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Messaggi - sgiombo

#2911
Citazione di: donquixote il 01 Marzo 2017, 20:07:33 PM
Se sono "duro d'animo" non lo sono certo con i protagonisti più o meno inconsapevoli di queste tragedie (che se son deboli lo sono e basta, e non certo per colpa mia [ma non é affatto detto siano deboli: bisognerebbe aver superato le prove che loro hanno incontrato nella vita per avere il diritto di dirlo, N.d.R.]) ma con coloro che speculano intorno a questi avvenimenti e li strumentalizzano ai propri fini
CitazioneHai fatto bene a precisarlo, perché dall' intervento precedente e anche dalle parole di questo che precedono queste ultime non si sarebbe detto.
#2912
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 17:01:10 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 17:57:59 PM
Se questo significa che semafori reali, cavalli reali, montagne reali, passerelle reali  hanno, del tutto indipendentemente da qualsiasi -eventuale- espressione della cultura umana (prassi più o meno ancestrali, più o meno condivise, ecc.), una "qualità ontologica" (reale) completamente diversa da quella di ippogrifi, cavalli immaginari, montagne immaginarie e passerelle immaginarie (fantastica), allora sono d' accodo; altrimenti no.
La qualità ontologica diversa è il riflesso della diversità di contesto in cui ciò che accade si traduce in un significato più o meno condiviso.
CitazioneQuel tale che cercò di percorrere una passerella immaginaria e si ritrovò sfracellato al suolo aveva nel suo contesto allucinatorio o immaginario una passerella col significato, più o meno condiviso, di essere reale.
...Peccato che, alla faccia del contesto e del significato che in esso vi si attribuiva in maniera più o meno condivisa, la passerella non fosse reale e il malcapitato si sfracellasse al suolo!

#2913
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 15:57:27 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 18:00:19 PM
Non c' era bisogno di questo schema per ribadire che non distingui (= letteralmente confondi) esperienze reali e costrutti immaginari, oggetti di esperienze reali (cavalli) e oggetti di fantasia (ippogrifi), che infatti collochi entrambi in quella "notte hegeliana" che chiami "oggetto" (tanto di fantasia quanto di autentica esperienza, indifferentemente: tutti neri, come le vacche di notte sembrano; ma non sono).
Li distinguo perfettamente invece, ma so di non essere io a distinguerli, bensì il contesto in cui vivo che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no. Sono i contesti che dà a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé".
Citazione"Mettendomi nei tuoi panni" mi domando:
Che senso ha discutere con me (e con chiunque altro) se é il contesto in cui ciascuno vive (e non la realtà oggettiva alla quale i pensieri e le credenze, per essere veri, devono adeguarsi) che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no? Se sono i contesti che danno a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé" per come oggettivamente sono in realtà?

Diversi contesti, diverse credenze, tutte parimenti vere, ciascuna nel suo proprio contesto (e in barba a ciò che realmente accade): che senso ha confrontarle?
Ha senso invece per chi, come me, crede che non "tutte le credenze fanno brodo" (ciascuna in un qualche contesto), ma ci sono criteri, per quanto arbitrariamente stabilibili ma comunque condivisibili, per sapere che cosa é vero e che cosa é falso; e innanzitutto non il fatto che una tesi si inquadri più o meno bene in un conteso culturale qualsiasi, ma invece che dica che qualcosa di reale é reale (o che qualcosa di non reale non é reale).

Se il colore alle vacche glielo do io ad libitum, fregandomene di come realmente sono, tanto vale chiudermi nel solipsismo: tanto chiunque altro attribuirà loro il colore che più gli aggrada con lo steso diritto di chiunque altro, me compreso: dunque che ognuno si faccia i cavolacci suoi (si dipinga arbitrariamente le sue vacche immaginarie coi colori che preferisce) "in santa pace"!
#2914
Donquixote, 
c' é molto di vero e di giusto, secondo me, in quanto scrivi, ma anche un eccesso di "durezza d'animo", secondo me.

Concordo che esistono suicidi che sono l' indegno, coerente epilogo di una vita indegna (per esempio quello di Raoul Gardini; ovviamente osannatissimo in vita e poi ben presto ignorato in morte dai giornalisti-leccaculi incalliti, come tutte le persone più spregevoli).
Ma in linea di massima sospenderei il giudizio sul suicidio di persone oneste che non sono riuscite a uscire dal dolore e dall' infelicità e hanno perso la speranza di riuscirci.
Avendo una vita fortunata, non credo di essere in diritto di giudicare costoro in quanto non ho dovuto affrontare le prove che la vita ha imposto loro, che mi é difficilissimo se non  impossibile anche solo immaginare; e dunque non sarei affatto sicuro che saprei superarle a mia volta se le dovessi incontrare; sarebbe come se, durante una guerra di guerriglia o un' esperienza cospirativa (come é stata ad esempio la resistenza antinazifascista) mi permettessi di giudicare un compagno catturato, torturato e che non avesse saputo resistere alla tortura dando importanti in formazioni al nemico: soltanto se io stesso fossi stato catturato, torturato e avessi saputo resistere alla tortura mi sentirei in diritto di condannarlo.
#2915
Credo che ci sia suicidio e suicido e che la morte faccia ineluttabilmente parte della vita essendone letteralmente l' atto estremo (= ultimo).

Così una vita complessivamente buona potrà concludersi più probabilmente con una morte buona e una vita complessivamente grama oppure malvagia é più probabile che si concluda con una morte grama oppure malvagia.
Ma esistono anche morti che riscattano un' intera vita mediocre e morti che rivelano la meschinità di una vita apparentemente nobile ed elevata (ovviamente in senso etico).

Sono un epicureo e credo che ciò che vale della vita sia la vita stessa (i suoi "contenuti", ciò che ci da e non la sua lunghezza); e dunque che il suicidio in generale (e in particolare il suicidio i più possibile indolore per porre termine al dolore (= l' eutanasia) sia un diritto individuale sacrosanto.
E inoltre, del tutto contro l' ideologia dominante de facto in Occidente (che non é per me la religione cristiana nè alcun altra religione ma il "mercantilismo egocentrico consumistico", per così dire; che é proprio anche di tantissimi credenti e che le religioni tendono a integrare in se stesse senza troppe difficoltà) credo nel senso del limite; e in particolare del limite alla qualità e alla quantità (durata) della vita: "morte" non é il contrario di "vita" bensì di "nascita" ed entrambe sono parti integranti (le "estremità") della vita (contrario di "vita" é casomai "non vita" o "mineralità").
Dunque la morte di per sè non é un male (noto en passant che nemmeno per il buon Francesco la era "sorella morte corporale"; che peraltro la intendeva come un "passaggio della vita" e non come la morte vera e propria, che negava) se la vita é un bene (é solo un male relativo nell' ambito di un bene assoluto); ed é a maggior ragione un bene relativo se la vita de facto é complessivamente un male; e sarebbe invece un male assoluto se la vita fosse (per assurdo, secondo me, ammesso e non concesso da parte mia) complessivamente un male: da qui il diritto al suicidio.

