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Messaggi - niko

#2926
Tematiche Filosofiche / Nulla e qualcosa.
13 Gennaio 2021, 14:24:59 PM
Io non dico che la morte di un vivente sia un passaggio al nulla, dico che questa opinione esiste in filosofia ed è degna di rispetto, e, scusate se lo dico, già il fatto che voialtri argomentiate contro usando esempi di tipo esperienziale o sentimentale, e quindi non di tipo rigorosamente filosofico o logico, la dice lunga su quanto l'opinione in sé sia difficile da confutare;

se nulla passa al nulla, allora tutto si trasforma,

se allora tutto si trasforma, io ho chiesto: "in cosa si trasforma la coscienza, lo "spirito" di un vivente evoluto dopo la morte?"

Nessuna risposta che non vada sul mistico o sul poetico, e poco vi rendete conto dei problemi
logico-filosofici intrinseci nelle vostre risposte...

voi dite: un vivente muore ma dopo di lui non c'è il nulla, il tessuto dell'essere è ancora continuo, non lacerato; dopo di lui, e la sua morte, c'è ancora mondo che va avanti e la continuità dell'essere; allora, dico io, chi testimonia del campo di coscienza nullo di quel vivente espulso dall'essere e dal mondo, che non è più? Della verità di quel campo di coscienza?  Lui stesso? Allora il nostro concetto di nulla è una tomba che eternizza la verità del soggetto, anche in mancanza di percezione e di attività...


oppure il campo di coscienza proprio non c'è e non ha senso chiedersi della sua verità?
Allora non avete confutato quello che c'era da confutare, la morte è un passaggio al nulla.


La coscienza si trasforma, come il corpo putrefatto si scinde nei suoi elementi compositivi? Ok, allora da ciò la mia domanda: in cosa essa si trasforma?


#2927
Tematiche Filosofiche / Nulla e qualcosa.
11 Gennaio 2021, 19:01:50 PM
Citazione di: baylham il 11 Gennaio 2021, 12:13:38 PM
Il disagio psicologico è qualcosa, non nulla, quindi esso conferma soltanto che il nulla non esiste.

La morte è un processo, non è nulla. La mia morte futura non è un passaggio al nulla, è l'inizio di altro: i miei genitori, alcuni miei amici, miliardi di uomini sono morti, ma non sono diventati, passati o sfumati nel nulla.

Se la mia capacità di percezione, degli strumenti di percezione, della realtà da osservare sono sotto o sopra una soglia, percepirò il vuoto, l'assenza. Ma la mia percezione del vuoto, del silenzio, non è un nulla, è una conferma che il nulla non esiste.

Se il nulla non esiste, non è una forza, non è una negazione, non è un campo d'attrazione o d'origine.

Origine e fine dell'esistente che non esistono proprio perché il nulla non esiste.


Dopo la morte inizia dell'"altro", uno stato "successivo" del mondo, in cui non c'è (più) la coscienza del morto, quindi la morte viene pensata da molti come nulla, come annullamento di coscienza, della coscienza, non dico che si debba per forza condividere questa opinione, ma bisognerebbe quantomeno conoscerla, e rispettarla così com'è, senza stravolgerla con giri di parole strani.


La morte non è trasformazione di coscienza, ma proprio annullamento, perché è ben difficile spiegare, soprattutto in senso ateo e scientifico e senza postulare paradisi o reincarnazioni, o fantasmi vari, in cosa, dopo la morte, la coscienza di un poveretto che è morto dovrebbe essersi "trasformata"...


Quindi la morte, la morte degli esseri coscienti e autocoscienti, è la smentita della famosa massima: "tutto si trasforma e nulla si distrugge".


Semmai, e nulla si distrugge nel mondo materiale, ma nell'animico, ovvero nel sommamente semplice, non può darsi la scomposizione del sommamente semplice in componenti frazionati di esso che diversamente si ricompongono, o con esse stesse o col mondo esterno anch'esso pensato come composto di parti e passibile di varie possibilità di aggregazione di queste parti, il che ci induce a prendere posizione nella "dicotomia" dello stabilire se il sommamente semplice sia immortale, indistruttibile, o radicalmente mortale nel senso proprio dell'annullamento, a meno che non pensiamo, oltre la suddetta dicotomia,  che anche la coscienza, o anima, sia composita, e allora potrebbe avere strati mortali e strati immortali, o avere una possibilità di "resurrezione" nel ricorrere del rapporto combinatorio tra le sue stesse parti che la genera, o addirittura di altre parti simili.


Il nulla non esiste, ma non vedo perché dovrebbe non esistere nella forma di coincidere semplicemente con se stesso e non nella forma di essere l'essere, quindi è proprio da un punto di vista dinamico, che ogni fourclusione del nulla fallisce, oltre la soglia della percezione c'è il vuoto, ma in questo vuoto c'è del tempo, quanto meno perché poi, ad altre condizioni, la percezione meglio definita di qualcosa oltre il vuoto ritorna, quindi il vuoto tra le percezioni vale come intervallo, e poi perché anche nel vuoto puoi pensare e ricordare, attività che pur essendo adimensionali, e quindi non dipendenti dallo spazio, richiedono tempo. Siete sempre to o l'altro, come attività interiore o manifestazione fenomenologica, che fate in modo che questo vuoto non sia nulla, ma finché l'intervallo tra due percezioni distinte non si colma, o non si attribuisce realtà, o valore di inizio, di origine, al pensiero formulato nel vuoto, il vuoto potrebbe essere nulla, e la mediazione temporale che colma il vuoto sta a ricordarlo.


Il processo del morire poi, è interessante anche perché in natura non vi sono interazioni istantanee, quindi, mentre la filosofia e il senso comune distinguono dicotomicamente tra vita e morte, in natura il processo di morte si compie nel tempo, come tutti gli altri e senza distinzione particolare dagli altri, e vi è interregno, e intervallo, e mediazione, tra vita e morte.


Ma cosa altro potrebbe essere la coscienza, e la vita che contempla se stessa in questo intervallo se non nulla? L'agonia come inizio della morte stante il perdurare della vita, intendo, che secondo natura è necessario si compia nel tempo, e non ha quell'istantaneità che ha nel nostro pensiero e nel concetto che ci facciamo di essa... Che ci si impieghi un secondo, o un miliardo di anni a morire, in quel frangente non si è né nella vita, né nella morte... non è un intervallo vuoto tra due pieni, tra due stati dell'essere, ma un divenire, che quando non può più essere divenire, per la coscienza che si contempla mentre muore, passa al nulla, e non all'essere, quindi un divenire che ha in sé la sua propria ragione d'essere, che la trae finalisticamente dal nulla, non causalmente dall'essere, un divenire che non è in nessun senso un compimento...
#2928
Tematiche Filosofiche / Re:Nulla e qualcosa.
10 Gennaio 2021, 21:10:22 PM
Citazione di: viator il 10 Gennaio 2021, 20:41:55 PM
Salve niko. Per me non ci siamo.Nel nulla tu ci infili troppe cose. Alla fine poi, dopo averlo riempito ben bene, dichiari che esso potrebbe essere il contenitore di ciò che nega l'esistenza del nulla stesso, cioè l'essere. Saluti.




E' la realtà che è difficile... l'essere è un modo di essere determinato del nulla, che quindi non è solo indeterminato, contiene tutto (comunque, soprattutto qui, con l'essere intendo l'insieme degli enti, ciò che c'è).


