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Messaggi - niko

#2941
Citazione di: viator il 04 Gennaio 2020, 01:04:16 AM
Salve niko. Citandoti : "Quindi al netto dell'ironia, stavi sostenendo che il "comunismo", o comunque il sistema egualitario umano/artificiale tipico, è inapplicabile in natura, poiché la natura tende alla differenziazione. Lo hai detto con ironia, ma lo hai detto".
A dire il vero ciò che - al netto di qualsiasi ironia - io volevo significare non era certo l'inapplicabilità dell'egualitarismo umano al mondo naturale (ipotesi inconcepibile per chiunque) bensi la inefficacia (a medio-breve termine storico) di qualsiasi tentativo di instaurare un innaturale egualitarismo alle società umane.

Comunque non mi sono certo offeso per le tue valutazioni circa la mia ottica. Mi sono limitato a controbattere. Saluti.



Innaturale vuol dire innaturale, e innaturale per un certo motivo vuol dire innaturale per un certo motivo, il motivo tu lo hai ampiamente spiegato -la tendenza alla differenziazione-, e io ti ho ampiamente risposto, e la questione verteva appunto sulla natura e sulla sua eventuale tendenza alla differenziazione, poi che l'egualitarismo politico umano si applichi alla società e non alla natura è ovvio (inutile da ribadire) e lo sappiamo tutti e due, quindi sarebbe meglio seguire il discorso complessivo (come ho fatto io), invece di attaccarsi alle singole parole..

E poi tu parli della differenza tra società e natura, ma la società è la nostra natura, non ci siamo mai emancipati dall'ordine naturale ne mai lo faremo (come potremmo?)...
Quindi la questione se l'egualitarismo si applichi alla natura o alla società è una questione di lana caprina; la natura ci iscrive nella società in quanto deboli (incapaci di sopravvivere da soli) e in quanto dipendenti dal linguaggio; la vita umana con tutte le sue vanità non si emancipa dalla natura più di quanto si emancipi da essa qualunque altra vita animale o vegetale, e anche l'emancipazione da essa di qualunque altra vita è in fondo illusoria. La natura non fa differenza tra animali, piante o oggetti, tratta tutti allo stesso modo.
#2942
Citazione di: Sariputra il 11 Ottobre 2019, 09:27:30 AM
Un topic tra il serio e il faceto, come piace a me... :)

Come far innamorare di noi una donna affascinante? Ve lo siete mai chiesti nella vostra vita? Da giovani, quando le ragazze vi ignoravano, non vi tormentava questo quesito? Non vi chiedevate perchè , quelle più belle, erano affascinate proprio dai tipi che voi trovavate antipatici, odiosi e idioti? Perché venivano a piangere per lui con voi? Non ve lo siete posto questo dilemma? Mai?..Perché chiedevano il vostro consiglio e, quando lo ricevevano...facevano l'esatto contario? Perché vi sussurravano all'orecchio dolcemente : "solo tu mi capisci" e poi vi lasciavano in asso, con la bocca semiaperta, per correre da lui al primo fischio dell'imbecille? Quanto rosicamento allora...quanto stridor di denti! E che sofferenza si provava a veder il proprio amore a braccetto con l'altro...Ma come fare?.. Come fare?.
Si possono sviluppare  tecniche improbabile, che solo noi consideriamo valide, per ottenere l'amore desiato. Sono quasi degli automatismi innati . Innati vuol dire che, se tu sei inadeguato di natura, saranno inadeguati pure i metodi che tenti di utilizzare. Uno dei miei preferiti (ma mi piacerebbe conoscere qualcuno dei vostri..senza vergogna, eh signori! Com'io non ho vergogna a rivelare le mie ridicole attitudini. In fondo c'è l'anonimato in codesto luogo virtuale..) era quello di fissare intensamente una signorina carina carina, per esempio durante un tragitto in treno con la giovane seduta di fronte, o durante un pranzo cerimonioso, una di quelle brune con gli occhiali da intellettuale che le facevano degli occhioni da manga giapponese. Mi dicevo che, quasi come sfogliando una margherita ripetendo tra noi: "m'ama non m'ama", se avesse sollevato lo sguardo verso di me forse avrebbe intravisto il trasporto che già provavo verso di lei. Naturalmente, sentendosi osservata, di solito la giovane finiva per alzarlo, lo sguardo...E allora...Beh! Allora le possibilità di solito erano due: o ti lanciava un'occhiata come per dire: "Che ..... vuoi?" oppure...che dolcezza per il cuore bramoso d'affetto! Oppure ti sorrideva...E allora si apriva il cielo e la speranza, a forma di colomba, scendeva dall'alto. Il problema però era che, praticamente sempre, la colomba scendeva ma...non si posava su di voi! E quando il treno si fermava alla stazione, o il pranzo terminava, il soggetto che alimentava questa vostra vana speranza scendeva, se ne andava...
La cosa più bella era che, qualche volta, raramente, prima di uscire dalla carrozza si voltava e, senza dir niente, ti sorrideva ancora con occhi maliziosi...per poi sparire nella folla. Che tumulto calato in una cupa tristezza ti assaliva allora. Che vanità la vita, e i tumulti del cuore, e l'amore impossibile mi dicevo ...senza magari accorgermi che altri occhi, con una bellezza diversa da quella che cercavo, mi osservavano anche loro...Giochi di sguardi. Intreccio di speranze.
Come le donne ti capiscono al volo! Dev'essere un dono di natura. Capiscono le tue intenzioni e ti squadrano dall'alto in basso e dal basso in alto, come se tu fossi un manzo squoiato appeso al gancio del macellaio. Osservano al di là della tua pelle stessa e...vedono tutto! O forse no...
Le donne, in particolare quelle più affascinanti, hanno una vista acutissima...da lontano. Quasi sempre però soffrono di presbiopia e, nel mentre vedono molto bene tutti i tuoi difetti, spesso i propri non sono ben messi a fuoco, sono sfumati, per così dire...
Mi fermo qui, per ora...o forse per sempre.
Qualcuno che vuol cimentarsi nei ricordi dei propri fallimenti amorosi?...Qualche dritta da condividere tra maschi con spirito di cameratismo? Spiegarmi dove sbagliavo?...


Mediamente, se una sconosciuta incontrata in un contesto neutro tipo in treno ti ricambia lo sguardo non proprio innocente che le lanci e ti sorride, aspetta che tu prenda l'iniziativa e che le parli; se non le parli è normale che non ne nasca niente, e che magari ti guardi pure maliziosamente quando se ne va via, come a dire: "peccato, eri pure carino, ma sei troppo timido..."
#2943
Viator, ti ricordo che ora scrivi:


"Guarda, le ragioni per le quali si interviene qui dentro sono individualmente le più diverse : io lo faccio ANCHE perchè il sito offre la possibilità di divertirsi praticando la mai abbastanza apprezzata arte dell'ironia; secondo te (mi sembra tu abbia conseguito due lauree) termini come COMUNISMO-ANTICOMUNISMO-ANTIFASCISMO-DEMOCRAZIA CRISTIANA hanno a che vedere qualcosa con le considerazioni che ho espresso circa il da me sostenuto ANTIEGUALITARISMO dei meccanismi dei MASSIMI SISTEMI ?"


Ma prima avevi scritto:


"Salve Niko. Il problema, per l'egualitarismo ed il socialismo scientifico, consiste nel fatto che risulta impossibile isolare tali visioni del mondo - così tipicamente umane - dal funzionamento complessivo del mondo naturale il quale odia profondamente l'uniformità (l'entropia e la biologia, come saprai - VIVONO - di continua diversificazione) e si farà sempre beffe dei nostri desideri ed ideali.

Hai voglia pensare che degli umani sistemi possano funzionare isolatamente da ciò che ha generato l'uomo e lo mantiene in vita.

Noi siamo dei figli generati da genitori che qualcuno trova - ovviamente - estranei e superati ma sfruttabilissimi a nostro comodo, ignorando che l'unico modo per diventare indipendenti da essi consiste nel divenire a nostra volta come essi erano !

Prima che il mondo cambi a nostra misura (potrà succedere pian piano attraverso qualche migliaio di anni) saremo comunque noi (all'interno di qualche decina di anni della nostra vita anagrafica) a venir cambiati a misura del mondo. Saluti."
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Perciò sì, se le parole hanno un significato, stavi parlando dell'applicabilità o meno dei sistemi di egualitarismo umani, o comunque artificialmente costruiti (di cui il comunismo è un esempio tipico), date quelle che secondo te sono le tendenze della natura, e avevi detto che tali tendenze sono secondo te opposte.

Quindi al netto dell'ironia, stavi sostenendo che il "comunismo", o comunque il sistema egualitario umano/artificiale tipico, è inapplicabile in natura, poiché la natura tende alla differenziazione. Lo hai detto con ironia, ma lo hai detto.