Naturalmente, come ogni diritto, ha i suoi limiti ed é da integrarsi e armonizzarsi al meglio possibile con altri diritti anche relativamente contrastanti (per esempio quelli di congiunti e soprattutto figli, verso i quali si é in debito avendoli generati  senza poter chiedere il loro consenso (un padre che lasciasse i figli senza sostentamento non sarebbe moralmente giustificabile nel suicidarsi -ricorrere all' eutanasia- dal dolore e dalla paura che comporterebbe il sottoporsi a terapie pesanti necessarie per sperare di guarire da una grave malattia).
#2916
Tematiche Filosofiche / Re:Dadi e probabilità
28 Febbraio 2017, 18:08:55 PM
Citazione di: Duc in altum! il 28 Febbraio 2017, 14:07:23 PM
**  scritto da sgiombo:
CitazionePenso che in linea di principio (non certo di fatto, contrariamente ai deliri di onnipotenza dello scientismo!) sia possibile riprodurre artificialmente un uomo.
E che uomo sarebbe senza anima (l'animale che giustamente, per me, propone @Eretiko)? Non esistono già i robot?
CitazioneBeh, dovrebbe essere qualcosa di ben più sofisticato degli attuali robot, qualcosa che solo i deliri di onnipotenza dello scientismo possono illudersi sia di fatto realizzabile.

E l' esistenza di una "loro" esperienza cosciente (come quella di qualsiasi altra umana diversa dalla "propria" immediatamente esperita non sarebbe dimostrabile (e secondo me il principio etico "di prudenza" imporrebbe (ammesso e non concesso che si dia di fatto il caso) di comportarsi verso di essi per lo meno come se fossero realmente coscienti).
#2917
Citazione di: maral il 28 Febbraio 2017, 16:36:35 PM
Inserisco uno schema per meglio chiarire il discorso (cliccandoci sopra si vede ingrandita)

L'area arancione a sinistra della figura possiamo considerarla come l'area di ciò che è reale in cui si sviluppa l'esistenza (che sa in quanto esiste, ma non sa di sapere) indicata dalla linea gialla punteggiata. Su questa linea qualcosa realmente accade come momento di discontinuità  che genera un'immagine nella zona di colore sfumato. Nell'immagine non c'è ancora né un soggetto né un oggetto, essa è il segno originario di una relazione che si sviluppa nelle polarità di oggetto (che cosa è accaduto) e soggetto (a chi è accaduto) nella parte azzurra a destra della figura. Questa parte azzurra rappresenta l'area di ciò che veniamo a conoscere. Soggetto e oggetto che si trovano in essa collocati, sono quindi figure del conoscere, nella relazione che sempre li lega.
La presenza dell'oggetto, di ciò che intendiamo come oggetto reale, è data dal rinforzo proveniente dalla conoscenza condivisa (linea continua rossa nell'area blu), ossia le prassi che insieme seguiamo, il nostro modo di vedere le cose nel mondo in cui viviamo. Sono queste che ci danno il senso della realtà oggettuale, non quello che realmente accade nella zona arancione, sono le tracce e i resti di un enorme cammino di conoscenza che proviene dalle origini ancestrali dell'intero genere umano, dalla sua storia biologica che lo lega all'universo stesso e culturale. Esse identificano ciò che realmente è accaduto nel contesto che determinano e quindi il soggetto stesso a cui è accaduto, entrambi come significati estremi di una distanza che li mantiene in reciproca relazione. il soggetto che diventa così soggetto che conosce rientra nel cammino della conoscenza.
In realtà sia la linea gialla (linea dell'esistenza che non possiamo vedere come tale e in tal senso corrisponde al continuo accadere di nulla) che la linea rossa (linea della conoscenza) si implicano costantemente in un unico percorso, ma è solo lungo la conoscenza che qualcosa che esiste può apparire e venire identificato e condiviso in un significare che fa parte dei contesti di conoscenza, mentre è solo sulla linea gialla che quel qualcosa che si rivela in un significato esiste.
L'oggetto conosciuto non è pertanto mai l'accadimento reale, ma è il modo di manifestarsi significando dell'accadimento reale alla luce di una conoscenza condivisa in un contesto, quando è già accaduto.
CitazioneNon c' era bisogno di questo schema per ribadire che non distingui (= letteralmente confondi) esperienze reali e costrutti immaginari, oggetti di esperienze reali (cavalli) e oggetti di fantasia (ippogrifi), che infatti collochi entrambi in quella "notte hegeliana" che chiami "oggetto" (tanto di fantasia quanto di autentica esperienza, indifferentemente: tutti neri, come le vacche di notte sembrano; ma non sono).
#2918
Citazione di: maral il 28 Febbraio 2017, 14:16:38 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 08:44:10 AM

Quello che è reale e con cui veniamo ad essere in relazione sono le sensazioni fenomeniche che costituiscono Cervino e cavalli (fenomenici in quanto enti ed eventi reali; indipendentemente dall' essere eventualmente pure pensati) e non affatto ippogrifi (fenomenici unicamente in quanto pensati, contenuti di pensiero, immaginazione); e questo del tutto indipendentemente dal modo di vivere e da prassi condivise o meno da chiunque (altrimenti il selvaggio appena arrivato in città potrebbe tranquillamente attraversare incolume "col rosso" la strada affollatissima percorsa da auto e camion a tutta velocità!
Sgiombo, cavalli, ippogrifi e montagne sono tutti traduzioni di significati il cui senso realtà fenomenica è dato dal rinforzo che queste immagini acquistano da prassi ancestrali condivise del mondo in cui si vive diventando abitudini e automatismi interpretativi di cui non ci rendiamo normalmente più conto. E' proprio per questo che il selvaggio non può in città attraversare con il rosso, il significato del rosso è proprio nel contesto in cui ora si trova e deve imparare a tenerne conto se vuole vivere lì, in quel contesto. I significati, in qualsiasi forma si presentino, riflettono sempre aspetti del tutto reali dei contesti in cui viviamo, ma non valgono allo stesso modo in ogni contesto poiché ogni contesto li produce in modo diverso.
CitazioneSe questo significa che semafori reali, cavalli reali, montagne reali, passerelle reali  hanno, del tutto indipendentemente da qualsiasi -eventuale- espressione della cultura umana (prassi più o meno ancestrali, più o meno condivise, ecc.), una "qualità ontologica" (reale) completamente diversa da quella di ippogrifi, cavalli immaginari, montagne immaginarie e passerelle immaginarie (fantastica), allora sono d' accodo; altrimenti no.




