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Messaggi - niko

#2941
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
17 Novembre 2019, 20:37:16 PM
Citazione di: bobmax il 17 Novembre 2019, 19:21:44 PM
Citazione di: niko
Ricacciati fuori dal nulla e dall'oblio, rimane solo l'eterno ritorno come prospettiva del dopo morte, per questo invitavo a riflettere sulle possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita, il che determinerebbe in qualche misura come vivere, un'etica che dovrebbe valere anche per i vivi.

L'etica dovrebbe quindi dipendere dalle "possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita"?
Davvero l'etica dovrebbe essere condizionata dall'idea di un eterno ritorno?
A mio avviso, considerazioni di questo tipo possono condurre solo ad una esaltazione della volontà di potenza.

Mentre l'Etica è una sola: Fede nel Bene.

Il nulla assoluto esiste, come possibilità, ed è essenzialmente la possibilità che la fede etica sia un'illusione.
E' l'horror vacui di fronte alla nullità di ogni possibile valore.
Che poco ha a che vedere con la morte in quanto tale, ma ha a che fare con la possibilità che il Bene non sia.

La paura della morte deriva dall'attaccamento all'esserci mondano. Un attaccamento che svanisce quando in gioco vi è il Bene.

Per me il nulla assoluto è, banalmente, la possibilità che non esista nulla. Neanche il nostro pensiero, neanche noi che scriviamo queste cose.

Altrettanto probabile della possibilità che invece esista qualcosa, altrettanto indimostrabile. L'essere potrebbe essere solo un decremento, o un frazionamento, o una visione prospettica del nulla. Da dentro non lo si può sapere.

Questa prospettiva che non esista nulla, niente di niente, ben lungi dall'annullare l'etica come un'illusione, rende possibili un sacco di prospettive etiche nuove e interessanti che se si suppone che esista qualcosa sono più difficili da accettare e da implementare, come quella di un'etica derivante dell'eterno ritorno, quindi per me ben venga, l'ipotesi del nulla assoluto. Semplifica un sacco di cose.

Per me l'etica non è qualcosa in cui avere fede, non è un oggetto di fede, ma una cosa che deve dare felicità, una strategia per essere felici.
Che me ne faccio del bene? Perché dovrei aver paura del vuoto? Il vuoto è leggerezza, è essere accolti da qualcosa che non cade mentre tutto il resto cade.

Dicevo nel mio intervento precedente di escludere il nulla assoluto, perché comunemente la gente lo esclude, comunque il punto è che anche se siamo già nel nulla assoluto, non c'è un nulla relativo della morte in cui andare, non c'è un inizio, non c'è una fine; il procedimento più comune è vedere quel nulla relativo, quello proprio del fenomeno morte, come un nulla assoluto (perché tale è per la coscienza, e tipicamente ci si identifica con la propria coscienza) ed escluderlo, ma nulla vieta di postulare che siamo già nel nulla, in un mondo complessivamente o localmente nullo, e quindi in un ulteriore nulla non possiamo precipitare da morti.
#2942
Citazione di: anthonyi il 11 Novembre 2019, 12:46:44 PM

Comunque nel tuo ultimo post viene fuori la tua ideologia di fondo che si può sintetizzare con quella che negli anni 60/70 era definita "spesa proletaria", cioè andare a rubare nei negozi armati della giustificazione ideologica che "la proprietà è un furto", allora sappiamo le cose come sono andate a finire, la P38, il terrorismo, le leggi speciali, e il carcere.
Il pericolo di un'evoluzione violenta dell'ideologismo/eticismo è sempre presente, d'altronde la tua affermazione che tra chi ha e chi non ha c'è la guerra è già un'affermazione violenta, lo dico per te, rifletti bene prima di scrivere o dire qualcosa, e non perché c'è qualcuno che poi questo qualcosa lo legge/ascolta e poi fa una "differenza antropologica", ma perché tu stesso sei condizionato da quello che scrivi/dici e poi magari potresti trovarti a fare le cose che scrivi/dici senza volerlo.
Un saluto

Sono stanco di questa discussione, proprio per questo cito Antony che chiaramente non condivide il mio pensiero ma almeno lo ha capito, a differenza di altri, che non capiscono o fanno finta di non capire: preferisco mille volte che il mio pensiero sia considerato "rapinatorio", piuttosto che buonista....

Non c'è niente di buonista nel dire che dobbiamo mangiare tutti o sennò ci aspetta un futuro, e un presente, di guerra.

Buonismo è categoria mediatica, è moda, è il pretesto che si usa come argomento per non capire e non ragionare.

Poi che non si conoscano le differenze tra l'indipendenza e lo sviluppo industriale dell'estremo oriente, fenomeno di inizio novecento, e la decolonizzazione dell'africa, che risale al secondo dopoguerra, come se nel frattempo non fosse successo niente, e si rimescoli nel torbido per dire che gli africani è colpa loro se sono sottosviluppati, che dire, è un livello (basso) della discussione che non mi interessa più, ognuno si tenga i pregiudizi che ha..
#2943
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
17 Novembre 2019, 18:27:57 PM
Rispondo a chi mi ha detto di spiegarmi con parole più semplici...

Il nulla non esiste, e quindi in filosofia il nulla dopo la morte, come pensiero filosofico, è l'equivalente di quello che in antropologia è la tomba che segna l'inizio delle antiche civiltà, un costrutto -inesistente prima che l'uomo lo costruisse- che funge da luogo dove "riposare", cioè pretendere di sopravvivere, nell'immaginazione di un oltretomba di qualche tipo o nella memoria dei posteri.

La piramide è fatta di tufo, il nulla di pensiero, ma entrambi sono lì per eternizzare un defunto, la piramide fa segno a un al di là, e pure il nulla, come costrutto di pensiero, fa segno a un al di là, entrambe dicono: "il mondo dell'apparire non è completo, perché oltre a ciò che appare, oltre al mondo sensibile e materiale, c'è pure l'oltretomba e la vita impalpabile del defunto nella memoria, o, in alternativa, pure il nulla, che è comunque anch'esso un oltretomba, e un qualcosa che funge potentissimamente da richiamo del defunto alla memoria."

Il nulla è dunque un costrutto del pensiero inventato con funzione di tomba, una continuazione del culto dei morti con altri mezzi.

Il nulla è speranza come può essere speranza un paradiso con gli angioletti o un nirvana buddista, almeno per due ovvi motivi..

il primo: perché il nulla significa la possibilità di sopravvivere nella memoria dei posteri per chi ne è degno (basti pensare a tutti i popoli che avevano l'epica come enciclopedia tribale, i greci stessi prima della filosofia, chi muore da eroe entra nell'epica, cioè nella vita collettiva del popolo a cui appartiene, tema che c'è anche nei sepolcri del Foscolo).

Il secondo, ancora più grande e ancora più ovvio: perché il nulla è comunque redenzione dalla sofferenza, felicità negativa, non avere bisogni.
Una vita che finisce col nulla, finisce bene, almeno nella lezione di tutti i grandi filosofi che hanno definito il piacere come mera assenza di dolore senza dargli un connotato esistenziale positivo, mi viene in mente Schopenauer, per il quale la vita non finisce per niente con il nulla, ma se per ipotesi (sbagliata) finisse col nulla, finirebbe bene. Se si identifica la vita col desiderio, se si è profondamente romantici o irrazionalisti, non si può che desiderare la morte, se in essa si vede l'avvento del nulla per sé stessi, e quindi la fine dei propri desideri.

Inoltre da un punto di vista epicureo o comunque materialista come si riscontra nella maggior parte dei materialismi, pensare che la vita venga dal nulla e vada a finire nel nulla, giustifica anche in vita, a prescindere dal mio precedente discorso sulla felicità negativa, aver perseguito il piacere e non il dolore, perché il piacere, contrapposto al dolore, è l'unica cosa che vale davanti al nulla da cui veniamo e al nulla che ci aspetta, è l'unica misura dell'esistenza.

Ma il mio intervento voleva dire che la ragione stessa porta a superare il nulla come pensiero del dopo morte, perché il nulla assoluto non esiste, c'è il nulla relativo di quello che ora siamo (appunto diventare scheletro, diventare cenere) ma questo vuol dire diventare radicalmente altro e non annullarsi. Diventare un'alterità inconcepibile e inconoscibile. Infatti mentre il corpo può frammentarsi, il pensiero, il senso del sé, non può frammentarsi, lo diceva già Platone, per il quale l'immortalità dell'anima era data dal suo essere semplice e non composita: le cose composite sono passibili di distruzione -scomposizione-, le cose semplici no: dunque l'anima, che è semplice, sopravviverà al corpo, che è composito.