Il nulla è anche la fine delle opposizioni, quindi lo abbiamo sia quando un opposto prevale in modo assoluto sull'altro, sia quando gli opposti sono perfettamente in equilibrio.


Io penso per esempio a luce e tenebre, è nulla quando abbiamo la tenebra senza un minimo di luce, o la luce senza un minimo di tenebra, ma anche quando abbiamo un perfetto equilibrio tra luce e tenebra per cui nulla emerge... quindi del nulla non sappiamo nulla, neanche se è un contenitore con un contenuto assoluto, o un contenitore con una varietà di contenuti che attualmente non può emergere...


Sappiamo solo che nella nostra esperienza comune cogliamo la luce, perché in essa c'è un minimo di tenebra e viceversa, quindi ci facciamo un'idea del nulla, non tanto come toglimento dei contenuti concreti dell'esperienza, quanto come toglimento delle sue modalità, delle sue leggi, potrei dire.


Da dentro l'essere, non possiamo dire se apparteniamo, o no, a una totalità nulla.







#2929
Tematiche Filosofiche / Nulla e qualcosa.
10 Gennaio 2021, 19:07:31 PM
Citazione di: baylham il 10 Gennaio 2021, 16:52:53 PM
Un fondamento per me certo è che il nulla non esiste. Da questa premessa ho tratto alcune conclusioni interessanti ed importanti per la mia, modesta, riflessione filosofica e per la mia vita.
Se qualcuno è in grado di fare un esempio del passaggio da qualcosa al nulla lo ringrazio.


Beh c'è chi pensa che dopo la morte ci sia il nulla, quindi se il corpo si disperde, la coscienza, o anima, si può pensare che non si disperda altrettanto nei suoi componenti fondamentali come il corpo (ad esempio perché essa, a differenza del corpo, la si pensa come unitaria) quindi, o pensiamo che sopravvia in qualche modo, o che si annulli.


Poi io penso che il nulla sia nullificato da sempre nell'essere, quindi non c'è reciprocità, immagino il passaggio dal nulla a qualcosa, ma non di qualcosa al nulla, il nulla è sorgivo, perché genera l'abisso dello spazio e del tempo in maniera irreversibile e non lo riaccoglie, è il non-ritorno, e, come si può pensare a una direzione di non-ritorno per la morte, altrettanto la si può pensare per la vita.

Comunque, il mio pensiero del passaggio del nulla a qualcosa è spaziale, non temporale, quindi non c'è prima il nulla e poi qualcosa, ma c'è il nulla che in un certo senso è il vuoto, della realtà o della coscienza; o anche il limite, o il contenitore, dell'essere.
#2930
Citazione di: donquixote il 08 Gennaio 2021, 21:10:19 PM
Citazione di: niko il 07 Gennaio 2021, 14:02:48 PM

Io vedo il cristianesimo e il socialismo come mediazioni, come pensieri dell'equità e dell'equanimità tra individuo e specie,
Accomunare socialismo e cristianesimo, in qualunque modo lo si faccia, è un errore logico e filosofico perché sono idealmente contrapposti e quando la Chiesa, pur degenerata, lo era un po' meno di adesso definiva il socialismo (o comunismo, a piacere) un'ideologia satanica e scomunicava automaticamente i cristiani che vi aderivano. Solo una totale superficialità di giudizio può ritenere che queste dottrine siano sia pur parzialmente sovrapponibili o intercambiabili, e le eventuali somiglianze fra loro sono esclusivamente formali.

Innanzitutto la famosa frase di Marx "da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo i suoi bisogni" è tratta, sia pur non letteralmente ma sostanzialmente, da un brano degli Atti degli Apostoli (At 4, 32-35) e dunque non è invenzione di Marx o Engels. La questione principale da considerare è che quella frase assume valenze molto diverse nel cristianesimo e nel socialismo. Se nel Cristianesimo quel comportamento non è un "principio", un postulato dottrinale, un dogma, uno scopo, ma una semplice deduzione dalla dottrina, una logica applicazione nella prassi di un insegnamento (e poi di una morale) che realizza innanzitutto una solidissima unità spirituale in quella comunità, nel socialismo invece quello è il punto di partenza, lo scopo sociale, è in pratica sia l'inizio che la fine di tutta la dottrina. Lo dimostrano le parole di Marx ed Engels che, nel tanto celebrato "Manifesto del Partito Comunista" scrivono: "Tutto ciò che è istituito, tutto ciò che sta in piedi evapora, tutto ciò che è sacro viene sconsacrato, e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con sobrietà il loro posto nella vita, i loro rapporti reciproci." Negando pertanto ogni valore non solo spirituale ma anche, se così si può dire, sentimentale e innalzando un inno al nichilismo più spinto per tracciare il programma di una società basata sul nulla, che per realizzarsi ha la necessità che gli uomini che la compongono siano solo esseri biologicamente considerati, privi di quelle caratteristiche che determinano la loro "umanità" ovvero privi di valori che superino la mera sopravvivenza fisica. Ma siccome gli uomini non sono così, e a quanto pare non serve tentare di farli diventare tali con la violenza, alcune caratteristiche tipicamente umane come, fra le altre, l'avidità e l'egoismo che il capitalismo ha esaltato ai propri fini, rimangono presenti.

Oltre ad avere in comune con il capitalismo liberale innumerevoli altre idee mutuate dalle "rivoluzioni borghesi" del '700, le idee di Marx  esaltano soprattutto il fondamento su cui le idee moderne in generale si basano: il materialismo. Se si considera la materia come l'unico elemento esistente (o comunque l'unico che abbia senso) allora la felicità umana deve di necessità essere basata su di essa, ovvero sul suo possesso e il suo sfruttamento. Il capitalismo, basando appunto il raggiungimento della "felicità" sulla ricchezza materiale (e quel che ne consegue in termini di fama, successo, potere) ed esaltando a tal fine la competitività, l'avidità, l'egoismo e il cosiddetto "american dream" ha fatto proprio questo, oltre a creare strumenti consolatori più o meno validi per quelli che "non ce la fanno". Il socialismo invece non mi risulta abbia fatto altrettanto, e nemmeno ha fornito valori alternativi a quelli del materialismo capitalista, se non la ridicola idolatria dei suoi fondatori e dei suoi capi dopo aver distrutto idealmente e filosoficamente tutte le, per usare il gergo di Marx, "sovrastrutture" fra cui lo stato, la patria, la religione eccetera. La frase citata ha un senso non di per sé, perché è ambigua e si tratta di decidere quali sono le "possibilità" e i "bisogni" di ciascuno, ma solo se inserita in un sistema di pensiero che asseconda le caratteristiche umane (dell'uomo "reale", ovviamente, non di quello "ideale" sognato e immaginato da tutte le utopie della storia) per agevolare quelle positive e tenere sotto controllo quelle negative.