Citazione
Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, perché si presenta del tutto indipendentemente alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive (altrimenti ai tempi dell' antica Roma sarebbero stati reali Giove, Saturno, Venere, chimere, centauri, ecc.
E infatti lo erano, ma non in senso oggettivo come la scienza si illude oggi debba essere la realtà. Lo erano nella misura in cui quei contesti li presentavano come significati veri di quello che realmente accadeva. E vale lo stesso anche per noi al giorno d'oggi, la nostra conoscenza scientifica è vera in relazione a un contesto condiviso di prassi e modi di conoscere, non certo in termini assoluti validi da sempre e per sempre. Qualsiasi verifica vale fatti salvi i contesti e gli strumenti che ne istituiscono i parametri di validità, e quindi i significati, non c'è alcuna verifica assoluta, non è che quando verifichiamo qualcosa usciamo dal mondo in cui ci troviamo per vedere le cose in sé. Ogni verifica è sempre mediata da significati culturali che ne istituiscono il valore e la significatività., non ci sono verifiche dirette se non in ciò che immediatamente accade di sentire (ma ciò che immediatamente sentiamo in misura soggettiva e intersoggettiva in genere è colto ben più dalla poesia e dall'arte che dalla scienza)
Citazione A meno di non abbracciare lo scetticismo, che conseguentemente imporrebbe di tacere, se invece si ammette per vero il minimo indispensabile di indimostrabile né constatabile che comunemente si attribuisce a chiunque sia sano di mente e segue, più o meno criticamente, il senso comune, allora la scienza non si illude affatto circa l' oggettività del reale e la sua conoscenza da parte sua e (al contrario di: magia, alchimia, animismo, astrologia, olismi vari, tradizioni ancestrali varie, ecc., ecc., ecc.; compresa ovviamente la mitologia romana antica), bensì ne ha conoscenza, per quanto del tutto ovviamente relativa, limitata.


Se fossi coerente in questa credenza dovresti considerare illusori, fra le tantissime altre cose, che il tuo computer funzioni, sia collegato ad altri fra cui il mio e che ti permetta di comunicare con me e glia altri del forum, e dunque dovresti evitare di illuderti di farlo; a meno che, contrariamente a me,  non pensi  facendolo che ti stai semplicemente abbandonando a una serie di fantasie irreali, tanto per rilassarti (personalmente credo invece di stare cercando di aumentare, nei limiti del possibile, la mia comprensione di me e del mondo in cui mi trovo, per cui se le cose stessero veramente così ti pregherei di dirmelo esplicitamente onde evitare di farmi perdere del temo, avendo io altri modi di rilassarmi quando necessario).
 
Per verificare qualcosa (di fenomenico: sinteticamente a posteriori; o di logico: analiticamente a priori) non c' è alcun bisogno di uscire dal mondo in cui ci troviamo per vedere le cose in sé; nel primo caso è anzi necessario starci (e ovviamente tenere conto del nostro starci).
 
Il modo di cogliere (meglio) le cose proprio della poesia e dell' arte ad una parte e e quello di cogliere (meglio) le cose proprio della scienza dall' altra sono completamente diversi e validi ciascuno nel suo ben diverso ruolo (a meno di confondere ippogrifi e cavalli reali: la notte hegeliana).

CitazioneL' intersoggettività del mondo fenomenico materiale naturale non la costruisce la scienza trasformandoil soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato, ma la presuppone come reale.
L'intersoggettività non la inventa la scienza, ma è data da prassi condivise, dagli stessi modi di agire nel mondo a cui partecipiamo e quindi di trovarci e di sentirci. La scienza stabilisce con estremo rigore, attraverso gli strumenti che si interpongono tra osservatore e osservato, questi modi con cui è lecito guardare il mondo per vedere tutti lo stesso mondo in modo ripetibile e oggettivo e considerare questo mondo così costruito la realtà.
CitazioneL' intersoggettività scientifica (e di tante altre cose della normale esperienza) non è affatto data da prassi condivise, dagli stessi modi di agire nel mondo a cui partecipiamo e quindi di trovarci e di sentirci: si può recitare collettivamente l' Orlando Furioso in centomila persone e all' ippogrifo Pegaso non si conferisce comunque alcuna intersoggettività scientifica (né meramente empirica-episodica-aneddottica).
 
L' intersoggettività dei fenomeni materiali è invece postulata (consapevolmente o meno da parte chi la pratica) dalla scienza.
 
Se si vede tutti lo stesso mondo in modo ripetibile e oggettivo, allora questo mondo non è arbitrariamente costruito come oggetto di fantasia (sia pure collettivamente condivisa) ma invece reale e intersoggettivo.




CitazioneMa toh!, sorpresa!
Non ti facevo scientista! Non ti credevo uno che attribuisce alla scienza l' onnipotenza!
Infatti la scienza non è onnipotente, ma mette in scena la rappresentazione che meglio illude di potenza di tutte quelle che l'umanità fino a oggi ha saputo costruire. Non c'è dubbio che la mitologia della conoscenza tecnico scientifica sbaraglia di gran lunga ogni altra mitologia che fino a oggi l'umanità abbia conosciuto.
Citazione Credo che ci siano mitologie ben più strampalate e anche di fatto più diffuse nel mondo di quelle scientistiche (quanta gente legge gli oroscopi, gira se vede un gatto nero, fa le corna o si tocca i coglioni se vede un carro funebre!).
Le quali peraltro sono tutt' altra cosa dell' intersoggettiva conoscenza scientifica!
#2919
Tematiche Filosofiche / Re:Dadi e probabilità
28 Febbraio 2017, 09:03:03 AM
Citazione di: Eretiko il 27 Febbraio 2017, 19:49:59 PM
Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2017, 17:44:05 PM
Tuttavia dubito molto sia possibile costruire realistici (che "funzionano" effettivamente) modelli matematici in base ai quali si possano dedurre le possibili scelte razionali per soddisfare certi obiettivi, anche in linea di principio (a parte le risultanze empiriche che trovo sostanzialmente "prevedibili"; e comunque non per queste inutili e non interessanti).
E questo per le mie convinzioni (sulle quali credo dissentirai; il che confido renderà la discussione decisamente più interessante e proficua) sull' irriducibilità della "res cogitans" alla "res extensa" (per dirla a la Descartes; anche se sostengo un dualismo del tutto diverso da quello cartesiano che con tutta evidenza non si regge in piedi, senza nulla togliere alla grandezza di Cartesio ovviamente, e contrariamente a questo "non interazionista").
Infatti le scelte che si prendono (da parte nostra di uomini), anche ammesso -e non concesso- che possano essere sempre del tutto conseguentemente razionali, implicano valutazioni mentali (circa la res cogitans), oltre che materiali (circa la res extensa).

