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Messaggi - green demetr

#2941
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
27 Ottobre 2016, 02:16:37 AM
Per Apeiron.

A mio parere invece il punto non è quello di stabilire la verità del noumeno.

Ci si avvicina abbastanza l'interpretazione di Phil, quando appunto parla della funzione di limite del noumeno, che appunto è la mai compresa trascendentalità Kantiana.
Solo che dissento da Phil, nel senso che il suo obiettivo è quello di stare nello scetticismo avanzando strane ipotesi sull'infinito e il mistico.

Io invece sono dentro il fenomeno.

Mi pare di capire che il tuo problema sia quello linguistico.

Dunque apperecchiamo la tavola al punto in cui siamo.

noumeno=x

fenomeno=limite di x  (lascio da stare per ora la parte trascendente, non serve nella discussione)

conoscenza=inferenza del limite di x

dunque il fenomeno è descrivibile lingusticamente come la funzione del limite di x

Questo funziona se noi stabiliamo che stiamo parlando di " come se esistesse qualcosa" (e attenzione le teorie del senso dato partono da questa premessa).

Credo infine di aver capito che però il tuo problema è ancora a monte.

E cioè se quella x, se quel "qualcosa di come ci fosse dato", Esista effettivamente o no.

Vorrei puntualizzare questa tua idea, nel senso che secondo te è un problema linguistico, ma la lingua è essa stessa la risposta al tuo domandare, in quanto per definizione è la forma che si da come Nominazione (di qualcosa appunto).

Tu forse però intendi proprio invece il contenuto di verità sotteso, a quella domanda/nominazione stessa.

Ovviamente al di là di Severino o il pensiero eleatico, non vi sono altre formulazioni che io conosca.

Ossia la verità è la stessa esistenza, l'esistere in quanto esistere. In quella posizione il fenomeno è dunque la copia, l'idea platonica che domina l'occidente ancora oggi. Fenomeno come apparenza.


A mio modo di vedere invece, la questione stà a valle, appunto come hai inteso bene, sul fenomeno, che essendo in contatto col noumeo dice qualcosa del noumeno stesso. Al contrario di Sgiombo dunque credo che la forma inferenziale abbia un valore, proprio nel suo valore di limite.
Se fosse per fede, allora tutto potremmo pensare: pure che esistano gli unicorni.
Il prospettivismo è dunque la regola vivente, dinamica, cangiante a cui siamo sempre costretti a rispondere.
Linguisticamente si configura come scienza da Newton ( e prima ancora Galilei) in poi. Lingua matematica ovvio.
#2942
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
25 Ottobre 2016, 23:20:40 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:43:30 PM
@green demetr

Non capisco il tuo punto di vista  :D  Rispondi a questa domanda: esiste qualche proprietà che è indipendente da ogni punto di vista?
Se sì riesci a formulare un linguaggio/dei concetti... su di essa?

P.S. Non sono un "monista" anche se non nego che quel tipo di filosofia mi affascina parecchio (es: Advaita Vedanta)

Non è difficile se ci pensi. Mettiamo che ogni senso ha un punto di vista, innegabile, soggettivo, eppure ogni punto di vista sensoriale, è slegato dagli altri.  8)

E nel contempo, qui le idee cominciano a farsi ostiche, il mix di 2 sensi, udito e vista per esempio, crea un altro punto di vista slegato. Per ciò quando vedi una porta che sta per sbattere, è come se ascoltassi quella porta mentre ancora il suono non è pervenuto.

Insomma la rappresentazione non è mai soggettivamente assoluta ma è in continua rimessa in discussione con la realtà. con il noumeno.

Perciò stesso per inferenza, esattamente come diceva Hume possiamo azzardare che esista una realtà esterna slegata dal nostro punto di vista sensoriale.

Questo significa che possiamo conoscere il fenomeno NON il noumeno, che rimane come una necessità sullo sfondo.

(correggo così anche sgiombo per quel che riguarda Kant).

NB

con monismo non intedevo quello dell'advaita. che ripeto è un altro mondo. ma quello della coincidenza tra cervello e mentale.


Citazione di: Duc in altum! il 25 Ottobre 2016, 21:36:36 PM
**  scritto da Apeiron:
CitazioneIl problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso.
Come privi di senso? ...io più leggo da Kant sul noumeno, più comprendo che se avesse avuto fede, sarebbe stato facile per lui identificarlo con lo Spirito Santo.
Il noumeno è lo Spirito Santo, giacché non esiste un fenomeno nell'Universo che non dipenda da Lui.

Probabilmente però lo pensava, non essendo conoscibile tramite il fenomeno, Kant nella critica del giudizio pensa sia conoscibile come trascendente, tramite la categoria del bello e del sublime.

In fin dei conti è figlio non solo della nuova scienza newtoniana, ma anche del suo ambiente luterano.