Per questo può aver senso solo nel cristianesimo (o in altre dottrine analoghe) che innanzitutto insegna agli uomini che la felicità (o, meglio, beatitudine) risiede nella ricerca e nell'acquisizione dei beni spirituali: questi sono per definizione eterni, dunque fuori dal tempo, incorruttibili, dunque rimangono inalterati per sempre, e infiniti dunque non hanno limiti; questo significa che anche se uno li possedesse tutti nella massima misura questo non impedirebbe ad altri di possederli a loro volta tutti nella massima misura. Al contrario dei beni materiali che essendo limitati e corruttibili (invecchiano, passano di moda, si deteriorano etc.) non potranno mai essere posseduti da tutti in massima misura e se per ipotesi uno solo li possedesse tutti, a tutti gli altri non rimarrebbe nulla. L'avidità e l'egoismo applicati ai beni spirituali sono prima di tutto superflui ai fini della loro acquisizione (non basta desiderarli per ottenerli e nemmeno si possono ottenere per gentile concessione di qualcuno) e in secondo luogo anche se potessero essere utili allo scopo questo non recherebbe danno ad alcuno ma solo beneficio a se stessi, innescando un circolo virtuoso. Le stesse pulsioni applicate invece ai beni materiali saranno ovviamente esaltate dato che risultano essere indispensabili alla bisogna ("non è bene accontentarsi di quel che si ha" diceva l'economista liberale Ludwig Von Mises), ma anche causa di conflitti permanenti perché chiunque voglia legittimamente aumentare la propria "felicità" possedendo più beni materiali si scontrerà inevitabilmente con il diritto alla "ricerca della felicità" altrui che a sua volta cercherà di sottrarre tali beni a quante più persone possibile. E in un mondo sempre più affamato di "felicità" (e "libertà", considerata ormai anch'essa un bene acquisibile con il denaro come qualsiasi altro bene materiale) come è possibile, come auspicherebbe quella frase declinata dal socialismo, convincere la gente ad accontentarsi di meno di quel che ha ora se quel che ha ora non è mai abbastanza?
"Da ciascuno secondo le sue possibilità a ciascuno secondo i suoi bisogni" è quindi applicabile solo ad una comunità (com'erano quelle dei primi cristiani descritte negli Atti degli Apostoli) che privilegia i beni spirituali,  utilizzando quelli materiali solo al fine di soddisfare i bisogni necessari alla mera sopravvivenza fisica, per cui il loro ammontare necessario sarà sempre alquanto limitato ed equivalente per tutti.   





Quello che hanno in comune il cristianesimo e il socialismo (quello reale, o comunismo storico novecentesco) è la costruzione di una metafisica della storia e quindi una visione escatologica del tempo, questo davvero non si può negare, in Marx c'è il comunismo primitivo e un comunismo futuro che è il punto di arrivo di tutto, la fine della storia, come quello primitivo ne è stato l'inizio, nell'apocalisse Dio dice "io sono l'alfa e l'omega" c'è il riapparire dell'albero della vita che stava nell'eden e dunque nella Genesi, la Gerusalemme celeste che sostituisce la Gerusalemme reale distrutta eccetera.


Il futuro è migliore del presente, ed è un futuro "strano" perché, se il tempo è una linea, più che realizzare le conseguenze di un punto intermedio qualsiasi, il futuro realizza le conseguenze dell'origine, rendendo l'intermedio sopportabile in quanto intermedio; noi non siamo condizionati tanto dallo ieri, quanto da avvenimenti critici avvenuti nei millenni precedenti e tendenzialmente nel luogo dell'origine, per questo abbiamo entro certi limiti il dovere di conoscere.


Comunque se vuoi un filosofo che spiega molto bene che cristianesimo e comunismo hanno in comune di essere una metafisica della storia e quindi di rigettare la visione greco-classica del mondo, puoi cercare qualche video di Umberto Galimberti.


Insomma il fiume che l'uomo è giunge al mare che è la morte, ma se qualcosa ci fa immaginare il mare stesso come diveniente, come agitato, il mare è come il fiume, la morte non è definitiva e ha avuto un senso; quindi un conto è l'immagine di tornare ad una "specie" umana aristotelica, sempre uguale, un conto è l'immagine di tornare ad una specie darwiniana, diveniente, perché ci domandiamo se il nostro divenire abbia avuto senso, e se torniamo all'identico, all'oceano infecondo dei greci, la risposta non può essere che negativa: solo se torniamo a un mare in tempesta siamo, paradossalmente, conservati, spiriti mutabili in un creato mutabile, abbiamo la stessa materia del mondo e il nostro rapporto col mondo è, o almeno è stato, reale, produttivo di conseguenze e altro movimento a tempo indefinito ben oltre la nostra morte, e realmente concatenato al movimento precedente che lo generò, osservati, per chi ci crede da un Dio che dovrebbe essere l'unico spirito immutabile, l'unico osservatore immobile.


L'aspetto antropologico di Marx è davvero in debito con Hegel e con il romanticismo, Marx ama l'uomo ma è un uomo diveniente, non ci sono bisogni universali, ma la necessità di realizzarsi tramite il lavoro, tramite l'interrogazione dell'altro: l'unico bisogno universale è semmai quello di ricreare il principio nella fine, l'uomo non nasce individuo, ma branco, formicaio, quello che tipicamente immaginano del socialismo quelli che non lo conoscono e non lo amano.


La socialità imposta per fame e per minaccia di morte è l'inizio, della storia umana, non lo sviluppo e la conquista. Il contrario esatto di tutti gli intellettuali illuministi secondo cui l'uomo nasce asociale o a-socializzato, e deve trovare il modo di diventare sociale.


La rivoluzione borghese inventa l'individuo, cioè, almeno per i più fortunati, la fine della socialità imposta per fame e per morte, il diritto per alcuni, di farsi radicalmente gli affari loro, liberi non solo dal lavoro manuale, come può essere una comunità dei proprietari di schiavi, come la polis o l'impero antico, o il feudo medioevale, ma dai condizionamenti mentali e sociali per cui bisogna apprendere la tecnica e il linguaggio dalla società al prezzo della libertà; il denaro è il nuovo oggetto di sacrificio, per cui si può avere tecnica e linguaggio restando se stessi, si possono comprare informazioni e concatenamenti di azioni, senza esserne invischiati, senza farne parte; fatto questo, questo è l'incompiuto, perché gli individui restano minoranza e restano individui, bisogna fare la comunità sociale degli individui, applicare l'origine, quello che fu il branco, il formicaio, oltre l'intermedio perché l'intermedio finisca; tutti devono essere individui, per questo tutti devono soddisfare i bisogni fondamentali nella forma dell'accesso dignitoso alle risorse e non nel crimine o nella carità, e deve esistere la comunità e il centro decisionale degli individui, quindi superamento dello stato, della famiglia, della società civile eccetera.