E io con ironia ti ho risposto, la mia ironia stava nel sintetizzare il tuo intervento con "viator sostiene che la natura è anticomunista" che è una sintesi ironica, ma devi ammettere di un'ironia innocente, perché tende comunque a riportare quello che avevi detto nel tuo post delle 17,16 senza stravolgerlo, solo sintetizzandolo un po', non posso stare a copiare tutti gli interventi ogni volta.

Ora, da questa mia ironia tu sei stato in qualche modo disturbato, non ne capisco però il perché:

dato che tu rivendichi il diritto a esprimerti con ironia, anche io lo rivendico, tu dicevi che la natura è entropica e differenziata e questo distrugge i sistemi egualitari artificiali, e io ti ho risposto, in parte seriamente e in parte ironicamente.

La natura potrebbe essere strutturata come un frattale (io preferisco dire un caleidoscopio), quindi non essere differenziata su grandi scale, e tu l'hai presa sul personale, come se io ti dicessi che la tua visione del mondo è piccola e meschina, io dico semplicemente che su scala piccola in natura emergono le difformità, su scala grande le serie e le omogeneità, non vedo come questo pensiero possa offendere qualcuno, e se lo offende mi dispiace ma è la mia opinione e rimane tale...

Tu parli del divenire, che va irreversibilmente dall'omogeneità iniziale alla differenziazione entropica, e sottolinei la riduzione dell'omogeneità iniziale, cosa che ha "rilevanza" filosofica se il tempo esiste e se l'universo è uno, ma per me gli universi possono essere multipli in modo tale che ogni attimo e ogni stato di un universo tipico esiste nella (atipica, perché unica) molteplicità infinita, e nessuno stato è preferenziale, neanche il primo o l'ultimo, non nel senso del presentismo o dell'universo-blocco ma nel senso atomistico classico per cui combinazioni finite di contenuti possibili dell'universo si ripetono ciclicamente nel tempo e a distanza nello spazio, per cui il passato esiste sempre altrove, come presente dell'altrove, e la degenerazione entropica di un singolo mondo non significa niente in un super-mondo infinito sostanzialmente in equilibrio.

Quindi ribadisco, secondo me la natura vive di omogeneità e di slancio verso l'infinito, quindi di comunismo e di "capitalismo" nel senso buono, e spesso misconosciuto e incompreso del termine. Bisognerebbe prendere molto più sul serio la fiducia e oserei dire l'amore che aveva Marx per la globalizzazione, il libero scambio, la scienza, l'ascesa della borghesia. Slancio verso l'infinito. La verità è l'esistenza molteplice, e non unica, degli esseri. La macchina da stampa, la catena di montaggio, la matrice in generale, mostrano come funziona la natura, e come essa se ne infischi dei crucci umani (primo tra tutti la differenza tra vivente e non) essendo infinita e creando esseri infiniti. Esseri infiniti generati dalla matrice/natura di cui gli egualitarismi artificiali umani sono segno, emulazione e in un certo senso continuazione.
#2944
Citazione di: Ipazia il 02 Gennaio 2020, 15:55:08 PM
Ciao Eutidemo,

Stai certo che finchè l'Europa si prenderà in carico i clandestini dal porto franco libico, anche attraverso la sua flotta ONG, i "lager libici che solo un nazista può prendere in considerazione" continueranno ad essere un'attrazione irresistibile per tutta l'Africa e anche un bel po' di Asia che paga pure il biglietto aereo per andarci.

Il fatto che accettino il rischio di finire nei lager non vuol dire che gli piaccia finirci eh...

per dire, un essere umano, bianco o nero che sia, può andare in guerra accettando il rischio di morire, ma ciò non vuol dire automaticamente che gli piaccia morire in guerra, oppure scendere le scale accettando il rischio di cadere, ma ciò non vuol dire che gli piaccia cadere dalle scale, attraversare la strada accettando il rischio di essere investito da un'auto, fare una passeggiata accettando il rischio di essere colpito da un fulmine eccetera, non so se devo continuare..

quindi questo sadismo un po' autocompiaciuto da occidentale populista so-tutto-io per cui ai migranti invece gli piace finire nei lager libici, e si può dedurre legittimamente che gli piaccia solo perché obbiettivamente e volontariamente corrono il rischio di finirci,  ha un po' rotto le scatole eh.. e non è la prima volta che mi tocca leggerlo..

poi nella retorica populista c'è anche il sempreverde "gli piace affogare" perché corrono il rischio di affogare..

se corrono il rischio di finirci evidentemente è perché l'alternativa per loro è peggio, come un essere umano medio non sta tutto il tempo in casa solo perché se esce potrebbe essere colpito da un fulmine..
#2945
Citazione di: Ipazia il 31 Dicembre 2019, 09:30:45 AM
Citazione di: niko il 30 Dicembre 2019, 14:31:08 PM

Per quanto riguarda il debito sociale, non ho chiesto io di venire al mondo: sono qui per caso, quindi mi dispiace ma non devo niente a nessuno, ne alla mia famiglia ne tantomeno alla mia fantomatica comunità di appartenenza (e quale sarebbe questa comunità poi? La città? La nazione? il continente? il pianeta?). In linea generale, dato che la mia comunità di appartenenza non è nemmeno facilmente identificabile, dovrei qualcosa a qualcuno se prima di farmi nascere o di includermi in qualche modo nella comunità (i miei familiari, o concittadini, o connazionali, o abitanti del pineta eccetera) mi avessero chiesto se fossi d'accordo. Così non è stato, ergo non devo niente a nessuno. Almeno non a priori e non nella forma di un obbligo al lavoro (salariato) solo perché esisto e sono abile ad esso. Il debito è una forma di obbligazione. E fino a prova contraria l'obbligazione, in una cultura (e in un'etica) liberale che nel bene o nel male è il meglio che come occidente abbiamo prodotto fino ad ora, nasce dal consenso.


Se l'etica liberale nasce dal consenso è come andare di notte senza lampada. Quell'etica nasce da chi proclamava il diritto alla felicità facendosi servire nei campi, a tavola e a letto da schiavi africani. Altrove da schiavi salariati. Non so gli schiavi a quale consenso affidassero le loro vite.

L'altro argomento non regge nè sul piano etologico, nè politico. Nascere in un branco determina tanto il territorio che gli obblighi sociali. Il debito ci deriva dalla natura e dal contesto etologico che possiamo cambiare solo tenendo presenti i fondamentali: nessun cucciolo sopravviverebbe con l'argomento dell'accordo preventivo. Fin dall'inizio esso riceve dall'esterno ciò che gli permette di sopravvivere e sopraggiunta l'età della ragione può pure decidere di togliere il disturbo con dignità, piuttosto che lamentarsi di essere nato. Oppure dare il suo contributo sociale per la sopravvivenza de branco che è l'unico modo per aver garantita la sua stessa sopravvivenza individuale. Cambiando le regole del branco, senza distruggerlo.

CitazioneIn quanto ricerco la felicità, io sono in debito semmai verso il futuro, non verso il passato. In quanto figlio del caso, sono in debito semmai verso il futuro, non verso il passato.

Ma nel dare l'assalto al cielo conviene realisticamente prendere atto che una laurea in ingegneria aerospaziale, pur di un'università inverecondamente capitalistica, funziona meglio delle ali di icaro delle utopie "futuriste". La storia umana è maestra crudele di tale verità.

CitazioneE' troppo facile, e troppo ipocrita, dire "da ognuno secondo le sue possibilità", se il comunismo non è completamente realizzato, cioè se sulla terra ancora non vale il criterio di giusta distribuzione "a ognuno secondo i suoi bisogni". Finché c'è gente sulla terra che nasce per morire di fame, di sete e di malattie curabili dopo pochi giorni dopo la nascita è fuor di dubbio che "a ognuno secondo i suoi bisogni" non valga.
Finché c'è gente che muore per le mine antiuomo, è fuor di dubbio che "a ognuno secondo i suoi bisogni" non valga.

Ma anche finché c'è la sofferenza psichica generata dal modello consumistico e dall'alienazione nelle metropoli occidentali, per cui le persone arrivano a novant'anni ma non sono felici, producono e consumano e non hanno un minuto di tempo per chiedersi chi cazzo sono, con picchi di suicidio e consumo di psicofarmaci, "a ognuno secondo i suoi bisogni" non vale.  E allora non vedo perché qui e ora, in questo contesto, dovrebbe valere "da ognuno secondo le sue possibilità."

"da ognuno secondo le sue possibilità" senza "a ognuno secondo i suoi bisogni" è un patto iniquo, che secondo la lezione dei maestri del contratto sociale Hobbes e Locke non sarebbe accettato: Il patto sociale si accetta perché equo. L'uomo non fa il patto sociale perché stupido, ma perché intelligente.