Con un po' più di razionalità il pensiero del nulla come destino del dopo morte, diventa pensiero dell'oblio, dell'ignoto, del non poter sapere neanche se dopo la morte ci sia il nulla o ci sia il radicalmente altro, ma questo non coglie secondo me ancora la realtà dell'uomo, che è psicosoma, unione di anima è corpo: volendo morire alla conoscenza, entrare dopo la morte nell'ignoto e non necessariamente nel nulla, l'anima vuole morire a se stessa, restare se stessa anche nella morte, vuole affermare di essere fin da ora, fin da  adesso che è viva, pura conoscenza, pura anima: l'oblio, l'entrata nell'inconoscibile, non è un nulla assoluto o qualsiasi, ma è il nulla specifico, "personalizzato" di chi già è, o si ritiene, un ente di pura coscienza/conoscenza: ma noi non siamo pura coscienza/conoscenza, siamo anche corpo e istinto, quindi il nostro destino non può essere solo l'oblio, nella misura in cui fin da ora non siamo solo conoscenza. Non possiamo morire a noi stessi come enti di pura conoscenza, perché non lo siamo, quindi ci sono buone ragioni filosofiche anche contro l'oblio e l'inconoscibilità.

Ricacciati fuori dal nulla e dall'oblio, rimane solo l'eterno ritorno come prospettiva del dopo morte, per questo invitavo a riflettere sulle possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita, il che determinerebbe in qualche misura come vivere, un'etica che dovrebbe valere anche per i vivi.
#2944
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
15 Novembre 2019, 22:38:01 PM
Io penso che anche il nulla immaginato come destino che ci aspetta dopo la morte (come anche il paradiso, come anche la "vita eterna") eternizzi il soggetto, quindi può essere oggetto di paura, ma in fondo anche di speranza.

Il mondo materiale dove viviamo e di cui in quanto esseri corporei siamo un frammento è un mondo fatto solo di essere e divenire, un'ubiquità impenetrabile di essere e divenire che riempie e satura tutto lo spazio e tutto il tempo; nel mondo dell'essere e del divenire il nulla non ha luogo e non ha tempo, non esiste e non sussiste, è a distanza infinita da tutto il resto che esiste; il soggetto immaginando dopo la sua morte di andare a finire "nel nulla" ribadisce la sua pretesa di eterna verità e la sua pretesa di eterna distinzione egoica dal mondo, il nulla è un fuori-luogo rispetto al mondo reale e materiale in cui si potrebbe davvero morire, una tomba antropomorfa -faraonica- dove fingere di morire per -in realtà- non morire mai, è la pretesa che le categorie veritative e percettive già proprie dell'umano vivente possano esistere e trionfare anche da vuote: spazio vuoto, tempo vuoto, verbo vuoto, campo della coscienza vuoto.

Conosciamo il nulla "della morte" per analogia col sonno e con l'osservazione dei nostri simili morti, e lo conosciamo come un nulla gnoseologico, non come un nulla ontologico: i morti, e gli addormentati ci sono, ma non sanno di esserci, ci sono, ma non nello stesso senso in cui lo intendono i vivi normalmente.


Il nulla quindi come campo della possibilità che deriva ed è rivelato dal toglimento dell'insieme completo degli enti senza che questo toglimento completo degli enti sia e possa essere il toglimento dell'essere stesso come accadimento impersonale: togliendo l'insieme dei contenuti di coscienza resta il campo vuoto di una possibile e potenziale ulteriore coscienza, il consumarsi impersonale di qualcosa che comunque non è un nulla, un nulla gnoseologico che non è un nulla ontologico, l'appercezione come unità vuota, riferita al vuoto stesso.


L'autocoscienza è quello che definisce gli esseri evoluti, gli uomini nel loro sentirsi "animali superiori",  ma il punto è proprio che l'autocoscienza, a differenza della coscienza, che è sempre piena e pregna dei contenuti del mondo e con questi contenuti si identifica, può essere anche vuota, può essere anche pura coscienza di sé stessi in assenza di sensazione interna e stimolo esterno; per questo gli esseri autocoscienti hanno coscienza di morte, perché possono immaginare le loro categorie conoscitive anche come vuote, non perturbate dal mondo, dall'altro da sé, e immaginare questa condizione permanente come fantasmaticamente proiettata sul morto e sull'inanimato: possono, pur non conoscendo veramente la morte, farsene un'idea per analogia, per metafora, per narrazione.

E' l'estrema implosione del soggetto su sé stesso, pesare che la verità sia nell'essere della coscienza -come invariante- e non nel contenuto -variabile- che gli eventi del mondo apportano alla coscienza, pensare che le categorie kantiane possano esistere anche da vuote, ma questo già di per sé implica l'oblio, il pensare che quello che un tempo fu coscienza-del-mondo possa di passare all'eternità come coscienza-di-nulla.
Il nulla come inconoscibile quindi, cioè l'eternità stessa dell'anima e dell'essere disincarnato: tutto nell'anima è coscienza o conoscenza, l'inconoscibile non è un nulla qualsiasi, è specificamente il nulla dell'anima, dell'essere che si autodefinisce come cosciente e conoscente e si rispecchia in questa attività, che nel pensiero del suo eventuale (o certo) smettere di conoscere, nel pensiero del suo passare dalla conoscenza nell'oblio, vede tanto il suo divenire altro da quello che ora è, quanto il suo essere fin da ora un essere (conoscente) diverso dagli altri esseri (non conoscenti).

Il nulla è nulla, quindi è facile riconoscere che non è possibile andarci a finire nemmeno dopo la morte; quindi dopo la morte si pensa che ci sia un'alterità inconoscibile, un oblio, un nulla che non è il nulla assoluto -che non esiste- ma il nulla della cosa che nel quadro del divenire complessivo del tutto si è trasformata in altro da sé -il nulla della legna che diventa cenere, o di una cosa che non è un'altra-, ma questo oblio è il trionfo dell'anima, la cui nullità in morte è oblio, il che prova a posteriori che la sue essenza in vita è sempre stata -fu- conoscenza.

Non potendo andare nel nulla, si pensa di poter andare nell'oblio, ma questo vuol dire pensare di morire alla conoscenza che fin da adesso si è, e quindi pensare di essere conoscenza, e credere di comprovarlo avendo l'altro da se come limite alla conoscenza, come numeno, come  pensabile non-conoscibile. E' la vittoria della mente e dell'astrazione sulla materialità e sul corpo, sull'istinto.Si muore, e non si conosce più:questo è l'assunto di chi pensa dopo la sua morte di finire nell'oblio: egli ha quindi la soddisfazione di poter dire, in vita sono sempre stato conoscenza, non sono mai stato il mio corpo, il mio sangue, la mia molteplicità, i miei umori più sporchi. Egli ha la soddisfazione di porre l'anima, il razionale, la testa, sul corpo e sulla materialità. Il suo nulla è oblio, è un nulla di conoscenza, non è la putrefazione, non è l'essere mangiato dai vermi, non è la disgregazione del suo corpo. Questo oblio gli garantisce a posteriori di essere sempre stato quella coscienza che non è più. Che da un certo punto in poi non sarà più. E' il surrogato nascosto di quello che in una religione sarebbe un paradiso, o un ade, o un qualche tipo di posto dove sopravvivere. Passare dall'unità dell'essere all'unità del nulla non è un disgregarsi; è al limite un passaggio di campo. Egli muore alla sua coscienza e alla sua conoscenza, non al suo istinto animalesco e al suo corpo.  Ma come può la conoscenza morire realmente? Non ha corpo, non ha tempo... il suo assentarsi è comunque una continuazione dell'essere e non un nulla, un campo vuoto aperto all'ulteriorità, alla possiblità di nuova conoscenza. La finitezza della conoscenza è la sua verità. Non dipendere più dalla narrazione, dalle cose, dalla storia. E' necessario che l'esperienza della conoscenza a un certo punto finisca, se l'oggetto della conoscenza lo si pone come (almeno in parte) conoscibile ed eterno. Pensare di smettere di conoscere è, filosoficamente e psicologicamente, molto più accettabile che pensare di smettere di esistere, nel pensare di smettere di conoscere il problema della morte è comunque eluso. La morte è la molteplicità che già siamo, la non-conoscenza che già siamo. Non il fatto che smetteremo di conoscere, ma la vita come illusione, il fatto che non abbiamo mai conosciuto nulla.


Del resto, anche da un punto di vista materialistico, come non siamo sicuri del nulla, non possiamo essere sicuri neanche dell'oblio, perché le condizioni fisiche che generano il nostro corpo potrebbero essere reversibili. Nell'infinità del tempo e dello spazio è possibile che lo siano. Il nostro corpo, o la nostra coscienza, potrebbero essere rigenerabili, sia tecnicamente che naturalmente.

Se la vita è effetto, non sappiamo nulla della sua causa. Non conosciamo la possibilità o no del ripresentarsi di quella specifica causa che determina la nostra vita come effetto ciclicamente o distanza nello spazio e nel tempo, ripresentarsi che, se avvenisse, smentirebbe il nostro stesso sentirci unici, la nostra stessa coscienza di morte.
#2945
Citazione di: anthonyi il 10 Novembre 2019, 20:39:06 PM
Citazione di: viator il 10 Novembre 2019, 19:26:02 PM
Salve. A parte le polemiche (e mi sentirei di dar ragione a niko a proposito di certi apprezzamenti ed ipotesi di anthonyi che trovo essere espressione - come minimo - di un certo manicheismo), anch'io sarei non certo per la liberalizzazione selvaggia di certe sostanze, ma per la depenalizzazione del loro uso, la loro distribuzione monopolizzata e controllata dallo Stato, il divieto di libero commercio.


