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Messaggi - green demetr

#2926
Tematiche Spirituali / Re:Riforma e gesuiti
31 Ottobre 2016, 12:54:30 PM
Non conosco bene il cristianesimo figuariamoci il gesuitismo.

Mi fido CVC del fatto che tu dici sia una apertura al protestantesimo, io penso che proprio a livello razionale, sia una scelta obbligatoria, sarà ormai un cinquantennio che le istanze più iiluminate sono da rintracciarsi non locate a Roma.
Da più parti ho letto la NECESSITA' di un cambio di rotta da parte della chiesa, arroccata su posizioni sempre meno contemporanee.
E' un processo che già con Ratzinger si è avviato, con un deciso avvicinamente alla filosofia.

Passiamo alle possibili critiche.

Lo sappiamo benissimo che i gesuiti sono una delle confraternite più ricche e potenti del mondo, ad un occhio attento questo può destare qualche inquietudine. Di esplicito però non conosco niente.

Quello che dice il Sari, lo posso capire. Però bisogna capire, che il periodo dorato di Woytila è finito, sapevano tutti che dietro Woytila c'era Ratzinger, ma il fatto che il primo fosse, per formazione personale, un grande ambasciatore fra le genti, era anche l'uomo giusto per bilanciare la severità insita nel razionalimso tomista del Ratzinger.

La salita di Ratzinger è stata però abbastanza controproducente, sia per l'età del papa, sia per quella durezza, che non era più filtrata.
La scelta di Bergoglio mi sembra la scelta più naturale, un papa che comunicativamente ha già conquistato la fiducia di  molti.
Il dubbio come dice Sari, è che però si perda quello che si era guadagnato in razionalità, se vogliamo anche in durezza e dogma.

Direi che è ancora troppo presto per capire cosa si stia agitando sullo sfondo. (almeno per i dati superficiali che dispongo).


in conclusione

Comunqe se Bergoglio appartiene ai gesuiti, penso sia normale, che cerchi sostegno nelle sue "alleanze", d'altronde molti suoi slanci riformisti si sono già infranti contro la curia romana.

Insomma penso che vedremo dei cambiamenti con il contagocce comunque vada.
#2927
Tematiche Spirituali / Re:Il 2 novembre
30 Ottobre 2016, 22:04:13 PM
Citazione di: anthonyi il 29 Ottobre 2016, 17:54:56 PM
Citazione di: Duc in altum! il 28 Ottobre 2016, 21:39:07 PM
**  scritto da anthony:
CitazioneSi tratta di una domanda importante soprattutto per l'Antropologia, il ritrovamento di sepolture è considerato in tale dottrina come la prova del fatto che gli uomini che le hanno realizzate avevano un approccio spirituale, credevano nel mondo ultraterreno, io sono convinto che non sia così.
E voi, che ne pensate?
No, dicci tu che idea hai sviluppato.

Ti rispondo con un confronto tra due situazioni, il ritrovamento di un tempio antico e delle prove che in tale luogo si realizzavano atti sacrificali nei confronti di un Idolo. Il ritrovamento di una sepoltura nella quale erano state poste delle offerte alimentari per chi era sepolto.
Nel primo caso abbiamo una ragionevole certezza che coloro che compivano i sacrifici avevano in mente l'idea che la divinità alla quale li compivano esisteva in un'altra realtà e che sono coscienti che l'idolo è solo un simbolo della divinità stessa.
Nel secondo caso non è così, perché gli atti di  nutrimento possono essere spiegati come il bisogno di ripetizione degli stessi atti di nutrimento che venivano compiuti nei confronti del defunto quando era ancora in vita. Lo stesso può essere detto di altri atti rituali in relazione ai defunti, che sono cioè istintivi e legati al legame affettivo.
L'atto rituale nei confronti della divinità, paradossalmente, è espressivo di spiritualità quando ha un contenuto materiale, nel sacrificio propiziatorio o di ringraziamento, quando cioè si instaura una sorta di scambio con la divinità, ed allora si ha la certezza che noi pensiamo realmente che la divinità esista. Altrimenti questa certezza non c'è e si può dimostrare con esempi di ritualità umana, come quelli militari o istituzionali che sono riferiti a simboli (la bandiera, lo stato ...) che noi non identifichiamo come entità personali.
Di nuovo domando, cosa ne pensate?

Ciao, sono interessato a questo topic, per me che sto cercando di intendere il cristianesimo.
(mi sono fermato all'anno scorso, con certe considerazioni).

Ecco una delle cose che meno capivo/capisco è proprio questo ritorno dei morti, proprio non riesco a intendere a cosa possa servire.
Sopratutto perchè nel vangelo di Giovanni si continua a parlare di regno dei cieli, e di come la semplice fede ci possa salvare.
Perchè devo essere giudicato se ho avuto fede?

A livello filologico dovrebbe essere contenuta nella apocalisse giovannea, visto l'alto tasso di filologia dei presenti, non potreste commentare anche quello?

Per quanto riguarda la tua posizione sull'antropologia, ti risponde Sini, infatto nella ricostruzione genealogica, il rito funebre passa dalle forme di tumulazione a cerchio, a quelle a capanna, fino ad arrivare a quella classica del tempio. (che risale fino ad epoca moderna, pensiamo agli ossari delle chiese).

Il "contratto" collo spirito come lo intendi tu, nasce solo dopo che si è costituita la città, e subito dopo la scrittura.
Poichè la scrittura rimane, essa viene legalizzata, come contratto fra credente e comunità, sulle modalità del credo.

In questo caso, il diritto canonico, è proprio questo sviluppo storico che decide del contratto, fino a papa Francesco.


Questi però sono argomenti filosofici-antropologici, come conciliarli con la spiritualità?

In effetti la tua domanda, fa sorgere la mia domanda, cosa intende un cristinao per spirito??

E' il medium, il garante del contatto tra Dio e l'uomo, o è qualcosa di più fisico anch'esso????

grazie delle risposte a chi vorrà darmene. (sì lo so sono pretenzioso, magari non a tutte ma qualcosina, magari mi rimetto in marcia, grazie.)
#2928
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
30 Ottobre 2016, 21:01:56 PM
Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

1) La rappresentazione sensoriale: cioè quell'immagine del mondo fornita dai cinque sensi;
2) La rappresentazione concettuale: cioè quella che deriva dalla concettualizzazione della precedente;

Ebbene Nietzsche (non ricordo più dove) dice chiaramente che è errato attribuire un'identità a noi stessi.


Certo, lo dice sostanzialmente ad ogni pagina, in quanto è il suo tema principale, quello che fa da sfondo a tutto.

Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

Per questo anche Nietzsche in modo poi non così diverso dal Buddha (permettimi di citarlo ancora, solamente per far notare che sto discutendo non di religione ma di filosofia quando parla del buddismo...) asserisce che il Sé non esiste.





E infatti ci sono molti scritti sul parallelismo Nietzche - Buddismo, lo stesso Sini ha invitato più volte i suoi allievi ad approfondirne la questione.
Ma ricordiamoci è solo un parallelismo, sono d'accordo al 1000% con Sari sul carattere western delle considerazioni sulla filosofia buddista.
In quanto per loro indiani, non esiste qualcosa come la filosofia in senso congnitivo occidentalista.

Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

E giustamente tu dici: beh era contrario al concetto di "soggetto" ma non aveva problemi a dare sostazialità all'oggetto. Ebbene qui ti sbagli per due motivi:
1) Il concetto stesso di oggetto è una "rappresentazione concettuale" che Nietzsche abbandona perchè appunto abbandona il soggetto (cosa che in realtà è fatta anche in parte da Schopenhauer);
2) Nietzsche critica ardentemente la concettualizzazione della realtà, dicendo che è solo un'interpretazione nostra. Anzi (e non trovo nuovamente la citazione) è contrario a dare dei nomi alle cose dicendo che sono arbitrari e convenzionali. Per questo motivo Nietzsche vuole liberarci da una sorta di "ignoranza" per la quale affidiamo un'essenza a cose che non la hanno (pensa al fiume di Eraclito; per Nietzsche il fiume non ha identità, ogni secondo è diverso). Il mondo di Nietzsche è senza nomi e senza identità. Essendo senza nomi e senza identità il mondo non può avere valori assoluti

l fatto che il fiume che guardiamo non è mai lo stesso, non significa che non esista un fiume.



Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM
e quindi la moralità è relativa (anche se ciò non significa che le moralità sono tutte uguali per lui...). Perciò tutto è "interpetazione", scienza compresa. Chiaramente visto che non c'è nulla di fisso, immutabile ecc non hanno più senso la moralità, l'etica, la metafisica, l'ontologia...


Capisco dai tuoi interventi iniziali che tu voglia cogliere quel fiume a tutti i costi, ma non è certo volgendoti al'etica, alla morale, che puoi trovare punti fissi.


A meno che comincia a venirmi il dubbio, tu voglia salvare la morale e l'etica, avendola introiettata come Legge Paterna. E dunque è solo per preservare il Padre, che cerchi a tutti i costi di preservare il noumeno, come reale.

Va bene, per carità, ne va del nostro equilibrio preservare la moralità. E d'altronde tutti noi non possiamo che dirci cristiani. (a cui farebbe eco il nefasto moriremo tutti democristiani).

Ma criticamente non possiamo permettere che il lume fioco della ragione si spenga.(e per cui Nietzche guai a chi me lo tocca!!!).

La legge è una legalizzazione della morale, arbitraria, gratuita, frutto del potere gerarchico.
Fa quasi tenerezza vedere certi discorsi in questo periodo politico della nostra italietta, basti pensare al 3d di Garbino, che dice Nietzche della colpa introiettata????
Quella è un arma demagogica potentissima, in quanto radicata nel subconscio della gente. Infatti che dice lo slogan per il sì referendario ? (disastro dei disastri, al peggio non c'è mai fine, abrogare la nostra meravigliosa costituzione...che affronto!)..."se passa il no perdiamo l'occasione di migliorare" (alias SIETE COLPEVOLI SE VOTATE NO).

Sottigliezze (macchiavelliche) del discorso paranoico, usato dal politico (che è paranoico per definizione).

Non possiamo fare i chierichetti del MALE!


Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM
Per Kant: come risolvi il problema della percezione? Come è possibili dire che il noumeno è inconoscibile se Kant stesso lo assume come condizione dei fenomeni e inoltre asserisce che tutti noi vediamo lo stesso fenomeno? Secondo me Kant pur di non finire in contraddizioni ha voluto limitarsi da solo cadendo a sua volta in contraddizione.


Non conosco Kant così a fondo, quindi tecnicamente non so spiegartelo, per quanto riguarda il problema del vedere lo stesso fenomeno.

Sul fatto se esista un noumenico o meno, ti ripeto, Kant usa il metodo inferenziale, lo stesso di Hume, è arcinoto il debito del filosofo tedesco verso quello inglese.

Il noumeno è qualcosa "come se ci fosse". Esiste solo a livello formale. Ed ha contenuto reale solo a livello trascendentale come fenomeno, incontro tra senso dato e categorie mentali, apriori. Io per comodità uso il concetto di sintesi attiva. Dunque il noumeno non è reale. E infatti il noumeno è il DAS DING, non esiste per fare un esempio la sedia noumenica. E' un errore da matita rossa. (vedasi la figura imbarazzante che hanno fatto vattimo e ferraris, al cospetto del maestro Severino).

Sulla evoluzione dell'idealismo ti invito a riflettere sullo scritto di DAVINTRO, che scrive cento volte meglio di me.

Comunque capisco che l'idealismo non ti soddisfi. Forse Severino ti può aiutare a cercare quella oggettività verità che cerchi.


Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

In ogni caso forse abbiamo esagerato nella discussione "religiosa" però comunque green demetr molte brillanti idee filosofiche le ho trovate in personalità religiose: anzi fino al novecento spesso era difficile dare una ciara linea di demarcazione. Se vuoi ti dico la mia: "religione" significa l'insieme di culti e credenze senza evidenza empirica che fanno da "fondamento" ad una società e che non hanno origine filosofico/razionale. Il fondamentalismo invece nasce dalla "fede cieca" in queste credenze.


Rispondo a te e quindi anche al Sari.

Non ce l'ho col cristianesimo (che conosco pochissimo, avevo iniziato l'anno scorso sul vecchio forum un dialogo con DUC in ALTUM, ma mi sono arenato, ci vuole pazienza).

Figuriamoci con l'oriente! Non so se hai letto miei post precedenti, ma tutta la mia giovinezza è legata indissolubilmente col pensiero induista, nel senso proprio della pratica meditativa, sotto gli insegnamente del raja Yoga di Patanjali e gli insegnamenti del mio maestro, il celeberrimo Paramahansa Yogananda, si proprio quello adorato da steve job.
Proseguendo ho conosciuto le upanishad come le tramanda il centro hare krsna, non se mai avete visto quei libroni meravigliosamente illustrati e rilegati.(ricordo il "nettare della devozione")

Conservo ancora una memoria, come ogni cosa dell'infanzia, magica dell'incontro con quegli scritti.

Come dire non posso fare a meno di essere metafisico proprio per quelle radici.

Capisco benissimo il Sari quando parla di via pratica, e la distinzione western, come pratica intellettuale.
In realtà non mi dispiacciono entrambe. Sopratutto la variante Advaita, quella della non-dualità, intellettualizzata da Śaṇkara (nel medioevo indiano).
Che poi di fatto è la tradizione, la scuola più forte fra le sette sorelle, sia in oriente, sia in occidente, dove fondamentalmente conosciamo solo quella.
(essendo il tantra di origine himalayana, la considero fuori dal discorso).
Ultimamente ho conosciuto anche Nisargadatta, ma come dire, i maestri in India non mancano proprio.
Basta vedere la digitalizzazione fatta nelle università indiane, una mole mastodontica di scritti, di rotoli rinvenuti, tutta da scoprire.
Con polemica annessa, infatti sono più gli studi occidentali su quelle scritture, che non quelle indiane, sia in termini di traduzione (i codici sono in pali antico etc...) sia in termini di riflessione teorica.
Il fatto che l'occidente non capisce, e non capirà mai, è che l'India è veramente l'utima culla della tradizione orale, una tradizione che non vuole morire.
(cosa volete che gli importi della intellettualizzazione) Lo capisco benissimo.
Una tradizione che lotta contro la cultura islamica dilagante sopratutto in India (per ragioni storiche).(anche lì ci sono grossi problemi col fondamentalismo).