La fine è il principio, anche senza la sistematicità di un Hegel in cui la fine e il principio sono contenute entrambe alla pari nel sistema, in Marx, la fine è il principio attraverso la storia, la fine realizza tutte le potenzialità antropologiche ed etiche del principio, e questo è il contrario di un pensiero della decadenza, o eternalista, o fatalista, perché è un pensiero in cui il futuro è migliore del presente.
L'utopia novecentesca non è un'isola o un caso fortunato, non è una semplice possibilità dello spazio o del tempo che è "migliore" perché permette la possibilità di espressione e di realizzazione di un lato migliore dell'anima o della società umana che è in sé e per sé già esistente



(come può essere la Repubblica di Platone, per dire: la Repubblica è possibile perché c'è già il bene nell'anima, e il saggio, anche se non vede intorno a sé la Repubblica finalmente realizzata ma solo una comune polis degenerata e malgovernata, agisce come se fosse già egli stesso cittadino della Repubblica, di una Repubblica che vede solo lui, cioè in maniera migliore dei suoi concittadini degenerati, seguendo il bene presente nella sua anima; per contro, è solo un caso fortunato che si realizzi la Repubblica, la Repubblica è una possibilità del tempo come le altre non informa di sé tutto il tempo e non si espande, rimane un'isola nel letame, circondata da tutte le possibilità di combinazione spaziale e temporale peggiori di essa, e, conscia della sua ordinaria corruttibilità, deve darsi come scopo attivo e attivamente perseguito la sua eternità: gli ineducabili esiliati come primo atto del governo all'inizio della Repubblica, non faranno mai ritorno alla Repubblica, l'utopia Platonica e in generale ogni utopia di un pensiero della decadenza o dell'eternità, di un pensiero non ottimista verso il futuro e non istitutivo di una metafisica della storia, non solo non si espande, ma soprattutto non può educare chi non è predisposto ad essere educato, essa è una possibilità di realizzazione del bene che ha la necessità pratica e logica di essere circondata dal male, una perla nel letame che ha necessità pratica e logica del letame intorno, ad esempio, quanto meno, come termine di scarico dei suoi indesiderati)


La comune di Parigi, per fare un'esempio di utopia socialista, che è stata storia ma è stata anche sogno, è il contrario esatto della Repubblica di Platone, proprio perché non è una possibilità come le altre del tempo e dello spazio, ma pretende di educare e assimilare il tempo e lo spazio intorno, e non realizza il bene dell'anima già esistente, ma l'uomo nuovo, cioè un bene che non è neanche pensabile alle condizioni di esistenza passate, ad essa precedenti: in essa le possibilità di evoluzione dell'uomo si stanno realizzando, e si stanno realizzando in un verso, in una direzione che si intravede, quindi questo vuol dire che essa potrà combattere la sua possibile degenerazione, la sua corruzione e inerzia, di cui pure, come anche la Repubblica, è consapevole, divenendo intenzionalmente, inseguendo quella direzione di cambiamento che già nel presente ha, non intenzionalmente eternizzandosi, cercando il ricambio organico umano che restituisca lo stato di governo e delle cose sempre uguale; ma inseguire una direzione, vuol dire colonizzare il tempo e lo spazio; chiunque la Comune di Parigi abbia esiliato alla sua fondazione, alla realizzazione del comunismo mondiale sarà recuperato come cittadino, la Comune di Parigi non esilia nessuno per sempre, perché è una perla che non ha bisogno del letame intorno, dà un tale taglio al passato che non implica più la dipendenza strutturale con il passato...


quindi, se questo è un materialismo, è un materialismo manicheo, in cui il bene vale per sé e per le sue qualità intrinseche, e non in contrapposizione al male: per sostenerlo non c'è bisogno di sostenere lo spirito come mediatore tra l'individuo e la specie, di rimanere attaccati a Hegel sia pure in salsa di sinistra, ma la riduzione biologicista e nichilista dell'uomo al suo "solo" corpo apre possibilità infinite, perché quello è il punto zero in cui tutto può accadere, il silenzio grazie al quale scopriremo di esistere, non lo scopo e il termine di arrivo. La rivoluzione inizia, quando l'uomo è ridotto al suo corpo, non finisce, in quel punto; tornare indietro è interrogare la storia sulla sua necessità, fare la domanda su necessità o libertà a partire da una circostanza concreta, ed è implicito nell'andare avanti; ovvero la storia come la raccontano i vincitori, coloro che sono al potere attualmente, si arroga una necessità, un'astuzia della ragione, un non poter essere diversa da come è, che non può essere confermata o smentita se non tornando a un punto passato e rivedendo "sperimentalmente" se avvengono le stesse cose o no, se da quelle premesse seguono le stesse conclusioni o no: ora, è ovvio che questo non è un vero passato perché è un passato con la conoscenza di almeno uno dei futuri possibili, è l'immagine memorica di un passato a cui vogliamo tornare per cambiarlo, psicoanaliticamente è un rimorso, un irrisolto, ma il futuro, che non è inerzia, che non è quello che succede se nessuno sa, o fa, niente, è passato più conoscenza, passato in cui propriamente vi è disperazione, non speranza; la storia non cambierà mai a partire da oggi, o da domani, ma sempre da ieri, vi è una componente distruttiva nel fare la rivoluzione perché bisogna cambiare strada a partire da quello che si conosce, e quello che si conosce non è l'istante, ma una sequenza estesa di storia passata, gli spettri si aggirano sempre perché chiedono pace, ma portano guerra...


#2931
Tematiche Culturali e Sociali / Tempus fugit
08 Gennaio 2021, 22:05:01 PM
Io tendenzialmente parto da una definizione negativa del tempo: il tempo è quella cosa per cui le cose non accadono simultaneamente. E una sorta di filtro della realtà, tale per cui, se si immagina di toglierlo, tutto avviene insieme. Lo spazio dell'istante è incompenetrabile, infatti nell'istante, i solidi devono occupare sezioni diverse di spazio; viceversa, in un singolo quanto di spazio considerato attraverso il tempo i solidi possono sovrapporsi, ovvero, tolto uno, posso mettere nello stesso posto un altro.


Così esco subito da ogni presentismo: mi sembra reale e corrispondente al vero il fatto che le cose non accadano simultaneamente, dunque il tempo esiste. La condizione della sovrapposizione dei solidi è il loro movimento, e il loro movimento necessita di tempo.


Per recuperare anche solo un'immagine di presentismo, che poi vero presentismo non è, ho bisogno dell'infinito atomistico Democriteo, in cui gli atomi cadono e cadono in ogni direzione perché nell'infinito non c'è il basso, quindi l'assenza di una direzione di caduta, genera la possibilità di ogni direzione di caduta per gli atomi.


Ora, gli atomi si aggregano nell'infinito generando più mondi, di cui io ne vedo e ne conosco la piccolissima parte di uno. Per trovare anche solo un abbozzo di presentismo coerente, cioè di nuovo sistema che tolga dal vecchio sistema la variabile tempo e faccia accedere tutte le cose simultaneamente, devo immaginare l'immensità dell'infinito che non vedo, e gli altri mondi. E' ovvio che in questo mondo non c'è un'armonia o una correlazione causale per cui gli eventi possano accadere simultaneamente, ma viceversa c'è un'armonia e una correlazione causale per cui, nel senso in cui ho spiegato prima, esiste il tempo.


La simultaneità potrebbe derivare da un'armonia casuale, ma che prima o poi nell'infinito ricorre, tra più mondi, due o più, ovvero l'infinito può ospitare infiniti mondi sostanzialmente e destinalmente identici tra di loro ma anche temporalmente sfasati tra di loro, per cui è all'infinito che il tempo non passa, perché il passato del mondo a è il presente del mondo b e il futuro del mondo a è il presente del mondo c, ovvero io posso pensare il mondo come contenuto in un unico istante solo se riesco a figurarmi tutti gli intervalli di tempo come intervalli di spazio, e questo è ovvio che non riesco a farlo nel mondo che cade sotto i miei sensi e sotto la mia conoscenza, perché in questa parte conosciuta di mondo vi sono le sovrapposizioni e gli eventi irreversibili, ma naturalmente non si può escludere che all'infinito ciò che esiste nella mia memoria esiste anche altrove, e ciò che esiste nella mia aspettativa esiste anche altrove, con una somiglianza tale da avere una sovrapponibilità e un'identità di esperienza se io vivessi in tale altrove.