Ciao viator, io non ho espresso opinioni sulla legalità della droga, anche perché è OT, facevo solo notare come nell'etica flessibile di Niko, lo spaccio di droga effettuato da persone di colore sia diventato eticamente accettabile.

Si parlava di parassitismo sociale, a me non interessa il colore della pelle, ma capire bene cosa si intende per parassitismo sociale, se è più parassita la società mondiale ingiusta, che distribuisce iniquamente le risorse, o chi la rifiuta, magari fuggendo dove la ricchezza c'è, e procurandosela come può. 

Chi delinque per necessità, bianco o nero che sia, è molto meno parassita di certe altre "persone normali" che ci stanno in giro.

Come diceva un predicatore tedesco del 1500, sono i principi e i potenti della terra che hanno fatto del povero un nemico. Essi si appropriano dei pesci nell'acqua, degli alberi sulla terra e degli uccelli nel cielo, e poi pretendono che per il povero valga il comandamento "non rubare".

E non provare a rigirare la frittata con me, che non attacca.
#2946
Citazione di: anthonyi il 10 Novembre 2019, 08:04:43 AM
Permettimi Niko, un ultimo commento al tuo ultimo post che rasenta il delirio. Arrivi anche a proporre la liberalizzazione della droga per giustificare quegli immigrati che, nel nostro territorio, si dedicano a questa attività criminale.
Tu confondi il diritto e la realtà con le tue visioni ideali, non so se sollecitate da quelle sostanze che tu vorresti legalizzare o meno.
Eppure hai dato molto spazio al mio esempio sull'Impero Romano dando l'impressione di avere, in un momento di lucidità, percepito l'essenza della questione. Da questa parte gli indigeni sono persone normali, con la loro vita, le loro abitudini, il loro modo di essere, i loro problemi quotidiani, e il diritto, per quanto imperfetto, deve pensare innanzitutto a loro, perché sono loro i pilastri sui quali si regge questa società indigena, sono loro cioè che bene o male producono quelle risorse (Che non sono inegualmente distribuite, ma sono inegualmente prodotte perché da questa parte ci sono persone che sanno produrre meglio) che sono necessarie agli stessi indigeni e che sono sovrabbondanti per cui ne avanza anche per aiutare quelli che sono in condizione di bisogno, solo che se permetti, le forme e i modi per aiutare chi è in condizione di bisogno le decide chi ha prodotto quelle risorse senza subire imposizioni da presunti bisognosi o fondamentalisti etici di ogni genere.
Un saluto


Beh Antony, già intravedo dal tuo discorso due categorie di persone a cui ti senti antropologicamente superiore...

prima categoria: me e tutti quelli che come me sono per la liberalizzazione della droga, che secondo te sarebbero essi stessi una massa di drogati e per lo più sosterrebbero l'argomento della liberalizzazione in quanto parte del loro delirio da drogati. Che un non drogato, una di quelle che tu definisci persone normali, possa avere delle idee diverse dalle tue in materia di proibizionismo e liberalizzazione rimanendo con ciò una persona razionale e degna di rispetto non ti passa nemmeno per l'anticamera del cervello.
Come non ti è passato nemmeno per l'anticamera del cervello di seguire concretamente come è nato e si è evoluto il discorso, discorso in cui l'argomento spacciatori era uscito fuori solo come un dettaglio per parlare di etica del lavoro e aspetti positivi e negativi del socialismo reale. Raccogliere quel dettaglio per attaccarmi personalmente e darmi del presunto o reale drogato ti qualifica per quello che sei, e sei pure un moderatore, complimenti davvero.

Io non mi sono mai fatto nemmeno uno spinello e penso che la civiltà di uno stato si misura in base a quanto riesce a dare risposte ai problemi eticamente sensibili senza vietare quello che non è vietabile e se vietato resta disponibile sul mercato nero. In percentuale ci sono molte più persone carcerate per spaccio che per reati violenti, ne posso dedurre che perseguire una società libera dalla violenza è meno prioritario per questo stato che reprimere l'uso di droga e lasciarlo in mano alla mafia, alla faccia dei proclami sulla sicurezza.

seconda categoria: la totalità delle popolazioni del terzo mondo (che secondo te non saprebbero produrre ricchezza "bene quanto noi" e di conseguenza secondo te non patiscono ingiustizia - quella che io ho definito iniqua distribuzione delle ricchezze- se muoiono di fame o non hanno welfare: i "negretti" muoiono di fame in quanto pigri o stupidi, se producessero "bene quanto noi" non morirebbero di fame; è evidente che argomenti quali il colonialismo, l'imperialismo, l'impossibilità ambientale e umana di raggiungere tutti lo stesso livello di sviluppo non li conosci o non li accetti, sennò non diresti questa immane cavolata). Io, secondo te sarei un integralista etico, perché dico che tra due esseri umani, se uno mangia e l'altro muore di fame, questa è guerra. E la guerra deve finire in uno stato di equilibrio in cui mangiano tutti e due. Allora anche tu sei un integralista etico. Dici che non sanno produrre "bene quanto noi". "bene" implica un giudizio. Non bene, un giudizio negativo. Che dai di miliardi di persone. Senza conoscerle. Come del resto non conosci me quando mi dai del drogato. Ti prendi una confidenza che nessuno ti ha dato.

E non sei solo tu che insisti con la categoria del buonismo, io avevo parlato del cattivismo per fare una battuta, una battuta che dimostrasse l'assurdità della realtà sdrammatizzandola, è ovvio che non divido il mondo in buonisti e cattivisti... ma vedo che vengo preso stranamente sul serio e non solo da te, è evidente che molta gente dalla categoria (mediatica, sottoculturale e modaiola nel senso peggiore del termine) del "buonismo" veramente non sa emanciparsi, e me ne dispiaccio.

Se io rasento il delirio, "noi -rispetto ai paesi più poveri- "sappiamo produrre meglio", rasenta il razzismo culturale, che è il motivo originario dell'apertura di questa discussione.
Quelli che "sapevano produrre meglio", tanto sapevano produrre meglio che hanno prodotto le armi, e le ideologie, e le navi negriere per conquistare e sterminare il resto del mondo. E rimanere in vantaggio per sempre. Perché il problema non è nemmeno solo economico ma interumano. Di rapporti umani. Non si vuole solo avere tanto, si vuole avere più dell'altro per esercitare sull'altro potere e lasciare l'altro in condizioni di subordinazione. 

Non raccolgo né i saluti ipocriti né le provocazioni.
#2947
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2019, 17:25:54 PM
Ci sono due aspetti dell'immigrazione clandestina che non c'azzeccano col comunismo classico marx-leninista:

1) A "ciascuno secondo i suoi bisogni" ha il corrispettivo dialettico in "da ciascuno secondo le sue capacità" . Se le capacità con cui si contribuisce al sol dell'avvenire sono solo quelle di un'inarginabile prolificità non credo che la patria socialista avrebbe grosse possibilità di sopravvivenza.  I compagni cinesi la pensavano cosí e invece di Nigeria sono diventati Cina.

2) L'esito di quanto sopra non è un armonioso paradiso socialista, ma la crescita del parassitismo sociale, inviso  più ai comunisti veraci che ai credenti nel paradiso capitalista. E' noto che lo stile di vita di zingari, questuanti , spacciatori e lenoni non era particolarmente apprezzato nelle terre del socialismo reale, non certo accusabili di razzismo e fascismo.

In conclusione direi che l'etica comunista (del lavoro) mal si sposa con ogni forma di parassitismo e non solo con quello dei padroni.
Si è prolifici perché non industrializzati, non non industrializzati perché prolifici. E' la mancanza di welfare come ingiustizia sociale patita che porta i miserabili e gli oppressi di tutto il mondo ad essere prolifici, infatti i figli sono, o meglio surrogano, il "welfare" (l'assicurazione per il futuro) che al contadino o al proletario nel senso antico del termine manca. Da vecchio, se non hai la pensione dallo stato, o ti mantengono i figli o crepi. 
E questa mentalità non può morire in Nigeria finché la Nigeria non si sviluppa, e in Nigeria non si introduce un sistema di pensioni. In condizioni estreme di povertà, si è prolifici anche per puro e insopprimibile desiderio umano e istinto quasi animale di vedere qualcuno dei figli sopravvivere, oltreché come forma primordiale di welfare nella speranza che in vecchiaia ci mantengano i figli, perché in condizioni di estrema povertà o precarietà esistenziale, qualcuno della linea di sangue ha maggiore probabilità di sopravvivere se i figli sono molti di numero. Quasi tutti gli animali tranne l'uomo, che sono in condizione di precarietà esistenziale in natura, fanno così. I poveri figliando come conigli si ribellano all'estinzione e alla prospettiva di essere sostituiti geneticamente dai ricchi. A cui bastano uno o due figli per mantenere la linea di sangue, perché quegli uno o due figli mangeranno e staranno bene. Così sarà, per sempre sulla terra, finché ci saranno poveri e ricchi. 