"da ognuno secondo le sue possibilità" senza "a ognuno secondo i suoi bisogni", in linea generale significa lavorare come schiavi per il padrone che in cambio del tuo lavoro  non ti dà nulla, o solo le briciole. Quello che oggigiorno vediamo ovunque e tutto pervade: sopravvivenza in cambio di vita. Questo modello, da un punto di vista prettamente etico, se si vuole fare la cosa giusta a prescindere dal sopravvivere o no, lo si rifiuta integralmente, non c'è un'etica del lavoro possibile all'interno di un mondo dominato dal capitale e dal lavoro salariato, non c'è un debito del singolo verso questo modello. La patologia è tutto il sistema del lavoro, non (solo) la disoccupazione.

Di riferimenti a Bergoglio e al cristianesimo ovunque dove non c'entrano niente e solo per includermi in una categoria ridicola e inesistente, come quella del cattocominismo, ne ho piene le scatole, spero che sia chiaro che qui non parlo di provvidenza, ma di equità. L'etica del lavoro non è equa. E non è neanche etica.
Perché si dice etica del lavoro, ma è sostanzialmente etica del lavoro salariato.

Su questo concordo ed è ciò che mi allontana radicalmente dalla visione del mondo liberal-liberista di Anthonyi ed altri. Però questa tua visione è affetta da un bias che non tiene conto della duplice natura del lavoro che da un lato è necessario per la sopravvivenza umana e dall'altro è terra di conquista per lo sfruttamento da parte delle classi dominanti e del capitalismo attuale. Non si può eliminare il lavoro perchè arricchisce i padroni senza eliminare pure il lavoro che permette la sopravvivenza degli schiavi. Se si vuole tutto, si ottiene niente. Bisogna invece individuare e premiare, coi propri mezzi individuali e sociali, il lavoro necessario e boicottare lo sfruttamento parassitario (tutto). Tenendo pure conto che essendo quest'ultimo che detiene il potere - o è ad esso funzionale - sarà un'impresa molto difficile, non risolvibile con strategie luddistiche di semplice rifiuto, a meno che i rapporti di forza politica (e intelligenza evolutiva) non siano tali da liberare il lavoro dallo sfruttamento in maniera radicale.

Ma alla fine di tale processo rivoluzionario, non illuderti di poterti liberare dall'etica del lavoro. Sarebbe persino autoevirante, perchè l'unica alternativa etica/ideologica e materiale sarebbe il ritorno a forme di parassitismo e sfruttamento.


Ipazia, tu vedi nella natura un branco di cani o di scimmie, e dici, abbastanza giustamente, che si può dovere qualcosa a un branco di cani o di scimmie.

Io nella natura vedo l'infinito, e ribadisco la mia posizione, all'infinito non si può dovere niente.
Semmai, se si ha un un'etica o un'estetica, si può dovere qualcosa ai suoi simboli, ai simboli dell'infinito (cielo notturno, mare, amore, lo sguardo dell'atro, quello che rappresenta il branco di cani per il singolo cane eccetera) ma guai a prendere i simboli sul serio, a vivere di solo linguaggio, a confondere il simbolo per la cosa di cui è simbolo. Infinito è infinità di spazio e tempo, e realizzazione attraverso lo spazio e il tempo di tutte le possibilità; nella lezione di Spinoza, Dio e natura sono intercambiabili perché sono entrambi infiniti, hanno entrambi l'infinità (cioè la totalità degli attributi possibili) come loro attributo. Ora, come posso dovere qualcosa a qualcosa che è già infinito, e che è già il tutto, che ha già con sé tutto? Certo, si potrà dire che il tutto mi comprende, ma allora se devo qualcosa, istantaneamente lo pago esistendo, con la mia stessa esistenza, e in ogni singolo istante non devo (più) niente al tutto, perché ho già pagato. Il tutto non può volere da me un'esistenza in particolare, poiché tutte le esistenze possibili sono previste e contemplate come possibilità del tutto. Il tutto è amorale, accoglie in sé il fango quanto l'oro: essere fango o oro è semmai un problema mio.
Siamo per definizione sempre pari, anche perché il tutto ha bisogno di me per esistere quanto io ho bisogno per esistere del tutto, quindi non c'è un modo di dovere qualcosa al tutto/dio/natura che sia più di quanto il tutto/dio/natura deve a noi, quindi non c'è modo di contrarre un debito con esso che non si riequilibri e non si annulli all'istante.

Perciò alla natura non devo niente, all'etos non devo niente, al branco di scimmie non devo niente; amare rimane per me un'espressione di libertà, io posso amare -se voglio-, ma non devo amare in ottemperanza ad una legge di qualche tipo, non sono mica cristiano...



Poi in un post un po' più sotto Viator dice che la natura è anticomunista perché tende alla differenziazione...

io penso che la natura sia organizzata per strutture caleidoscopiche e frattali che attraversano l'infinito; ho fondati motivi di pensarlo stante che secondo me la natura è infinita...
perché nell'infinito non c'è preferenzialità del punto o dell'istante, tutto quello che esiste in un punto può potenzialmente esistere anche negli altri e all'infinito nello spazio e nel tempo ri-esisterà altrove, la potenzialità di ri-esistenza di ogni contenuto dell'infinito viene effettivamente realizzata nell'infinito, e abbiamo un mondo necessariamente unico che è il grande contenitore di tutti gli elementi non-mondo (le cose che stanno nel mondo) necessariamente molteplici.
Quindi Viator, tu vedi la natura differenziata perché ne vedi una parte piccolissima ed eleggi quella parte del mondo a tuo mondo, a mondo percepito dalla tua coscienza. Ma la natura la vedresti sempre più omogenea, cioè sempre più "comunista", per come tu intendi comunista, allargando il tuo punto di vista.
Di tutto quello che ti appare unico, che è effettivamente unico in una finestra di spazio e di tempo piccola, vedresti a distanza la serie, vedresti che è doppio, triplo, tendente all'infinito in una finestra di spazio e di tempo più grande, finché, continuando ad allargare la finestra, a un certo punto vedresti la serie anche di te stesso e del tuo corpo (gli uomini clone, il grande sogno del "comunismo"...) , e probabilmente impazziresti, come se ti fosse apparso il demone dell'eterno ritorno Nietzchano.

Quindi per fare una sintesi storica molto hegeliana e poco marxista, la natura è omogeneità e slancio verso l'infinito, comunismo e capitalismo sono nel loro insieme un percorso di avvicinamento alla natura: con il capitalismo abbiamo imparato dalla natura lo slancio verso l'infinito, adesso ci resta da imparare l'omogeneità, senza perdere di vista il già conquistato slancio verso l'infinito.
#2946
Citazione di: anthonyi il 30 Dicembre 2019, 20:20:06 PM
Ciao viator, in fondo niko somiglia a buona parte degli italiani, danno per scontati i diritti, e glissano sui doveri, e non si rendono conto per ignoranza che le due cose sono collegate.
Un saluto



E quindi io sarei ignorante? Ti avevo chiesto appunto chi è che stabilisce chi sia ignorante e chi no tanto per sapere come regolarmi, insomma come funziona l'assegnazione dei patentini di ignoranza e di cultura su questo sito (di cui tu sei moderatore): se li dai tu a tuo giudizio personale o se c'è un esame formale da passare, se vengono controllate le lauree degli iscritti (io ne avrei due, se è questo il punto) o cosa, ma me lo hai cancellato..

E se non era un modo di darmi dell'ignorante, puoi spiegarmi  in che (altro) modo il tuo breve intervento contribuisce alla discussione?

Insomma come io, ed eventualmente altri, ti dovremmo rispondere costruttivamente, visto che consideri il tuo un contributo ammissibile, e dunque in qualche misura costruttivo..
#2947
Citazione di: viator il 30 Dicembre 2019, 15:01:13 PM
Salve niko. Secondo me hai ragione quando affermi che, essendo arrivato a questo mondo in conseguenza di eventi non dipendenti da tue scelte, avalli, volontà, condivisioni etc. .............. tu sei privo di doveri verso esso mondo e verso l'alterità in esso contenuta.

L'ovvia, logica, inesorabile conseguenza dovrebbe consistere in una perfetta reciprocità di trattamento nei tuoi confronti.

Quindi tu e chi la pensa come te (molti) non dovete rivendicare alcun diritto poichè nulla e nessuno ve lo devono garantire.

Questo quindi per buona pace di tanti brillanti idealismi quali il diritto alla giustizia, all'equità, all'eguaglianza, alla eticità, alla vita, alla salute, alla casa, alla cittadinanza, all'accoglienza, allo spinello, ai trasporti pubblici gratuiti......................... Saluti.