Ed è qui il punto: non si può sfuggire alla politicizzazione, e nessuna tradizione orale, riesce ad intenderla, in quanto è interna ai costumi stessi.

E' necessario una illuminazione laterale, appunto intellettuale, politica però, non semplicemente analitica, sebbene ne sia alla base.


Per quanto riguarda il buddismo: non lo conosco, dovrebbe essere il Sari a guidarci. Qualcosina ce lo fa sempre trapelare.


Sia chiaro siete liberi di associare pensiero orientale e occidentale.
(ci mancherebbe)

Il polemos, nasce da parte mia, solo perchè abbraccio la questione filosofica come una questione politica.
E' una semplice presa di posizione (per me salutare, valvola di sfogo, e spero anche per qualcun altro).

saluti.  ;)


#2929
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
30 Ottobre 2016, 20:39:13 PM
Citazione di: davintro il 29 Ottobre 2016, 23:03:11 PM

La percezione è un atto di esperienza vissuta, un "Erleben", attivo, intenzionale, proprio in virtù del suo tendere alla visualizzazione anticipante dei lati nascosti dell'oggetto percepito, ed in questo visualizzare lati nascosti, in virtù di schemi associativi via via interiorizzati, il soggetto percepiente mostra un certo livello di autonomia dalla passività, che di per sè dovrebbe limitarlo alla ricezione del lato che l'oggetto gli mostra a livello di contatto meramente fisico. Tuttavia la percezione è fattore necessario ma non sufficiente per il darsi della cosa come "fenomeno". Se fosse sufficiente allora si dovrebbe parlare di "sintesi attiva". Invece la percezione, senza un contenuto fenomenico che riceve dagli stimoli della sensazione, resterebbe solo un'intenzionalità vuota, astratta, indeterminata, essa ha bisogno della sensazione, nella quale il soggetto subisce passivamente il contatto con l'oggetto, che offre i contenuti concreti della sintesi e costringe la percezione a un costante riorientamento dei suoi schemi associativi, che devono essere aggiornati in relazione ai nuovi stimoli che l'oggetto ci comunica. In fin dei conti anche la dicitura "sintesi passiva" la trovo scorretta, perchè non c'è pura passività nè pura attività, ma interrelazione di passività e attività, attività sintetica dell'io che collega il lato della cosa attualmente percepita con i lati nascosti, passività di fronte all'oggetto che disvelandosi mostra aspetti nuovi di sè che costringono l'io a modificare le sue strutture interpretative. Interessante è che tutto ciò prepara le basi dal passaggio dalla pura gnoseologia all'ontologia, o meglio alla contestualizzazione della prima all'interno della seconda. Perchè questa unità di attività e passività altro non è che il correlato gnosologico di una condizione ontologica dell'essere umano, caratterizzato dalla sintesi da un lato, di coscienza e libertà (che porta a rivolgerci intenzionalmente verso l'oggetto, a dargli un senso), corporeità e finitezza dall'altro, che rende necessario il contatto fisico con l'oggetto di fronte al quale l'Io è passivo. Cioè l'autonomia seppur relativa degli oggetti rispetto al soggetto rispecchia la condizione ontologica di finitezza (in termini scolastici potremmo dire anche "imperfezione") dell'uomo, il suo non essere ente assoluto. Come giustamente notato, la teoria fenomenologia dell'intenzionalità presuppone come fondamentale la temporalità: la percezione di un oggetto è sempre diacronica, l'apprensione di un singolo lato accade in un certo istante temporale, e gli schemi associativi di cui la percezione si serve sono residuo di esperienze passate conservate nella memoria. La finitezza ontologica dell'uomo fà sì che la sua coscienza sia strutturata come temporale e ciò vuol dire che la necessità di un substrato gnoseologico di passività è data da tale temporalità, gli schemi soggettivi vanno modificati in quanto il passato va adeguato alla conoscenza dell'oggetto reale, cioè presente (agostinianamente, solo il presente è reale).
Al contrario, ipotizzando l'esistenza di una mente divina, assoluta, sovratemporale come soggetto rappresentazionale, allora la passività dovrebbe scomparire, perchè gli oggetti non potrebbe mostrare lati nuovi, inizialmente nascosti, che modificherebbe la struttura della soggettività, perchè tale soggettività avrebbe una visione IMMEDIATAMENTE assoluta e perfetta dei suoi oggetti. Tutto ciò mostra come l'autonomia dell'oggetto che sembra quasi per un'intenzionalità "al contrario"  muoversi attivamente volendo farsi conoscere da noi, non deve farci pensare ad un'indipendenza metafisica del mondo esterno, dell'oggettività, un realismo metafisico, come implicazione della teoria dell'intenzionalità. Tale autonomia dell'oggetto rispetto al soggetto non è un'autonomia assoluta ma solo, in nome della relativizzazione della gnoseologia all'interno dell'ontologia, conseguenza della limitatezza del soggetto in questione, l'uomo, mentre non potrebbe esserci autonomia di un mondo oggettivo in relazione ad un Soggetto, una Coscienza divina assoluta (a prescindere dal supporla esistente o meno). Cioè la diatriba idealismo- realismo va risolta non sul terreno meramente gnoseologico, dove pure sorge, ma su quello ontologico e metafisico che chiarifica la natura del soggetto conoscente in questione. Ogni filosofia, compresa la fenomenologia a prescindere dalla lettera esplicita di Husserl, è satura di potenzialità metafisica (perchè a mio avviso qualunque critica della metafisica è pur sempre metafisica). Ma nella fenomenologia, che pone la messa in rilievo della coscienza soggettiva come base evidente di ogni discorso sul reale, tale metafisica a mio avviso non potrà essere una metafisica di tipo naturalistico o cosmologico, tesa a considerare il mondo esterno come realtà privilegiata d'osservazione, ma personalistico o interioristico, che dall'analisi dei vissuti della coscienza cercherà di far emergere le componenti fondamentali della persona, quell' essere che supporta in modo esistenziale e concreto l'attività della coscienza. L'ontologia fenomenologica trova nell'antropologia il suo perno



Grazie della delucidazione, alla distinzione ontologica - gnoseologica del problema non ci avevo ancora pensato.(mi hai risparmiato almeno 5 anni di studi! visto la mia lentezza).
Mi piace anche come risolvi la questione della passività, in effetti con questa nuova visione proposta, non serve tanto mettere in discussione il carattere passivo-attivo delle sintesi, lo facevo solo perchè nella discussione con amici, l'avevamo messa su quel piano.
Il problema del correlato come questione ontologica, in quanto l'uomo è metafisicamente (concordo) destinato al suo esser legato all'oggetto.

E non l'oggetto come principio metafisico, che farebbe appunto il paio con l'errore dell'uomo metafisico. Metafisica è solo la domanda, come Hegel e Heideger giustamente (eh eh) concordano.


