come essa può essere significativa per l'uomo, non si riferisce mai a un indefinito futuro di felicità, volto all'accumulazione indefinita di qualcosa o tanto meno alla trasformazione indefinita di qualcosa, ma al desiderio e al bisogno di saturare lo "spazio" del futuro con una felicità in qualche modo esperita, quindi passata: nessun uomo può "insegnare" a nessun altro uomo come essere felice, e nessun uomo può auto-rappresentarsi la sua felicità, senza implicare in qualche modo il passato, e questo implica il fallimento delle utopie di progresso eterno, e l'insufficienza delle utopie di crisi: bisogna sempre in qualche modo fare un uso non scontato della storia in vista della propria e altrui felicità, come se la manifestazione improvvisa di futuri alternativi, la scelta, implichi sempre, in qualche modo, un desiderio verso il passato remoto.
#2920
Tematiche Filosofiche / Perché amare la Natura?
15 Febbraio 2021, 12:08:47 PM
Citazione di: Alexander il 15 Febbraio 2021, 00:45:15 AM
Buonasera Niko



Il problema è il "perché dobbiamo amarla?". Che è la domanda che pongo. Non sono costretto ad amare o odiare una persona, posso farlo o non farlo, ma la pressione sociale e culturale sul "dover amare" la natura si fa via via più forte. "Amare la natura" è l'autentico feticcio della nostra nuova era green. Vi invito pertanto ad un semplice esperimento per verificare se quello che dico è falso. Invitate a cena tutti i vostri amici (quando sarà finita la pandemia) e intavolate una discussione su Dio, sulla politica, sullo sport, ecc. Vedrete subito che criticare, anche pesantemente, questi soggetti non procurerà tensione, anzi, sarà motivi di indicibili offese, sfottò, battute, allegria,ecc. Poi provate a dire che non amate la natura e che anzi la trovate orrenda e verificate voi stessi la resistenza psicologica e l'indottrinamento subito dai vostri commensali.  Nella migliore delle ipotesi vi guarderanno strano o penseranno che sicuramente li state prendendo in giro. Come non ami la natura? Tutti amano la natura! Non sarai per caso un pò depresso?  C'è l'estratto naturale di wuchaseng!
Se invece dico che non amo Flavia, o Giulia, o Mauro (che sarebbero pure "esseri naturali") nessuno trova da ridire, né pensa che io sia "suonato" o disturbato. Nemmeno se dico che li odio o che mi sono semplicemente indifferenti. Ma non toccateci la natura (in senso astratto)! Perché non possiamo, liberamente, dire che non l'amiamo, non l'odiamo e che ci è indifferente? Tu stesso, velatamente, sembri dire: "uhm, ci deve essere qualche problema personale". io invece rivendico la libertà di dire che la natura di solito mi lascia indifferente, ma spesso mi disgusta esteticamente ed anche eticamente (eticamente perché il mio senso di giustizia, del tutto umano, pare  a me ben superiore di quello inesistente della natura).
Devo aggiungere che per me l'essere umano non è del tutto naturale. Lo è in parte, ma in parte, per fortuna, non più del tutto ormai. E' un ibrido. Qualcosa solo in parte naturale e in parte capace di portare in giudizio la natura stessa.




Ti sbagli se pensi che ho voluto dire che "hai un problema" o "sei depresso", la natura per me è mondo e vita, e l'indifferenza verso il mondo o verso la vita è anche essa, presa nella giusta misura e "a piccole dosi", un antidoto alla sofferenza e una possibilità di sperimentare stati più ampliati di coscienza e che siano al dì là del bene e del male, e non certo un atteggiamento eticamente ripugnante o sbagliato, insomma la "divina indifferenza" concepita come meta a cui potrebbe giungere, o quanto meno aspirare, anche l'uomo, o tutto il nichilismo orientale che prevede un certo grado di auto-osservazione e distacco, non sono certo cose solo per gente depressa, o che ha un problema, tutt'altro.