Ovvio che non tutte le scelte debbano (e possano) essere razionali, ma cio' di cui si occupano teoria della decisione o anche teoria dei giochi sono proprio campi in cui sono richieste soluzioni razionali (ad esempio in campo economico) in condizioni di rischio, per questo si studiano matematicamente, e quando si afferma che spesso si scelgono soluzioni irrazionali si intende "irrazionale" in modo letterale, nel senso di fare errate valutazioni, spesso in base a criteri di "probabilita' psicologica" che sicuramente non hanno carattere razionale. Fermo restando che uno puo' fare la scelta migliore pur sbagliando le sue valutazioni, oppure affidandosi genericamente al proprio istinto.
Non so quanto questo abbia attinenza con il libero arbitrio, ma per certo noi non siamo semplicemente "macchine che elaborano dati", e per questo motivo tutti quelli che credono che si possa creare "intelligenza artificiale" semplicemente stanno nel mondo dei sogni e della fantasia, almeno se si intende in modo forte. Anche perche', contrariamente a quello che pensava Cartesio, siamo stati in grado di simulare e riprodurre (con una macchina) la nostra parte razionale (intesa come la nostra parte logica), mentre e' impossibile riprodurre la nostra parte "animale" (brutta parola, non possiamo scinderci in questo modo ovviamente).

CitazioneMi permetto di insistere che teorie dei giochi e affini non funzionano, o per lo meno non danno i risultati sperati (da chi si era fatto illusioni prevedibilmente fallaci; come anche da te rilevato: esperimenti scientifici (come quelli di  Kahneman e Tversky) hanno euristicamente [penso sia un lapsus per "empiricamente"] dimostrato che nella realta' gli uomini, in condizioni di stress e di rischio, tendono a comportarsi irrazionalmente), e questo era prevedibile, a mio parere non tanto perché c' é (anche) un razionalismo irriducibile nel comportamento umano, quanto e sopratutto perché, anche cercando di essere il più razionalisti possibili, non si può misurare e sottoporre a calcoli la res cogitans (pensieri, sentimenti, aspirazioni, soddisfazioni, ecc.).

Non siamo "macchine che elaborano dati", ma, in quanto oggetti fenomenici materiali (i nostri corpi, i nostri cervelli), siamo perfettamente inseriti in un determinismo oggettivo "ferreo" non compatibile con il libero arbitrio (e proprio per questo compatibile con l' etica).

Penso che in linea di principio (non certo di fatto, contrariamente ai deliri di onnipotenza dello scientismo!) sia possibile riprodurre artificialmente un uomo.
#2920
Citazione di: maral il 27 Febbraio 2017, 23:13:51 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").
Sono d'accordo, ma quello che è in sé e con cui veniamo a essere in relazione non è un monte Cervino in sé o un cavallo in sé, ma l'accadere di qualcosa il cui significa si presenta come monte Cervino o come cavallo non in modo arbitrario, ma in relazione di un contesto stabilito dal nostro saper vivere in modo condiviso con altri, fatto di prassi condivise nel tempo e nel luogo in cui ci si trova a vivere sapendo vivere ben prima del sapere di vivere, ben prima cioè di conoscere cosa è il monte Cervino o cosa sono i cavalli.  

CitazioneQuello che è reale e con cui veniamo ad essere in relazione sono le sensazioni fenomeniche che costituiscono Cervino e cavalli (fenomenici in quanto enti ed eventi reali; indipendentemente dall' essere eventualmente pure pensati) e non affatto ippogrifi (fenomenici unicamente in quanto pensati, contenuti di pensiero, immaginazione); e questo del tutto indipendentemente dal modo di vivere e da prassi condivise o meno da chiunque (altrimenti il selvaggio appena arrivato in città potrebbe tranquillamente attraversare incolume "col rosso" la strada affollatissima percorsa da auto e camion a tutta velocità!


CitazioneAggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.
La differenza tra ciò che ci appare reale e ciò che ci appare come sogno o allucinazione, sta appunto, come giustamente dici, nella regolarità intersoggettiva di quello che ci si manifesta, una regolarità che costituisce proprio in quanto tale la base solida di una prevedibilità attendibile e condivisibile. Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, ma si presenta in relazione alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive.
La conoscenza scientifica permette di costruire dei contesti di condivisione in modo particolarmente efficace proprio perché esclude l'aleatorietà della componente soggettiva espressa nei significati trasformando il soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato nel modo di operare e tradurre ciò che osserva in dati.

Citazione 
Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, perché si presenta del tutto indipendentemente alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive (altrimenti ai tempi dell' antica Roma sarebbero stati reali Giove, Saturno, Venere, chimere, centauri, ecc.
La conoscenza scientifica, contrariamente alla narrativa e alla poesia non costruisce trame e racconti arbitrari, ma ipotizza teorie e le sottopone a verifica (o meglio falsificazione) empirica, osservativa diretta o sperimentale.
L' intersoggettività del mondo fenomenico materiale naturale non la costruisce la scienza trasformando il soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato, ma la presuppone come reale.