E infatti "rivendicare diritti" è un'approssimazione ideologica e un po' illusoria di quello che è la vera lotta per la giustizia.
Che è sempre lotta per il potere. Per prendere il potere.
Chi a potere costruisce il mondo che vuole, lo plasma dal nulla, che qualcuno o qualcosa glielo deva o no. Anche la scienza e la tecnica sono potere, grazie ad esse abitiamo già in un mondo "che nessuno ci deve". Si tratta solo di trasformarlo e migliorarlo, questo mondo creato dalla scienza e dalla tecnica, non certo tornare all'illusione dei "diritti di natura". 

Si lotta proprio perché il mondo non ci deve niente, non perché esistano dei "diritti" a qualcosa, che come giustamente dici tu, in fondo non esistono. Più che diritti, quelli che crediamo essere diritti sono conquiste, cose che qualcuno nella storia ha conquistato, nel bene e nel male: sono conseguenza del divenire, non dell'essere.

"Rovesciare rapporti di forza", è già un'approssimazione migliore alla verità, che non "rivendicare diritti". Dalla necessità alla libertà, questo è il rapporto di forza universale che si deve rovesciare e rompere.
#2948
Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2019, 10:56:10 AM
Citazione di: niko il 25 Dicembre 2019, 04:21:32 AM
Perché per un italiano che non ha lavoro dite "disoccupato", che è un termine neutro, e per un migrante che non ha lavoro "nullafacente", che è un termine dispregiativo?

Perchè la disoccupazione è comunque una condizione patologica che scarica sulla comunità il mantenimento di persone abili al lavoro in cui a mancare è il lavoro. Tutti i paesi con un livello minimo di civiltà solidale hanno istituti fiscalizzati che permettono la sussistenza dei disoccupati, ma è evidente che oltre un certo livello sostenibile di disoccupazione il degrado sociale è inevitabile. Trattandosi di una patologia sociale si cerca di contrastarla e, a seconda delle condizioni ambientali, tenore di vita, livello di welfare, si individuano soglie anche molto differenti di disoccupazione ecocompatibile. Alla quale sia associa anche una etocompatibilità storicamente determinata e assai variabile.

Si può discutere molto sul modello di vita che stabilisce questi indicatori storicamente determinati e il paradigma ottimale non è certo il compulsivo e rapace modello di produzione/consumo della crescita infinita capitalistica, ma è indubbio che il lavoro in ogni società resta la base della sopravvivenza delle comunità umane e del loro benessere che si riverbera anche sulla qualità educativa, sanitaria e di solidarietà sociale verso i soggetti deboli esentati dal lavoro. Esenzione sulle cui motivazioni si può altrettanto discutere molto: una società inclusiva valorizza il più possibile le facoltà umane e permette al maggior numero possibile di adulti di dare quel (marxista) "da ciascuno le sue capacità" che non lo faccia sentire un parassita sociale.

Tutto ciò confligge con l'idea, altrettanto eticamente comunista, che vi siano adulti abili (ricchi capitalisti o poveri sottoproletari) che possano sottrarsi al debito sociale, per qualsivoglia motivo, sfruttando e parassitando la comunità che li nutre.

La vicenda migratoria illegale avente per soggetto giovani adulti non si sottrae a tale dettato etico e la critica sociale benaltrista non cambia di uno iota la loro condizione sociale ed ha l'aggravante che questi "nullafacenti" non ricadono nemmeno in quel fondo di solidarietà, socialmente regolamentato, cui una comunità di contributori si sottopone  per tamponare le situazioni di disagio sociale che in quella stessa comunità si producono.

Lo straniero è fuori da queste relazioni ed equilibri socioeconomici consolidati e può trovare una sua corretta collocazione solo se contribuisce al benessere del paese che lo accoglie fino a maturare con la sua operosità quella condizione che ne certifica la pienezza della sua condizione di cittadinanza. Vale per i nostri emigranti ovunque nel mondo e non vedo perchè non dovrebbe valere per chi immigra da noi. Faccio presente che il nostro paese è molto garantista col suo welfare e tutele giuridiche nei confronti del lavoratore straniero e della sua famiglia. Estendere tale generosità al nullafacente o criminale straniero, trovo rasenti il delirio ideologico.

Ma capisco che Bergoglio, e chi la pensa come lui, sia di altro avviso e cerco di argomentare il mio dissenso da tale pensiero provvidenzialista.


Per quanto riguarda il debito sociale, non ho chiesto io di venire al mondo: sono qui per caso, quindi mi dispiace ma non devo niente a nessuno, ne alla mia famiglia ne tantomeno alla mia fantomatica comunità di appartenenza (e quale sarebbe questa comunità poi? La città? La nazione? il continente? il pianeta?). In linea generale, dato che la mia comunità di appartenenza non è nemmeno facilmente identificabile, dovrei qualcosa a qualcuno se prima di farmi nascere o di includermi in qualche modo nella comunità (i miei familiari, o concittadini, o connazionali, o abitanti del pineta eccetera) mi avessero chiesto se fossi d'accordo. Così non è stato, ergo non devo niente a nessuno. Almeno non a priori e non nella forma di un obbligo al lavoro (salariato) solo perché esisto e sono abile ad esso. Il debito è una forma di obbligazione. E fino a prova contraria l'obbligazione, in una cultura (e in un'etica) liberale che nel bene o nel male è il meglio che come occidente abbiamo prodotto fino ad ora, nasce dal consenso.

In quanto ricerco la felicità, io sono in debito semmai verso il futuro, non verso il passato. In quanto figlio del caso, sono in debito semmai verso il futuro, non verso il passato.

E' troppo facile, e troppo ipocrita, dire "da ognuno secondo le sue possibilità", se il comunismo non è completamente realizzato, cioè se sulla terra ancora non vale il criterio di giusta distribuzione "a ognuno secondo i suoi bisogni". Finché c'è gente sulla terra che nasce per morire di fame, di sete e di malattie curabili dopo pochi giorni dopo la nascita è fuor di dubbio che "a ognuno secondo i suoi bisogni" non valga.
Finché c'è gente che muore per le mine antiuomo, è fuor di dubbio che "a ognuno secondo i suoi bisogni" non valga.

Ma anche finché c'è la sofferenza psichica generata dal modello consumistico e dall'alienazione nelle metropoli occidentali, per cui le persone arrivano a novant'anni ma non sono felici, producono e consumano e non hanno un minuto di tempo per chiedersi chi cazzo sono, con picchi di suicidio e consumo di psicofarmaci, "a ognuno secondo i suoi bisogni" non vale.  E allora non vedo perché qui e ora, in questo contesto, dovrebbe valere "da ognuno secondo le sue possibilità."

"da ognuno secondo le sue possibilità" senza "a ognuno secondo i suoi bisogni" è un patto iniquo, che secondo la lezione dei maestri del contratto sociale Hobbes e Locke non sarebbe accettato: Il patto sociale si accetta perché equo. L'uomo non fa il patto sociale perché stupido, ma perché intelligente.

"da ognuno secondo le sue possibilità" senza "a ognuno secondo i suoi bisogni", in linea generale significa lavorare come schiavi per il padrone che in cambio del tuo lavoro  non ti dà nulla, o solo le briciole. Quello che oggigiorno vediamo ovunque e tutto pervade: sopravvivenza in cambio di vita. Questo modello, da un punto di vista prettamente etico, se si vuole fare la cosa giusta a prescindere dal sopravvivere o no, lo si rifiuta integralmente, non c'è un'etica del lavoro possibile all'interno di un mondo dominato dal capitale e dal lavoro salariato, non c'è un debito del singolo verso questo modello. La patologia è tutto il sistema del lavoro, non (solo) la disoccupazione.

Di riferimenti a Bergoglio e al cristianesimo ovunque dove non c'entrano niente e solo per includermi in una categoria ridicola e inesistente, come quella del cattocominismo, ne ho piene le scatole, spero che sia chiaro che qui non parlo di provvidenza, ma di equità. L'etica del lavoro non è equa. E non è neanche etica.
Perché si dice etica del lavoro, ma è sostanzialmente etica del lavoro salariato.
#2949
Citazione di: Ipazia il 24 Dicembre 2019, 14:11:18 PM
Citazione di: anthonyi il 24 Dicembre 2019, 12:22:14 PM
Io però non capisco una cosa, si fa passare una politica rigida nei confronti del problema migratorio come un difetto della nostra italianità, insieme agli altri difetti che abbiamo, quando invece siamo gli unici al mondo a non aver sviluppato una vera politica rigorosa contro l'immigrazione clandestina. Per la nostra posizione geografica noi dovremmo organizzarci come gli australiani.

Appunto: per la nostra indiscutibile cialtroneria tutti si aspettano, a partire da ONG, Europa e anime belle nazionali, che lo siamo anche sulla vicenda migratoria, accettando tutto ciò che gli altri non sono disposti ad accettare: migranti nullafacenti.


Perché per un italiano che non ha lavoro dite "disoccupato", che è un termine neutro, e per un migrante che non ha lavoro "nullafacente", che è un termine dispregiativo?