Confondere la causa con la conseguenza, dire "sono miserabili perché prolifici", e non come stanno le cose veramente, prolifici perché miserabili, non aiuta. Il marxismo è soprattutto osservazione scientifica della società, che mette le cause al posto giusto, e le conseguenze al posto giusto. Noi italiani, eravamo prolifici come la Nigeria duecento anni fa, ci siamo sviluppati, abbiamo smesso di essere prolifici. E adesso abbiamo il problema opposto, che siamo pure troppo poco, prolifici. Qualcosa dovrà pur significare. Quindi un marxista non è qualcuno che fa la morale ai poveri che figliano perché figliano, è qualcuno che crea e difende per un modello di società che offra soprattutto ai poveri delle alternative geneticamente, culturalmente e socialmente valide al figliare a casaccio, come le pensioni, la sicurezza sociale, condizioni di vita per cui anche ai poveri uno o due figli bastino a non estinguersi nella linea di sangue, situazione che nei secoli è sempre stata quella tipica ed esclusiva dei ricchi.

Quanto al parassitismo, il vero parassitismo è la distribuzione mondiale iniqua delle risorse, la distribuzione mondiale iniqua del lavoro, da cui l'immigrato fugge e ha sempre il diritto di fuggire. Noi nella massa degli immigrati vogliamo distinguere chi scappa dalla fame da chi scappa dalla guerra, e dire che chi scappa dalla fame ha certi diritti, chi scappa dalla guerra altri, chi è perseguitato politico altri ancora, ma la cruda realtà è che la fame è guerra e la guerra è fame. Non c'è una vera distinzione. Se io ho fame e il cane del mio vicino deve andare in palestra perché è obeso (negli stati uniti esistono le palestre per i cani obesi), io sono in guerra col mio vicino. Questa guerra è evidente a tutte le persone razionali e di buona volontà, non ha bisogno di essere dichiarata. Anche le cose che ci sembrano, e che dal nostro punto di vista sono, giuste e sacrosante, come le pensioni, la sanità, il relativo benessere economico per cui da noi non muore di fame nessuno, il nostro welfare, grondano del sangue di chi da altre parti del mondo quel welfare e quel relativo benessere non ce li ha. E' la distribuzione iniqua delle risorse e del lavoro che permette il relativo benessere da noi, e se qualcuno viene alle nostre porte ha tutto il diritto da un punto di vista planetario e terrestre di venirci: lui, che non ha niente, sta venendo sacrificato perché i nostri vecchi abbiano almeno la pensione minima e i nostri barboni possano mangiare almeno alla caritas, poi da un punto di vista nazionale e continentale non so, se è giusto e se ha il diritto di venire, ma non voglio neanche saperlo, Semplicemente io mi rifiuto di assumere un punto di vista nazionale o continentale, sono terrestre e ragiono da un punto di vista terrestre.

L'etica del lavoro mi interessa meno di niente, superare il lavoro salariato non mi sembra un buon pretesto per prendersela con nomadi, mendicanti, piccoli criminali e prostitute, che già ne sono fuori. Se i regimi del socialismo reale lo hanno fatto, hanno fatto male a farlo. Avrebbero dovuto piuttosto valorizzare il loro sapere e farne tesoro, farsi spiegare come si esce dal lavoro salariato da chi ne è già fuori.  Lo spacciatore poi, vende qualcosa che dovrebbe essere legale vendere in maniera controllata e regolata, ma lasciamo stare..

Dire che l'immigrazione distrugge ricchezza invece di redistribuirla è l'unico che mi sembra un buon argomento contrario ai miei, Antony faceva l'esempio dell'impero romano: i barbari volevano godere dello stesso benessere dei romani, sono entrati a forza nei loro confini, e il risultato è stato che l'impero è crollato, nel senso che non ne hanno potuto più godere ne i barbari ne i romani, che la ricchezza che quell'impero rappresentava non è andata redistribuita, come in un certo senso speravano e si illudevano i barbari, ma distrutta. A seguito di un'invasione a tratti pacifica, a tratti guerresca, come quella dei barbari ai tempi dei romani, che viene paragonata a quella degli immigrati ai giorni nostri, l'impero è crollato e la festa è finita per tutti, sia per quelli che ne godevano, che per quelli che non ne godevano e ne avrebbero voluto godere.

Che dire, prendo molto sul serio questo argomento, per me vale sempre la pena di distruggere una società ingiusta anche solo perché ingiusta, come un impero che divide la terra in inclusi ed esclusi, ad esempio in barbari e romani, e di rischiare una distruzione della ricchezza di questo impero pur di tentarne una redistribuzione, ma posso capire che per molti non sia così. Dalla distruzione dell'impero romano ci siamo risollevati in qualche modo, e mi piace pensare che quella civiltà non era giusta appunto perché non comprendeva tutti, perché c'erano dei "barbari", cioè degli esclusi. Ci risolleveremo anche dalla distruzione di questa società se essa è ingiusta, e così via finché non ne sorgerà una giusta o non ci estingueremo tutti. Vedere l'immigrato come il barbaro che viene a invaderci è qualcosa che possiamo superare, e ad esempio si può vedere con altri occhi la storia dell'impero romano, che è crollato per la sua decadenza interna, più che per il barbaro invasore.
Il cristianesimo per esempio ha contribuito, nel bene e nel male, a distruggere l'impero molto più dei barbari, e dovremo vedere quali sono oggi le tendenze di pensiero e di cultura che ci fanno decadere, o progredire a seconda di come le intendiamo. Tendenze di pensiero e di cultura che riguardano anche noi, che sono o possono essere già da ora le nostre, non importate dai barbari.
#2948
Citazione di: viator il 09 Novembre 2019, 00:27:31 AM
Salve Niko. Hai voglia discuterne tra di noi. Impossibile intendersi poichè tu e molti altri affrontano questi problemi armati di buoni sentimenti e pieni di attenzione per i (comprensibilissimi e rispettabilissimi) problemi esistenziali dei SINGOLI COINVOLTI.
In poche parole, voi privilegiate il particolare, l'umano, il sentire.

Io e qualche altro - invece - pur consapevoli che risulteremo ingiusti od offensivi per i singoli, ci concentriamo sul problema sociale COLLETTIVO, senza riguardo per casi singoli, poichè il problema nel suo insieme NON SI PUO' RISOLVERE ACCONTENTANDO TUTTI QUELLI CHE HANNO BISOGNI, ALTRIMENTI SI SPARGE LA VOCE E NEL GIRO DI UN PAIO DI ANNI ARRIVEREBBERO TRE O QUATTROCENTO MILIONI DI PROFUGHI, TUTTI - secondo il vostro punto di vista - bisognosi e meritevoli di tutto quello che a casa loro manca.

L'atteggiamento pietistico rappresenta solamente il suicidio sociale, demografico, economico del Paese che lo adottasse.

Ecco perchè questi problemi vanno affrontati come i tanti altri argomenti di ampio respiro che una politica, un'etica, un governo dovrebbero affrontare. IN MODO POSSIBILMENTE EQUO PER TUTTI MA SENZA BADARE AI CASI PERSONALI DI NESSUNO.
Si chiama dura lex sed lex. Saluti.

Voi non vi concentrate sul problema sociale collettivo, neanche per idea, almeno non da un punto di vista etico-universalista secondo cui tutte le vite dei sette miliardi di terrestri volgono lo stesso e tutti i terrestri possono mangiare, bere e curarsi da malattie curabili lo stesso; altrimenti converreste con me che ben venga "il suicidio sociale, demografico ed economico dell'Italia" se questo suicidio redistribuisce verso la media le ricchezze del mondo in generale e salva dalla fame un po' di gente dell'africa, dell'America latina, dell'asia eccetera.

Non è pietismo, è comunismo: prima di pensare a stare tutti meglio, dobbiamo togliere l'ingiustizia dalla terra, pensare a stare tutti in condizioni uguali, o almeno simili. Altrimenti il ciclo dell'ingiustizia, dell'invidia e della guerra è infinito: uno ha più di un altro, comincia una guerra, la guerra non fa che creare ulteriore caos e ulteriore concentrazione ingiusta di ricchezza eccetera. E' così da millenni, ma bisogna farla finita, assecondare tutte le tendenze che portano a farla finita con l'ingiustizia sulla terra, compresa l'immigrazione e il conseguente diritto per chiunque voglia migliorare la propria condizione (quasi sempre ingiusta, perché dovuta a una distribuzione a monte ingiusta della ricchezza) di andare dove vuole. Fregandosene dei confini, che esprimono gli stessi rapporti di forza ingiusti per cui la ricchezza è distribuita ingiustamente.

L'Italia non ha diritto a consumare più risorse del mondo di quanto gli spetterebbe per la quota degli abitanti del mondo che rappresenta, se ne consuma, se mangia mentre gli altri muoiono di fame, è ora che scenda, e che altri salgano. Questa è la vera "dura lex sed lex" applicata a un problema collettivo razionalmente considerato.

Antony tu hai scritto:

"Io non darei ai cosiddetti buonisti il monopolio dell'umanità anche perché poi ci sono tanti modi di essere umani (anche Hitler e totò Riina lo erano) eccetera.."