Quello su cui non ti do ragione è semmai l'esternità in generale della natura come prendibile a "oggetto" di un "soggetto"  e l'estraneità dell'uomo dalla natura, la natura siamo noi, per me c'è un ordine superiore in cui la nostra tecnologie e le nostre autoproclamate possibilità di scelta sono tutte già previste e contemplate, con la natura che si auto-continua in noi e nella nostra tecnologia, quindi se vogliamo essere indifferenti alla natura, siamo indifferenti a noi stessi, quello che dice la maestra conformista del tuo intervento, riportato quindi al mio punto di vista, è che amando la natura dobbiamo amare noi stessi, quello che tu hai ben ragione di replicare alla maestra conformista, è che degli esseri che si amano sempre e comunque -amano sempre e comunque loro stessi-, qualunque cosa succeda, che non hanno autocritica e auto spirito di sacrificio, sono esseri A narcisisti e B deboli, cose che vanno insieme, infatti Narciso tanto era innamorato di se stesso che si è indebolito fino a morire di fame e di sete, o, in altre versioni del mito, è affogato, che è quello che succede a chi non approccia la natura, appunto, con un grado minimo di antagonismo che possa servire per andare a caccia, evitare i pericoli eccetera, raccogliere le giuste bacche eccetera. Spero di essere stato più chiaro adesso.
#2921
Tematiche Filosofiche / Perché amare la Natura?
14 Febbraio 2021, 23:48:20 PM

"Niko (Buonasera!) suggerisce che un certo grado di odio sia quasi inevitabile verso la natura, forse necessario. Invece, nel mio post iniziale, io affermo che è assurdo odiare la natura, essendo una forza del tutto indifferente ai nostri sentimenti e che l'indifferenza (verso il suo destino) sarebbe la scelta più logica se non fosse, come giustamente dice anche Iano , che siamo in presenza di una disparità di forza: lei può fare a meno di noi, ma noi non di lei (almeno per il momento, nel futuro , con cibo artificiale, aria artificiale, piante e paesaggi artificiali, ecc.non si sa se in gran parte ne faremo a meno). Quindi, come vedete, non ho nessuna intenzione di "personalizzare" la natura, se non per necessità dialettica. Quello che mi interessa è la risposta umana (etica e ed estetica) a questa forza del tutto indifferente al nostro destino."
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L'odio e l'amore mica hanno senso e sono possibili solo se sono ricambiati, tante volte nella vita odiamo o amiamo chi ci ricambia o col sentimento opposto (amore per odio e odio per amore) oppure con l'indifferenza (non ci si fila), e così vale pure per la natura, le più grandi avventure spirituali e/o filosofiche dell'animo umano nascono per un sentimento d'amore o di odio non ricambiato dall'amato o dall'odiato, sentimento che quindi ricade tutto addosso a chi lo prova, definendo in lui una dialettica interna, definendo insomma il mondo interiore di chi lo prova senza definire o scalfire il mondo, interiore o esteriore, dell' "oggetto d'amore" qualunque esso sia, che rimante intonso e sconosciuto al di là dell'odio e dell'amore, che dunque in definitiva definiscono solo l'auto conoscenza o l'auto inganno dell'amante o dell'odiante.


La tua indifferenza per la natura, se la natura ti è indifferente, ricade su di te, e infatti io volevo dire che la natura è l'ordine che ci comprende, quindi quando esprimiamo o diciamo di provare indifferenza verso l'ordine che comprende anche noi stessi, stiamo prendendo una posizione esistenziale e filosofica, quando non anche spirituale, molto caratterizzata e particolare, io direi di distacco e annullamento dell'io, perché io non accetto né la premessa che la natura sia altro da noi (folle, anche se molti in questa epoca ne sono convinti) né che la natura sia la vita (sbagliato, la natura è l'ordine spaziale, temporale e materiale che comprende tanto l'inorganico quanto la vita e la coscienza, probabilmente non c'è una forza particolare a generare la vita quanto una forza emergente, ovvero la complessità dell'inorganico genera la vita senza un salto netto, in un processo che è difficile anche solo da immaginare, e non potrebbe non comprendere il singolo essere, che da oggetto passa a vivente, ma una distribuzione molteplice di esseri che possono passare a viventi solo in quanto molteplicità.