Su questa trascendenza e la lotta tra sintesi attive classiche, e passive contemporanee rimando al mio excursus relativo alla posizione di davintro.
#2943
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
25 Ottobre 2016, 14:32:43 PM
Citazione di: davintro il 23 Ottobre 2016, 18:16:10 PM

L'ammissione di un livello di trascendenza, o se si preferisce di di ""autonomia" del reale la considero a partire appunto dal carattere di passività che la percezione, livello basico della coscienza umana, porta con sè. Il complesso dell'orientamento percettivo non è la produzione creativa di un Io ma si costituisce in relazione all'apprensione passiva di stimoli sensibili provenienti da un mondo esterno. Se una persona proveniente dagli anni '40 o '50 venisse catapultata nella nostra epoca e poi osservasse camminare per strada davanti a lui, di spalle, una persona con dei capelli lunghi, i suoi schemi associativi lo porterebbero a percepire, cioè effettuare una sintesi anticipativa dell'immagine di una donna, perchè il suo contesto esperienziale di origine ha prodotto nella sua mente lo schema associativo "capelli lunghi-donna, capelli corti-uomo", schemi regolanti il decorso della sua percezione del mondo, aventi una provenienza culturale. Se poi la persona davanti a lui si girasse all'indietro e mostrasse al signore proveniente dal passato un volto maschile, il signore dovrebbe da qual momento in poi operare una modifica, una riformulazione degli schemi percettivi, facendo saltare l'equazione "capelli lunghi-donna". Ma a questo risultato il signore proveniente dal passato, la sua soggettività pensante, non ci sarebbe mai arrivato da solo, è stato necessario l'intervento di una realtà oggettiva, l'oggetto "corpo umano estraneo", che mostrando di sè nel decorso temporale delle percezioni lati diversi costringe il soggetto percepiente a modificare i propri schemi interpretativi. Non è cioè idealisticamente il soggetto ad applicare categorie e schemi validi aprioristicamente al di fuori dell'esperienza all'oggetto, ma è l'oggetto che con una sorta di intenzionalità "al contrario" interviene sulla mente soggettiva, che può apprendere nuovi lati, nuovi modi d'essere della realtà quanto più resta passiva nella ricezione degli stimoli sensibili con cui gli oggetti richiamano l'attenzione dell'Io. Questa è trascendenza. Questa riformulazione degli schemi associativi percettivi, che nel corso della nostra esperienza vitale è costante, è del tutto disfunzionale in relazione alla condizione di attività e creatività dell'Io nei confronti del mondo. La libera e creativa attività soggettiva, che trova più che nella conoscenza, nella volontà il suo livello di massima espressione, troverebbe la necessità di riformulare costantemente i propri schemi mentali un impaccio, una scomodità, una "perdita di tempo", piuttosto che intervenire sul mondo siamo costretti intervenire su noi stessi. Dunque tale necessità non può essere posta spontaneamente, naturalmente dal soggetto, ma imposta dai nostri limiti ontologici nei confronti di un'alterità che ci limita e ci impone costantemente di "rientrare in noi stessi" per adeguare i nostri strumenti percettivi e intellettuali ai fini dell'apprensione dei modi d'essere degli oggetti. Questo non è realismo ingenuo, ma critico poichè l'autonomia degli oggetti non viene affermata a partire da un'abitudinaria e ingenua constatazione della regolarità del presentarsi degli oggetti alla nostra coscienza, ma alla luce di una deduzione dall'ammissione di un'evidenza originaria, la nostra coscienza soggettiva. E se l'origine dell'attività intenzionale della coscienza è la percezione, e questa a sua volta si relaziona all'oggetto percepito tramite degli schemi associativi che l'Io percepiente non inventa arbitrariamente ma costantemente forma a partire dagli stimoli che gli oggetti nel loro manifestarsi a noi ci comunicano, allora occorre ammettere che la nostra soggettività cosciente è resa possibile dall'incontro con un' oggettività ulteriore che interviene su di noi. Quest'ulteriorità non è come prenserebbe una realista ingenuo ed estremo separata ed estranea alla nostra rappresentazione, alla nostra esperienza soggettiva, eppure al tempo stesso non si esaurisce nella rappresentazione in quanto ha il potere in ogni momento di modificarne le regole o gli schemi. Cioè, proprio il primato epistemologico, non o almeno non ancora, ontologico della soggettività conduce coerantemente a riconoscere un'alterità che con tale soggettività interagisce e si relaziona all'insegna della reciprocità


Per me la trascendenza non può venire dal "DAS DING" alias l'oggetto prima che si dia alla percezione.
La tua teoria della sintesi passiva husserliana oggi va molto di moda.

Di certo concordiamo fortemente sul carattere di sintesi, ci discostiamo su quale sia il ruolo del percetto, passivo come nella tua teoria, o attivo come nella teoria classica dell'idealismo da Kant in poi.