Istituendo prassi di conoscenza comuni e condivise la scienza non rileva il mondo com'è, ma viene continuamente a costruire e ricostruire un mondo sempre più condivisibile tra tutti i soggetti che usano correttamente le procedure. In questo mondo ciò che la scienza vede non è "la realtà" in sé di ciò che accade, ma la selezione di quei significati che verifica ripetibilmente come condivisi da ogni osservatore. In tal modo essa ricrea artificialmente il mondo nel suo significare per renderlo ripetibile e condivisibile, per trasformarlo in un dato oggettivo che è sempre ben diverso da ciò di cui facciamo effettiva esperienza, ma che può apparire come la realtà fondamentale, reale in quanto oggettiva di ciò di cui facciamo esperienza.
CitazioneMa toh!, sorpresa!
Non ti facevo scientista! Non ti credevo uno che attribuisce alla scienza l' onnipotenza!
#2921
Citazione di: maral il 27 Febbraio 2017, 22:33:38 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").
Mi limito a queste tue ultime affermazioni che penso ci consenta di capirci meglio. Io penso che ogni evento sia reale e ogni evento ci coinvolge nel suo significare che appunto è la manifestazione di quelle relazioni, ma questo significare (l'essere il monte Cervino di quell'evento o l'essere un cavallo di quell'altro evento) non si riferisce a un monte Cervino o a un cavallo in sé reale, ma appunto a quell'evento nel contesto in cui si manifesta e che ha il senso di reale nella misura in cui esso può venire condiviso tra tutti i soggetti che lo vivono. Questa condivisibilità non nasce dal nulla, non è arbitraria, ma è il risultato di quello che sappiamo fare insieme agli altri, è il risultato del nostro saper vivere nel mondo che precede la coscienza che abbiamo di esso e la determina, di un saper vivere che viene prima di qualsiasi conoscenza che sa di cavalli, di montagne e anche di ippogrifi, perché è la matrice di ogni immagine e significato nella sua relativa parzialità.
CitazioneDissento completamente.
A significare sono solo taluni determinati enti o eventi fenomenici (esse st percipi!) che diconsi "simboli" (parole, segnali stradali, icone dei desktop dei computer, ecc.) e non gli enti ed eventi fenomenici in generale.
E mentre il monte Cervino è reale in quanto cosa (montagna) indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (come montagna fenomenica allorché è percepita; come potenziale manifestazione fenomenica intersoggettiva che, salvo che sia coperto da nuvole reali, si attua nella coscienza di chiunque, non cieco vada a Zermatt e guardi verso sudest o a Valtournanche e guardi verso nordest), invece l' ippogrifo Pegaso può esistere solo come concetto, contenuto di pensiero in un pensiero pensato, detto, letto, udito o scritto oppure come dipinto o scultura o armamentario teatrale.
C' è una bella differenza!
La stessa che c'é fra una passerella reale che mi consente di andare sull' altro grattacielo senza sfracellarmi e una allucinatoria che mi fa sfracellare: dimmi se è poco!
Che per intenderci si ci deve accordare socialmente sui simboli usati per comunicare è ovvio ma irrilevante: non salverà certamente nessuno dallo sfracellarsi se ha l' allucinazione della passerella e pensa di usarla!
E contrariamente alle pretese e aspirazioni del potere capitalistico attuale (e di altri passati altrettanto oppressivi e antidemocratici) non c' è convenzione sociale più o meno spontanea od imposta che trasformi le falsità ideologiche in verità, ciò che i potenti millantano in realtà: per questo servo panem et circenses, preti (un tempo) e giornalisti (oggi)!


Aggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.
Ecco, proprio questo ripetersi regolare di certi accadimenti "in modo da tutti constatabile" nel mondo in cui insieme si interagisce vivendo che ci dà il senso di realtà di quello che accade e ci rassicura sulla sua prevedibilità consistente. L'esperienza della realtà è in ciò che per tutti dura e a cui insieme si può dare affidamento, non è nell'essere un cavallo o un ippogrifo la differenza tra realtà e un'allucinazione, ma è appunto ne potersi produrre di significati condivisibili, prevedibili e ripetibili per quello che il contesto in cui abbiamo imparato a vivere lo permette.
La conoscenza scientifica si basa su un metodo che definisce in che modo si possono costruire questi contesti affinché ciò che vi appare possa apparire da tutti condiviso in modo ripetibile come se il soggetto con la sua aleatorietà non vi fosse (o fosse un soggetto del tutto sovraindividuale e collettivo), essa quindi non vede la realtà, ma la costruisce artificialmente nel modo più efficace per tutti coloro che ne apprendono e ne seguono i metodi.
[/quote]

CitazioneMa che c' entrano i significati condivisibili?
Cervino e cavalli si ripetono regolarmente di fatto, indipendentemente dal fatto che siano inoltre pensati o meno, in quanto accadimenti reali in modo da tutti constatabile (senza virgolette; salvo difetti degli organi di senso o impedimenti altrettanto reali) nel mondo in cui insieme si interagisce vivendo; gli ippogrifi neanche per sogno (...anzi: proprio unicamente "per sogno")!
L'esperienza della realtà è in ciò che per tutti dura e a cui insieme si può dare affidamento, il che accade de- (l' essere un) cavallo e non de- (-l' essere) un ippogrifo, che é la differenza tra la realtà e un'allucinazione; ma il potersi produrre di significati condivisibili permette di pensare e comunicare (anche ciò che non è reale), mentre l' accadere reale è proprio soltanto di enti ed eventi (intersoggettivi) prevedibili e ripetibili in determinate circostanze per tutti gli osservatori "adeguati", indipendentemente da quello che é il contesto in cui abbiamo imparato a vivere (un selvaggio che non abbia mai abbandonato una foresta senza strade percorribile solo a piedi se un bel giorno giunge in città vede benissimo macchine e camion (e per fortuna, perché se la loro realtà dipendesse solo dal suo proprio contesto culturale, da ciò che consce, ne finirebbe travolto).
#2922
Tematiche Filosofiche / Re:Dadi e probabilità
27 Febbraio 2017, 18:01:43 PM
Citazione di: baylham il 27 Febbraio 2017, 10:10:05 AM
Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2017, 15:27:46 PM
Entrambi ti direbbero che l'induzione e la certezza della regolarità e le loro negazioni non possono davvero essere dimostrate. Ad esempio nel caso più semplice dell'induzione il dubbio parte dal principio. Ossia ti sfidano in questo modo: che senso ha usare l'induzione? In sostanza entrambi ti dicono che la usiamo per la pratica ma non è un metodo che possiamo prendere come infallibile.

Il problema è che la certezza del dubbio ("che l'induzione e la regolarità e le loro negazioni non possono essere dimostrate") si basa proprio sull'induzione, questa è una  contraddizione dello scetticismo.
CitazioneNo, la certezza del dubbio circa l' induzione é una "verità" analitica a priori (e non induttivamente stabilita a posteriori), dunque logicamente indubitabile, certa perché, come tutte le "verità" analitiche a priori (logiche e matematiche) non dice nulla su come é la realtà ma solo su come si deve pensare correttamente (non veracemente: propriamente non é nemmeno una "verità", un predicato vero -circa il mondo- ma solo un predicato corretto nel sistema assiomatico della logica classica, comunemente praticata nel ragionare).

Lo scetticismo evita i paradossi e le contraddizioni del tipo "io mento" perché non giudica ma invece sospende il giudizio.
#2923
Tematiche Filosofiche / Re:Dadi e probabilità
27 Febbraio 2017, 17:44:05 PM
Citazione di: Eretiko il 27 Febbraio 2017, 11:39:53 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2017, 10:12:12 AMSecondo me la teoria del caos (deterministico!) dimostra che di fatto non si può andare oltre un indeterminismo relativo (probabilistico statistico) epistemico, che però esige necessariamente di postulate un "sottostante" (reale anche se non conoscibile esaurientemente) determinismo ontologico.