Quindi spero che capirai se io distorco un po' il tuo ragionamento, tu dici indifferenza verso la natura, io di quello che tu dici capisco indifferenza verso un ordine che ti comprende, e quindi in un certo senso indifferenza di te stesso verso te stesso.
#2922
Tematiche Filosofiche / Perché amare la Natura?
14 Febbraio 2021, 18:47:19 PM
Noi siamo natura, quindi io vedo l'amore per la natura come amore per noi stessi, e l'odio o il disamore per la natura come trascendenza, come amore per altro da noi stessi.


Lo ripeto, noi siamo nella piena internità alla naturala: la contrapposizione tra uomo e natura è gioco, è illusione, è frivolezza, ma non è realtà, la realtà è il logos, la realtà è che in natura c'è continuità tra oggetto, vivente e vivente cosciente, e anche ammesso che noi siamo l'unico vivente cosciente, questo di certo non ci emancipa dalla natura, semmai ci porta a chiudere il cerchio di quello che la natura stessa, nella sua complessità è e può essere; lasciatemi quindi dire che siamo buffi, e anche un po' ridicoli quando prendiamo il dualismo tra noi e la natura come reale.


Quindi quando amiamo la natura, amiamo noi stessi, quando la odiamo, beh, odiamo noi stessi, il che, questo odio intendo, se non è rielaborato verso un desiderio per l'altro da noi stessi, verso una qualche forma di evoluzione o trascendenza, è molto problematico in senso psicologico ed esistenziale prima ancora che filosofico, l'odio per se stessi di solito rovina la vita, e porta solo problemi.


Però un certo odio per se stessi in piccola dose è necessario a migliorare, se non ci si odia nei propri aspetti e nei propri momenti della vita peggiori, non si migliora, e la natura è tutto di noi stessi anche le parti di noi stessi che non sono facili né salutari da accettare, anche i mostri che abbiamo  dentro, la guerra, il cannibalismo eccetera, sono natura, quindi un certo tratto di natura va odiato, ed entro certi limiti la natura va odiata, bisogna vedere entro quali limiti, perché ogni atto di amore per se stessi e per l'altro in quanto completamento e proiezioni di noi stessi, è invece amore che ricade, nella realtà, sulla natura.


Quindi al di là dell'amore per il nulla, io in tutto questo discorso ci vedo l'alternativa tra amore narcisistico e amore oggettuale, quando amiamo la natura nel suo spettacolo sublime e ci sentiamo felicemente parte di essa vogliamo essere, quando combattiamo contro di essa e quindi sostanzialmente contro la prospettiva della morte e della nullità di ogni senso vogliamo divenire, e amiamo qualche suo aspetto in particolare contrapposto a qualche altro, perché questo è amore oggettuale, volere qualcosa di specifico al posto di
qualcos'altro, una necessità uguale e contraria a quella di amare se stessi nella pienezza attuale del cosmo e quindi lasciar disperdere la volontà nell'infinito: se accettassimo solo e soltanto l'ordine cosmico senza una minima contrapposizione ad esso, non avremmo nemmeno la forza per resistere alle sue avversità, moriremmo al primo temporale o alla prima tigre che ci si vuole mangiare, insomma l'ordine prevede la lotta, è ampiamente contemplato in natura che la natura sarà amata dai suoi figli, e che per altri versi e in altre occasioni sarà odiata, amandola, e odiandola, certo non la "sorprendiamo" in nessun modo.