Sul principio di DIO come ente immobile, invece non mi trovi d'accordo affatto. L'azione trascendente non è una questione dell'unarità (come in Hegel, visto che lo sto studiano parallalemante a questi scritti, tramite Zizek), ma appunto come testimonia il pensiero luterano, dalla negatività.
Che si dissolve come storia della morte del soggetto. Non è questione di aldilà, ma dello stare qui, sul momento presente, in cui dissolve ora ed ora ed ora ogni nostra velleità, intenzionale o rappresentazionale che sia.
Il senso che ne deriva secondo me è la questione del terrore metafisico, a cui la filosofia cerca di fare da Pharmacon, alemno fino al postmoderno, quando appunto la questione della modernità (chi siamo) andrebbe di nuovo posta come carattere sovversivo, negativo e non più positivista alla questione meravigliosamente indicata da Hegel e Heideger del Dasein.
A maggior ragione proprio da una posizione ontologica dell'uomo! che richiama al problema antropologico certo, nella accezione contemporanea, quasi tutti i filosofi contemporanei infatti si stanno dirigendo verso l'antropologico. (per fare un paio di esempi che conosco la cura del sè di focauldiana memoria, o il monachesimo di un Agamben).
Ma non è l'ennesimo abbaglio? A mio modo di vedere sì, infatti la filosofia è dentro al discorso del terrore, cioè a quello paranoico. Come se noi fossiamo già morti.
Ecco che allora l'antropologico diventa l'ennesimo scudo, (meglio qualitativamente, ma nè più nè meno che l'analitico della filosofia americana).
E invece il terrore va guardato negli occhi. Di modo da scoprire la sua fantasmatica, ossia la legge della madre (il fantasma materno).

Uscire da simile inpasse è impresa disperata per l'occidente schizoide. Purtroppo questa è la mia seconda intuzione di questo anno.

infatti il livello schizoide fa credere all'uomo di essere qualcosa d'altro, da quello che è. Lo fa tramite una legalizzazione del soggetto borghese, per via delle origini storiche bla bla bla....Di modo che sembra sia l'etica la questione fondante.

Ma nessuno, sottolineo nessuno puà stare in quella etica. Semplicemente perchè non esiste come naturale, quando la fanno passare come tale.
(l'opposizione politica, alla focault, o la rinuncia politica monacale-religiosa (agamben), sono opposizione e rinuncia contro qualcosa che non c'è, a livello antropologico.).

Dunque l'indagine ontologica, che risente del paranoico non è semplicemente doppiata, ma quadruplicata.


reale - fantasma

antropologia (fantasma del reale).  problema dell'uomo

reale - fantasma

sociologia (fantasma del fantasma del reale). problema comunitario

Per tornare all'ontologia fondamentale, idealista, di stampo hegeliano, bisogna dunque di nuovo interrogare il fenomeno e il suo carattere dissolvente.

Per questo se da una parte vi è una intenzionalità "dal basso" che di volta in volta si conforma all'oggetto, dall'altra ci DEVE essere una intenzionalità (criticità) che si conforma a quello che viene "dall'alto".

Se da un lato infatti il problema è gnoseologico-ontologico, dall'altro è linguistico-ontologico, infatti l'apertura al discorso è la stessa lingua, che come sempre meglio si va descrivendo, viene PRIMA del soggetto, non vi sarebbe apertura sul Mondo, senza la possibilità di descriverlo.

Per questo in Lacan, la dicotomia simbolico-reale va indagata in quanto linguistica, in quanto discorso.


Citazione di: davintro il 29 Ottobre 2016, 23:03:11 PM

Ma nella fenomenologia, che pone la messa in rilievo della coscienza soggettiva come base evidente di ogni discorso sul reale, tale metafisica a mio avviso non potrà essere una metafisica di tipo naturalistico o cosmologico, tesa a considerare il mondo esterno come realtà privilegiata d'osservazione, ma personalistico o interioristico, che dall'analisi dei vissuti della coscienza cercherà di far emergere le componenti fondamentali della persona, quell' essere che supporta in modo esistenziale e concreto l'attività della coscienza. L'ontologia fenomenologica trova nell'antropologia il suo perno



Siamo dunque totalmente d'accordo sull'errore naturalistico-cosmologico, ma non sul carattere esistenziale, che per me è appunto metafisico e per te antropologico.

(tra l'altro in cosa consisterebbe questo carattere antropologico tuo? forse lo scoprirò in futuri 3d, o forse ne hai già parlato e non ricordo...ehmmmm)
#2930
Non riesco ancora a dominare tutto il pensiero hegeliano (formalista-storicista) e heidegeriano (neo-tomista con sprazzi di agostino).
Figuriamoci con quello di Nietzche che mi consuma parecchie energie nervose.

Posso solo parlare di quello che intravedo, alla Heideger, il segnavia, il senso, la direzione, la radura.

Vedo anzitutto il male, come la morte stessa, ossia come il nostro dissolvimento: proprio qualche giorno fa, leggevo da Zizek, che la parola "fondamento" in tedesco suona come le macerie. Ossia ciò che rimane del dissolvimento.
Sostanzialmente in una chiave formale, eminentemente logica, l'uomo nasce già carente, carente dell'oggetto. Tramite solo cui si relaziona. E si costituisce.

Questa carenza costitutiva, è da leggere come recentemente davintro ha scritto sul 3d fenomeno e realtà, in termini ontologici, ossia come fenomenologia.
Ossia noi siamo quel soggetto abitato dalla necessità di un oggetto, qual'ora venisse a mancare, noi cesserremo di essere tale.

Ma in chiave metafisica, noi siamo spaventati a morte (appunto) di non essere più. Di non essere più dei soggetti. Ossia un terrore ci abbraccia fin dalla nostra nascita biologica, come discorso. Siamo cioè nati già aperti ad accogliere il mondo, come TERRORE del non essere più.

Quindi l'uomo è ontologicamente metafisico, come giustamente fa notare Heideger.

La seconda cosa è il comportamento, ossia noi siamo accompagnati dalla violenza, ed è il secondo male METAFISICO, ossia la proiezione del discorso SCHIZOIDE.

Che deriva dal primo discorso paranoide (non voglio morire), ossia come descritto magistralmente da Freud, la morte dell'animale viene associata alla nostra vita.

Io sono vivo, fin che uccido. Dove simbolicamente l'animale diviene il sacro, ossia ciò che non può essere toccato. Per cui l'uomo nasce subito simbolico. I resti funerari sono lì a testimoniarlo. Il resto è sempre il cerchio, ognuno protegge le spalle all'altro. Ossia è la comunità, la comunità diventa il sacro. Ossia diventa politica. Mors tua, vita mea.

Da lì le lotte tribali, e il periodo di sangue, che porta (vedi nietzche-garbino nel 3d il futuro dell'uomo) alla ragione.

E' solo tramite quel primo diamante che possiamo genealogicamente risalire alla costituzione del nostro domandare.

Domandare metafisico, filosofico: perchè devo morire?

Guardare in faccia significa guardare anche il suo doppio: tu non morirai mai.

Come la neuroscienza scopre con Damasio che la paura e la violenza sono i sentimenti primari, così ci erano già arrivati secoli prima Spinoza, poi Hegel, Nietzche infine  Heideger.