Dunque io che ti leggo mi ritrovo il luogo comune dei "i cosiddetti buonisti" non solo nelle chiacchiere che già mi tocca sentire sull'autobus, al lavoro e nei social (e già non se ne può più), ma anche su un sito che dovrebbe essere di riflessioni un po' più serie e profonde...

Ti dico solo che qualsiasi etica cristiana, illuminista settecentesca o socialista ottocentesca applicata fino in fondo e in modo non ipocrita implica il rispetto degli ultimi e dei disperati e del loro sogno di un mondo migliore; implica che non si definisca un barcone di immigrati un'allegra gita o una maldestra navigazione. Io, nel chiedere un linguaggio rispettoso e non negazionista di quello che succede nei centri di detenzione in Libia e sui barconi degli immigrati, sono nella miglior tradizione degli ultimi mille anni circa della mia storia e della mia terra.
E non temo che gli immigrati la possano distruggere, questa mia tradizione, perché è una tradizione che si può tramandare, a tutti, quindi anche a loro.
Vorrei sapere a questo punto quali sono le tradizioni e i riferimenti filosofici (e magari religiosi) dei (da me, da ora in poi) cosiddetti cattivisti, visto che secondo alcuni, ormai purtroppo molti in Italia, esistono i buonisti. Perché se esistono dei buonisti, esisteranno pure dei cattivisti, no?
#2949
Citazione di: viator il 06 Novembre 2019, 18:33:32 PM
Salve Niko. Ti leggo come un poco arrabbiato con me. Io amo l'ironia e sono completamente privo sia di tabù che di umana misericordia.
Che vogliamo farci ? Perchè il buonismo con poca spesa possa venir lodato, apprezzatto ed imitato dovrà ben confrontarsi con l'esistenza di biechi cinismi quali il mio, no?.

D'altra parte il caso singolo che io ho portato ad esempio e così crudamente commentato non mi sembra meriti misericordia, visto che nei post qui sopra trovo scritto che ritrovarsi in Italia a chiedere l'elemosina dovrebbe venir considerato una fortuna rispetto alla situazione che si è lasciata in patria.

Comunque non inquietarti più e scusami se ho irritato qualche tua sensibilità : l'importante è dare retta a fonti come la Santa Sede e l'ONU, note per la loro coerenza (la Santa Sede per il suo patrimonio immobiliare - l'ONU per il rispetto che porta ai veti di tre dei suoi membri).


E' incredibile come si viene fraintesi facilmente, io avevo messo, dopo una breve selezione, fonti della santa sede e dell'onu per non sentirmi dire che le mie sono fonti di sinistra, ma ne avevo trovate tante simili, come avevo scritto, decine di altre, avevo messo in fine la santa sede e l'onu, tra le decine di fonti simili sui lager libici che avevo trovato,  perché alla fine mi sembravano le meno accusabili di essere di sinistra o parte di un complotto da parte di chi vede bolscevichi e massoni complottisti ovunque pur di supportare la sua tesi.

Non è questione di non farsi la doccia per due settimane (come dice Antony) ma di vere e proprie torture, botte, ustioni, stupri, basta googlare lager libici, nenache ci sto a perdere tempo a mettere altri link, ripeto, ce ne sono decine...

Ma soprattutto, tu, Viator, hai scritto:

"D'altra parte il caso singolo che io ho portato ad esempio e così crudamente commentato non mi sembra che meriti misericordia, visto che nei post qui sopra trovo scritto che ritrovarsi in Italia a chiedere l'elemosina dovrebbe venir considerato una fortuna rispetto alla situazione che si è lasciata in patria"

Ecco. E' questo il punto fondamentale. L'affermazione non è soggettiva ma oggettiva. Tu cerchi di trasformarla in una mia affermazione soggettiva per fare polemica, ma io volevo semplicemente enunciare un dato di fatto e un pensiero statisticamente molto diffuso che evidentemente è nella mente di milioni di immigrati, visto che milioni di persone emigrano.
Perché non siamo ne io e ne te a dover stabilire se venire qui in Italia a chiedere l'elemosina sia o no un miglioramento rispetto alla situazione che si lascia emigrando da un paese straniero.
Io e te potremo discuterne per mesi, e sarebbe una discussione sterile, e anche abbastanza inutile.

C'è il dato oggettivo, cioè non discutibile e non parte della discussione, che la gente emigra e continua ad emigrare, quindi secondo molta gente, la risposta è sì, venire qui in Italia anche a chiedere l'elemosina è un miglioramento, è lapalissiano che secondo loro lo è, sennò non emigrerebbero. Quantomeno accettano il rischio, di non trovare niente di meglio che l'elemosina, o comunque a tempo indefinito si accontentano di quella come attività. 

E uno per cui arrivare a chiedere l'elemosina davanti a un supermercato è un miglioramento, è oggettivamente un disperato...
cioè uno che in origine si trovava a un punto della scala sociale ed esistenziale ancora più basso di quello che secondo noi, nella nostra percezione, è chiedere l'elemosina davanti a un supermercato, e ha dovuto fare uno sforzo, correre dei rischi per arrivare a quello, che è comunque uno stato secondo noi ancora miserabile e disprezzabile.
Stava ancora peggio di com'è stare a chiedere l'elemosina davanti a un supermercato, ed ha dovuto impegnarsi per avere quello come progresso. In altri termini era obbiettivamente un disperato. E una volta arrivato a chiedere l'elemosina davanti al nostro supermercato lo è rimasto, un disperato, ma probabilmente un po' meno disperato di come era prima, visto che mediamente per loro, per gli immigrati, ne vale la pena comunque di arrivare, e continuano a correre dei rischi, e spendere dei soldi,per arrivare.
Noi italiani non corriamo dei rischi e non spendiamo dei soldi, e non lasciamo la famiglia, e non ci sottoponiamo a stress fisici ed emotivi per arrivare al "grande traguardo sociale" di chiedere l'elemosina davanti a un supermercato, perché per noi quello non è un traguardo. 
Dunque come volevasi dimostrare alla base dell'immigrazione c'è la fame e la disperazione o comunque il sogno di elevare la propria condizione sociale anche solo di pochissimo e partendo da punti spesso bassissimi.

E poi, mi fa ridere il grande scandalo secondo cui gli immigrati scroccherebbero in nostro welfare.
Ma fatemi capire, se uno nasce in un paese dove il welfare non c'è, e sa che c'è un altro paese raggiungibile sia pure a costo di certi rischi dove il welfare c'è, non ha tutto il diritto di provare a salvare o a migliorare la sua vita provando a raggiungere il paese dove il welfare esiste?

Noi abbiamo la pensione di anzianità, la sanità quasi gratuita, il reddito di cittadinanza, forme indirette di welfare. Non sono cose che migliorano la vita, ma che la slavano. Senza pensione si muore. Senza sanità si muore. Chi non ha queste cose, ed è nella prospettiva di morire, prova ad emigrare. Semplicemente per non morire. Il vero scandalo è la mancanza di una giustizia globale, il fatto che esistano paesi in cui il welfare c'è, ed altri dove non c'è. Non che qualcuno "prova a scroccarci il welfare". Il welfare è un diritto. Vivere è un diritto. Per tutti gli abitanti della terra, non solo per alcuni.
#2950
Citazione di: baylham il 06 Novembre 2019, 10:39:16 AM
Citazione di: anthonyi il 06 Novembre 2019, 07:44:20 AM
Ciao Niko, c'è una cosa che accomuna gli Italiani, la faziosità. Il fatto che una volta che hai preso una posizione di parte accetti solo i ragionamenti che sono da quella parte. Io non sono fazioso, sono razionale e non riesco a concepire razionalmente come un tizio possa essere alla fame e spendere 5000 dollari per un viaggio verso l'Europa. Con 5000 dollari in Africa non si può solo mangiare, si può anche organizzare un'attività d'impresa in loco. Il punto è che venire in Italia conviene, perché si usufruisce dell'assistenza pubblica e poi magari si arrotonda con l'accattonaggio o con lo spaccio di droga (Naturalmente non mi sono dimenticato di chi viene in Italia per lavorare, nel rispetto della nostra legge sull'immigrazione, ma riguardo a questi, che sono i soli che assomigliano ai nostri emigrati di un tempo, io non ho nulla in contrario).
Un saluto

Devi pensare che alle spalle dei migranti c'è spesso un gruppo famigliare allargato, che i migranti assumono spesso un debito "usuraio",  che stanno facendo un investimento.

Gli immigrati attualmente integrati che sono entrati in Italia con tutti crismi della legalità sono una infima minoranza.

Il commercio di droga è una attività economica, alla domanda corrisponde l'offerta.
L'attuale legislazione e quindi gestione dell'immigrazione favorisce, promuove la delinquenza degli stranieri. Solo gli ipocriti si scandalizzano delle statistiche dei carcerati: attualmente agli immigrati anche nella delinquenza sono riservati i ruoli di manovalanza. Ma miglioreranno, imparando dalle associazioni criminali italiane emigrate all'estero.

Mi piace questa sostanziale uguaglianza degli uomini, ulteriore sconfessione del razzismo, che esalta differenze fisiche insignificanti.