Una breve parentesi che mi sento di aprire sul celebre passo del Sileno, l'uomo figlio del caso e della pena eccetera, il mito è metafora e ha dei significati profondi, qui il significato da non lasciarsi sfuggire secondo me è che il centauro (sileno) è metafora dell'uomo, l'uomo è l'animale che crede o sa di non essere completamente animale quindi il centauro è l'uomo, anche il re è l'uomo, quindi il tema del "sarebbe stato meglio non nascere", in senso sottile e oltre il significato letterale del mito, è il discorso dell'uomo all'uomo, non il discorso della natura all'uomo: l'ordine cosmico è già saturato dalla natura e quindi, come caso già contemplato in natura, dall' "uomo" corporeo come animale che negli istinti fondamentali dagli altri animali non si distingue; volersi distaccare dalla propria animalità è impossibile, e porta solo a un sovrappiù di sofferenza; in altre parole tutti i vivi dalla pulce alla balena sono figli del caso e della pena, non certo solo l'uomo, ma si può sperare e supporre che essi non lo sappiano, in quanto sono fuori dall'ordine della coscienza e del discorso, quindi il paradosso che il mito vuole farci cogliere è che per l'uomo, quantomeno per l'uomo adulto e razionale, il problema aggiuntivo è di saperlo e non poterlo ignorare, di essere figlio del caso e della pena, e lo sa per quell'ordine di amore e di discorso che gli proviene dall'aver interagito con altri uomini, piuttosto che con la natura. Delle bestie ci si può chiedere se siano dentro o fuori, da un destino di sofferenza sistematica e nevrotica dovuta alla consapevolezza della morte, del dolore e della fine di ogni senso, come farà ad esempio Leopardi nel canto del pastore errante; ma l'uomo può chiederselo degli animali, se soffrano o no in modo sistematico, perché egli è sicuramente dentro, questo sistema di sofferenza inevitabile, quindi la sua emancipazione dalla natura in un certo senso è, la sua sofferenza, va verso quello che sicuramente è sofferenza, distaccandosi da quello che è mistero e quindi può essere o non essere sofferenza, appunto il mutismo e la non comunicazione verbale delle bestie.
#2923
Questo modello c'è da un bel po' di tempo in occidente, ma adesso siamo alla sua apoteosi collettiva e
maturamente social-capitalista, siccome siamo tutti potenziali malati, di coronavirus naturalmente, siamo tutti potenziali "guerrieri" perché dobbiamo "difendere" noi stessi e gli altri dal "terribile morbo", quindi dalla retorica del duello e della battaglia, che già ci sorbiamo da decenni, siamo passati esplicitamente alla retorica della guerra -di massa e a cui nessuno può sfuggire-, io non riesco tanto a scrivere con lucidità di questo perché ne sono veramente, umanamente, nauseato, io penso che la società
post-moderna del duemila si stia riappropriando di aspetti disciplinari propriamente novecenteschi e uno di questi è la retorica, e purtroppo anche la prassi, della guerra applicata ad una -blanda e sovrastimata- pandemia.


Come prassi tale guerra è la guerra di trincea, prima guerra mondiale, nel migliore dei casi si sta chiusi in un buco a non fare un cavolo e ad aspettare il rancio/sussidio del governo, nel peggiore si crepa, fisicamente e moralmente, come teoria essa è invece la seconda guerra mondiale, guerra totale ad un nemico ideologico, perché un virus arbitrariamente distinto da tutte gli altri e da tutte le malattie simili, e considerato come un alieno e un pericolo esterno quando in realtà la morte, e tanto più la malattia, fanno parte della vita, è, un nemico ideologico, la sua essenza non ha nessuna realtà e nessun contatto con la realtà, serve solo a giustificare una dittatura.


Con questa storia della guerra, giustificano la cancellazione di tutti i nostri diritti, non si può più camminare liberamente per strada perché c'è la guerra, non si possono invitare più di due persone a casa perché c'è la guerra, se cambio regione ti devo dare giustificazioni perché c'è la guerra, ma scherziamo?!


Chi ha detto che un fatto naturale come un'epidemia si debba affrontare come una guerra?
La guerra a chi? All'uomo stesso?