L'infinito potrebbe avere una varietà tale da restituirmi istantaneamente il tempo come spazio, posto sempre che il tempo sia ciclico e che non abbia una gradualità di variazione altrettanto infinita. In questa infinità ci sarebbe ancora movimento e scambio posizionale, ma non più irreversibilità degli eventi e cambiamento: ci sarebbe una regione di spazio molto più grande del singolo mondo, che comprende abbastanza mondi da contenere la storia del mondo, i cambiamenti locali dei singoli mondi sarebbero irrilevanti e gli eventi del tempo potrebbero sempre e comunque esistere senza sovrapporsi, quindi avendo quella che noi comunemente consideriamo un'esistenza istantanea, in cui ogni cosa occupa una ben definita posizione.


Ma finché la memoria del passato e l'aspettativa del futuro restano puramente mentali, e non ho prova degli altri mondi in cui i contenuti empirici di tale memoria e tale aspettativa esistono materialmente a distanza, fino a prova contraria per me il tempo esiste.


La versione animica del tempo, per cui il futuro non sarebbe che immaginazione, e il passato memoria, ha il problema che questa immaginazione, del futuro, influenza le mie decisioni, dal momento che parto dal presupposto di avere libero arbitrio, e a seconda di come mi immagino il futuro agisco in un modo o in un altro nel presente, quindi è un'immaginazione retro attiva che produce effetti sul presente, poi come sia ante-attiva la memoria, e produca effetti sul presente lo sanno tutti, quindi se il futuro è immaginazione, non è solo immaginazione, un'immaginazione innocua, e se il passato è memoria, non è solo memoria, una memoria non produttiva di effetti; dunque ciò che può condizionare il presente esiste, anche se non nel presente.


E penso anche che il tempo sia ciclico perché infinito, quindi se io esisto nell'infinito, l'infinito passato non mi ha impedito di esistere, emergo dall'abisso del tempo da cui se dovessi trapassare un'infinità di attimi tutti separati e tutti diversi tra di loro non dovrei proprio emergere, quindi devono esistere cause generiche (coestese a tutto il tempo, e non singolari in un solo punto del tempo) della mia esistenza, che anche se non esistono propriamente nel presente, condizionano il presente, e così vale per tutto, tutto quello che vediamo emerge dall'infinito, quindi la sua esistenza, non solo attuale, ma anche genericamente considerata, non è in linea di principio incompatibile con l'infinito, esprime una possibilità combinatoria che non si esaurisce per il solo fatto di essersi localmente o una sola volta verificata.



#2932
Tematiche Filosofiche / Nulla e qualcosa.
07 Gennaio 2021, 16:55:12 PM
Iano ha scritto:

"Se si può partire da qualcosa per giungere logicamente al nulla , perché non si può partire dal nulla per giungere a qualcosa?"

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Rispondo a questa che mi sembra la domanda principale...

A parte il miscuglio tra filosofia e fisica per cui forse alcuni i puristi della prima (quindi non io) ti criticheranno, penso che hai pienamente ragione, dal nulla si può giungere a qualcosa, perché il nulla del nulla è l'essere, il nulla non è stabile, non è auto-riferito, il modo di essere del nulla è non essere se stesso, ma essere l'essere: il nulla è l'effetto ultimo: poiché l'essere è compatto, è ininterrotto, come un tessuto continuo senza strappi, il nulla è nulla; ma anche la causa prima: il nullificarsi del nulla è creazione, è l'essere. Qualcuno ha detto che il nulla non ha in sé la causa e la forza per nullificarsi e questa causa è l'uomo, la coscienza dell'uomo, ma non mi sembra questo il punto fondamentale.

Se in un punto dello spazio c'è una farfalla, io non credo che il nulla preferisca essere nulla nel senso filosofico, o comune, del termine o molto più semplicemente essere la farfalla, se in quel punto c'è qualcosa, non c'è il nulla, ed il nulla compie perfettamente la sua funzione di non esserci, che la compia nullificandosi in se stesso, rimanendo se stesso, o nella farfalla divenendo farfalla, e quindi non-nulla, non fa differenza.
Comunque questo passaggio dal nulla all'essere in non lo vedo come temporale, il nulla è nulla da sempre e il "mondo" qualsiasi cosa sia, è eterno, e noi ne siamo contenuto.
Quindi il passaggio dal nulla a qualcosa mi sembra assurdo se pensato nel tempo, mentre nello spazio, da un punto di vista spaziale, mi sembra "normale", che il nulla generi lo spazio vuoto e il tempo vuoto, che sono le condizioni di essere di qualsiasi altra cosa, come in alcune gnosi e religioni vi è il ritrarsi di Dio come premessa della creazione, Dio inizialmente non deve creare niente, deve nullificarsi perché dalla sua continuità e compattezza emergano lo spazio e il tempo per il mondo, che sono anche spazio e tempo in cui Dio non avrà più pieno "potere" o piena conoscenza, se si pensa che l'uomo, che quello spazio e quel tempo abiterà, avrà libero arbitrio, cioè potrà entro certi limiti muoversi oltre la preveggenza e oltre la volontà di Dio.

Inoltre io non sostengo tanto l'identità tra essere e pensiero, quanto il nulla come differenza tra essere e pensiero: il pensiero ha sempre un oggetto, si riferisce sempre a qualcosa, non c'è il pensiero puro: il pensiero differisce dal suo proprio oggetto per pensarlo, anziché corrispondervi, e in questa differenza noi siamo, sappiamo di percepire, cioè pensiamo che il mondo esista oltre il suo fenomeno, e quindi quello che percepiamo è in termine noto di una differenza che ha il secondo termine nell'ignoto.
#2933
Non credo proprio che il cristianesimo o il socialismo si prefiggano come scopo di superare l'egoismo naturale

Basta riflettere sulle frasi

da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo i suoi bisogni.

Per il comunismo


o, per il cristianesimo

ama il prossimo tuo come te stesso, oppure ancora di più,

amatevi l'uno l'altro come io ho amato voi.

L'egoismo naturale è naturale perché i bisogni dell'individuo sono trasparenti alla coscienza, in ogni momento pensiamo di sapere cosa volgiamo; i bisogni della specie invece ci sono, ma sussurrano e fanno sussultare come istinti, non sono in ogni momento presenti alla coscienza e quando si presentano sono perturbanti. I bisogni della specie prevedono la morte, il ricambio organico, quello che individualmente e coscientemente non possiamo accettare, ma anche l'amore come passione, il colpo di fulmine eccetera, l'utilità pratica del dolore come mezzo di sopravvivenza imprescindibile quando non diventa cronico e non diventa una malattia esso stesso.

Quello che il cristianesimo e il socialismo cercano di fare, è salvare l'individuo nella specie, quindi fare una grande mediazione, una grande trasposizione cosciente e mediata nel tempo, tra il noto e l'ignoto: l'egoismo naturale è conciliato, con l'altruismo, non c'è un rapporto di forza in cui qualcuno vince sull'altro.