Per noi metafisici essendo la trascendenza Dio (un Dio inconoscibile sia chiaro) la sintesi non potrà essere che epifania dello svolgimento del mondo storico reale. (Hegel)

In Husserl o in te sembra quasi ribaltato il procedimento per cui è lo scontro dialettico col reale, a determinare il valore della sintesi, e non quello esperenziale.
E per cui appunto l'esperenziale è questo scontro cieco con la Natura in fin dei conti.(


excursus
certamente non ne nego la potenza antimetafisica, e di certo funziona bene contro certe presunzioni della tecno-scienza, rimane il fatto che questo reale a me puzza di metafisico, nè più nè meno che come prima
fine excursus

Il realismo ingenuo si discosta da noi in maniera maxima perchè ritiene il valore della sintesi non a livello di sintesi rappresentazionale, bensì meramente esperenziale. Il lato vincente di quella mossa è che possono fare a meno di entrare nel dibattito formale di tutta la fenomenologia del 900 fino agli epingoni dell'oggi.

Il lato debole è che non intendono più il lato storico-culturale come hai ben scritto tu.

#2944
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
25 Ottobre 2016, 14:18:40 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 14:01:04 PM
Non capisco l'obiezione  :D

Quello che volevo dire io è: supponi di avere davanti un tavolo. Lo vedi, lo tocchi ecc. Lo descrivi come "ruvido, con quattro gambe, color marrone...". Il problema è che queste proprietà che tu affidi al tavolo in realtà non sono strettamente parlando del tavolo, cioè di un oggetto indipendente da te, ma del "tavolo rappresentato". A questo punto se uno ti chiedesse: "ok ora però dimmi cosa è un tavolo usando proprietà che non dipendono dalla presenza di un osservatore" cosa gli diresti?  La mia tesi è esattamente questa: nulla. Potresti pensare poi in realtà a questo ragionamento: così come per migliorare le osservazioni controllo lo strumento di misura, allo stesso modo per migliorare la conoscenza oggettiva del tavolo analizzo me stesso. Ma anche qui ci sono due problemi. Primo se anche conoscessi meglio me stesso quello che potrei dire è come rappresento il tavolo . Secondo: analizzo me stesso secondo la "mia" prospettiva. In sostanza non si esce da se stessi.


sì ma questo tuo, sembra un rappresentazionalismo monista. l'obiezione che ti pongo è che il cieco che ha riacquistato la vista può analizzarsi fin che vuoi da dentro, ma di fronte al senso dato, è costretto ad ammettere che realtà è disgiunta dalla sua percezione.
Ossia che essa pretende come direbbe Berkley sempre nuovi punti di vista.

Non esiste dunque IL (quello unico soggettivo monista) punto di vista dell'osservatore, per cui è necessario una sintesi (in antitesi alla pluralità di visioni, che ci consegni l'idea di oggetto unitario. Come noi lo conosciamo, una sfera che si fa vedere in quel modo, e una sfera che si fa toccare in quel modo. Noi la chiamiamo sfera solo per comodità, per sintesi appunto.

Noi non analizziamo il punto di vista, ma l'insieme dei punti di vista dati.
La sintesi appunto, come nel caso da Kant in poi.


#2945
Ciao Paul mi intrometto in quanto hai introdotto una grande ed interessante quantità di riflessioni, degne di nota,e di confronto.

Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Intendo dire che la scelta egoistica o sociale deve ritornare come soddisfazione al sentimento e anche all'istinto, diversamente l'individuo è schizofrenico .

Esatto Paul, hai colto molto bene, infatti siamo immensamente insoddisfatti.


Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Vale a dire che  i sentimenti e pulsioni sono metabolizzati dentro una ragione che a sua volta attraverso la volontà sceglie un comportamento che lo finalizzi comunque alla soddisfazione della propria coscienza.

Una coscienza che però è cooptata dai valori cristiani, e dal laissez faire del gerarchico (fin quando ho un potere su un sottomesso, tutto è santo e buono).




Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Non si capirebbe come mai vi siano due percorsi storicamente paralleli,: la soddisfazione del proprio egoismo e la soddisfazione del propria eticità.

Capisco bene cosa intendi e fondamentalmente sarei d'accordo, se non fosse che quella etica essendo cooptata dalla volontà egoistica, non è tanto "parallela", direi anzi che quella linea viene tirata in basso verso quella egoista, dimodochè assomiglia più ad una sinusoide. Comunque in generale concordo.



Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Bisogna comunque includere il concetto di tempo nell'autocoscienza e nella razionalità, innegabile anche antropologicamente.


Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
La razionalità umana contempla l'attualizzazione ad un ora e adesso di un tempo passato, presente  e futuro.

Come rilevato da Heideger, con Diltey per primo si introduce questa idea, poi portata alla celebrità da Marx.

Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Significa che genera aspettative e motivazioni che si traducono nel comportamento dell'ora e adesso.
E questo è il problema che ha portato la politica al suo tramonto, in quanto così facendo non vi è più programmazione.


Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Ad esempio la rinuncia dal punto di vista economico viene concettualizzata nell'interesse economico sul soddisfacimento di un capitale, che non essendo consumato ai fini di una felicità o soddisfazione attuale genera appunto un interesse.
Intendi dire che si rinucia ad punto di vista mercantile per uno capitalista, in cui non è più la merce a contare ma il capitale (cosa che una volta sganciatasi dalla merce, diventa finanza pura, teoria monetaria).


Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
L'etico invece si pone come rinuncia attuale ad istinto egoico, ma lo fa per trovare una sua felicità nel sociale, familiari, amici, conoscenti, popolo, quindi a sua volta si aspetta che quella rinuncia possa rappresentare a sua volta in uno stato di necessità futura che qualcun altro rinunci per lui. Quindi l' egoista si aspetta un aumento del proprio capitale attuale per mancata soddisfazione attuale, l'etica anch'esso si aspetta che il favore solidale che lega le persone istituisca una concatenazione virtuosa di aiuto da parte di chi può dare in un dato momento. L'orizzonte in cui noi ci comportiamo è ovviamente la nostra esistenza, ma l'eticità va oltre il processo economico dell'immediatezza, va nell'aldilà del credente, nel retaggio culturale educativo del laico in cui l'etica viene codificata nel diritto e nelle personalità giuridiche astratte e quindi formalizzabili razionalmente, come gli enti giuridici e i valori morali.

A mio parere invece sostituirei la parola felicità, con potere. E il potere va istituzionalizzato e reso santo.

excursus teoretico
Appunto la tradizione nefanda del giudaico-romano. Che appunto favorisce le azioni di volontariato, perchè garantendo quel potere di fondo, che garantische la felicità individuale, le fa credere anche di essere santa.
Una tradizione beffarda, perchè rinnova la condizione servile dell'eventuale aiutato.(che permane nella suea situazione di dover essere aiutato, in una situazione paranoide sempre pià dilagante nella nostra società).
Francamente di santo e virtuoso (portatore di forza nell'etimo no?) ci vedo poco.
Va da sè (okkey forse non così da sè ;-) ) che confondere il potere con la felicità è un errore di quelli gravi.
fine excursus.





Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Il concetto di Bene di nuovo si scontra fra la natura umana "animale"  e il razionalismo della ragione.

Bè se la natura è animale (e quindi moralmente bestiale) allora va da sè che abbiamo deciso che esista un DIO razionale.
(c'è tutta un analisi della bestia nella tradizione pittorica cristiana, che dice molto di questo PRE-GIUDIZIO, per cui l'uomo è un animale, non nel senso animale uomo, ma proprio, animale asino, animale maiale, animale mostro e altre amenità del genere) Sembra quasi che l'inconscio cristiano sia esattemente quello totemico ancestrale, per cui l'uomo entra in contatto tramite DIO attraverso l'animale, e solo oltrepassandolo (uccindendolo fisicamente o simbolicamente come vizio) si possa arrivare a DIO.[Agamben]



Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Già è difficile ontologicamente stabilire il Bene se non come attribuzione ad una entità superiore come Dio, ma anche perchè
deve essere declinato e relazionato sia nella teoria che nelle prassi comportamentali come punto di riferimento che validifichi o meno il giudizio di Bene e di Male

Ma infatti nessuno lo fa per via ontologica, forse Platone o Severino, ma non come termine correlato, in quanto il BENE è in sè come ESISTENZA.(male e bene sono categorie politiche).

Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
C'è una sostanziale differenza fra la razionalità teologica e l'etica laica soprattutto della modernità.
La teologia è legata a quel razionalismo aristotelico fino al tomismo e alla scolastica , l'etica moderna è legata alle argomentazioni da Cartesio in poi e le argomentazioni sono prescientifiche e non razionali se le intendiamo in forma aristotelica.
Un esempio chiiaro è Kant che inizia con la critica della ragion pura ,del pensiero per passare alla critica del la ragion pratica, e quindi dalla teoria passa alla prassi e infine la critica del giudizio ; il diritto anglosassone positivo deve molto alle analisi kantiane.Si passa quindi dal razionalismo greco ad un empirismo anglosassone, in cui in mezzo vi è i l diritto romano intriso a sua volta delle astrazioni che gli derivano dal cristianesimo, come il diritto canonico.

Concordo a patto di ricordare che comunque sia il tema del Bene è declinato nella sua forma classica, con quello della CITTA' non importa se sia ATENE o GERUSALEMME (sestov), in quanto comunque riguardava appropriatamente il tema del comunitarismo.


Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
L'empirismo etico, se così posso dire, è invece la contrapposizione fra individuo e società da cui nasce una nuova dialettica sociale
Vale a dire il Bene individuale si scontra e media con il Bene sociale,e questo processo è attualissimo.

Ma infatti proprio dove decolla l'industria, ossia dalla proprietà privata inglese, che inizia a prendere forma quel pensiero utilitarista, che pensa in primis a proteggere le sue conquiste (private appunto), di fatto instaurando le premesse dell'attuale panorama mondiale lobbista e imperialista.(tema che andrebbe sviluppato in altra sede)



Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
...
Ma quell'astrazione deriva proprio dal razionalismo aristotelico che si poneva al di sopra delle quotidianità umane, in maniera dicotomica .Accade che quella dicotomia nella modernità venga rovesciata, ora è la natura i l mondo per come viene vissuto ed osservato il focus della conoscenza e della teoretica, per cui la prassi ritorna alla teoria come la teoria genera le prassi .
Per cui ora si riflette sull'assurdità che in nome di Dio o di uno Stato si faccia guerra, eliminando vite concrete in nome di un'astrazione.