Con questa pseudo volontà di vivere che dovrebbe giustificare il tutto che poi non c'è, è fuffa, anche la volontà di vivere che dovrebbe giustificare la guerra al virus è falsa, perché è mera volontà di sopravvivenza, respirare e avere il cuore che batte mentre si è in una squallida gabbia non è vivere, quindi è solo volontà di campare, di tirare avanti, che come argomento di persuasione funziona solo su chi è interiormente terrorizzato, già morto... lo schiavo deve essere in salute quel tanto che gli basta per produrre in efficienza, e comunque abbastanza ignorante e logorato perché non si ribelli, su questi parametri la calcolano e la calibrano, la nostra presunta "salute".


Ma il bello è che soprattutto, come massimo dovere militare, dobbiamo, e dovremo, tutti morire di fame, perché c'è la guerra: adesso ci presentano il conto, di tutto il bel sistema parassitario e securitario che ci hanno costruito intorno, che qualcuno ancora pensa che sia gratis...





#2924
Tematiche Filosofiche / La sicurezza
16 Gennaio 2021, 18:13:16 PM
Direbbe che scambiare -barattare- la libertà con la sicurezza ci rende malati, appunto esseri che non possono essere amati in quanto tali, ma in quanto ponte verso il superuomo.


La libertà non si scambia con niente: chi accetta di sottoporsi ad un potere, vuole potere a sua volta.


Il patto sociale nella sua intima essenza dà, o meglio promette, ad ogni servo un servo, e se uno è collocato "al fondo" nella piramide sociale che ne deriva e non ha nessuno di reale su cui rifarsi delle angherie subite in una gerarchia umana reale, lo ottiene disciplinarmente sul suo stesso corpo, il quanto minimo di potere che paga e giustifica la sua sottomissione ai membri del gradino più alto e alla società stessa, fa del suo stesso corpo un servo, e di se stesso smaterializzato un padrone, creando così allucinatoriamente il gradino ancora più basso di quello occupato da lui che prima non c'era, questa è la bella realtà che sta tornando, o meglio diventando sempre più evidente, dopo torri gemelle e il covid.


Frustrazione-aggressività, che quando non si sfoga diventa auto-aggressiva.


La paga di Giuda. Anche i servi sono padroni di qualcosa, perché la gerarchia sociale non finisce più con i servi, finisce con i nudi corpi.
#2925
Tematiche Filosofiche / Nulla e qualcosa.
15 Gennaio 2021, 17:28:31 PM
Anche in un mondo in cui tutto si trasforma, il nulla potrebbe essere l'irriconoscibile, ovvero non è affatto detto che, dato un mondo in cui tutto si trasforma, ne consegua un'organizzazione lineare della realtà per cui ogni cosa che si è trasformata conserva traccia e resto della forma precedente, potrebbe appunto esistere il nulla come non riconoscibilità e perdita della traccia.


Il nulla non è solo il vuoto, basta che si rompa la congenericità della natura, che emerga un dopo, assolutamente diverso da un prima, o un qui, assolutamente diverso da un lì, e nella differenza tra due epoche, o luoghi, del mondo irriconducibili l'uno all'altro, e del tutto scollegati, l'uno con l'altro, vivrebbe il nulla: nulla di conoscenza e di comunicazione. Noi siamo abituati a ragionare in senso aristotelico, con potenza ed atto, o in senso Hegeliano, per cui il vero è l'intero, e quindi secondo noi, per dire, da un seme, nasce una rosa, che fa un altro seme, da cui nasce un'altra rosa eccetera.