La realtà, la dura realtà, è che le ragioni della specie sono più forti di quelle dell'individuo, tutto l'egoismo messo in campo dall'uomo violento e prevaricatore è egoismo genetico, quindi egoismo della classe del collettivo assunte come presenti o come fini futuri, egoismo della sopravvivenza divenendo non-uno, appropriandosi dell'altro: in questo sistema la vita del singolo (agito principalmente dai suoi istinti e dai suoi geni, e dalla sua cultura e condizionamenti tecnici e culturali, che seguono a loro volta un desiderio di sopravvivere collettivo, che guarda poco in faccia all'individuo e lo proietta in un mondo antropomorfizzato che egli lo voglia o no) è una formica, un granello di polvere, non conta nulla. L'equilibrio, tra individuo e specie, è sbilanciato nel senso della specie; la dike di Anassimandro, la specie è il nostro infinito, da cui ci siamo distaccati, a cui ben presto paghiamo il prezzo, il fio della nostra esistenza. Non tutto muore, ma se non tutto muore, la forma dell'eternità è conservata a prezzo del sacrificio degli dei, della morte dell'altro.
L'egoismo naturale, serve ad un padrone che non ha cervello e della cui coscienza nulla si può dire, perché è un padrone collettivo, naturale, genetico, al limite culturale, ma certo non è privo di fini o fine a se stesso, e non è autonomo, o padrone di se stesso.

Davanti a questa realtà, in cui la specie è più forte dell'individuo, la follia, la tracotanza, è pensare un pensiero in cui l'individuo sia più forte della specie: è l'evidenza stessa che si oppone a questo tipo di pensieri: nessuno vince la morte, nessuno può decidere di non essere umano.

Io vedo il cristianesimo e il socialismo come mediazioni, come pensieri dell'equità e dell'equanimità tra individuo e specie, gli opposti tornano all'uno ma in esso sono conservati: grazie a questi sistemi di pensiero non siamo così folli da alzarci, insorgere, contro la dimensione collettiva della nostra esistenza, ma non siamo neanche spazzati via dalla dimensione collettiva, persi nell'infinito: esiste il concetto di persona, di individuo sociale, che fa da altro dall'uno e che idealmente sopravvive all'atto del ritorno all'uno.

Anche questo equilibrio può essere impossibilità di vita e morte, un equilibrio da cui non nasce niente, uno spirito di vendetta per cui, ad esempio, Nietzche si scaglierà contro cristianesimo e socialismo, ma le reale essenza di questo dottrine secondo me è mettere l'egoismo naturale al servizio della specie con coscienza, sapendo di mettercelo, sapendo che mettercelo è imprescindibile e decidendo come mettercelo, perché chi non ce lo mette con coscienza, il suo egoismo al servizio della specie, e magari crede di non mettercelo proprio, di restare egoista e basta, monade e basta, ce lo mette comunque, e non sa neanche di mettercelo, in quanto l'egoismo naturale, che riesce a rimanere egoismo e a prescindere dalla specie e dalla natura non esiste. Prima o poi moriamo, facciamo spazio al resto della specie, e quello che abbiamo o non abbiamo costruito passa in eredità al resto della specie. E non possiamo non saperlo, che prima o poi questo ci tocca, perché la morte dell'altro la sperimentiamo, prima o poi.

La domanda a cui queste dottrine rispondono è come possiamo servire la specie e il collettivo, perché non c'è non esiste, un se possiamo servirlo. Il se è ovvio, e si determina nel sì: dobbiamo servirlo comunque, che ci piaccia o no.









#2934
Tematiche Filosofiche / Credete nel libero arbitrio?
02 Gennaio 2021, 21:03:24 PM
Bobmax ha scritto:

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[/color]Che il libero arbitrio sia un'illusione è la conclusione a cui si giunge inevitabilmente, quando ci mettiamo ad analizzare la cosa senza pregiudizi. Occorre però tener ferma la nostra fede nella Verità. Anche a costo di affrontare l'orrore. Un orrore, tuttavia, che deriva sempre da qualche pregiudizio che, consapevolmente o meno, non mettiamo in discussione. L'orrore deriva infatti sempre da qualcosa che crediamo "vero" e che confligge con qualcos'altro che andiamo scoprendo.Nella fattispecie, scoprire di non avere libero arbitrio è terrificante nel momento in cui credo ancora di essere "io". Io non sono libero, allora sono una marionetta teleguidata da altri...L'orrore deriva da quel "io" ancora creduto vero. Ma se pure l'io viene messo in discussione... allora non vi è ragione per l'orrore. Perché in realtà non vi è nessuno che è una marionetta! Per la semplice ragione che non vi è proprio nessuno. Ma pure il discorso sulla responsabilità deve essere rifatto dalle fondamenta. Perché se io sono un'illusione, cioè se come "io" non esisto, c'è però il male...E il male, qualsiasi male, è assolutamente inaccettabile! Di modo che, non è più tanto una questione di responsabilità personale, visto che io non esisto, ma di compassione per tutto il male del mondo. Perché il male mi riguarda, intimante, ancor di più adesso, che non sono più un io...
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Ciao Bobmax...

(mi scuso perché la cosa che di cui parlerò adesso riguarda il libero arbitrio solo molto secondariamente)

questo tuo passaggio che ho citato sopra è proprio il punto dove io personalmente non ti seguo più, perché il tuo ragionamento, che fai spesso anche in altri tread, non è più, almeno secondo me, conseguenziale, se non assumendo un significato molto relativo e  mistico-metafisico del termine "male":
(intendo che, proprio da un punto di vista logico e dando un significato comune e ordinario alle parole, dalla premessa A, anche accettato A, non segue più la conseguenza B)

voglio dire, se non c'è più nessuno nel mondo o nell'esistenza, non c'è più nessuno che soffre, se non c'è più nessuno che soffre, nel cosmo come sistema finzionale e puramente ipotetico che ne deriva, (lo si può immaginare come il sogno o il pensiero simulativo di qualche divnità, o un computer potentissimo in azione con un programma tipo matrix) non c'è più il male.


E quindi io personalmente, se anche accettassi la tua premessa, a questo punto ne dedurrei che ok, va bene così, il male non esiste e siamo tutti, se non felici, quanto meno indifferenti, salvi e protetti da ogni insidia, in quanto non esistenti e non sofferenti.

Se la nostra non-esistenza è opera mentale o gnoseologica o simulativa o immaginifica di qualcuno, fosse anche il Dio-Nulla al di sopra dell'esserci e dell'esistenza, quel qualcuno si assume anche tutta la responsabilità della nostra presunta, e non reale, sofferenza.

E non basta dire che il nulla non è nessuno e non può assumersi responsabilità, voglio dire, l'esistenza starebbe scorrendo come possibilità e virtualità tra le infinite possibilità e virtualità del nulla, e noi, da dentro il mondo, non possiamo dire se il mondo esista o no, trovando una prova o una smentita definitiva dell'esistenza del mondo interna al mondo, sicuramente il mondo "c'è" in senso sensoriale, ma potrebbe essere compositivo di una totalità nulla, ma se è compositivo di una totalità nulla, allora non esiste, e se non esiste, allora nessuno all'interno vi soffre.

La continuazione in senso teologico di tutto questo discorso, sarebbe che siamo dunque stati creati malvagi, non c'è il libero arbitrio, ma in quanto creati malvagi, non c'è la colpa, e in quanto non c'è la colpa, non c'è nemmeno la condanna: il salario del peccato è la morte, la fredda morte, non l'inferno di cui parli spesso tu, fine, game over, morte del corpo e morte pure dell'anima, quindi tutta la vita, finché vive, non ha ancora peccato e si svolge nell'assoluta innocenza, e finché non vive, il problema non c'è più, se non al limite per chi rimane; ma se nel tuo sistema di pensiero non rimane nessuno, il problema non c'è mai in nessun caso.