Qual è la linea di confine tra la nullafacenza di alcuni individui secondo voi degni di essere appellati così, "nullafacenti", e in generale la disoccupazione/marginalità di tutti gli altri individui che per vari motivi in una società come la nostra non possono, o non vogliono, o non riescono, a integrarsi? Una linea di confine etnica? Nazionalistica?

Più in generale, avete mai riflettuto sul ragionamento implicito nel dire "nullafacente" a un disoccupato, che ha perso il lavoro, o a un inoccupato, che non lo ha mai trovato, o a uno che non cerca lavoro e vive di rendita, se ricco, o di espedienti, se povero?

Significa che per voi che usate questo termine tutta la complessità e la potenziale bellezza della vita si riduce a due sole cose: o al lavoro salariato o al suo sfruttamento: o si svolge lavoro salariato, o lo si sfrutta (facendo impresa o speculazione finanziaria), o si è fuori dalla dicotomia e non si fa nulla. Insomma nella vita o si è schiavi, o si è padroni e sfruttatori di schiavi, o non si è nulla.
Il sottoproletariato, la cosiddetta feccia, che non lavora e non dà lavoro, è nulla.

Certo, la feccia vive spesso ai margini della legge, ma la legge è quella che obbliga o a lavorare o a sfruttare il lavoro per vivere secondo i suoi stessi dettami, non è legge autonoma, è espressione dei rapporti di forza e di proprietà. E' la legge che divide il mondo nella dicotomia-trinità: padroni, schiavi, (nulla). La mia simpatia non può che andare a chi la infrange, soprattutto finché non fa realmente del male a nessuno.

Dunque io non accetto questa violenza verbale: l'extracomunitario che chiede l'elemosina fuori dal supermarket fa già qualcosa: egli vive, e il suo vivere non è nullo solo perché è al di fuori del lavoro salariato. Non fa quello che fate voi, non vive come voi, non è come voi (e menomale, per lui) ma fa comunque qualcosa, che non è nulla. Il suo vivere è qualcosa. Il vivere di chi rifiuta il lavoro salariato, o quantomeno lo considera un'opzione per campare tra le tante altre senza farne un valore morale o identitario è qualcosa, anche se a voi non piace.

Il nulla è quello dietro le maschere di certa gente per bene.

E adesso concludo con una bella citazione da un film sessantottino, Easy Rider, a chi la vuole intendere e a chi non la vuole intendere:

Ah sì, è vero: la libertà è tutto, d'accordo... Ma parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse. Voglio dire che è difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato. E bada, non dire mai a nessuno che non è libero, perché allora quello si darà un gran da fare a uccidere, a massacrare, per dimostrarti che lo è. Ah, certo: ti parlano, e ti parlano, e ti riparlano di questa famosa libertà individuale; ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura.
#2950
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Razze
24 Dicembre 2019, 02:22:25 AM
Citazione di: Ipazia il 23 Dicembre 2019, 09:29:14 AM
Citazione di: anthonyi il 23 Dicembre 2019, 07:45:58 AM
...
Poi per carità, possiamo anche parlare di etnie, d'altronde non ci sono limiti alla creatività concettuale umana, come dimostrate te e myfriend che avete coniato questo concetto di "razzismo culturale" che forse avrebbe bisogno di essere chiarito meglio visto che mischia aspetti genetici e aspetti socio-culturali.
Riguardo all'idea che questo razzismo sia caratterizzato dall'idea che la propria cultura è superiore, credo che questo farebbe definire razziste tutte le culture che conosciamo. Altro discorso è l'idea che la propria cultura possa venir imposta ad altri. Ancora altro discorso è l'idea che, siccome la propria cultura è superiore allora è legittimo dominare coloro che sono portatori di altre culture.
Un saluto

Tralasciando gli aspetti genetici sui quali qualche dubbio simile a viator ce l'ho pure io (la superiorità degli africani, nativi o trapiantati, nelle arti atletiche è comprovata dai fatti olimpici), ritengo però che l'aspetto culturale umano sia prevaricante e pertanto non mi pare così strampalato il concetto di etnia, che unisce aspetti differenziali di evoluzione ambientale di tipo sia naturalistico che ideologico.

Concordo invece sulla parte finale del commento di Anthonyi e a tal proposito rispondo al post di niko che qui esplicita ampiamente la sua convinzione.

Il relativismo etico e la tolleranza connessa, anche per il padre plurimo di tale posizione filosofica ("Non sono d'accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo") si limita al dire, ma tra il dire e il fare si pone, giustamente, il mare.

Che dire ad esempio di un'etnia che ritiene il furto un aspetto specifico della sua cultura. Che grado di tolleranza può pretendere da "etnie" che invece lo condannano e ne subiscono gli effetti ? O quelle che sgozzano la figlia che ama l'infedele ? O quelle che condannano a morte l'apostata ? O applicano le pene corporali e la legge del taglione ? Oppure cose meno truculente come partorire figli a raffica e affidarli alle correnti marine e all'altrui benevolenza appena si reggono in piedi da soli ?

Di fronte a queste situazioni, che non appartengono ad un passato evolutivo ma sono compresenti nello scontro di civiltà paradiso multietnico globale, una presa di posizione da che parte stare, con tutte le gradazioni etiche che ne conseguono, mi pare inevitabile anche per l'animo più filantropico che posi il suo piede sull'accidentato mondo umano.

Tutti i comportamenti, anche i più rivoltanti, hanno un loro background ambientale (etologico) e la partita doppia della "superiorità" culturale rivela sempre defaillance da una parte e dall'altra, nel dare e nell'avere, ma pensare che la tolleranza eletta a petitio principii sia la soluzione di tutti i mali mi pare abbastanza ingenuo.

Si potrebbe ragionare per ora sulla legittimità del diritto di proprietà e sulle sue complesse fenomenologie, sulla parità dei blocchi di partenza, sull'emancipazione sociale e sessuale, sulle modalità ottimali di esercitare solidarietà ed empatia, ma senza manicheismi ideologici che non reggerebbero nemmeno al governo di un condominio.

Non è vero come sostiene antony e come quota ipazia che è intrinseco a tutte le culture sentirsi superiori alle altre, come se fosse impossibile che una cultura si ritenga pari alle altre.
Come già detto altrove, oltre alla tolleranza, la grande conquista della nostra cultura è il relativismo e il nichilismo nel senso alto del termine, quindi la nostra cultura non solo tollera le altre, ma è in grado di sentire e porre se stessa alla pari con le altre, "astraendo" da se stessa e dalle altre e poi "ridiscendendo" alle radici materiali, psicologiche ed esistenziali di ogni cultura (faccio riferimento soprattutto ai filosofi del sospetto, Marx, Freud e Nietzche, la cui strada è stata preparata del pensiero illuminista poi e cristiano prima, anche se questo suscita le divagazioni di Ipazia sul mio presunto cattocomunismo, che lascio a voialtri giudicare quanto siano pertinenti), quindi c'è almeno una cultura che non si sente intrinsecamente superiore alle altre e falsifica il vostro assunto, cioè la nostra, di cultura.

In realtà penso che tutte le persone intelligenti e non narcisiste di ogni cultura siano così, non si sentono intrinsecamente e immotivatamente superiori agli altri; la nostra ha solo formalizzato, oltre alla tolleranza, il nichilismo e il relativismo come valori. Aumentando così le possibilità che le persone intelligenti e non narcisiste del mondo si riconoscano e si scelgano tra di loro.

Per quanto riguarda i paletti che circondano le proprietà e permettono ai figli di ereditare quanto rapinato dai padri (perché la proprietà è intrinsecamente un furto) di cui anche qui si è parlato, essi sono la causa per cui il fenomeno migratorio esiste e insieme la causa per cui esso viene percepito come tale e come una minaccia, quindi è al cosa di cui stiamo parlando quando parliamo di immigrazione, regolare e non, il flusso migratorio va da dove non c'è ricchezza a dove c'è e viene percepito come flusso e come minaccia perché invade degli steccati, dei paletti che secondo gli autoctoni non dovrebbe invadere, è evidente che se non ci fosse disparità di ricchezza, non ci sarebbe flusso, e se non ci fossero steccati non ci sarebbe percezione, e stigmatizzazione ostile del flusso.

Per quanto riguarda lo scontro di civiltà, che per Ipazia è reale e ci impone di schierarci, contro gli islamici cattivi che perseguitano le donne, contro i rom cattivi che rubano, contro i nigeriani cattivi che sono pigri, mafiosi eccetera, e attribuisce gli aspetti negativi dell'altro alla sua "cultura", vivendo lo scontro di civiltà come "reale", io alla domanda "con chi stare", da comunista sono fiero di avere solo una risposta, che dal neolitico non è cambiata, è sempre la stessa da cinquemila anni: lo scontro non è di civiltà, è di genere e di classe, e dunque io lo so benissimo, con chi stare, anche se è un con chi stare trascendente alla linea dello scontro di civiltà e tracciante in esso un'altra linea, perché gli uomini e le donne stanno in tutte le civiltà, e gli sfruttatori e gli sfruttati in tutte le civiltà. Civiltà, paesi, fabbriche eccetera.

