Citazione di: Ipazia il 10 Gennaio 2020, 21:22:12 PMCitazione di: niko il 10 Gennaio 2020, 15:11:08 PM
Per un pregiudizio forse anche scientista, crediamo che la natura si esprima con i numeri, in realtà la natura è una, e si slancia verso l'infinito in ogni sua sia pur minima forma di esistenza, quindi quello da cui essa prescinde sono proprio i numeri.
Il numero, cioè la mediazione possibile e diffusa tra uno e infinito, l'arbitrariamente grande e l'arbitrariamente piccolo, siamo noi. E' la nostra coscienza nella natura, che ce ne restituisce un frammento arbitrario.
Lo scientismo ha tanti difetti, ma questi non includono le paturnie numerologiche che sono piuttosto un vezzo metafisico fin dai tempi di Pitagora. Lo scientismo ha la fissa di ritenere tutto calcolabile, ma le disquisizioni sull'Uno, il Nulla (zero) e l'Infinito le lascia ai filosofi.
Beh, io intendevo anche la tradizione nobile dello scientismo; Galileo afferma che il libro della natura è scritto nel linguaggio della matematica e della geometria; la metafora del libro della natura, che compare e ha grande importanza nel dialogo sui massimi sistemi di Galileo, era vecchia anche ai suoi tempi e risale a san Bonaventura (1200 circa), che parla dei due libri che avrebbe scritto Dio per l'uomo, le sacre scritture e la creazione (la natura); creazione che agli occhi del saggio e dell'innocente può essere letta -decifrata- come un libro e che ha lo stesso valore di verità della sacra scrittura. Dunque nell'immaginario occidentale passiamo da una natura simile a una bibbia, che parla per lettere, parole e simboli, a una natura simile a un libro di matematica senza testo, che parla per numeri, espressioni numeriche e figure geometriche. Questo libro metaforico non solo esprime la natura, ma è la natura, perché si immagina che i suoi numeri e le sue forme siano sempre all'opera, sempre validi, sempre veri, che qualcuno lo legga o no.
Difficile dunque pensare che questa sia solo una questione di calcolo: la scienza ci restituisce una visione del mondo in cui la matematica è intrinseca alla natura; basti pensare al principio di conservazione dell'energia, alla ipotesi indimostrata ma plausibile che l'energia totale dell'universo sia zero, alla casualità epistemica della meccanica quantistica, al principio di indeterminazione, all'eliminazione dell'infinito dalla stragrande maggioranza delle teorie cosmologiche, che ci restituiscono quasi tutte un mondo finito e autocontenuto, profondamente aristotelico nelle sue concezioni di fondo -almeno topologiche-, nonché inesteso (e quindi monadico, spiritualizzato) rispetto all'esistenza di un eventuale spazio infinito che lo contenga.
Superato ogni distinzione tra fenomeno e numeno, la scienza non si occupa di entità, ma di rapporti, e questi rapporti sono esprimibili numericamente: la scienza afferma che il funzionamento regolare della natura avviene che qualcuno lo calcoli o no, quindi implicitamente trova le causa della regolarità della natura nella natura stessa e non nell'uomo o nel suo agire, calcolare compreso.
Il pensiero di un limite a quanto il futuro possa differire dal passato, e un luogo da un altro (quella che Platone chiama la congenericità della natura e che Hume mette in dubbio con geniale scetticismo) dà senso alla scienza: il pensiero di un limite immanente alla quantità di differenza possibile tra le sue parti unifica e matematizza il mondo. Cade la differenza tra cielo e terra, la forza che fa cadere una mela è la stessa che muove i pianeti. Se ci fossero due luoghi assolutamente incompatibili tra loro nello spazio, o due attimi assolutamente incompatibili nel tempo, tali cioè che l'esistenza dell'uno escluda l'esistenza dell'altro, la scienza non avrebbe senso, almeno non nelle sue pretese universaliste e scientiste; sarebbe scienza di una parte del mondo e non di tutto il mondo, mondo che essa unifica sotto la bandiera del numero, dell'osservazione ripetibile e della matematica: è per questo che la scienza non è letteratura, misticismo, intimismo o poesia.