Ma non tutto quello che cambia, cambia così o secondo questa logica; non è stata ad esempio compreso il senso o il limite finale e materiale dell'evoluzione del vivente, quindi per esempio da un batterio nasce un pesce, che diventa dinosauro, che diventa scimmia, che diventa uomo, ma dove vada a parare tutto questo processo, o che fine abbia, o se sia reversibile o no, o se sia unico o no, nessuno lo sa; ma soprattutto la traccia di cui parliamo ora, il modo in cui i viventi si conservano l'uno nell'altro tramite il codice genetico, e il modo in cui la materia inanimata si conserva nel vivente che è pur sempre fatto di atomi e molecole, e l'animale si conserva nel vivente culturalmente evoluto come l'uomo, oltre ad essere una traccia non visibilmente ciclica e reversibile, ovvero parte da un punto ma non si sa quando se e come tornerà su se stessa, è anche una traccia che può in qualsiasi momento interrompersi, ad esempio la vita stessa nel suo complesso può estinguersi, o estinguersi la vita evoluta, o scomparire l'universo in modo tale che la materia inanimata stessa non esiste più.


La continuità della traccia è dunque questione di fede, ma certo noi, in quanto viventi, non siamo direttamente l'attività elettrica del nostro cervello, ma l'effetto di tale attività, e quindi il nulla dell'effetto allo scomparire della sua causa mi pare abbastanza indiscutibile: l'attività elettrica si trasformerà in altro, ma scomparirà la nostra coscienza come effetto di un suo stato in particolare trasfigurato ed evoluto in altri. Quindi la continuità, della catena causale, e il fatto che il futuro sia in linea di principio deducibile dal passato e dal presente, e l'interazione, di tutto lo spazio con i suoi contenuti, determinano la nullità del nulla, e la continuità di un mondo che procede per trasformazioni lasciando però traccia.
E' però interessante notare che, ogni volta che ci pensiamo come dotati di libero arbitrio, ogni volta che pensiamo di esercitare la nostra libertà, pensiamo di spezzare una catena causale almeno nel suo senso rigidamente deterministico, perché da una causa, pensiamo che possano derivare più effetti e ne "scegliamo" uno, e il nulla ritorna come effetto scartato dall'esercizio della libertà; quindi di sfuggita noterei che, ogni volta che abbiamo fede nel libero arbitrio, facciamo un atto di fede opposto a quello che facciamo quando pensiamo che l'insieme delle trasformazioni lasci traccia, prima o poi un essere libero, se mai ce ne sarà uno sulla terra o se mai noi pensassimo fino in fondo di esserlo, esercitando la sua libertà, spezza l'insieme degli effetti che abbiamo causato in vita anche oltre la nostra vita, fa epoca dando inizio ad un'epoca che ci esclude, o noi stessi, esercitando la libertà che crediamo di avere, spezziamo la catena causale dei nostri antenati morti e li escludiamo spazialmente e temporalmente, per questo nulla e libertà si implicano.


Quindi, riflettendo sul significato di in-ri-conoscibile, irriconoscibile secondo me è ciò che può essere conosciuto solo una volta, ciò che non è passibile di conoscenza duale o doppia perché in esso la traccia si è persa, mentre il riconoscibile è passibile di conoscenza doppia, perché conserva traccia di quello che un tempo era e fu, e perché può, in linea di principio ritornare.


Dunque direi che l'esperienza, e la vita racchiusa dai limiti della nascita e della morte hanno senso in questa discussione più della fisica, l'esperienza è la scienza dell'in-ri-conoscibile, mentre la conoscenza considerata a prescindere dalla vita è scienza del ri-conoscibile, perché la traccia lineare di residuo tra le trasformazioni potrebbe, al mondo, esserci in assoluto, non esserci in assoluto, o essere creata dalla vita stessa, insomma, nonostante i processi entropici in senso fisico, la coscienza ricorda gli stati precedenti della materia, e nonostante i processi identici in senso fisico, la coscienza costituisce differenza: per fare un esempio semplice; la lancetta dell'orologio giunge a un certo punto ad esempio sulle 12, e, stante che l'orologio funzioni e che passi abbastanza tempo,  vi ri-giunge un numero indefinito di volte, creando una circostanza concreta di stati fisicamente identici in cui solo la coscienza di un vivente può distinguere questi stati e attimi e capire che c'è una differenza tra 12 primo, 12 secondo, 12 terzo eccetera, una differenza che non è in natura, nel senso che  non è nella natura oggettuale ed organica delle cose, ma che è nella coscienza come espressione della vita.
E ugualmente per i processi entropici come la morte, ma anche la rottura di un oggetto ordinato, come un piatto o un bicchiere, è solo la coscienza a ricordare lo stato ordinato precedente dell'universo, lo stato entropicamente più disordinato conseguente al futuro sta al meno disordinato conseguente al passato come un irriconoscibile, e solo la coscienza come testimone lo rende riconoscibile.