Non è male che un personaggio di fantasia o di finzione soffra, almeno non in un mondo "adulto" e razionale, voglio dire io mi preoccupo e provo umanamente compassione se un profugo siriano affoga insieme al suo gommone, ma non mi straccio le vesti altrettanto se Mastro Geppetto è stato inghiottito dalla Balena, perché fino a prova contraria Mastro Geppetto non esiste, è il personaggio di un racconto di fantasia, e un individuo che non esiste non può soffrire, la sofferenza è condizionata all'esistenza, per quanto da bambino mi stracciavo le vesti anche per Mastro Geppetto, appunto perché non afferravo il concetto, quindi per me se nessuno soffre, il male non esiste e il mondo con tutti i suoi orrori è pienamente giustificato (o quanto meno moralmente neutro) in quanto grande simulazione a scopo a noi ignoto ma comunque non attualmente nocivo, e si può anche sperare che lo scopo della simulazione sia benevolo, nell'omniscenza di Dio esiste la coscienza del male e se Dio pensa in modo simulativo come l'uomo, da qualche parte nella sua mente scorre il film del mondo, e non ci possiamo fare niente, il male è il sogno del bene, l'intero mondo sarà sacrificato quando Dio preferirà il nulla e stabilirà che del progetto della creazione non se ne fa niente, o tutto il male sarà emendato in una creazione futura migliore, un po' come quando noi umani simuliamo col nostro cervello il percorso che ci farebbe sbattere la testa al muro mancando la soglia di una porta e prendiamo invece il percorso corretto che ci fa uscire dalla stanza, ma a noi che siamo nella simulazione e nel percorso scartato, non importa nulla di tutto ciò in nessuno dei due casi, soffriamo sì, ma come soffre Mastro Geppetto e della vita non si può che ridere, quindi io dalle tue premesse non dedurrei una profonda compassione di tipo cristiano o orientaleggiante, ma la risata di Democrito per come veniva rappresentato nel rinascimento, accanto a Eraclito che piangeva...
#2935
Tematiche Filosofiche / Credete nel libero arbitrio?
02 Gennaio 2021, 15:48:14 PM
Permettendomi una piccola eccezione al fatto che sul forum bisognerebbe argomentare e non fare chiacchiere generiche, non posso non rilevare come da quando sono iscritto questo tema del libero arbitrio venga fuori in continuazione, per davvero, con una frequenza che mi ha sorpreso...


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detto questo, io personalmente non credo nel libero arbitrio, al massimo intendo la liberta come indeterminazione e multi-causalità, quindi la libertà è difetto di conoscenza, e difetto di unità e unicità nella causa che determina o sembra determinare un fatto.


Siamo liberi in quanto agiti da cause sconosciute, che quindi ci possiamo permettere, almeno temporaneamente, di ignorare.


Cosa che per vivere e sopravvivere è molto importante, infatti il vivente aumentando troppo nella conoscenza, taglierebbe le radici stesse di libertà, e quindi di ignoranza, che lo fanno vivere... quindi è nell'ordine delle cose che ci tocchi anche l'illusione di essere liberi.

#2936
Il mondo esiste, ma in linea generale mi piace pensare la coscienza come contenuto mondano, quindi secondo me la coscienza coglie il mondo, ma solo una minima parte del mondo, non ne rispecchia l'unità, ovvero l'unità del mondo è reale, l'unità della coscienza è illusoria, quindi l'individuo, la cosiddetta unità psicosomatica qualsiasi cosa essa sia, non rispecchia in assoluto il mondo come in un rapporto tra micro e macro cosmo che davvero possa darsi nell'uomo, ne fa parte con l'abisso sconfinato di ignoranza che si porta dietro; fare parte non è rispecchiare, la componente quantitativa della conoscenza, conta; riassumendo non solo il mondo esiste ma è grande, così grande che a pensarci bene a quanto è grande, fa girare la testa.


Detto questo, direi anche che a differenza di quanto dicono molti ottimisti da Platone in poi, secondo me il mondo non è abbastanza congenere, non è abbastanza armonico, da poterlo dedurre dalla piccola parte che ne vediamo in vita dalla culla alla tomba, da un granello di sabbia si può in linea di principio dedurre il deserto, ma solo nel presupposto che il deserto sia uniforme, ma il mondo non è davvero uniforme come un deserto, quindi ognuno di noi si porta dietro un granello di sabbia, un pezzettino del mosaico del mondo, da cui non potrà mai dedurre davvero niente, quantomeno niente di freddamente conoscitivo e universalmente riferibile al mondo nella sua unità, ognuno è un finestra su una parte del mondo così piccola da non essere indicativa di molto altro, quindi il destino caotico di essere noi stessi, e di incontrare lungo il cammino, individui che del mondo e della loro vita dicano tutto e il contrario di tutto fa parte del gioco, oggi lo fanno con l'aggettivo "quantistico", ieri lo facevano con chissà che altro; in generale la immensa parte ignota del mondo è fonte di vita per noi che ne siamo la minuscola parte nota, questo abisso magari non ci farà vivere per sempre, ma certamente ci fa vivere adesso, voglio dire, la presunzione che il mondo esista come altro dalla coscienza e sia reale, vuol dire che viviamo come caso e dato di fatto ma "altro" ci fa vivere, altro da quello che è completamente in nostro potere e sotto la nostra volontà; ci sovrapponiamo a qualcosa (che siamo noi come contenuto mondano) nel presupposto che questo qualcosa esista e faccia parte di altro (del mondo), abbiamo un rapporto di "godimento" con l'ignoto nel senso che l'ignoto, che lo amiamo o no, che ci piaccia o no, ci fa esistere.


Pensare che il mondo esista, non essere idealisti e non essere in un solipsismo, vuol dire pensare che la conoscenza non sia diversa dal mondo, ma sia di meno del mondo, la componente quantitativa e "misurata" della conoscenza deve emergere e avere il suo peso, al di là di ogni azione, di ogni prassi,  siamo, vivere è trovare, non è creare.
#2937
Tematiche Filosofiche / Oltre Cartesio: Hegel
31 Dicembre 2020, 10:54:09 AM
Personalmente, se devo pensare ad un filosofo che mi dica come la storia del mondo occidentale sarebbe potuta andare e non è andata, mi viene in mente Rousseau, non Hegel.


Hegel è quello che mi dice come la storia del mondo sarebbe potuta andare... ed è andata.
#2938
E' assolutamente possibile non essere particolarmente interessati all'erotismo, all'amore  o addirittura al sesso ed essere persone "normali" e sufficientemente felici; se accettiamo gli stili di vita e le scelte di genere di tutti nel senso di gay, lesbiche, transessuali, persone non monogame interessate al sesso o alle relazioni erotiche in più di due persone, è ovvio che esistono anche gli asessuali: persone che se ne infischiano del sesso e vivono bene lo stesso.