Direi anche che non è facile organizzare una piccola attività di impresa anche avendo un discreto capitale iniziale in un posto come un paese medio del terzo mondo in cui con ogni probabilità c'è guerra, instabilità sociale, difficoltà di aprovvigionamento, concorrenza di multinazionali o gruppi criminali, mancanza di libertà politica e democrazia, assenza di stato sociale, rischio di malattie eccetera, alcuni se possono organizzeranno imprese, per altri l'unica possibilità sarà usare quei soldi per emigrare, come la vita e le situazioni sono varie.

Mi dispiace, ma se si parla di faziosità dovresti vedere l'ultimo post  di Viator...

Cosa si intende nel suo post con lager tra virgolette, scafisti tra virgolette, l'arrivo in un lager descritto come "un trionfo" per chi ci arriva, le torture messe in forse, il lager descritto come un luogo da cui "si sarebbe potuto scappare", come se la colpa di non essere scappato fosse di chi ci è stato dentro o il lager stesso fosse aperto all'entrate e all'uscita degli internati come un luna park...

Italia come porto sicuro tra virgolette (come se anche la Libia e altri luoghi in cui i migranti rischiano la tortura fossero anch'essi un porto sicuro, o come se in generale la sicurezza di chi è alla deriva nel mare non fosse a rischio) una nave di migranti definita più volte con spregio per la vita umana come una nave di "allegri gitani paganti", come se i migranti non rischiassero la vita e come se non fosse risaputo che molte altre navi in condizioni simili sono affondate, e la conta dei morti è altissima.

E ancora "raccolti i 351 gitani o almeno quelli sopravvissuti alla troppo maldestra navigazione" è detto con spregio per la vita umana, perché un viaggio in cui degli esseri umani rischiano la vita viene definito "maldestra navigazione", si mette in dubbio che qualcuno possa essere morto (non sopravvissuto) quando è risaputo e documentato che in casi simili molti muoiono o vengono uccisi dagli scafisti, sempre come se il viaggio dei migranti fosse una crociera.

La faziosità, quella vera, arriva a negare l'esistenza di un luogo di tortura per ironizzarci sopra.

Che esistono i lager in Libia non lo dicono quattro giornali di sinistra o un complotto della finanza internazionale: lo ha detto ad esempio il papa, lo ha detto l'onu, lo hanno detto autorevoli reti televisive come la 7, ci sono foto, interviste, documentazione medica, denunce, indagini giudiziarie che lo provano, potrei postare decine di link e fonti...

Il papa si sputtanerebbe a dire che i lager libici esistono se non esistessero?

L'onu si sputtanerebbe a dire che esistono i lager libici se non esistessero?

Una rete televisiva affermata come La 7 si sputtanerebbe a dirlo?

ecco qualche link:

Il papa conferma l'esistenza dei lager libici:

https://www.youtube.com/watch?v=IR0Ro2Ni_NQ

l'onu la conferma

https://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2019/06/05/news/grandi_unhcr_quelli_libici_sono_campi_di_concentramento_-228020408/

Almeno qualche dubbio sull'esistenza di questi luoghi viene, che dovrebbe invitare al rispetto...

Sarebbe ora di usare un linguaggio rispettoso e soprattutto non negazionista per chi viene torturato o affoga in mare a prescindere dalla razza, dalla religione e dall'intenzione o no di emigrare...  I morti o i torturati non dovrebbero far ridere nessuno, in nessun caso...  non dovrebbero essere oggetto di narrazioni buffe, o iperboliche, specie se la ferita di quei morti e di quei torturati è recente e ancora sanguinante. Una vita vale una vita. Restiamo umani.
#2951
Citazione di: anthonyi il 05 Novembre 2019, 19:49:25 PM

Sei proprio così sicuro che dietro l'immigrazione ci sia la fame e la disperazione? Il viaggio complicato che fanno gli immigrati per arrivare in Italia è lungo e costoso, chi è alla fame non potrebbe pagarselo e non potrebbe sopravvivere, chi è disperato invece spesso compie atti irrazionali mentre invece spesso si è di fronte ad atti da parte degli immigrati che sono molto razionali ed indirizzati a sfruttare al massimo le opportunità che i nostri sistemi economici gli offrono.



Sono incalzati dalla fame: nessuno spenderebbe migliaia di euro e rischierebbe la vita in viaggi pericolosissimi se non fosse disperato, prossimo alla fame e magari psicologicamente non abituato a sopportarla; tipicamente uno spende gli ultimi o quasi soldi che ha per emigrare, per darsi un futuro diverso dal patire la fame o la miseria più nera: così è sempre stato anche nella nostra storia di emigrazione, e così è in tutte le storie di emigrazione, perché se uno ne avesse tanti, di soldi da spendere, non emigrerebbe... 

La paura della fame è come la fame e fa fare cose molto rischiose...
per rischiare la vita e gli ultimi risparmi, devi sapere che ne vale la pena, quindi che con ottime probabilità nel paese in cui arrivi mediamente andrai a stare meglio di come stai in quello da cui parti, sennò non rischieresti e non spenderesti, e non è possibile che su questo siano tutti disinformati (milioni di persone tutte disinformate?! questa è la balla del "non conviene neanche a loro emigrare"!).

Quindi per quanto sia miserabile la vita che spesso finiscono a fare qui, anche se molti finiscono barboni o quasi, prostitute eccetera, la considerano pur sempre una vita migliore di quella che facevano al loro paese, (pensa solo che fare il barbone o la prostituta in una favelas brasiliana per dire, non è come farlo in Italia, come aspettativa di vita e possibilità di eventuale emancipazione con un nuovo lavoro e sopravvivenza) quindi solo qualcosa di terribile come la fame o la guerra o la miseria più nera può spingerli ad emigrare. Sono sempre già disperati o quantomeno sono in cerca di un futuro molto migliore del loro presente a cui come esseri umani sentono di avere diritto, non si divertono di certo, a emigrare. Nessuno si diverte a farlo.
Naturalmente anche il cambio di moneta può essere un incentivo, mandare lo stipendio a casa che grazie al cambio favorevole  vale tantissimo e mantenere la famiglia e magari far studiare i figli, il sogno di togliersi dalla strada e dalla feccia per se stessi e i propri cari non è solo degli occidentali, per questo la gente emigra.. 

Spesso quelli proprio alla fame non partono nemmeno, perché partire costa, e non hanno nemmeno i soldi per partire, come sempre è nella storia, i poveri, nel senso quelli che sono poveri da sempre, sono abbrutiti e spesso subiscono la loro condizione come un destino senza reagire, gli impoveriti invece, quelli che sono diventati poveri da poco a seguito di qualche rivolgimento storico, hanno spesso un forte sussulto di reazione alla loro condizione, che nella storia ha avuto varie forme, può essere stato ribellarsi politicamente, cercare occasioni più o meno legali di vario tipo, cercare fortuna in guerra o emigrare: emigrare è un tipico sussulto dell'impoverito o comunque di colui che prende coscienza dell'ingiustizia sociale alla base della sua povertà e non sopporta più la sua condizione, forse il più tipico, la speranza in cui si spendono gli ultimi soldi, il viaggio della speranza...
ma se non si fosse minacciati da qualcosa di terribile non ci si imbarcherebbe in un'impresa come quella di emigrare, qualcosa di terribile può essere la fame, per chi ha perso tutto o sta per perdere tutto e ha solo quella come prospettiva, ma anche la guerra, la persecuzione etnica o religiosa, l'arruolamento forzato in guerra (molti fuggono da quello).

Scusa se ti ho risposto continuando la discussione ma non vedo tanto ot nel parlare di questo, perché altri forum sull'immigrazione che tu dici che si potrebbero riaprire mi sembrano vecchissimi, quindi a riaprirli mi sembrerebbe di resuscitare zombi-forum...
#2952
A costo di essere banale, direi che dietro l'immigrazione ci sono la fame e la disperazione, e il diritto di fuggire da fame e disperazione viene prima di tutto.

Quindi chi è contro l'immigrazione a prescindere, forse non sarà razzista, ma sicuramente da un punto di vista di una ipotetica giustizia planetaria, non nazionale, è un po' ingiusto: per la media di come sono distribuite oggi le risorse sulla terra, è giusto che noi occidentali (europei e americani) cominciamo a stare un po' peggio, e altri un po' meglio.

L'immigrazione redistribuisce le ricchezze di tutta la terra di un minimo verso la media. In modo tragico, illegale e disorganizzato, ma comunque la redistribuisce. E' chiaro che chi sta sotto in linea generale voglia andare verso la media, perché per lui andare verso la media è salire. Chi sta sopra non ci vuole andare, verso la media, perché per lui andare verso la media è scendere. E' questo il vero problema, quanto si è disposti a rinunciare al proprio stile di vita iniquamente elevato in favore dell'altro che sta peggio...  questo vero problema viene spesso glissato, non detto, e spesso ci si nasconde dietro una falsa e ipocrita difesa della sicurezza e della legalità, che non sono il vero problema.