Il passato, è dunque realmente il luogo, della coscienza? L'universo contiene solo trasformazioni reversibili, come in un modello ekpirotico e per eoni, e quindi passato e coscienza si implicano, oppure va verso la morte, o anche solo verso una variabilità tale da implicare l'irriconoscibile, e quindi passato e coscienza si oppongono, e il vivente fa da testimone di quanto secondo natura è "gettato" al non ritorno?


Quindi da un discorso in cui si è partiti dando per scontata l'esistenza della traccia di tempo lineare tra le trasformazioni, io propongo il trilemma della traccia che potrebbe non esistere, esistere, o non esistere nell'inorganico ed essere specificamente creata dalla vita cosciente, ma almeno due "corni" del trilemma implicano il nulla, poiché se non c'è traccia lineare intercorrente tra le trasformazioni, c'è l'irriconoscibile, se la vita testimonia della traccia, finita la vita, stante che essa non sia ciclica o eterna, finirà anche la traccia, e, per come credo di aver vagamente compreso la fisica moderna, non è esatto dire che la materia non è né corpuscolo né onda, ne che è corpuscolo e onda insieme, ma che è corpuscolo o onda a seconda delle circostanze, manifesta una possibilità trasformatoria in questo senso, quindi la presenza, o no, della traccia intercorrente tra le trasformazioni per ordinare il mondo anche qui ricorre; infatti il collasso della funzione d'onda, la decoerenza, gli esperimenti della doppia fenditura e dei percorsi laser, ci dicono che la materia è tutte e due le cose tra corpuscolo e onda, nel senso che si trasforma dall'una all'altra. Per completezza, andrebbe detto che è possibile una descrizione solo-ondulatoria della materia e non una solo-corpuscolare, ovvero anche la forma di corpuscolo può essere descritta come un'onda concentrata e statica e non viceversa, e questo significa che una descrizione dinamica prevale su una statica e non viceversa, abbiamo qualcosa che vibra nel vuoto-nulla, ma questo perché ogni oggetto è riducibile all'insieme della sue interazioni, non ha, in senso fisico, residuo ontologico una volta che si è descritto correttamente e completamente con che cosa esso interagisca, il che vuol dire anche che il tutto non è deducibile dalla parte, io giungo alla descrizione corretta e completa di un oggetto descrivendo con cosa esso interagisce, e ho ottime probabilità di restare ignorante sulla conoscenza di con cosa interagisce a sua volta la cosa che interagisce con l'oggetto che ho, sia pure correttamente, descritto, non dedurrò mai l'universo da nessuna delle sue parti, un sistema chiuso ha meno informazione, e quindi meno stati possibili, dello stesso sistema osservato da un terzo elemento/osservatore, non solo l'universo, se lo osservo, mi mostra aspetti di sé stesso a caso, ma il fatto stesso che lo sto osservando aumenta la gamma di aspetti possibili da cui verrà "scelto" quello che mi mostrerà, quindi è il grande sogno filosofico e teologico del rapporto tra micro e macrocosmo che viene spazzato via dalla fisica moderna, e il detto "non sappiamo se sappiamo o se non sappiamo" mi rappresenta molto di più del detto "so di non sapere" : non possiamo sapere nemmeno quanto del mondo è grazie a noi, e quanto sarebbe stato, anche senza di noi, la prudenza riconduce ogni cosa che ci sembra frutto del nostro atto di creare, alla possibilità del molto più modesto atto di trovare.






PS il carattere del mio testo a volte più grande è un difetto di redazione, quindi non voglio attribuirgli alcun significato particolare.