Insomma, non per fare sempre i discorsi fricchettoni o politically correct, ma anche l'idea che bisogna essere per forza in qualche modo interessati al sesso per essere persone felici o dignitose è legata alla normatività sociale della famiglia eterosessuale patriarcale, al di là di questo modello ci sono molte altre possibilità di autodeterminazione degli individui e dei gruppi, e sarebbe il caso di capirlo, e di accettarlo.
#2939
Credo che l'autocoscienza non esista perché in definitiva la coscienza stessa è contenuto mondano, il tutto che l'individuo crede di essere è parte di un tutto più grande, che resta in grande misura sconosciuto, quindi piuttosto che una posizione nel mondo, abbiamo una sovrapposizione, di quello che noi siamo, col mondo.


L'autocoscienza non è la propriocezione, perché tutto nel vissuto di un uomo è propriocezione, per dirla con Spinoza, la mente è l'idea del corpo, quindi, di nuovo, è proprio la dipendenza assoluta del modo di essere finanche microfisico del nostro corpo dalla sua posizione spaziale e temporale che ci distingue dagli oggetti, il rapporto che si instaura soprattutto a livello di genetica e di reti neurali tra posizione e forma, due lattine di coca-cola possono essere simili se stanno una in una città e una nell'altra, o se escono fuori da un ciclo di produzione della macchina che le produce o da un altro, due uomini hanno lo stato neurale e quindi di coscienza interamente determinato dalla loro posizione, non sono "simili" se stanno uno in una città e uno nell'altra, vivono vite diverse, i loro sensi recepiscono stimoli diversi e il loro cervello si organizza in modo diverso, ma questo vuol dire che un uomo è immensamente più sensibile all'ambiente esterno di una lattina di coca cola per come può variare se stesso, il suo corpo, in funzione dell'ambiente esterno, la lattina non registra, nella sua struttura di oggetto, la differenza posizionale con le altre possibili lattine che la rende unica o comunque difficilissimamente imitabile (non una lattina qualunque ma quella lattina, che sta su quel tavolo, in quel posto a quella data ora), l'uomo sì, (non un uomo qualunque ma quell'uomo, che sta in quella città, ad una data ora: è tutto registrato nel suo cervello, quindi nel suo corpo, possiamo dedurre la posizione e la storia nel tempo analizzando i micro dettagli del corpo, mentre i micro dettagli della lattina ci dicono poco sulla sua posizione e del suo passato), quindi, se per assurdo volessimo copiare l'uomo, fare una copia del signor Rossi, che vive a Milano, non solo fisicamente, ma anche mentalmente ed esperienzialmente fedele, dovremmo copiare insieme a lui tutti i suoi dintorni spaziali e storici ingannando la sua propriocezione e memoria (o meglio la propriocezione e la memoria della copia che andiamo a generare) secondo le capacità e la raffinatezza di questa propriocezione e memoria, insomma dovremmo non solo coltivare un clone del signor Rossi geneticamente identico, ma anche mettergli intorno dalla culla alla tomba una realtà virtuale o un truman show, in cui rivede tutte le stesse cose, rifà le stesse cose rincontra, le stesse persone dell'originale su cui abbiamo preso perfette e dettagliatissime informazioni, e la "grandezza" come terrario di coltura di questo immenso spettacolo o "bolla di realtà" che dobbiamo mettere su per copiare il signor Rossi, risulterà immensamente più estesa del corpo del signor Rossi in sé, sarà grande magari quanto una piccola nazione, mentre per creare al copia della lattina, aspettiamo che esca una seconda lattina dal nastro trasportatore della macchina ed è fatta, la copia è subito perfetta, e questo perché la "bolla di realtà" che esprime la copia della lattina è grande, o meglio estesa, quanto la lattina stessa, ne più e ne meno, perché ed esattamente nella misura in cui la lattina non "registra" le condizioni del mondo esterno e non reagisce strutturalmente alle variazioni a distanza del mondo esterno, quindi due lattine posizionalmente diverse sono "uguali", in un senso in cui non sono uguali due uomini posizionalmente diversi. L'alterità tra il signor Rossi e la sua propriocezione dunque non esiste, il signor Rossi ha dei dettagli del suo corpo che cambiano a seconda della sua esperienza, e avrà le stesse esperienze al ricorrere degli stessi stati e degli stessi dettagli del suo corpo, e queste esperienze gli suggeriranno l'esistenza di un mondo complesso e immenso molto più esteso del suo corpo, al di là di se questo mondo complesso e immenso esista o no, o di se sia essenzialmente proprio come Rossi lo immagina o molto diverso.

Ma tutto questo secondo me dimostra che si può ingannare l'autocoscienza riproducendo la coscienza: nel momento in cui riproduci non solo il corpo di un uomo, ma anche gli effetti del condizionamento posizionale di questo corpo, cioè fai sperimentare a quel corpo un certo "mondo" o "paesaggio" ben definito entro una certa distanza spaziale temporale, la differenza tra coscienze ed autocoscienza non è più significativa, e l'uomo non può più dire se è cosciente o autocosciente se non come differenza inesistente tra due indiscernibili, differenza che si sa in generale che esiste o dovrebbe esistere ma che non produce alcun effetto, e proprio su questa inefficacia la verifichiamo, come ad esempio avviene nella veglia e ugualmente sogni. Ma il grande equivoco è che con autocoscienza distinta dalla coscienza spesso intendiamo meramente veglia, vigilanza, cioè che in un dato luogo o momento riteniamo il mondo percepito uguale al mondo esterno, copia fedele e non allucinatoria, ma a ben guardare non intercorre niente tra i due termini di questa uguaglianza, sono la stessa cosa e li percepiamo come non-sdoppiati, quindi la loro differenza nulla è un atto di fede, non vediamo due cose indiscernibili (tra percepito immediato e intelletto come riflesso interiore della percezione), ma una cosa sola.



#2940
Senza entrare tanto nel dettaglio, io credo che il pensiero (ma anche l'emozione) si esprima nel tempo, abbia bisogno del tempo, quindi di un passato, di un futuro e di un ineffabile presente,come risorsa, dalla cui disponibilità la possibilità del pensiero dipende, e come forma contenitrice del pensiero stesso, niente tempo niente pensiero, quindi il pensiero non è una realtà inestesa e intemporale, ma inestesa e temporale.
Quindi, se delle cose materiali si predica sia l'estensione che la durata, del pensiero si predica solo la durata, dunque in un certo senso del pensiero si predica qualcosa che si predica anche dell'estensione, quindi la cesura netta tra pensiero ed estensione non esiste, e anzi il pensiero per me è una riduzione monodimensionale dell'estensione, l'estensione ha l'estensione stessa, ha se stessa, come attributo dimensionale della sua esistenza ulteriore all'attributo del tempo, che condivide col pensiero, mentre il pensiero è la realtà del solo-temporale, della pura durata, quindi un qualcosa di estratto per riduzione dimensionale e direzionale dall'estensione, come estrarre un piano da uno spazio tridimensionale, o come passare dal un mondo in cui ci si può muovere in più direzioni (la multidirezionalità dello spazio, e la reversibilità in linea di principio di tutto ciò che in esso avviene) a uno in cui si va in una direzione sola, lo scorrere del tempo, appunto.


Quindi, se in quanto esseri spirituali se vi credete superiori al vostro corpo perché esistete anche nel vostro pensiero, sappiate solo che secondo me il pensiero è come un disegno estratto facendo passare un piano bidimensionale attraverso la statua tridimensionale del vostro corpo, un qualcosa che pertiene esclusivamente e totalmente al vostro corpo nella sua natura (essendone effetto), e per giunta considerato a un livello di esistenza con una dimensione di meno.