E' qui che rientra la tua domanda dalla finestra principale: la risposta metafisica alla domanda metafisica della ragione, l'uomo storicamente ha risposto con la teoria della unarietà, e cioè "come se" esistesse un UNO che mi garantisce, che mi fonda, come soggetto eterno.
Ossia c'è un problema di fondo, sempre uguale, sostituiamo il fondamento come dissolvimento, in un dissolvimento senza fondazione.
(in questo senso il problema metafisico dell'occidente è da distinguere dal problema metafisico in sè).



Così facendo, dimentichiamo, la domanda fondamentale ontologica, che viene prima della domanda fondamentale metafisica. Ossia come all'infinito ripete Sini: "chi parla?.

Ossia il problema del soggetto.

Per impedire di fare questo errore, basterebbe smettere di avere paura, e guardare le cose come stanno: noi dissolviamo.
Il fatto è che quel "basterebbe" richiede uno sforzo titanico, perchè dietro la paura fondamentale come ho cercato di illustrare, si nasconde il problema del sacro.
Il totem va abbattuto, il fantasma materno, la mamma (tu non morirai mai), va abbattuto.

Ma prima va abbattuto la sua tecnica, la fantasmatica, ossia la protezione ad ogni costo, del TU DEVI UCCIDERE.
Appunto la Giurisdizione, la dizione (il discorso) dello IUS (il giurì), il più forte, quello che ammazza di più.
Il male è il giusnaturalismo, il discorso del più forte. Diventa un problema bio-etico, di appropriazione dei corpi, problema della antropofagia, fin dai tempi più antichi, l'homo sapiens, si è letteralmente divorato qualsiasi altro ominide (ci rendiamo conto della ferocia??)
 
Qualsiasi guerra ha alla sua origine questo fraintendimento della ragione, come diceva Nietzche confondere il sogno, con la realtà.
(noi continueremo a morire anche se siamo potenti)
Da cui prende forma la psicanalisi, come analisi delle pulsioni inconsce (paura e violenza) che si riversano nel sogno, e infine la psicanalisi del discorso, come in Lacan e allievi. (che devo ancora studiare.).



Insomma il vizio della ricerca sul male costitutivo, deve fare attenzione a non essere una forma di auto-inganno, per illudersi di non morire mai.

Nel mio caso, l'errore che faccio, è quello di non fare attenzione al reale. Per me rimane fortissimo il legame con il fantasma materno, ossia con la madre.(appunto non voglio morire mai).

Rimango inevitabilmente affascinato dal mito, dai miti della madre. E mi domando del perchè in continuazione (visto che so che è una trappola), cadendo così nel discorso ossessivo, e rimanendo sulla soglia, infatti non ho mai ottenuto risposta.

Questo sostanzialmente crea disagio esistenziale, e da qui inizia la ricerca dell'intrattenimento, che devo dire, seppur per vie diverse dal volgo, trovo anch'io che funzioni.
Fare attenzione al reale serve un amico, meglio ancora una comunità.
Una comunità consapevole del male che ci circonda dentro e fuori dal nostro essere soggetti. Difficile, ma qualcuno deve iniziare a farlo, magari dando più importanza al reale. Per questo il mio unico amico degno di fiducia è Nietzche, perchè ogni volta che lo leggo, è uno schiffo in faccia, che mi ridesta quei pochi attimi per andare ancora avanti, per coltivare ancora l'utopia, prima ancora di cadere nel letargo della società dello spettacolo.


Per uscire dai discorsi del terrore, dell'orrore, dello spavento e della angoscia a mio parere però serve la comunità, ossia l'Altro.
Infatti a parte il terrore e l'angoscia che sono mali metafisici, difficili anche da intravedere, gli altri due sono errori della tradizione gerarchica occidentale.
Errori politici.

E' sempre difficile interrogarsi della radice del terrore e della sua malefica sorella l'angoscia, con persone che sono legate alla legge del padre ("orrore") e vittime dello spavento ("figlia dell'essere schizoidi", per cui non si accetta di essere qualcosa di diverso rispetto a quello che la società indica, legalizza, come i problemi degli attacchi di panico, dell'anoressia e della bulimia stanno sempre ad indicare).


saluti.
#2931
Citazione di: Phil il 30 Ottobre 2016, 10:56:22 AM
Citazione di: paul11 il 30 Ottobre 2016, 00:51:40 AM
Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:19:15 PMIl darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro. A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.
non posso che condividere la richiesta di un senso originario di una male che ci abita dentro
Mi incuriosisce questo "male che ci abita dentro"(doppia cit.): nel caso di paul11 che, se non fraintendo, non lascia il sacro religioso fuori dalla sua prospettiva, è possibile "innestarlo" in una metafisica classica (per cui il Male è uno degli attori protagonisti della dimensione umana e c'è un Senso originario da interrogare); nel caso di green demetr che (sempre se l'ho ben capito) ha una visione dell'uomo più laica, questo "male metafisico" come si connota e, soprattutto, su cosa si fonda?
Si tratta di una metafora per la fallibilità, ignoranza o immoralità dell'uomo (ed è quindi comunque un'interpretazione relativa) oppure ha una sua "sostanza" propria?

P.s.
@green demetr: quel "io lo voglio essere"(cit.) è molto dionisiaco, ma il voler-essere-metafisici non è una scelta che preclude a priori la possibilità di trovare risposte non metafisiche? Fino a che punto il voler essere metafisico, o nichilista o empirista o altro (è una domanda in generale, non personale su di te  :) ), può essere una scelta che "vizia" il ricercare?

Citazione di: Phil il 30 Ottobre 2016, 10:56:22 AM
La scelta aprioristica del tipo di approccio "vizia" il ricercare, non nel senso etico, ma, secondo me, nell'impostazione epistemologica/metodologica: se sorgono problemi spontanei e li si affronta con il presupposto "voglio essere metafisico" o "voglio essere empirista", significa, per me, che non si affrontano tali problemi con limpidezza ed apertura, ma si sceglie di preimpostare l'indagine con un paradigma già selettivo, che non è detto sia sempre quello più pertinente o più funzionale...
Pensiamo (esempio sciocco, ma, spero, chiaro) quali sarebbero le conseguenze se un elettricista, a casa sua, trovandosi di fronte ad un rubinetto che perde, dicesse "voglio ragionare da elettricista" ed iniziasse a "smanettare" come se i tubi fossero invece fili elettrici... forse farebbe meglio a chiamare un idraulico (ammettendo che le sue conoscenze non sono adeguate a risolvere quel problema), oppure affrontare il problema non da elettricista, ma da "idraulico improvvisato"...

Differente è riconoscersi "metafisici" o "empiristi" o altro, non per scelta, ma perchè si "scopre" di esserlo (ma non ci si sente in dovere nè di volere esserlo...).

L'atteggiamento più proficuo forse è affrontare i problemi senza volersi limitare o condizionare prima ancora di confrontarsi con essi, cercando piuttosto (metaforicamente) di lasciarli parlare la loro lingua (cercando di comprenderla) e non di fargli parlare forzatamente la nostra ("snaturandoli" e/o fraintendendoli...).