Era proprio quello che intendevo dire, ma dato che la parola "caos" (secondo me potevano anche scegliere un termine piu' appropriato) genera sempre una moltitudine di fraintendimenti soprattutto in coloro che sperano di cancellare la parola "causalita'" (e dunque "determinismo") dal vocabolario, credo sia bene approfondire il discorso.
E qui di nuovo vale la pena sottolineare lo stretto legame tra scienze naturali e filosofia: perche' "isolare" e "ridurre" la complessita' e' tipico almeno della filosofia occidentale analitica (contrapposta all'olismo delle filosofie orientali e alla filosofia occidentale continentale) ed ha appunto permesso lo sviluppo ad esempio della fisica, fatto evidentemente impossibile se il pensiero si concentra sull' "Uno" (con la U maiuscola, indivisibile).
E queste distinzioni filosofiche si ripercuotono inevitabilmente sulla scienza: non e' infatti un caso che mentre Zeilinger (austriaco) si interessa solo ad esperimenti sull'entanglement quantistico (fatto ormai sperimentalmente accertato da anni), laddove e' piu' forte la filosofia analitica Frank Wilczek (americano) spiega come sia possibile che un protone abbia una massa notevolmente superiore alla somma aritmetica dei 3 quark che lo compongono rispondendo in qualche modo alla domanda di come possa emergere la materia sensibile dal "vuoto quantistico" (il nulla dei mistici).

CitazioneFin qui sono completamente e direi, scadendo forse deplorevolmente (ma credo "venialmente") nel "sentimentale" (o emotivo), d' accordo!


Sulla questione del libero arbitrio, e se esso sia compatibile o meno con il determinismo debole, credo che in qualche modo abbiano gia' risposto ad esempio gli studi sulla "teoria della decisione". Se infatti da un lato e' possibile costruire modelli matematici in base ai quali si deducono le possibili scelte razionali per soddisfare certi obiettivi (esempio: criteri di utilita'), dall'altro esperimenti scientifici (come quelli di  Kahneman e Tversky) hanno euristicamente dimostrato che nella realta' gli uomini, in condizioni di stress e di rischio, tendono a comportarsi irrazionalmente, segno evidente che non siamo "automi". E forse, ritornando al tema della discussione, questo e' anche il segno che esistono vari livelli di probabilita' non coincidenti tra loro, come gia' avevano notato D'Alambert e Laplace: non solo probabilita' matematiche astratte, ma anche probabilita' di ordine fisico (non necessariamente quantistiche) e probabilita' di ordine psicologico.
A tal proposito si veda ad esempio l'argomento di D'Alambert sul lancio della moneta (per molto tempo ritenuto assurdo), ripreso poi da Bose riguardo a certe statistiche sui fotoni, e che fu preso sul serio solo da Einstein (il solito bastian contrario) per formulare quella che poi e' divenuta nota come "statistica di Bose-Einstein" e spiega ad esempio il funzionamento del laser.

CitazioneNon conosco (purtroppo!) la teoria della decisione.
Tuttavia dubito molto sia possibile costruire realistici (che "funzionano" effettivamente) modelli matematici in base ai quali si possano dedurre le possibili scelte razionali per soddisfare certi obiettivi, anche in linea di principio (a parte le risultanze empiriche che trovo sostanzialmente "prevedibili"; e comunque non per queste inutili e non interessanti).
E questo per le mie convinzioni (sulle quali credo dissentirai; il che confido renderà la discussione decisamente più interessante e proficua) sull' irriducibilità della "res cogitans" alla "res extensa" (per dirla a la Descartes; anche se sostengo un dualismo del tutto diverso da quello cartesiano che con tutta evidenza non si regge in piedi, senza nulla togliere alla grandezza di Cartesio ovviamente, e contrariamente a questo "non interazionista").
Infatti le scelte che si prendono (da parte nostra di uomini), anche ammesso -e non concesso- che possano essere sempre del tutto conseguentemente razionali, implicano valutazioni mentali (circa la res cogitans), oltre che materiali (circa la res extensa).
E se già il "caos deterministico" (absit iniuria verbis), e anche più banalmente la ovvia fallibilità umana, fanno sì che pure nel valutare razionalmente e scientificamente (per quanto effettivamente possibile) il mondo materiale – naturale ci siano evidenti limiti e possibilità di errore, le cose stanno decisamente ancor peggio per quanto riguarda la mente (pensieri, sentimenti, desideri, propensioni comportamentali, ecc.) per il fatto che res cogitans, contrariamente alla res extensa, non è letteralmente "misurabile" attraverso rapporti espressi da numeri: mentre posso pesare (letteralmente) un corpo materiale massivo (e in generale misurare la materia), posso tutt' al più "soppesare" o "ponderare" -ben diversa e più vaga cosa!- desideri, aspirazioni, soddisfazioni, insoddisfazioni. ecc.; per esempio che una certa aspirazione sia più forte (e dunque la sua soddisfazione foriera di più felicità, l' insoddisfazione di infelicità) di un' altra (per esempio mantenere un ottimo rapporto -per quanto umanamente possibile- con mia moglie e mio figlio più che avere rapporti sentimentali e carnali con una donna più giovane e bella e magari anche più intelligente e colta che "ci starebbe") lo posso ben stabilire (ma neanche sempre); ma di quanto è più forte? Cento volte? Il doppio? Una volta e mezzo? Del 5%?
E poiché non è possibile soddisfare tutte le aspirazioni (avere "la botte piena e la moglie ubriaca") ma si deve sempre valutare quale insieme di soddisfazioni realistiche e oggettivamente compatibili fra loro è preferibile cercare di soddisfare rinunciando ad altre incompatibili (senza poter misurare e calcolare la "somma algebrica" delle une e delle altre), le decisioni umane saranno sempre inevitabilmente soggette a qualche incertezza e rischio di rivelarsi sbagliate, per quanti progressi la scienza (che a mio modo di vedere in senso stretto è possibile solo della res extensa, misurabile, e non della res cogitans, tutt' al più vagamente e incertamente "ponderabile") possa fare, anche ammesso ed evidentissimamente non concesso che la scienza possa mai darci un completo e perfetto "dominio" del mondo materiale - naturale (che è una penosa illusione di quella forma di irrazionalismo che è costituita dallo "scientismo: un' altra forma di irrazionalistico simmetrico a quello dei misticismi, "olismi", ecc.).
Con tutto ciò non nego il determinismo ontologico dovuto al fatto che il corpo umano (e il suo cervello, che è altra cosa dalla coscienza in generale e dalla mente in particolare) è "perfettamente" inserito nel divenire materiale – naturale (N.B.: questo aggettivo NON significa che ritenga la mente o il pensiero "soprannaturali" ma solo non riducibili al né emergenti dal naturalissimo cervello; e nemmeno in alcun modo interagenti con esso, bensì solo necessariamente in corrispondenza biunivoca con esso nel loro divenire).