Ma sulla terra non ci sarà complessivamente giustizia finché la media della distribuzione delle risorse non sarà realizzata, e nessuno avrà più da pretendere di salire o scendere.
Ma finché la media non è realizzata non ci sono Italiani, europei e africani, ma terrestri, e i terrestri in generale hanno diritto a non avere fame. Tutti. Essere nati in un punto della terra o in un altro non da o non toglie alcun diritto. I terrestri sono tutti autoctoni.
Se come terrestri si vuole essere equi, si devono accettare nel breve termine, nel qui e ora, quelle tendenze, anche tragiche, anche evitabili, tristi e sicuramente da evitare nel lungo periodo, che portano la distribuzione delle ricchezze verso la media e l'equilibrio, e l'immigrazione per cause economiche o di fuga dalla guerra, mi dispiace dirlo è una di queste tendenze.
Una tendenza da evitare in un mondo ideale, ma inevitabile e anche giusta in un mondo reale. Finché non ci sarà un'utopia o comunque un enorme miglioramento sociale per cui non ci sarà più bisogno di immigrare, ogni immigrato che salva se stesso dalla fame immigrando e facendosi ospitare in un paese di destinazione più ricco di quello da cui lui fugge è un progresso e un raggio di sole per la giustizia sulla terra, che è l'unica giustizia che riconosco: della giustizia in un singolo luogo, come un paese o un continente, me ne faccio un baffo. Dei cosiddetti diritti degli autoctoni, me ne faccio un baffo.

Se un immigrato si salva dalla fame e dal rischio di saltare sulle mine nel suo paese, portando però nel paese in cui immigra disoccupazione e degrado perché magari non è un immigrato regolare, e quindi porta degrado nel senso che a seguito del viaggioche salva la sua vita (o comunque migliora di un minimo la sua condizione) qualche occidentale vedrà la sua casa deprezzata perché il parchetto del quartiere si è riempito di immigrati o avrà più difficoltà a trovare lavoro perché gli immigrati lavorano per due soldi, o addirittura subirà uno scippo perché gli immigrati, anche loro senza lavoro, delinquono, mi dispiace dirlo ma mediamente in questa situazione la giustizia sulla terra è comunque aumentata.

Il punto di equilibrio nel consumo planetario delle risorse si è spostato di un piccolo passo verso l'equidistribuzione, quindi verso il giusto. Qualcuno è sceso e qualcuno è salito a seguito del viaggio dell'immigrato che migliora un po' la vita a lui e che porta degrado e magari criminalità e confusione culturale e religiosa qui da noi, ma questo dal punto di vista di un osservatore imparziale del pianeta è giusto,se chi è sceso prima di scendere era troppo sotto, e chi è salito troppo sopra. Nell'equilibrio della terra i paesi ospitanti sono troppo sopra e quelli da cui si fugge dalla fame troppo sotto. Il flusso dei disperati, per quanto sia tragico, realizza una tragica giustizia, è una ruota che gira perché prima o poi doveva girare. Una vita vale una vita e tutte le vite della terra valgono lo stesso, non c'è altro modo corretto di ragionare, non c'è nazionalismo che tenga.

L'ingiustizia che patisce chi nasce in un paese dove si muore di fame, di sete e di malattie curabili, è più grande dell'ingiustizia che patisce un poveraccio in Italia che non trova più lavoro perché gli immigrati lavorano a basso salario. Che pure è una ingiustizia orribile e da evitare. Da una parte si tratta di stile di vita:il disoccupato italiano può andare alla caritas o da mamma e papà, che in Italia ancora non si muore di fame e l'assistenza sanitaria c'è; certo si sentirà emarginato, fallito, senza futuro, ma non morirà direttamente per questo; se addirittura si suicida certamente la sua è una tragedia che ha esito nella morte, ma la colpa non è comunque dell'immigrato, ma di una società che non da risposte al disagio psicologico e anzi lo produce in chi è povero emarginandolo; dall'altra parte invece per chi immigra si tratta invece non di stile di vita ma di sopravvivenza, non di come vivere, ma di decidere se vivere o morire: di fame, di guerra, di sete e di malaria, di mine, di ebola, si muore,è questo che non capisce chi è contro l'immigrazione ma non è razzista. Per la fame non sei così disperato che ti suicidi come un occidentale che perde l'impresa o il lavoro, cadi morto direttamente.Chi viene alla nostre porte, viene perché ha fame.
Nessuno immigra per divertirsi. C'è un ben preciso motivo per cui l'immigrato immigra, si chiama fame. Una cosa che qui da noi non esiste più dalla generazione dei nostri nonni, quindi da due generazioni fa.

A quelli che odiano gli immigrati io dico: Invece di odiare gli immigrati chiedete ai vostri nonni: "nonno, com'era la fame, tanto tempo fa qui in Italia, in tempo di guerra, o nei paesi che l'Italia ha invaso e da cui è stata costretta a ritirarsi? Quando c'erano la guerra, i bombardamenti, l'invasione dell'urss eccetera?". Se hanno voglia di raccontare vi racconteranno che per la fame si mangiavano i gatti e i topi, del cannibalismo, del prostituirsi per il cibo eccetera. Che il problema non era non avere lavoro o rischiare di essere scippati la sera, ma cadere per terra morti se non si mangiava al più presto a qualsiasi costo. C'è poco tempo ancora, poi i nostri nonni, anche novantenni, moriranno. Averne conoscenza, della fame, significa averne rispetto. Capire che essa è il motivo per cui l'immigrato immigra. Averne conoscenza, della fame, significa capire che non c'è nessun complotto delle finanza internazionale specificamente volto a far arrivare gli immigrati come obbiettivo perseguito in modo organizzato e particolare, basta affamarli che arrivano. Si dice anche che portino confusione culturale, ingiusto mescolamento tra le culture e le religioni, che attentino ai nostri valori perché sono islamici, ma io voglio dire che davanti alla fame tutte le culture e tutte le religioni finiscono. Le religioni e le culture devono tacere finché l'affamato non mangia. Prima viene il pane, e poi i simboli sacri, l'illuminismo eccetera.

Poi è ovvio che in un mondo utopico non ci sarebbe bisogno di fuggire da paesi che sono alla fame, ma in un mondo utopico un immigrato non sarebbe un nemico, uno che impoverisce il paese, ma un alleato contro gli sfruttatori che sono anche nei nostri paesi. Un alleato non perché ci paga il welfare, ma un alleato nella lotta contro le ingiustizie, che ci sono anche nel nostro paese e che anche noi subiamo. Il problema è che non si può dire aiutiamoli al paese loro. Per aiutarli al paese loro ci vuole tempo, e chi ha fame a diritto di salvarsi la vita qui e ora, anche costo di finire bivaccare in qualche periferia occidentale ed essere così antiestetico e fuori luogo rispetto al parchetto per bambini e all'area cani che dal nostro punto di vista si degradano. Nessuno che ha fame ha il tempo di aspettare che il suo paese si sviluppi.
#2953
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
02 Novembre 2019, 14:04:03 PM
Guarda che io lo vorrei mettere al posto del crocefisso il faccione di Marx, se non te ne può fregare di meno, perché difendi il crocefisso?

Il problema è che tutto può essere culturale secondo qualcuno, tutto può rappresentare le radici, perché le radici sono quelle che uno si sente,  sono soggettive, sono varie quanto sono varie le persone, per non parlare dell' "identità collettiva", che è un concetto antropologicamente discutibile... 

dall'identità di popolo deve essere possibile per l'individuo smarcarsi, ognuno deve poter avere la sua patria ideale o spirituale in qualcosa di etnico o di culturale che lo rappresenta, e magari io vivo in Italia ma mi sento rappresentato dai cinesi o dagli indiani d'america o da un popolo estinto come gli antichi greci, così come deve essere possibile tirarsi fuori dall'identità familiare, sessuale eccetera che ci appiccicano gli altri, ad esempio sono nato uomo, ma se voglio devo poter diventare donna, posso amare la mia famiglia, ma la posso anche odiare se mi ha fatto del male eccetera, sennò anche l'identità familiare o sessuale diventa un'imposizione... 

quindi già l'identità individuale è una cosa complicata, figuriamoci quella collettiva, o di popolo... il crocefisso viene di fatto appiccicato sugli individui, e non sul popolo, e non li rappresenta tutti, facendo così violenza a molti. Questo perché gli individui hanno un'esistenza molto più reale e palpabile del "popolo".

Poi, potrebbe saltare fuori qualcuno secondo cui è culturale e molto rappresentativo il faccione di Mussolini, del resto anche lui fa parte della nostra storia, per giunta recente, e allora cosa facciamo? Litighiamo in eterno su cosa appendere (Marx, Mussolini, Gesù...)  o lasciamo il muro libero da simboli? 

Il problema è che il popolo non ha una testa, non ha un cuore, è un concetto, un astrazione, qualcosa di acefalo perché inesistente, sono gli individui, le persone che davvero esistono e che hanno una testa e un cuore che vogliono Mussolini, o Marx, o Gesù...
ma sul muro pubblico tutti gli individui, tutte le persone, devono fare un passo indietro perché quel muro è pubblico, è un luogo dove ognuno deve rispettare l'altro e creare quel minimo di silenzio e di neutralità perché anche l'altro possa esprimersi ed esistere, quindi ognuno deve rinunciare ad appendere il suo personale simbolo: può appenderselo nel luogo deputato, cioè a casa sua.