Non credo all'etica del fardasè indiviidualistico sta generando decadenza.
Bisogna di nuovo ricodificare le etiche che non possono che essere condivise o l'umanità si eliminerà di propria mano.

A mio parere non bisogna confondere la prassi della tecnica con il suo modello cognitivo (sono criche separate), e sopratutto non bisogna confondere quelle due cose, con il problema politico.
Mi sembra che per brevità hai eccessivamente contratto il discorso.

Detto questo se il politico è visto come astrazione, bisogna dire che da Rosseau in poi si è posto come contrattualismo sociale. Dunque si dicotomia, ma legata alla volontà del singolo (e in ottemperanza alla volontà della maggioranza, che si impegna a non eliminare la minoranza). Lo Stato Moderno occidentale in fin dei conti è questo.

EXCURSUS CON CONCLUSIONI FINALI

Il problema secondo me dunque non è quello di una revisione del contrattualismo, che per me va anche bene, quanto quello di derimere i problemi di sovranità e rappresentanza.

L'individualismo non ha a che fare con questa concezione politica, infatti se si rispettano le linne generali presupposte, si convive, fin tanto che c'è la ricchezza.

Il problema etico, è invece comunitario, proprio nel senso classico, del dare senso al proprio agire, qui la scelta è solo politica.

excursus in excursus
o meglio solo in parte politico in quanto presuppone una capacità relazionale che ormai (visti i continui insuccessi) viene sostituita da quella tecnologica, a me viene in mente subito la nuova umanità piegata sui cellulari (Scenario che nella metropolitana milanese ha i caratteri del grottesco) ma tra poco anche quella cibernetica, alcuni dicono anche nel giro di qualche annno (5 per l'esatezza per avere i primi robot in casa), che avrà un impatto studiato generazionale.
fine excursus

Il processo insomma è che invece di (inutilmente) cercare etiche comuni, è quello di raderle al suolo sotto un solo grande potere.
A me sta bene, perchè di fatto il problema classico ossia quello del senso dello stare insieme permane nell'uno (che rimangano, per non so bene quale ostinazione cristiana) o nell'altro (che vengano relegate a studi specialistici come teoria della comunicazione, o mass-mediazione).

fine excursus


#2946
Citazione di: cvc il 24 Ottobre 2016, 13:13:10 PM

Green, sicuramente Nietzsche ha dato un notevole impulso filologico alla filosofia antica, in un epoca dove lo storicismo spingeva ad interpretare il mondo antico sempre col senno di poi, guardandolo con lenti ad esso posteriori e sistematizzandolo secondo criteri ad esso sconosciuti. Vizio ben radicato pure nei nostri tempi. In particolare la critica contemporanea tende sempre ad ignorare il traumatico passaggio dalla cultura orale a quella scritta, e da alla filosofia antica un'intellettualità (nel senso di una rigorosa organizzazione sistematica del pensiero figlia della scrittura) che spesso non possedeva, laddove la filosofia era più esercizio meditativo-contemplativo che conoscenza  sistematica. Nietzsche ha tentato di riportare in auge il valore dell'oralità, con parole che intendono evocare oltre il senso scritto delle parole.

Ma certo siamo d'accordo e mi complimento.

Citazione di: cvc il 24 Ottobre 2016, 13:13:10 PM

Il tema del riconoscimento del male insito in ognuno di noi è stato spinto a fondo dal cattolicesimo, dove però si presta a pesanti strumentalizzazioni, come I templari che dovevano uccidere per rimettere I propri peccati, con San Bernardo che li esortava quindi ad uccidere con tranquillità, in buona coscienza. Bene e male sono in continua lotta fra loro, e noi siamo il loro campo di battaglia.

No, qui proprio stai travisando: intendo il male interiore a noi, non degli altri. Se tu non mi spieghi quale è il tuo problema, come faccio a relazionarmi con te? (non a caso la maniera più semplice per far funzionare le cose è metterti a tacere, vedi la stessa violenza a cui alludi, e che quindi è l'esatto opposto di quello che intendo).

Breve excursus teoretico(per chi vuole)
Non devo dirtelo io. Se no facciamo l'errore storico del cristianesimo, storicizzato nel cattolicesimo.
Finora i discorsi che creano il male sono quelli inventati da freud e portati a teoria da Lacan e alievi:
In ordine di magnitudo nella società occidentale sono 1)Schizofrenia (noi pensiamo di essere altro da ciò che siamo) 2) Ossesione (è il girare attorno, in cerchio, totalmente incapaci di andare avanti, problema della filosofia in primis, anche) 3)Paranoia (Il rimanere sulla soglia, il percorrere la linea aventi e indietro senza mai superarla, nè avanti, nè indietro) 4) Isteria (noi diventiamo altro da ciò che noi siamo) è il tema del mimetico.
Se noi integriamo il discorso generale del male sul piano della genealogia, abbiamo grossi grattacapi per recuperare un senso etico del comunitarismo.
(fine excursus).