Sul libero arbitrio (dico questo soprattutto ad Apeiron) credo che sia compatibile con un indeterminismo debole e meramente epistemico (si tratterebbe di un "libero arbitrio unicamente, meramente epistemico"!), ma non con il determinismo ontologico forte che é conditio sine qua non della conoscenza scientifica (ma secondo il mio modo divedere ciò vale anche in realtà per l' etica, la valutabilità morale dell' agire umano).



#2924
Tematiche Filosofiche / Re:Dadi e probabilità
27 Febbraio 2017, 10:12:12 AM
Citazione di: Eretiko il 26 Febbraio 2017, 18:55:13 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Febbraio 2017, 15:11:04 PMNel mio caso parlo semplicemente di regolarità (che è una generalizzazione del determinismo e del probabilismo). Ma una regolarità che riesce a "produrre" sia individui dotati di propria identità e di libertà limitata ma non indipendenti o liberi. In sostanza determinismo e probabilismo mi paiono semplificazioni troppo esagerate. Possiamo fare di meglio con le nostre ipotesi.

Considera che il rigido determinismo e' stato abbandonato, ancor prima della teoria dei quanti, all'interno della stessa meccanica newtoniana, grazie al lavoro di Poincare' nel famoso problema dei "tre corpi", del quale e' sicuramente interessante leggere le considerazioni filosofiche sul "caos".
Non dimentichiamo che noi conosciamo le leggi "causali" sempre in forma differenziale, valide su una infinitesima porzione di spazio-tempo piccola a piacere, e che pretendiamo di estendere a una porzione finita di spazio-tempo (o addirittura a tutto l'universo) quando si cerca una soluzione particolare (con opportune condizioni al contorno) e che spesso e volentieri non riusciamo ad esprimere in forma chiusa (come nel caso dei tre corpi isolati nello spazio o nel caso apparentemente semplice del pendolo). Detto in parole povere: pur continuando a vedere la "regolarita'" occorre accettare una forma debole di determinismo perche' la complessita' della natura non ci consente di ridurre un sistema oltre un certo limite, soprattutto in un sistema biologico sottoposto da una parte ad eventi casuali (variazioni genetiche) e dall'altra filtrato da un processo deterministico (l'ambiente).
Anche se la parola "caos" e' fuorviante perche' sembra connessa a processi casuali, in realta' essa deriva proprio dal rigido determinismo, e la conclusione e' che di fatto piu' aumenta la complessita' piu' si riduce la possibilita' di fare previsioni a lungo termine.

Apeiron:
Concordo con tutto ciò che hai detto. il famoso lancio del dado iniziale dipende da una quantità tremenda di fattori: da come scelgo di lancirarlo, da dove cade, da come è l'ambiente in cui cade... Troppi fattori. E il risultato è che tutti questi fattori fanno sì che "assomigli" ad un evento casuale ma d'altronde non lo è perchè appunto dipende da "fattori esterni" che non ne garantiscono l'"indipendenza statistica". Sì anche io favorisco un determinismo debole ma un determinismo così debole da lasciare una, seppur parziale, autonomia ai suoi ingranaggi non è più un determinismo. In ogni caso secondo me la citata teoria del caos (su cui in questa discussione avevo sorvolato, ma che c'entrava molto di più della MQ) ha dimostrato appunto che la realtà non è né deterministica né probabilistica. Determinismo e probabilismo sono utili "strumenti" d'indagine. Ma niente di più.


Secondo me bisogna distinguere fra -rigidissimo- determinismo (oppure probabilismo) ontologico e determinismo oppure indeterminismo (relativo: probabilistico statistico, non caotico) gnoseologico (o epistemico).

Citazione
Secondo me bisogna distinguere fra -rigidissimo- determinismo (oppure probabilismo) ontologico e determinismo oppure indeterminismo (relativo: probabilistico statistico, non caotico) gnoseologico (o epistemico).

In fisica, anche newtoniana, vige incontrastato un rigido determinismo ontologico, senza il quale non avrebbe senso l' indeterminismo epistemico largamente prevalente (per l' appunto nella conoscenza che di fatto se ne può avere): solo questo a mio parere può significare l' affermazione, che condivido pienamente, che "la parola "caos" e' fuorviante perché sembra connessa a processi casuali, in realtà essa deriva proprio dal rigido determinismo [ontologico, N.d.R.], e la conclusione e' che di fatto piu' aumenta la complessita' piu' si riduce la possibilita' di fare previsioni a lungo termine [più si è costretti nei limiti del relativo indeterminismo epistemico, N.d.R.]".

 

Se "un determinismo così debole da lasciare una, seppur parziale, autonomia ai suoi ingranaggi non è più un determinismo" (affermazione su cui concordo pienamente), allora perché possa darsi conoscenza scientifica, essendo necessario il determinismo, occorre che questo determinismo sia adeguatamente forte.

 

Secondo me la teoria del caos (deterministico!) dimostra che di fatto non si può andare oltre un indeterminismo relativo (probabilistico statistico) epistemico, che però esige necessariamente di postulate un "sottostante" (reale anche se non conoscibile esaurientemente) determinismo ontologico.
#2925
Tematiche Filosofiche / Re:Dadi e probabilità
27 Febbraio 2017, 10:08:13 AM
Citazione di: Apeiron il 26 Febbraio 2017, 15:11:04 PM
@sgiombo certo che la mia è una "credenza"! Tornando al problema del determinismo vediamo che in tutte le sue forme ci "dice" che l'universo è un unico "oggetto" che lavora tutto in sintonia. In meccanica classica ad esempio dove i range di interazione sono infiniti e dove l'interazione si propaga a velocità infinita effettivamente l'universo è un Uno-Tutto. La cosa "strana" è appunto che questo Uno-Tutto ha "in sé" delle "parti" altamente "specializzate" come lo sono gli esseri viventi. Il problema è che il determinismo non può mai essere compatibilista perchè il determinismo asserisce che la causa e l'effetto sono sempre legati secondo una necessità. Da notare che in meccanica classica effettivamente la suddivisione in sotto-sistemi è meramente utile, perchè esiste solo un sistema, l'universo stesso.
In relatività invece la velocità limite fa in modo che in questo Uno-Tutto le parti non interagiscono tutte tra di loro e in questo modo si ha la località e quindi si possono formare "sottosistemi". Tuttavia nuovamente il determinismo fa in modo che gli individui non solo sono interdipendenti ma sono semplici illusioni, semplici inganni dell'intelletto. L'assurdità è che in questo caso la nostra illusione di essere un "io", la nostra illusione di essere liberi sono veramente degli scherzi della natura.