Poi io resto sempre allibito da certa destra che ammette apertamente che non gliene frega niente del crocefisso ma che lo strumentalizza per i fini più beceri. Per ammansire il "popolo" o per dividerlo. 
Mi dici che un governo di destra potrebbe a buon diritto togliere i crocefissi dalle scuole, ma uno di sinistra no perché si aprirebbe chissà quale voragine culturale o ideologica; allora il problema non è il crocefisso, allora che ne parliamo a fare dico io... mi sembra come quelli che dicono: "io non sono romanista ma voglio la bandiera della roma perché mi stanno antipatici i laziali" qui siamo al: "io non sono cristiano, ma voglio il crocifisso perché mi stanno antipatici i mussulmani". Perché poi è questo il vero motivo per cui molti, soprattutto di destra, lo vogliono. Il simbolo usato non per qualcuno, ma contro qualcuno. Non una rappresentanza, ma uno sfogo di odio. Ancora più ridicolo se quel simbolo dovrebbe essere un simbolo di amore. E tutto questo in una scuola, cioè in un luogo in cui, in teoria, i grandi dovrebbero dare il buon esempio ai bambini per farli crescere bene.
#2954
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
02 Novembre 2019, 01:53:22 AM
Se mi chiedi in che senso tutto ha dignità, ti ho fatto degli esempi: dignità di abortire è anche dignità di non abortire, dignità di prendere la pillola del giorno dopo è anche dignità di non prenderla, dignità di eutanasia è dignità di soffrire fino all'ultimo per chi l'eutanasia non la vuole, muro pubblico (cioè muro di tutti!!!) libero dal crocefisso, è dignità per tutti, anche per il credente di appendersi un suo personale crocefisso al collo o in casa e dargli un vero significato spirituale, come dovrebbe essere aspirazione del sincero credente. Gesù ha detto: "Io vi mando come pecore tra i lupi", non: "io vi mando ad appiccicare un simbolo vostro sul muro di tutti".

Perché spiritualità non può essere e non sarà mai riprodurre identicamente su se stessi i simboli ufficiali e pubblici, la spiritualità è intima, è privata, non è e non sarà mai ne mediazione ne rappresentanza. Rappresentanza e mediazione è al massimo la religione e appunto, come dicevo, la religione dalle scuole pubbliche deve stare fuori, quantomeno perché non tutti gli studenti condividono la stessa religione. Per produrre omologazione religiosa in una scuola, ci sono già le apposite scuole dei preti, che bastano e avanzano. In uno spazio pubblico non puoi dunque distinguere il degno dall'indegno sulla pelle degli altri, di quelli che non condividono i tuoi valori o il tuo modo di esprimerli.

Un minimo di neutralità da parte dello stato deve permettere un'etica del sentimento morale del caso singolo, una situazione che permetta ai singoli di scegliere in un ventaglio di possibilità il più ampio possibile finché non nuocciono agli altri, quindi anche nella scelta dei simboli è imperativo un minimo di rispetto per quelli che da quei simboli non si sentono rappresentati.
Sennò banalmente io, da comunista, ti posso dire che voglio mettere sul muro delle scuole come simbolo di amore universale il faccione di Marx o di Lenin e dirti che quel faccione rappresenta tutti nessuno escluso perché tutti nessuno escluso saremo felici nella società comunista (in fondo il principio della cooperazione sociale può valere kantianamente come legge universale, a differenza della competizione e di tante altre cose), e se tu non sei d'accordo, dirti che ti ostini a vedere qualcosa di politico in un simbolo di amore universale, e se non accetti l'amore, devi per forza essere mossa da odio, da ideologia... se non ti piace questo scenario con il faccione di Marx, e penso che non ti piaccia, non proporlo agli altri con il crocefisso, che è uguale...

Poi tu mi parli di sovranismo e globalismo (secondo me questa falsa alternativa è la nuova ipnosi globale, il nuovo fumo negli occhi...) io, molto più semplicemente ti parlo di fasi liberiste e fasi protezioniste, che avvengono e si alternano cronologicamente e topologicamente all'interno del capitalismo. Tra cui non si può scegliere ovviamente, non ci si può schierare, sarebbe come scegliere tra il giorno e la notte. A livello locale l'uno segue l'altro e quando c'è l'uno da una parte del pianeta, c'è l'altro dall'altra. Come non avrebbe senso fare un derby roma-lazio, una contrapposizione tra tifosi tra il giorno e la notte, così non la si può fare neanche tra sovranismo e globalismo, che sono la sovrastruttura attuale e parolaia del liberismo e del protezionismo.
#2955
Tematiche Filosofiche / Re:Nietzsche
01 Novembre 2019, 17:41:20 PM
Citazione di: green demetr il 31 Ottobre 2019, 15:09:44 PM
Nico

Dietro l'autodominio dell'uomo su se stesso, (e autodominio dell'uomo in Nietzche significa ascesi, metafisica, coscienza, nichilismo: insomma significa la socratica e platonica enkrateia)

Nietzche un platonico???

Gli viene una sincope!


io ho scritto " Dietro l'autodominio dell'uomo su se stesso, (e autodominio dell'uomo in Nietzche significa ascesi, metafisica, coscienza, nichilismo: insomma significa la socratica e platonica enkrateia) c'è il dominio dell'uomo sull'uomo.

Intendo che l'enkrateia (autodominio dell'uomo) viene ricondotta alla morale servile (dominio dell'uomo sull'uomo) e in questo senso Nietzche cerca di superare Platone, non certo che Nietzche sia platonico.

Nella genealogia della morale troviamo che la capacità di dimenticare, di avere poca accortezza, poco senso di colpa, è tipica dei benriusciti e dei padroni. I padroni hanno meno funzioni del corpo controllate dalla coscienza e più autoregolazioni inconsce. Questo li rendo orientati all'azione, rende l'azione per loro una necessità, perché queste pressioni e autoregolazioni inconsce devono esplicitarsi nel mondo, in un modo o nell'altro.
Non trattengono nulla, e quindi, soprattutto, non trattengono il desiderio di vendetta: davanti a un torto subito si vendicano immediatamente scaricando la sofferenza in una aggressione verso l'esterno o periscono nel tentativo; in nessun caso la pulsione alla vendetta viene da loro trattenuta.

I servi hanno più memoria, più accortezza, più pazienza, più senso di colpa più capacità di aspettare. Meno tendenza all'azione perché sono più introspettivi.

Il servo sviluppa in modo cosciente funzioni che tipicamente nel padrone erano inconsce. Davanti a un torto subito non muore nel tentativo di vendicarsi ma trattiene la vendetta a tempo indefinito, il che fa di lui un odiatore potenzialmente molto migliore e più efficiente del padrone, una bomba a tempo di vendette rimandate.

Ma questo vuol dire che l'introversione è tipica del servo e l'estroversione del padrone. Il padrone ha come destino controllare gli altri, il servo controllare se stesso. l'uno aggredisce e conquista il mondo l'altro aggredisce e conquista se stesso. La malattia è vita che si rivolta contro se stessa, in questo senso la malattia è servilismo. Lo sforzo di autodominio che sdoppia e nullifica il mondo, che fonda la metafisica, è sostanzialmente tipico del servo. Può fare comodo al padrone, può essere più o meno esplicitamente ordinato dal padrone, ma è sostanzialmente il servo che lo compie. Questo sdoppiamento consiste nell'inventare l'anima, nell'inventare la libertà, pur di non accettare il fato.

Il privilegio del padrone è mantenere inconsce alcune funzioni del corpo e della mente che tendenzialmente, nel lungo cammino della civiltà, dovranno diventare coscienti in tutti gli altri: dunque il padrone vuole essere bestia o dio tra gli uomini e nessuno deve osare voler essere come lui: lui non si autocontrolla, continua ad essere l'uomo dell'oblio e delle autoregolazioni inconsce e tutti gli altri invece devono autocontrollarsi; lui incute una paura indefinita, senza oggetto, che è appunto paura per l'ignoto che lui è, che lui si riserva come privilegio. In un certo senso Il padrone primordiale "ordina" di fondare la civiltà ma subito dopo scompare nel nulla, viene obliato, dimenticato, e il compito specifico e materiale di fondare e portare avanti la civiltà spetta ai servi, agli uomini che emergono dal terrore iniziale che il padrone incuteva loro con la capacità acquisita di essere uomini, di non essere come il padrone e quindi di non sfidarlo neanche involontariamente, di autoconrollarsi. Schiacciati dall'estroversione del padrone, i servi diventano introversi. Il padrone conquista un "territorio" che è tutto il mondo, che è la totalità dell'esteriore, dello Stato come forma di vita; i servi in mancanza di altro "spazio" dove andare sono ricacciati dentro loro stessi: per non sfidare il padrone acquisiscono coscienza, senso di colpa, continenza.

Ecco che quindi secondo me Nietzche getta un sospetto, una visione servile e dunque potenzialmente negativa sull'enkrateia sull'autodominio, che da quasi tutti i filosofi precedenti era visto come qualcosa di desiderabile e di buono.

Spero di essere stato chiaro adesso.