Citazione di: cvc il 24 Ottobre 2016, 13:13:10 PM

Le correnti filosofiche nichilistiche e postmoderne non mi hanno mai interessato perchè non vi ho mai intravisto nulla di interessante. Il che può senz'altro essere una mia lacuna. Pur conoscendo poco di questi pensatori, tuttavia, più che un recupero anche attualizzato dei valori pare emerga più una visione solipsista, un individualismo che non mette d'accordo nessuno se non sul fatto che i benefici derivanti dal rispetto dei valori diventa una questione arbitraria e utilitaristica.

Questo dipende dal fatto che o non li capisci o non vuoi fare uno sforzo per capirli.

La visione solipsistica che tu intravedi è quella che LORO (i postmoderni) descrivono tramite la decostruzione, ossia l'isolamente dei vari fattori concorrenti(e d'altronde anche in queste remoto villaggio virtuale nostro, non è la visione maggiormente abbraciata?) . Il nichilismo da esso derivante è solo la conseguenza di questa analisi del nostro presente. Ma la visione che ogni autore dischiude, è di volta in volta, un tentativo di risposta al nichilismo.
Non un suo avvallamento.

Ripeto ogni tentativo di difesa dei valori e quindi del falso, automaticamente porta al nichilismo.
Dispiace per i cristiani, ma le cose stanno così. Servono altre rispote.
#2947
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AM
Green, non è questione di terrore nel vedere i valori tradizionali cadere a pezzi. Le grandi filosofie ellenistiche - cinismo, stoicismo,epicureismo, scetticismo - sorgono proprio nel momento in cui, dopo Alessandro Magno, cadono i valori della polis e la grecità si mescola alle altre culture. C'è un qualcosa in comune con la globalizzazione attuale, l'uomo capisce che non può più identificarsi con lo stato e le sue leggi, così cerca l'autarchia, l'autonomia spirituale. Così nasce l'ideale del saggio, che rimane imperturbabile anche se il mondo gli crolla intorno. La differenza è che oggi la filosofia non offre mezzi per affrontare questa sconcertante caduta di valori, perché è divenuta prassi economica o scientifica anziché spirituale. Laddove si auspica un risveglio dell'uomo non sotto le insegne dei valori di giustizia e libertà, ma alla luce dell'ideale del filosofo che distrugge tutte le verità condivise e se ne compiace, ignorando di essere figlio di ciò che distrugge, non so che dire.

Ma infatti l'epicureismo viene recuperato da Nietzche, e lo stoicismo pur nel suo idealismo metafisico introduce per primo l'idea di sopportazione, tema imprescindibile nella riflessione contemporanea.

Il punto dello spiritualismo non è che esso è defunto, direi tutt'altro, è che nella sua accezzione politica, non riesce proprio a scrollarsi di dosso il suo corollario, ossia quello del potere.

Se io entro in un gruppo catechetico, o se io entro in un gruppo locale comunista (ce ne sono ancora no?), la regola della gerarchia non cambia proprio MAI.

Per questo bisogna rifondare gruppi che imparino l'arte del riconoscimento del male insito in ognuno di noi.

CI vuole un gran forza per non cadere nella fascinazione del leader. Noi si deve portare come esempio quella forza, senza per questo poi a nostra volta diventare leader. Per fare questa cosa, bisogna però scontrarsi col reale. Questo implica automaticamente rigettare l'idea dell'impossibilità, come se veramente il destino umano ne sia improntato meccanicamente. Direi di no, fa parte di quella filosofia che ragiona del bio-potere. Questa rassegnazione e pessimismo diffuso sono esattamente quelle che il potere coltiva da anni. Non siamo macchine fin quando c'è posto per pensare l'utopia, e cioè vivendo il reale.
BEne! detto ciò io rifuggo nel virtuale di nuovo, a presto!!!(voglio essere onesto, io personalmente non posso che resistere, ad oggi.)
#2948
Caro Eutidemo mi devi però delle spiegazioni.

La prima è come mai associ i meccanismi della fuga-paura con quelli valoriali di razza,sesso,appartenenza politica.
Per quale motivo associ la paura alla razza sesso appartenenza politica????
Dici che l'intelletto sopperisce agli stereotipi, ma è lo stesso discorso che fai che è stereotipato.

La paura è invece un territorio vastamente ignorato e solo di recente indagato.(ovviamente male, visto che sono le nuroscienze e i loro preconcetti a dire QUALE sia il punto di vista).(decisamente meglio dalla scuola freudiana,quella che conduce a Lacan e allievi, ovviamente ai margini del discorso ideologico fondamentale).
Quindi sì recepisco male il tuo scritto, come volevasi dimostrare dirai tu, essendo io appartenente alla categoria degli idealisti.

A mio parere non serve rendere la questione dello stereotipo o del pregiudizio a maggior ragione, più forte, solo perchè si può installare un parallelo con le neuroscienza, anche se avessero mai un valore (e prima poi riconosceranno che non ce l'ha), si tratta di un rafforzamento di come le cose avvengono, maggior afflusso di sangue in alcune aree.....e allora????? stiamo solo spiegando come le cose avvengono non PERCHE', che sarebbe poi la questione intellettuale.