In linea di massima sono d'accordo con Sgiombo, sulla necessità del metafisico. (e d'altronde sono un lettore di Hume anch'io)

Per quanto riguarda la premessa, ovviamente è una questione del postulare una cosa, per poi vedere se funziona o meno, nel reale. (qui le strade mie e sgiombo divergono totalmente, ovvio anche con Hume) vedi il 3d sul fenomeno e realtà del dr.evol.


Provo ad abbozzare delle linre generali sull'uso della ragione.
Provando a distinguere il metafisico come storia dell'occidente, o discorso dell'occidente, e il metafisico come questione della questione.(Non sono ammessi regressi infiniti. Non esiste la questione della "questione della questione".
Questo è l'unico postulato che l'idealismo si pone. Da Peirce in poi, anche se tale Paolo Veneziano, autore sconosciuto medievale l'aveva già trattato sempre secondo il Peirce.)
La questione della questione, essendo formale, rimane poco trasparente, e quindi per pochi eletti che la intravedono.

La vado ad esporre comunque, sebbene ancora disordinata, contiene molti spunti validi che mi interessano.

#2932
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
29 Ottobre 2016, 22:47:55 PM
Citazione di: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 15:44:44 PM
Riassumendo abbiamo queste posizioni:

4 Nichilismo (Nietzsche... Buddha? Wittgenstein?):

Non c'è un Sè, la realtà è quella che vediamo, non c'è sostanza da nessuna parte TUTTAVIA a differenza del Buddismo e di Wittgenstein (?) non c'è niente di meglio che la realtà che vediamo. Quello che dovremo fare è o "annullarsi" o "esprimersi". Ma visto che non c'è un Sé la cosa non è da prendersi sul "personale".

La (4) è di fatto una versione "negativa" della (1) in cui si è tolta la "sostanzialità" a tutto senza rimettere nulla (visto che poi "tutto è interpretazione" non si ha moralità,etica, conoscenza... perchè d'altronde non c'è una realtà vera).

Con l'ultima deriva religiosa, mi sottraggo al discorso, rispondendo solo: sciocchezze.

Ad Apeiron un particolare:

No! Nietzche non è questa cosa che dici...che pazienza!

Per Nietzche c'è la sostanza, eccome se c'è! E infatti dobbiamo dunque esprimerci. Che mi sembra che qui nessuno se la precluda.

Tutto è interpretazione si riferisce al problema del soggetto (del rappresentante, di chi parla) non della sostanza, dell'oggetto.(tra l'altro, non so se sia vero, non avendolo letto direttamente, si riferisce alle teorie del Boskovich, quindi potremmo quasi associarlo all'atomismo democriteo).

Della rappresentazione Nietzche se ne infischia, io sono qui non in veste Nietzchiana, ma come idealista (che si limita ai risultati kantiani).

Tra l'altro caro Sgiombo l'idealismo con l'oriente NON C'ENTRA niente, perchè devi sempre polemizzare??

#2933
Citazione di: paul11 il 29 Ottobre 2016, 01:31:31 AM
greeen demetr
Siamo tutti "vittime", Nietzsche compreso...... quel sacro corrisponde all'armonia del dominio naturale e quello divino, e non separati.

Ovvio che lo fosse, ma lui ne era consapevole, al contrario tuo e di tutti quelli che fantasticano di strane divinità etc....

Essendo Dio Morto, ovviamente è morto anche quel sacro.

Probabilmente, riesci ad intendere il problema giuridico (infatti siamo spesso d'accordo), ma lo fai contrapponendolo ad un giusnaturalismo fantastico.
Infatti il giusnaturalismo E' il giuridico, cristiano ebreo musulmano che sia.

Francamente anche leggendo il 3d su realtà e rappresentazione, non mi posso che tirar fuori da qualsiasi discorso ideologico religioso.

Che ripeto è esattamente il discorso schizoide che il destrutturalismo scopre come metafisico.
E che suona ai miei orecchi così: "tu sei quello che non sei".

No mi dispiace non vedo traccia di sacro, nemmeno nella poesia. In compenso vedo un mare di opportunismo travestito da strani vestigie religiose e scientifiche.

Il darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro.

A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.

#2934
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
28 Ottobre 2016, 11:28:48 AM
Citazione di: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 11:14:29 AM
Citazione di: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:08:28 AM Wittgenstein....confesso che faccio fatica a capirlo pienamente. Ho il forte pregiudizio che la sua sia una forma di anti-storicismo radicale, dovuta al suo essere DENTRO al discorso ossessivo, bloccante, limitante (al fatto per dirla in termini orribilmente psichiatrici, che era un ossessivo compulsivo).

Ah!...I pregiudizi, i pregiudizi...cosa dovremmo dire allora del buon Friedrich ?...Mah!  ;)

Cosa intendi?  :)

Si insomma non avendolo ancora capito bene, mi astengo, però il dubbio allo stato attuale mi rimane.
#2935
Il buon Federico aveva una cultura pazzesca, basta leggere i titoli della sua biblioteca. (molti libri sull'egitto oltre che sull'india).

La ragione come frutto delle atrocità.

Il tema della giustizia come sistema creditizio come mimesi delle atrocità. (risposta di altre atrocità).

Dunque l'ascetismo non è un tema come mi aspettavo di interesse religioso, piuttosto è visto come diritto positivo, come sistema mimetico per infliggere atrocità.
E visto come l'ho vissuto sulla mia pelle (in maniera molto soft si intende) quanto ha ragione il filosofo di Röcken!!!
Tra l'altro il carattere di auto-inflizione del dolore è il massimo che l'arte sadica possa aspirare di ottenere, e che ha ottenuto.

In effetti ogni cristiano è sempre un pò masochista (essendo nel "discorso paranoico" ma questo è un altro "discorso" appunto  ;) ).
#2936
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
28 Ottobre 2016, 11:08:28 AM

Wittgenstein....confesso che faccio fatica a capirlo pienamente. Ho il forte pregiudizio che la sua sia una forma di anti-storicismo radicale, dovuta al suo essere DENTRO al discorso ossessivo, bloccante, limitante (al fatto per dirla in termini orribilmente psichiatrici, che era un ossessivo compulsivo).

#2937
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
28 Ottobre 2016, 11:02:42 AM
Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PM

Dunque: il problema è linguistico in questo senso. Sia x un fatto, un avvenimento. F(x) una proposizione dell'avvenimento. Ora F è la "funzione linguaggio" che associa un "fatto" alla sua descizione. Chiaramente ci sono anche altre cose oltre ai fatti, ad esempio l'esperienza cosciente. E anche qui possiamo usare y per le esperienze e G(y) per il linguaggio relativo. Ora la collezione di tutte le "frasi" F(x),G(y) ecc formano il linguaggio. Cos'hanno in comune tutte queste? Bene o male che si riferiscono all'esperienza ("interna",esterna...). Nel caso del noumeno tu vorresti descrivere qualcosa di cui non puoi avere esperienza. Mi dirai: ok posso parlare dei draghi anche se non ci sono. La differenza è che i draghi li descrivi come "fenomeni" e ammesso che siano compatibili con "le leggi del mondo e del pensiero" sono possibili esperienze (se non lo sono tuttavia la loro esistenza è impossibile ma le proposizioni si riferirebbero a possibili esperienze, ergo sarebbero false ma insensate). Il noumeno invece è qualcosa che è "oltre" l'esperienza, quindi a rigore non può essere descritto. E qui prova a pensare alla dottrina del Dio creatore: fintantochè riesci a immaginarti  ad esempio un Dio che "crea" le cose in modo simile ad un artigiano allora ok. Quando però dici "Dio crea dal nulla" beh credo che questa proposizione sia per così dire priva di senso, perchè appunto la parola "creazione" si riferisce all'esperienza ordinaria e la parola "nulla" è maldefinita. E se poi ti chiedi se Dio è un fenomeno o un noumeno non ne esci.