Sto con i perdenti, sperando che un giorno diventino, e che in un certo senso siano già, vincenti. Ma dello scontro reale però, non di quello immaginario.

Le violenze sulle donne, sui bambini eccetera, perpetrate da culture diverse dalla nostra non sono questione di civiltà, sono casi singoli esprimenti semmai i rapporti di forza dello scontro reale in corso, cioè del percorso storico che ha seguito l'assoggettamento familistico e lavoristico delle donne e degli schiavi, dalle catene al lavoro salariato. Assoggettamento legato a doppio filo col fenomeno della stanzialità, per questo ce la prendiamo tanto con gli zingari e con gli ebrei, la loro esistenza ci ricorda che siamo stanziali da cinquemila anni, e nomadi da cinquecento mila. La scelta tradizionale ed ecologica rispetto all'animale che siamo è la loro, non la nostra. Che la condizione femminile sia questione di rapporti di forza e non di cultura è comprovato dal fatto che fino agli inizi del novecento noialtri in Italia stavamo messi come i paesi islamici: delitto d'onore, matrimonio riparatore, uso del velo (fazzoletto) per le donne sposate. Chiedete ai vostri bisnonni che hanno vissuto in un paesino com'era considerata una donna sposata che usciva di casa senza fazzoletto in testa. Se non sono rincoglioniti, vi risponderanno una puttana. In pochi decenni poi, non è cambiata la cultura, sono cambiati i rapporti di forza. Se si vuole imporre la liberazione ad altri sfruttati o sottomessi, l'unico modo di farlo è combattere la sfruttamento e la sottomissione in casa propria, e dare il buon esempio. Il nemico è in casa mostra, sia per quanto riguarda il patriarcato che per quanto riguarda  il capitalismo, quindi non vedo tutta questa necessità di liberare dall'esterno le donne islamiche, che decideranno del loro destino.

Insomma Ipazia, ci chiedi con chi stare rispetto ad un presunto scontro di civiltà. Con chi schierarci in trincea. Imperi centrali o democrazia. Guelfi o ghibellini.
Che ti devo dire?

Per me in trincea, se proprio non si è riusciti a disertare, si rivoltano i fucili dall'altra parte e si spara agli ufficiali. Ogni popolo ai propri.

Se non condividi questo ok, però non dire che il cattocomunista sono io.
#2951
Attualità / Re:Migranti: lavandini e vasi comunicanti!
23 Dicembre 2019, 12:03:48 PM
Citazione di: myfriend il 23 Dicembre 2019, 09:14:03 AM
@niko
Difendere e preservare la propria cultura e quindi l'identità di un popolo, della sua storia e delle sue tradizioni, non significa pensare che la propria cultura sia superiore. Ma solo che è preziosa e importante.

Si ritiene invece superiore agli altri "culturalmente" colui che dice "le culture sono una cosa arcaica, dobbiamo spazzarle via, dobbiamo mischiarle, dobbiamo creare una società multiculturale". E' questo il vero "razzista culturale", cioè colui che vuole imporre una propria cultura "multiculturale" ritenuta superiore rispetto alle altre ritenute arcaiche.

Ok, ma quando si fanno discorsi del tipo "gli africani se lo meritano di essere sottosviluppati perché non hanno voglia di lavorare" , oppure "gli islamici sono rimasti al medioevo", "i rom sono tutti ladri" si sta supponendo che la propria cultura sia superiore, non solo preziosa e importante. Siccome discorsi di questo tipo sono abbastanza frequenti, mi viene conseguentemente da pensare che un bel po' di persone pensiono che la loro cultura sia superiore, non solo preziosa e importante. Penso anche che molte persone lo hanno da sempre pensato, di essere superiori, solo che ultimamente il razzismo da una cosa di cui vergognarsi che era, sta diventando una cosa trendy, da esternare in pubblico.

Poi soprattutto il superamento, e in una certa, minore, misura, anche il miscuglio delle culture, sono una conquista culturale recente dell'occidente stesso, un atteggiamento e un modo di pensare tipicamente novecentesco (marxismo, psicoanalisi, antropologia e paradossalmente anche il pensiero dei totalitarismi di destra, che facevano un uso razionale dell'irrazionale e sostituivano la cultura con l'ideologia), quindi se dico che a me personalmente non me ne frega nulla se vengono spazzate via e mescolate tutte le culture anzi lo auspico, non sono un apolide e un senza cultura, rappresento un aspetto recente, che probabilmente  a te non piace, della nostra cultura.

La nostra cultura è transculturale, un ponte tra il vecchio concetto di cultura e quello che verrà: io ho parlato del novecento per fare l'esempio più eclatante e tragico del secolo in cui la cultura viene sostituita dall'ideologia e le ideologie contrapposte si fanno guerra, ma questo superamento occidentale della cultura è un processo di lungo corso, che è iniziato con la riforma protestante e la secolarizzazione (e il nesso con il capitalismo che ci ha voluto vedere Weber) e non si è più fermato facendoci diventare la prima società laica, se non in un certo senso atea, sulla faccia della terra, anzi forse aveva le sue radici ancora più indietro, nell'escatologia cristiana in generale, che ci ha insegnato a considerare il futuro migliore del passato, a differenza di quasi tutte le altre culture del mondo. Completano il quadro l'avvento della scienza e la fiducia in essa fino agli eccessi dello scientismo: scienza e visione tradizionale del mondo non vanno molto d'accordo ma soprattutto l'universalità della scienza e della tecnica portano nuova forza al sogno di una cultura unificata, quindi di un superamento di tutte le culture. 

Poi se qualche populista regressivo e conservatore non accetta questo aspetto "anticulturale" o meglio transculturale della nostra cultura me ne farò una ragione, ma non pretenda di essere lui il difensore delle culture in generale, se non ha compreso e accettato nemmeno tutti gli aspetti della nostra, di cultura ;-)
#2952
Attualità / Re:Migranti: lavandini e vasi comunicanti!
23 Dicembre 2019, 01:13:23 AM
Viator, suppongo che ti riferisci a me perché inizi con "salve myfriend" ma poi citi me e rispondi a me, quindi suppongo che il tuo iniziale "salve myfriend" sia un refuso.

Ti rispondo, dunque:



Per quanto riguarda la prima parte del tuo post resto veramente allibito di quanto sia gratuita la tua polemica,

le razze umane non esistono e tu stesso lo sai e affermi di saperlo (La scienza afferma che le razze umane non esistono e tu altrove, nel topic che hai aperto intitolato "razze", dici di saperlo e di essere d'accordo, che non esistono! Però qui vieni a fare polemica gratuita con me non si capisce bene perché e su cosa, come se invece le razze esistessero!).

Le differenze interindividuali somatiche e psicologiche tra gli uomini invece esistono, gli esseri umani pur non suddividendosi in razze, sono tutti diversi

Quindi, se permetti, si possono esalare, rimarcare e difendere le differenze interindividuali umane, che esistono, e non le razze, che invece non esistono, senza con ciò essere ne antiscientifici ne incoerenti.

Capitolo chiuso, in una polemica così assurda non voglio veramente più entrarci.



Per quanto riguarda la seconda parte del tuo post, dove parli della parola razzismo, e proponi di sostituirla con etnismo, la trovo più sensata, ma quello che tu vorresti chiamare etnismo, è quello che io chiamo razzismo culturale, quindi parliamo della stessa identica cosa solo che tu la chiami con un neologismo io no.

Ma per me, e forse non per te, il razzismo culturale è una brutta bestia, perché no, non conta solo quello che diciamo o facciamo, anche quello che sentiamo e pensiamo conta e influenza inevitabilmente quello che diciamo e facciamo, quindi se uno pensa una cosa assolutamente stupida, come il pensiero di appartenere ad una cultura, etnia, religione o nazionalità superiore alle altre, insomma a una religione o una cultura con un destino o uno status di superiorità, o peggio di diritto al dominio, farà e dirà anche cose stupide, perché guidato nel suo dire e nel suo fare da un pensiero stupido, non so se rendo l'idea.

In poche parole per me il razzismo culturale è una vergogna quasi come quello biologico, non una legittima convinzione o un qualcosa che riguarda l'intimità inviolabile delle persone.