Quindi nessuno prevarica l'altro sono solo 2 campi del sapere (di cui uno è un abbaglio clamoroso, e che presto, molto presto, visto che gli esempi stanno aumentando, confluirà nel campo della psichiatria, e in futuro nelle scienze dell'intelligenza artificiale.).

D'altronde l'inventore del neuro-imaging italiano, intervistato da quelli di ASIA.IT ha già abbandonato il posto, rendendosi conto di aver svegliato l'ennesimo mostro della ragione umana, nella intervista citata si chiede infatti quali sia la scientificità di un associazione luminosa con la complessità del pensiero umano. E' più in generale il problema del riduzionismo in campo filosofico.

A meno che vogliamo dire che la paura sia una cosa sola, negando invece la varietà pressochè infinita con cui si presenta nelle vite di tutti noi.
#2949
Citazione di: cvc il 22 Ottobre 2016, 19:43:41 PM
Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone.  Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.

Il decostruzionismo secondo me ha svolto il suo ruolo storico, di accompagnatore del processo Nichilista, ed è servito a far capire quali siano i cocci rimasti dalla grande fine delle metafisiche.
Ora capisco il terrore a vedere tutte quelle virtù cattoliche cadute a pezzi.

Ma bisogna rimboccarsi le maniche, comprese le forze cattoliche a cui molti filosofi guardano con speranza.
Quindi piano a prendersela con coloro che semplicemente hanno preso nota della situazione.

Il punto è sempre quello comunitario, che sia cattolico, giudaico o ateo, francamente è un dettaglio.

E' proprio perchè il male c'è sempre stato che bisogna affrontarlo con nuova sensibilità e intelligenza, magari a vista d'uomo, sono d'accordo con sgiombo (una volta tanto), dimodochè ricominciamo a capire il tema dell'amicizia. Cosa che Nietzche fece al suo tempo, vedi i 3d in corso di Garbino. (poi è ovvio che Nietzche si concentri più sull'ambito laico, ma la stima che mostra verso la figura del Cristo, fa capire, che sebbene non creda nei suoi fedeli, comunque ne stima la via che ha indicato).

La ragione serve ancora, eccome se serve!!!

Per quanto riguarda la fine del Mondo, pronosticata entro 100 anni, visto i danni che sta già facendo la deviazione della corrente del golfo (vedi Haiti quest'anno, la Florida un paio d'anni fa....), è ovvio che assisteremo ad una risposta politica.(e quindi terribilmente ingiusta, già si sa....ma comunque noi non la vedremo di certo....forse qualche giovine). Dunque bisogna stare calmi e proseguire lentamente questo tentativo di riforma comunitaria.
A mio avviso se non parte dal privato, nei rapporti che ciascuno ha con gli altri, la vedo difficile comunque a livello teorico. (questo significa essere onesti e ammettere il proprio egoismo in primis).

Poi se uno vuole credere nella collaborazione, beh lo faccia, io ho già dato, e ho visto cose buje.(e pur sapendolo visto che parafrasando Galimberti, il nichilismo abita già nelle nostre case, rimane una esperienza di vissuto veramente amara).

Se per collaborazione intendiamo le macchine....beh è oggetto di altro 3d....perchè sì nessuno ci rinuncia, sono un bene...ma non è tutto oro quello che luccica.

E su questo qualunquismo generale, scappo. a presto.
#2950
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
22 Ottobre 2016, 21:08:12 PM
Citazione di: Apeiron il 22 Ottobre 2016, 13:33:46 PM


Anzitutto volevo precisare ancora una volta una cosa:
Realtà puramente oggettiva: l'oggetto in-sé indpendentemente da qualsiasi rappresentazione di uno o più soggetti. Con questo voglio dire che l'oggetto deve possedere qualità intrinseche e non solamente derivanti dall'"osservazione"/interazione col soggetto. Come dicevo nel post inziale non si può dire di conoscere la realtà in-sè se conosciamo solo come appare-a-noi. Per inciso se divento cieco tutti i colori spariscono e quindi la realtà in-sé è incolore. Il problema è che la stessa scienza potrebbe conoscere la realtà come "apparente" e come quindi derivante da come ci appare a noi.


Sembra quasi che tu intenda la distinzione dei percetti come impossibile, perchè mere rappresentazioni soggettive.

Eppure per esempio proprio l'esempio da te citato dice il contrario. E cioè che effettivamente il rappresentato non può sopravvivere senza il senso dato.

Come nell'esperimento citato da Berkley del cieco che riacquistata la vista, non  distingue la sfera che aveva sino a qualche tempo prima conosciuto col tatto.

Come dire l'idea soggettiva del cieco, la sua rappresentazione è stata negata dalla realtà.

Quindi come vedi noi non siamo solo rappresentazione.

Diverso il caso nell'induismo caro Sariputra in quanto siamo abituati a conoscerlo come monismo rappresentazionale.
In cui la rappresentazione è dualista(velo di maya), e l'uno è DIO. Questione lontanissima dalla concezione occidentale, che ne vedrebbe un evidente contradizione.