Riprendendo Wittgenstein: Non come il mondo è, è il mistico ma che esso è.



Esatto, quella che descrivi è la mia posizione. Tranne l'ultima, in cui parli di un DIO ex-machina alla Leibniz., Locke etc..

A mio avviso anche DIO è inconoscibile, ed esattamente come per l'oggetto noi possiamo DESUMERLO dal processo storico di RIVELAZIONE, come epifania però in questo caso, non rappresentazione, ma come apertura di senso, UGUALMENTE PER NEGAZIONE nel suo processo di somma cognitiva del manifestantesi, ora e adesso, nel qui. (essendo freudiano, per somma cognitiva intendo anche quella onirica, inconscia).


#2938
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
28 Ottobre 2016, 10:52:45 AM
Citazione di: davintro il 27 Ottobre 2016, 18:35:14 PM
Green demetr scrive

"Per me la trascendenza non può venire dal "DAS DING" alias l'oggetto prima che si dia alla percezione.
La tua teoria della sintesi passiva husserliana oggi va molto di moda.

Di certo concordiamo fortemente sul carattere di sintesi, ci discostiamo su quale sia il ruolo del percetto, passivo come nella tua teoria, o attivo come nella teoria classica dell'idealismo da Kant in poi.

Per noi metafisici essendo la trascendenza Dio (un Dio inconoscibile sia chiaro) la sintesi non potrà essere che epifania dello svolgimento del mondo storico reale. (Hegel)

In Husserl o in te sembra quasi ribaltato il procedimento per cui è lo scontro dialettico col reale, a determinare il valore della sintesi, e non quello esperenziale.
E per cui appunto l'esperenziale è questo scontro cieco con la Natura in fin dei conti.("




In realtà, nella "mia posizione" la percezione non è un vissuto passivo, ma attivo. Anzi, proprio il carattere attivo, o meglio intenzionale, della percezione, rende possibile il discorso realista sull'autonomia degli oggetti percepiti rispetto all'Io percepiente, anche se capisco che messo così il discorso può apparire paradossale. L'autonomia è costituita dalla capacità degli oggetti di comunicare stimoli all'Io, che si trova  costretto, come nel mio esempio del signore che corregge la sua percezione sulla persona davanti a lui coi capelli lunghi, a modificare gli schemi associativi che regolano le sintesi percettive. Ma perchè ci siano modifiche occorre che ci sia qualcosa che subisce tale modifica, nello specifico, la "presunzione" da parte della percezione della corrispondenza tra il proprio contenuto fenomenico e la realtà oggettiva trascendente. Cioè, non ci sarebbe alcuna necessità di modificare i nostri schemi associativi che la percezione utilizza se quest'ultima si limitasse a registrare passivamente ciò che la sensazione comunica. Al contrario la modifica degli schemi diviene necessaria nel momento in cui quegli schemi si sono rivelati inefficaci al fine dell'apprensione della realtà oggettiva, e tale rivelazione si riferisce al tentativo del soggetto percepiente di operare una sintesi anticipativa, di unire sinteticamente il lato dell'oggetto che cade attualmente sotto i nostri occhi, con i lati dell'oggetto nascosti, come il volto di una persona di cui per ora vediamo di spalle, ma che nel futuro, modificando la posizione spaziale del nostro corpo nei confronti dell'oggetto percepito o dell'oggetto percepito stesso, diverebbero contenuti percettivi attuali. Io riconosco che gli schemi associativi erano inadeguati perchè essi hanno portato a elaborare delle anticipazioni sulla forma complessiva e unitaria dell'oggetto che i nuovi dati sensitivi hanno mostrato come inadeguati. Se invece la percezione fosse passività, mera risultante o sommatoria passiva dell'accumulo di sensazioni provenienti dall'esterno che entrano in contatto con la nostra soggettività, allora essa dovrebbe limitarsi ad un'espansione quantitativa, qualcosa che s'ingrandisce quanto più le sensazioni presentano nuovi dati, mentre resterebbe inspiegata la necessità, che invece riconosciamo come costante e concreta, di una riformulazione qualitativa dei nostri schemi associativi ed aspettative sulla realtà fenomenica. Noi modifichiamo le nostre aspettative perchè queste aspettative le abbiamo, le abbiamo perchè la percezione non si limita ad apprendere il lato dell'oggetto che abbiamo sotto gli occhi, ma lo trascende elaborando la visione dell'oggetto nella sua interezza, comprendente anche i lati per ora nascosti, e questa tensione verso il trascendimento del "qui e ora" è un'attiva presa si posizione del soggetto sulla realtà, cioè ciò che va inteso come "intenzionalità".

Dunque la percezione è attività intenzionale, ma proprio perchè tale, cioè rivolta a dare un senso oggettivo all'esperienza del reale non può essere arbitrarietà, ma motivazionalità regolata dalla passività delle sensazioni che l'oggetto ci comunica. Ragion per cui, trovo fuori luogo le posizioni di tutti coloro che hanno visto la dottrina husserliana fenomenologica della coscienza intenzionale come il ritorno a un idealismo soggettivo, invece penso che sia un realismo critico la posizione gnoseologia più coerente con tale dottrina, almeno per quello che mi è sembrato di comprendere della fenomenologia husserliana


A mio parere fai il solito errore su cosa sia l'idealismo, che non è una posizione rappresentazionalista monista, ma piuttosto una RIVELAZIONE STORICA.

Infatti la posizione critica gnoseologica dell'intenzionalità, è identica, e concordiamo totalmente.

Non concordiamo, o io non concordo su Husserl (visto che in realtà mi sembri anche tu d'accordo sul carattere positivo della sintesi), sul carattere passivo della sintesi. Per Husserl l'oggetto chiede di essere visto in un determinto delta di tempo. Questa mossa, insensata a mio parere, serve al filosofo proprio per evitare una forma trascendente, in cui anche l'io si formi in quanto "proiezione divina", e dunque per stare in una dimensione totalmente anti-metafisica, di sospensione del mondo.

Questo trascendentismo idealista probabilmente viene scambiato come solispsimo percettivo, quando invece è il contrario.
Il trascendente viene dato come epifania proprio nel suo scontro con il reale. Quindi tra Noumeno (cosa in sè) e Dio si situerebbe l'uomo, con la sua intenzionalità attiva.