Essere individui moderni significa avere in sé un briciolo di tolleranza, relativismo, capacità di astrazione dal concreto e dall'immediato e oserei dire anche di nichilismo nel senso Nietzchano del termine: sebbene la convinzione che la propria cultura sia superiore a prescindere sia una convinzione radicatissima, diffusissima e in una certa misura spontanea (La convinzione che la propria cultura sia La Cultura, oltre ogni relativismo), e sebbene questa convinzione abbia, o almeno abbia avuto, una certa indiscutibile utilità pratica in certe situazioni, penso che per essere cittadini del duemila e non trogloditi questa convinzione bisogna in qualche modo superarla. Lasciarsela alle spalle. Capire che le situazioni in cui tale convinzione serviva ed era evoluzionisticamente adattiva sono storia, sono passate.

L'"etnicità" non è una scelta, è solo la conseguenza di un luogo di nascita casuale. Se si sposano i valori del proprio luogo di nascita, bisogna farlo criticamente, cioè sapendo e tenendo ben a mente che dove si è nati è un puro caso, e tutto quello che si prende dai luoghi comuni del posto dove si è nati va filtrato con la ragione e con la critica.
Non si potrà mai rivendicare, se non ipocritamente, il caso come virtù, quindi quello che realmente ti appartiene a livello valoriale è quello che hai fatto e scelto come individuo, e a livello relazionale i compagni di strada che hai avuto e ti sei scelto, il giardino epicureo che il saggio si costruisce con le sue forze astraendosi nella giusta misura dalla società; la massa che trascende in grande le persone che ti puoi scegliere, che trascende il giardino, quindi il paese, la religione, la lingua eccetera, ma anche il fatidico sistema  microsociale che trascende in piccolo le persone che ti puoi scegliere perché ti ci trovi dentro volente o nolente, ovvero la famiglia d'origine, vanno sempre valutati criticamente perché non sono per l'individuo razionale oggetto di scelta, ma di cieco caso: emanciparsi dal caso vuol dire filtrare con la ragione gli insegnamenti culturali e familiari, e la prima emancipazione e quella dal pensare che gli insegnamenti "originari", provenuti dalla famiglia e dalla cultura, siano "superiori" agli altri, o, che è lo stesso, unici e univoci, privi di alternativa: nell'età della ragione bisogna semmai riscegliere, scegliere razionalmente per una seconda volta, se (ancora) ci piace e ci rappresenta, quello che si è dato per scontato come unico valore da bambini o comunque da "immaturi"; ma per scegliere una seconda volta ci vogliono il nichilismo e il relativismo, cioè bisogna vedere quanto di insegnamenti e valori in origine ci era presentato come sacro e superiore a tutto il resto come un oggetto possibile di scelta giacente "profanato" insieme a tutto il resto, e proprio per questo liberamente (ri)sceglibile; bisogna scegliere da quali "culture" in senso lato ereditate dalla nascita o incontrate lungo la strada farsi degnamente raprresentare, senza considerarne nessuna sacra o superiore, perché considerarne qualcuna sacra o superiore inficia la scelta, e ripropone lo scacco psicologico ed esistenziale dell'essere vittime passive del caso, che è la condizione del bambino o dell'immaturo, che nasce in un paese, in una famiglia, in un continente, in un pianeta, senza esserne responsabile e senza sapere il perché, e si aggrappa ai valori di quella famiglia o di quel paese per svilupparsi e per sopravvivere, senza coscienza di un'alternativa quindi senza una condizione guadagnata di individuo razionale.

Questo discorso potrà apparire lungo e complicato, o lontano da ogni cultura e troppo relativista, in realtà lo "scegliersi" la patria e non "avere" la patria "per nascita" è la condizione e il discorso tipico della borghesia europea illuminista settecentesca, fare il grand tour, cioè viaggiare da giovani per le principali capitali europee, perché la patria è l'oggetto di scelta dell'individuo razionale adulto e non una questione di sangue e di nascita; l'individuo (ovviamente ricco e che se lo può permettere, quindi stiamo parlando dell'elite) si sceglie la patria da adulto come vota da adulto e fa politica e si assume un impegno professionale da adulto, e per scegliersela deve aver viaggiato, perché dovrà avere una patria per la sua concreta vita e per i suoi ideali, che non è affatto detto che sia quella dove è nato. Il relativismo e la tolleranza, che vengono fatti passare da certa destra becera come apolidismo e assenza di cultura sono la nostra cultura e sono l'idea settecentesca di cittadinanza europea, che poi sarà spazzata via dell'idea di nazione (nazione che è imposta da un destino a cui ci si deve misticamente conformare)  e non più di patria (oggetto di scelta razionale dopo aver vagliato razionalmente delle alternative)  che dominerà tutto l'ottocento, con il tentativo napoleonico di esportare la rivoluzione francese con le armi e con l'impero.
#2953
Attualità / Re:Migranti: lavandini e vasi comunicanti!
21 Dicembre 2019, 19:54:21 PM
Citazione di: viator il 21 Dicembre 2019, 15:04:20 PM
Salve Niko. Dopo aver letto la tua semidelirante "tirata" in favore di tutti i bisognosi (ma anche di tutti i piccoli delinquenti ed i fancazzisti) del mondo, mi limito a selezionare la seguente tua piccola perla ; "Chi preme per entrare ha diritto di entrare".

A questo punto ti daremo retta e, oltre ai muri, elimineremo pure le porte, per prima (l'esempio dovresti darlo tu) quella di casa tua.

Comunque, se premendo si acquista il diritto di entrare, ciò dovrebbe risultare vero anche per le potenze capitalcolonialiste del passato e del presente, no ?. Vorremo mica negar loro la possibilità di migliorare il proprio futuro ! O ci deve essere qualcuno che giudica chi ha il diritto di entrare dove, come e quando invece no ??. Saluti.

Eppure è semplice, siamo tutti umani, la nostra casa è il mondo, abbattere i privilegi, cioè le "porte" in senso lato, delle "case" in senso lato, dove per motivi arbitrari -e ingiusti- non si può entrare, ci farebbe stare tutti meglio.

Siamo già tutti a casa in quanto terrestri, chi sostiene il nazionalismo e la proprietà privata pretende di essere ancora più a casa in un punto in particolare della terra di quanto non lo sia già ovunque in tutti in punti della terra. La casa mia, il paese mio, l'orticello mio eccetera. I politici che io eleggo su scala locale che devono privilegiare me in quanto elettore, quindi prima gli italiani, prima i padani, prima il paesino mio eccetera. La morte di ogni progetto universalista e realmente collaborativo su scala mondiale. E questo ci pone in una condizione di conflitto permanente, soprattutto con gli altri abitanti della terra meno fortunati.

Il problema è il razzismo culturale di chi pretende che i suoi privilegi, il suo mangiare mentre gli altri muoiono di fame, derivino da una maggior laboriosità o da un'elezione storica o divina di qualche tipo (il fardello dell'uomo bianco, le conquiste da difendere dei nostri avi, magari condite in salsa sinistroide come conquiste dei lavoratori) e non da una maggior fortuna che lo ha visto nascere dalla parte "giusta", cioè fortunata,  in un sistema mondiale di sfruttamento, come ho già illustrato nel mio intervento. Ma il re è nudo. Sarà la storia a decidere se c'è un nesso causale di qualche tipo tra quelli che mediamente mangiano e quelli che mediamente muoiono di fame, e se essere nati in un luogo o in un altro della terra sia questione di merito, virtù, fortuna o privilegio.

A me piace pensare che quelli che nel novecento, prima e seconda metà del novecento, hanno lottato per i diritti dei lavoratori, welfare, pensioni, salario, dignità, erano in maggioranza socialisti o comunisti, e quindi inorridirebbero se questo sogno di estensione dei diritti sociali, che è un sogno intrinsecamente mondiale, fosse declinato su scala locale, come privilegio di qualcuno da difendere contro qualcun altro. Come privilegio che i politici eletti nel paesino x devono difendere contro gli abitanti dell'altro paesino y per raggranellare effimero, e a lungo termine disastroso, consenso.

E mi piacerebbe che chi è razzista, anche solo culturale, cioè chi sente in cuor suo di appartenere a una cultura, o peggio ancora a una religione, superiore, lo ammettesse una volta per tutte.
#2954
Attualità / Re:Migranti: lavandini e vasi comunicanti!
21 Dicembre 2019, 13:11:33 PM
Ipazia, dici che l'africa non ha scuse per essere sottosviluppata... mai sentito parlare di neocolonialismo?

Conosci il discorso di Truman del 49 che inventò dal nulla la dicotomia sviluppo-sottosviluppo per poter giustificare l'assoggettamento dei paesi sottosviluppati mascherandolo da intervento umanitario?
La terza bomba atomica che lanciò l'America su tutto il mondo fu quel discorso, la bomba atomica del sottosviluppo...