Se invece il mondo fosse probabilistico si aprono nuovi orizzonti. Affinché si possa parlare di sistemi che si comportano secondo leggi probabilistiche è necessario che abbia senso "isolarli" dall'esterno. Infatti oltre che avere una identità propria devono essere anche completamente indipendenti dal resto del mondo ("indipendenza statistica"). Il punto è che nuovamente la suddivisione in sotto-sistemi completamente indipendenti è solo una convenzione pratica. Non si possono osservare particelle libere, perchè già il solo atto di osservazione è un'interazione. Inoltre differenti osservatori osservano sistemi diversi (vedi il paradosso dell'amico di Wigner). Inoltre nuovamente anche qui si arriva ad assumere una posizione fatalistica: se tutto "va a caso" non posso fare nulla.

Nel mio caso parlo semplicemente di regolarità (che è una generalizzazione del determinismo e del probabilismo). Ma una regolarità che riesce a "produrre" sia individui dotati di propria identità e di libertà limitata ma non indipendenti o liberi. In sostanza determinismo e probabilismo mi paiono semplificazioni troppo esagerate. Possiamo fare di meglio con le nostre ipotesi.

P.S. All'università non hanno mai nominato Bell e hanno accennato l'entanglement un paio di volte. Purtroppo è un argomento di ricerca da dottorato per chi si specializza in fondamenti di meccanica quantistica. Ergo la mia conoscenza di queste cose è veramente ridotta. In ogni caso concordo con Eretiko che troppi fisici hanno abbandonato la riflessione filosofica solo perchè la teoria "funziona". Ma la natura è molto, ma molto più misteriosa delle nostre teorie (alcune delle quali sono assurdamente complicate).

CitazioneLe leggi di natura (da postularsi arbitrariamente perché possa darsi di essa conoscenza scientifica, in accordo con Hume e con Wittgenstein, sono "per definizione" o "per postulazione" universali e costanti.
Ma secondo me è del tutto evidente che non v' è nulla di "strano" nel fatto che l' universo materiale – naturale comprenda in sé parti "altamente specializzate" (termine che mi sembra possa dare adito a fraintendimenti in qualche senso antropomorfistici o finalistici, per cui preferirei dire "complesse") e in particolare la vita (la materia vivente) il cui divenire ritengo perfettamente riducibile senza dubbio o problema alcuno a quello della materia in generale (la biologia alla fisica – chimica; non così il pensiero al cervello o la mente alla materia – natura trattandosi in questo caso non di fenomeni facenti parte di un unico, medesimo insieme di eventi integrati, reciprocamente interferenti, divenienti secondo le stesse leggi di natura astratte universali e costanti, le quali nel caso della materia vivente si manifestano o si "applicano" o "funzionano" -e ne sono astraibili dalla conoscenza scientifica- in condizioni particolari e concrete di peculiare complessità; mentre invece materia e mente sono due diversi ordini di eventi reali, entrambi fenomenici, reciprocamente separati, trascendenti, non interferenti, assolutamente incomunicanti, per la ineludibile chiusura causale del mondo fisico, anche se divenienti per così dire necessariamente "in parallelo", in corrispondenza biunivoca; non si danno determinati eventi mentali senza determinati eventi cerebrali e non altri e viceversa).
 
Ritengo inoltre il determinismo non solo compatibile con l' etica ma anzi addirittura ad esso necessario, come già brevemente accennato, perché l' etica necessita sì dell' assenza di determinazioni estrinseche, ma non invece di determinazioni intrinseche (non del libero arbitrio) che farebbe dell' agire umano un fatto meramente fortuito.
Non vedo perché, in che senso, gli "individui", per il fatto di essere integrati in un tutto in divenire deterministico regolato dalle medesime leggi universali e  costanti e dunque interdipendenti con il "resto del tutto" non possano essere che "semplici illusioni, semplici inganni dell'intelletto": qualsiasi arbitrario "ritaglio mereologico" di enti ed eventi nell' insieme dell' universo naturale – materiale è lecito (possibile sensatamente; anche se solo certi determinati "ritagli" e non qualsiasi possibile ne consentono la conoscenza scientifica permettendo di identificare leggi universali e costanti del suo divenire; concordo che si tratti di "convenzioni", pratiche ma anche teoriche, ma non per questo illusorie, non riferibili alla realtà).
 
Inoltre (di fatto e anche in linea teorica, di principio) non è affatto vero che il determinismo porti al fatalismo (cioè all' accettazione passiva degli eventi): il sapere che il mio agire è deterministico, dovuto non al caso ovvero al libero arbitrio ma alle mie "virtù" -e/o vizi- per dirlo alla maniera degli stoici (virtù o vizi che non merito in alcun modo ma ho avuto la fortuna o sfortuna di trovarmi ad avere non per mia libera -ovvero casuale- scelta) non mi fa né caldo né freddo a proposito dei miei ideali, aspirazioni, desideri, e della mia determinazione a lottare per essi.
In caso di determinismo ciascuno ha i vizi o le virtù che ha non per sua libera scelta in ultima analisi, dal momento che ci deve essere necessariamente -per necessità logica- un "prima" di qualsiasi scelta, dunque non scelto ma subito, che determina la scelta stessa.
Ma questa è appunto una necessità logica (varrebbe perfino per un dio onnipotente, se esistesse): non può essere che così per il semplice fatto che negarlo sarebbe autocontraddittorio e dunque senza senso, non significherebbe alcunché non sarebbe qualcosa su cui ragionare.
 
Concordo anch' io che troppi fisici hanno abbandonato la riflessione filosofica solo perchè la teoria "funziona". Ma la natura è molto, ma molto più misteriosa delle nostre teorie (alcune delle quali sono assurdamente complicate).
Già Friederich Engels nella Dialettica della natura aveva evidenziato l' illusorietà e la dannosità di questo atteggiamento positivistico:

"Gli scienziati credono di liberarsi della filosofia ignorandola od insultandola. Ma poichè senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero, essi accolgono queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte, dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po' di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all' Università (che è non solo frammentaria, ma un miscuglio delle concezioni delle persone appartenenti alle più diverse, e spesso peggiori, scuole), o dalla lettura acritica ed asistematica di scritti filosofici di ogni specie; pertanto essi non sono affatto meno schiavi della filosofia, ma lo sono il più delle volte, purtroppo, della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della paggiore filosofia...".