Per Husserl non esistendo alcun Dio fra L'uomo e il noumeno si porrebbe una dimensione (non so quanto critica, a me pare ugualmente metafisica) intenzionale ribaltata, come se fosse l'oggetto a volersi far conoscere, e non come se l'uomo volesse conoscersi tramite la negazione storica delle sue intezioni.(ma allora dico io è come se fosse l'oggetto DIO. non so se mi spiego).

Ora io non so se questo sia anche il tuo caso, non riesco a desumerlo dalla tua posizione, che mi sembre "semplicemente" quella di salvare il reale in maniera critica. Se la limitiamo solo a quello, senza aprire appunto il problema del trascendente o metafisico che sia, siamo in totale accordo.
#2939
Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AM
Green, il discorso sul bene e sul male per essere efficace  deve essere meno teoretico e più pratico.

CVC non credo alla libertà come valore fondante, in quanto non è fondante, non credo minimanente alla posizione kantiana.
Ma comunque sul fattore di storia come liberazione, come luogo della utopia, a me sta benissimo! Anzi come dire va posto con forza, stando attenti alle trappole mentali che innesca.


Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AM
Il motivo dell'insuccesso della psicanalisi è stato forse quello di non saper uscire dal paradigma della malattia, di non aver saputo mostrare chiaramente cosa sia l'uomo sano.

Il motivo dell'insuccesso è la salita della psichiatria, ma comunque l'errore che hai colto, è di quelli EPOCALi, e dunque hai ragione!!!

Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AM
Il nichilismo ed il post-modernismo non mi convincono perchè non riescono a scendere dalla loro torre intellettuale e per quanti difetti abbia continuo a preferire il cristianesimo come male minore. Il quale non andrebbe inteso solo come fenomeno sui generis, ma piuttosto come anche sintesi della storia che l'ha preceduto, e che paghi quindi I suoi debiti col paganesimo - da cui ha tratto gli esercizi spirituali - e col neoplatonismo. Il dogma della trinità dovrebbe avere il copyright di Plotino

Come già detto prima non ho nulla col cristianesimo, sopratutto come ben dici, nella sua tradizione storica, e dunque magari ascoltando anche le istanze luterane, che poi sono la punta di Diamante del cristianesimo, come pensiero evoluto, come teodicea negativa, all'altezza dei tempi, e non solo come tradizione giudaico-greco-alessandrina come giustamente hai fatto notare. Con tutte le conseguenze politiche a cascata.(una per tutti proprio il ruolo della chiesa).
ma su quello, stanno lavorando abbastanza bene, a partire dal concilio vaticano II, a ratzinger e ora con papa francesco.
(anche se non siamo ancora neppure lontanamente vicini alla sufficienza, vedo una progressione)

Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AM
Paul, il problema è che è difficile o impossibile far sopravvivere il senso del sacro quando non è più incarnato in una persona. La borghesia non essendo stata riconosciuta dagli aristocratici ha spazzato via I re, ma anche la borghesia per espandersi e consolidarsi ha bisogno di un certo ordine, di quel collante che tiene disciplinate le masse che è il senso del sacro. Però, non essendoci più I re, tale sacralità si è tentato di trasferirla sui valori, sulle leggi, sulle tradizioni. Ma rimane sempre un vuoto laddove prima il sacro era incarnato in una persona. Ed è forse anche questo il motivo per cui I vari Mussolini, Hitler, Stalin hanno avuto tanto seguito non appena hanno innalzato il culto della loro persona. Ed è anche il motivo per cui tanti fanno chilometri e si mettono in fila per vedere il papa.

Come scritto a Paul, dipende cosa sia il sacro, Woityla aveva un carisma importante, eppure le cose sono andate male lo stesso.
Direi invece di tornare a parlare di comunità.(esattamente come il concilio vaticano ha fatto).
#2940
Citazione di: paul11 il 25 Ottobre 2016, 23:42:48 PM
Green demetr,
Il cristianesimo è permeante fino a Cartesio che coincide storicamente, più o meno, con la nascita della scienza moderna, fine del medioevo e nascita della borghesia. L'attuale contemporaneità e il suo livello di coscienza ha ben poco a che fare con il cristianesimo.

Non ce l'ho col cristianesimo, ma con alcune trappole mentali che esso stesso ha ingenerato.(tipo il vittimismo, indi per cui Nietzche non ha sbagliato, se però noi non siamo vittimisti, allora Nietzche ha sbagliato. Francamente nella mia vita però ho visto gente capace solo di lamentarsi....)
Trappole mentali che mettono sotto-scacco anche molti intellettuali che si richiamano a valori simil cristiani.

Citazione di: paul11 il 25 Ottobre 2016, 23:42:48 PM
Green, tu pensi che l'etica di per sè e la felicità sia surrogabile con il potere? Il mistico o il martire rumoreggiano nelle loro tombe. Semmai il potere si serve strumentalmente dell'etica per perseguire i fini del proprio potere.

Si infatti avevo scritto che confondere il potere con la felicità è un errore grave.  ;)


Citazione di: paul11 il 25 Ottobre 2016, 23:42:48 PM
Direi così: fin quando l'etica di un popolo corrisponde al Sacro quel popolo è solido come il cemento, perchè l'ignorante teme il Sacro mentre l'erudito si accorge che eleva la propria autocoscienza,lo soddisfa.
Nel momento in cui un'etica è spogliata dal Sacro, decade in morale individualistica in cui i comportamenti sono ipocriti, poichè le esigenze individuali si scontrano con il bene comune.
Oggi il Bene e il Male non sono nemmeno categorie politiche, sono relativizzate al proprio edonismo economico, incorporate nei Beni e Bisogni e al principio dell'Utilità. Quindi sono divenuti funzioni, non finalità.

Agamben ha speso una vita ad illustrare il sacro, è proprio il sacro il segreto nascosto alla forza inane dello stato.
Ma proprio perchè il sacro è il segreto aberrante del cristianesimo, io qui non apro alcuna polemica, solo segnalo il lavoro di uno dei massimi filosofi viventi.(con cui concordo tra l'altro)

Avendone parlato con alcuni amici, che invece vedono il sacro come un luogo di condivisione col divino, dico solo che come dicono sempre i parroci "la carne è debole l'uomo è debole....bla bla bla bla"....e allora invece di parlare di improbabili discorsi con un Dio che NON ESISTE, è morto come ve lo deve spiegare Nietzche? ricordate? Parliamo di queste debolezze. Interagiamo come se noi fossimo realmente deboli, e non con l'arroganza di credere di stare bene.

Purtroppo questo è un problema grave, perchè sebbene le forze DESTRUENS siano condivisibili (sia a destra che sinistra, per così dire), la parte costruens, e cioè ripartire dai cocci, capire perchè si sono rotti etcc....quello è un altro paio di maniche.


Tra l'altro il problema comunutitario sta anche dietro alla chiesa. Non mi pare poi così disastrosa la situazione, anche se più nessuno "parla con Dio". (Ma quello come dice DUC in ALTUM è questione di fede. Il comunitarismo tra fedeli NO.)

A meno che Paul, tu non creda che bisogna stare alle direttive dall'alto della chiesa....cosa che tendo ad escludere visto la questione abborita da te, del potere secolare della chiesa.

Lamentarsi non serve....se non in forma di sfogo.(faccio un pò di psicologia)