Nuovi strumenti tecnologici, economici, finanziari ed ideologici nelle mani delle classi dominanti (banca mondiale e fondo monetario internazionale soprattutto) fecero in modo che la decolonizzazione dell'africa andò in maniera ben diversa da quella dell'estremo oriente. E non fu colpa degli africani.  Dire che oggigiorno è colpa dell'africa se sono sottosviluppati, è come dire che il lungo ciclo delle guerre in Iugoslavia (io me le ricordo...) fu colpa degli autoctoni, e non la conseguenza di una manovra di neocolonizzazione da parte delle rinascenti potenze europee e, in misura minore, di quella americana. E le guerre in africa furono immensamente più orrende, anche se con meno copertura mediatica, e sempre innescate, foraggiate e pagate da potenze occidentali, che fornirono anche armi e addestramento, altroché guerre tribali.
Ruanda e Burkina Faso ti dicono niente? Hai il coraggio di dire che sono state guerre tribali anche quelle? Fino a tal punto si spinge la "verità rivoluzionaria" di voialtri populisti?

Ma se non vogliamo risalire alle guerre iugoslave per fare il paragone, se non vogliamo risalire al 49 per trovare l'origine ideologica del discorso su sottosviluppo, per sapere cosa è il neocolonialismo basta guardare quello che fa oggi la Francia in africa, quello che ha fatto in Libia, il signoraggio monetario eccetera.

Per quanto riguarda il lavoro emancipatore, un altro slogan famoso della storia recente e gloriosa dell'umanità fu "chi non lavora non mangia" (Majakowsky lo voleva scrivere sul cielo, "chi non lavora non mangia!", poi arrivò il rag. Fantozzi, a scrivere molto più prosaicamente sul cielo "il megapresidente è stronzo!") ma l'equivoco sta tutto nel fatto che tale slogan non si riferiva al lavoro salariato. O almeno non poteva logicamente riferirvisi anche se in molti lo interpretarono così, perché il lavoro salariato è per definizione la condizione sociale (di classe) in cui non tutti lavorano, perché se esiste il lavoro salariato, per definizione esiste anche la controparte capitalista che non lavora e si appropria dei profitti, che sia controparte privata o di stato poco importa; quindi kantianamente il "chi non lavora non mangia" non può valere come legge universale, se con "lavora" si intende il lavoro salariato. E se non vale come legge universale, non lo si può scrivere sul cielo. E' chiaro che, se deve valere il "chi non lavora non mangia" come legge universale, si deve superare il lavoro salariato e intendere il lavoro in un altro senso. E tutta l'etica del lavoro (salariato) è spazzatura, come pure l'etica dell'imprenditorialità e del sogno americano che all'etica del lavoro crede di contrapporsi. Se esiste il lavoro salariato, allora necessariamente esistono anche i borghesi, che stanno meglio dei proletari e i sottoproletari, che stanno peggio dei proletari. Anche a livello mondiale, di divisione mondiale del lavoro. Paesi borghesi, paesi proletari e paesi sottoproletari. Una certa vetusta e distorta etica del lavoro contribuisce alla sottomissione e allo sfruttamento dell'africa.
L'unica etica del lavoro che accetto io è quella che porta a superare il lavoro salariato come modello di vita per gli sfruttati e di sfruttamento per gli sfruttatori, e quindi quella in cui chi si arrangia per campare secondo la sua fantasia, scelta di vita e cultura, che sia immigrato, mendicante, zingaro o lavoratore anziano che aspetta di andare in pensione, non è un parassita e non grida vendetta davanti a nessun dio, soprattutto finché non fa realmente del male a nessuno (intendo non commette crimini violenti: spacciare, mendicare e prostituirsi non lo sono, finché esiste una verità, se non rivoluzionaria, almeno liberale), se non alla puzza sotto il naso dei benpensanti e dei benestanti.
#2955
Attualità / Re:Migranti: lavandini e vasi comunicanti!
21 Dicembre 2019, 01:28:48 AM
Citazione di: Ipazia il 20 Dicembre 2019, 18:01:00 PMAlmeno si mantengono da soli. E la fase due sarà costringerli a rimpatriare o migrare nell'Europa "umanitaria". Se poi qualcuno trova un lavoro regolare il problema si risolve. Mica siamo xenofobi. Solo parassitofobi.

Ah, quindi chi non ha un lavoro regolare è un parassita. Vale anche per gli italiani?

E un bambino italiano che fa le elementari e non lavora è un parassita? E un disabile che non può lavorare? E uno che fa il barbone per scelta? E chi si prostituisce per campare e per soldi anche se non ha il pappone e non lo ha costretto nessuno? E chi spaccia droghe leggere come hascisc e marijuana, che attualmente sono proibite per equilibri di potere ma non fanno mediamente più male di un bicchiere di whiskey, che invece non è proibito, e che pure in dosi eccessive anche quello può uccidere?

Tutti parassiti?

E sennò, perché solo gli immigrati?

E un immigrato bambino? E un immigrato disabile? Dove passa esattamente la linea di definizione del parassitismo? Dall'intenzione psicologica, o morale, o magari culturale che può avere un individuo di lavorare oppure no? Dimmi come ti arrangi, e ti dirò se sei parassita?

E chi leggerà, nella mente o nella cultura delle persone e dei popoli, per giudicare se il loro approccio intenzionale e psicologico al lavoro è o non è parassitario? Il nomadismo è intrinsecamente parassitario? E l'italica e mediterranea arte di arrangiarsi? Il monachesimo? Lo stile di vita degli Are Krisna? Chi prova per anni a cercare lavoro ma non ci riesce e si ritrova suo malgrado ai margini della legalità o della società, povero in canna e magari barbone è una persona migliore di chi invece a cercare lavoro non ha provato neanche ed è emarginato o piccolo criminale per scelta? E chi lo decide? Per quanti anni bisogna aver cercato inutilmente lavoro per essere giustificati se si chiede l'elemosina o se si spaccia? E se si occupa casa? Si è parassiti?

E' evidente che il problema non è il parassitismo come colpa imputabile all'individuo, che è una categoria stalinista e nazista per fortuna sepolta dalla storia (il lavoro come omologazione totalitaria dell'individuo alla società, e il conseguente marchio di "asociale" su chi non si conforma) ma il problema è l'accesso al benessere così come definito dal mondo occidentale. Chi qualche briciola di benessere ce l'ha, vuole difenderla con le unghie e coi denti da chi non ce l'ha.

Naturalmente è evidente a chi non ha il salame davanti agli occhi che è solo questione di fortuna (oserei dire di culo), nascere in un paese dove ancora bene o male si mangia, come l'Italia, e non in uno dove si muore di fame, come molti dei paesi africani: la ruota della fortuna al momento del concepimento gira, e un essere umano nasce qui e l'altro lì. Ma siccome la fortuna è indifendibile come motivazione del privilegio, privilegio per cui alcuni al mondo hanno da mangiare e altri no, la si ammanta di etica del lavoro, di accuse di parassitismo all'immigrato, di razzismo culturale secondo cui noi occidentali nati dalla parte giusta del mondo ci meritiamo di consumare le ricchezze che le generazioni precedenti (i "nostri antenati", nella miglior retorica patriottarda) hanno preparato e lasciato per noi, come se non fosse questione di fortuna anche ricevere o non ricevere una eredità, e come se questa eredità non fosse costruita su secoli di sterminio e assoggettamento di ogni diversità culturale rispetto al modello dominante del maschio bianco cristiano occidentale. La cultura che si dice più laboriosa delle altre, in realtà è solo più privilegiata e più grondante di sangue, delle altre.

Ma diritto dei figli a ereditare il privilegio dei padri grazie alla difesa dei cosiddetti confini nazionali non esiste e non può esistere dal mio punto di vista, perché un'evoluzione socialista della società, che io auspico, va verso l'abolizione dell'ereditarietà non solo individuale ma anche sociale ed etnica della ricchezza e della proprietà in vista di una necessaria fase di equalizzazione, equalizzazione necessaria sia tra individui che tra popoli; tanto più se il privilegio che si pretende di ereditare è frutto di rapina di un popolo verso gli altri popoli, è costruito col sangue. La patria non può ridursi al sistema per cui i padri colonialisti e imperialisti già ingiustamente ricchi trasmettono l'ingiusta ricchezza ai figli. Non può essere il sistema per cui i parassiti (quelli veri) continuano a fare i parassiti. Deve essere ben altro se vuole essere e restare un nobile ideale. Sennò è solo una nazione, un'impostura ideologica, che si può difendere giusto coi muri, e neanche con quelli.

Perché la gente ci arriverà, nonostante tutte le stronzate e tutta la propaganda, a capire che non esistono culture più laboriose o superiori, e quindi che non è un merito, ma una fortuna, nascere al di qua e non al di là di un muro antiimmigrati. E quello che sta dall'altra parte non è meno laborioso, ma meno fortunato. E un muro che divide i fortunati dagli sfortunati non è giusto.  Non si possono fare i muri per poter continuare a consumare ed ereditare i privilegi. Chi preme per entrare ha diritto di entrare. L'essere soggetta ai capricci della sorte accomuna l'umanità. I muri la dividono.