Il punto rimarebbe quindi nello stabilire se il dato sensibile sia reale o immaginario.
#2951
Certamente la questione a livello filosofico non è quella di stabilire un primato del sentimento sulla ragione, ma è di intendere che le azioni che si dicono etiche e oggettive, sono storicamente sostenute da passioni private, che molto spesso di oggettivo e di razionale non hanno nulla.
Anche volendo ignorare la storia dei crolli del fascismo e del comunismo o del socialismo, per chi vive il presente dovrebbe essere evidente, che qualsiasi misura presa in Europa si sta risolvendo in una crisi dalle dimensioni bibliche.
Dove è la virtù? dove è l'oggettività?
Solo demagogia a vagonate, appunt mass-mediazione etc....etc....

La soluzione dunque non è quella di adottare dei metamodelli come, che ne sò, un habermas mettiamo, che ha costruito un reticolo così capzioso di REGOLE per la democrazia, che sono chiaramente qualcosa che riguarda più una sua ossesione, che non uno sguardo sul reale.
E gli esempi nel pensiero politico-etico contemporaneo sono migliaia. Pochi intendono il discorso sul potere, pochi capiscono che siamo vittime della tradizione giudaico-romana.

Ma è proprio da popolo che dalla storia, dalla realtà ha preso solo solenni batoste, che poteva emergere pian piano la nuova filosofia dalla Harendt, ad Anders fino a Levinas, si è cominciato a spostare l'attenzione sul problema dell'altro, del prossimo, del vicino etc.....etc.....

Ripeto non è che se leggiamo uno di questi 3 autori allora ci troviamo di fronte a proposte irrazionali, ma ci troviamo di fronte a persone che riflettono a lungo sul destino umano legato alle sue passioni. (una per tutte la celebre "banalità del male", la banalità del male come routine, come delegazione delle intenzioni, appunto come delegazione al potere PER un potere minore, ma comunque potere).
Non è che il problema gerarchico si dissolve facilmente. Non serve dire democrazia quando in realtà ci di demanda ad un potere più grande.
Tra l'altro a Dicembre assisteremo con la vittoria del sì, con la vittoria della razionalità, perchè diranno che questo è giusto e vero (santo), al suo completo inveramento del contrario, non ci sarà più nemmeno la demandazione, tanto demandare per demandare senza riflettere, il potere ha capito che può permettersi di elimiare la stessa demandazione.(il buon Carmelo Bene queste cose le aveva già intese, ma essendo uno spirito anarchico e non un filosofo, non diede mai soluzioni).

Insomma bisogna usare la razionalità come ancella del sentimento e non il contrario: semplicemente non funziona!
#2952
Citazione di: DrEvol il 21 Ottobre 2016, 16:47:44 PM
Aristotele vedeva chiaramente che non esiste etica senza razionalità e che non esiste felicità senza etica. Questa correlazione tra razionalità, etica e felicità era valida ai suoi tempi (anche se i contenuti erano diversi da quelli di oggi), ma il principio non è più valido oggigiorno?

A me non pare che fosse valida al suo tempo, era valida nella testa dei filosofi, e delle loro ambizioni politche.
Ma Socrate e Platone E Aristotele hanno fatto una brutta fine politica, mi pare.

Non abbiamo nulla da imparare da chi nasconde il suo filofare dietro una chiara pretesa pedagogica, questo è quello che ho sempre pensato.

Il principio razionale dell'etica è oggi completamente da re-imparare, e se non si parte da Nietzche e dal suo background nei moralisti francesi come Montaigne o La Rochefoucauld, non si va da nessuna parte.

prendiamo ad esempio questa massima di a Rochefoucauld

8. Le passioni sono gli unici oratori che persuadano sempre. Esse sono come un'arte della natura dalle regole infallibili: il più semplice degli uomini animato dalla passione riesce più persuasivo del, più eloquente che ne sia sprovvisto.

In tempi di controllo della massa, di mass-mediazione, sono argomentazioni ancora assai valide.

D'altronde dopo il grande crollo delle ideologie, e sulle macerie di esso, grandi filosofi ebrei come Anders o Levinas, hanno focalizzato la questione con il problema della comunità, del comunitarismo come rapporto con l'Altro.

Quando noi ci relazioniamo agli altri la razionalità è un semplice strumento al servizio delle passioni.

Dunque l'attenzione etica si deve spostare dal contrattualismo alla comprensione reciproca e dei nostri demoni interiori.

Visto l'arduo impegno che richiede, e di cui Nietzche ha cominciato a mettere i mattoni, mi sembra nel panorama odierno (povero, poverissimo) di poter ravvisare un primo step, in coloro che studiano un nuovo modello antropologico per l'uomo.
(dai De Martino allievo di Sini, sino a gruppi come Tiqqun segnalato anche da Agamben).


Tutta questa digressione per ridimensionare la questione del razionale. (appunto ridimensionare non rinunciare, rimane un ottimo strumento, ma non la soluzione alias)
#2953
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
21 Ottobre 2016, 22:19:18 PM
Citazione di: Phil il 21 Ottobre 2016, 18:28:07 PM
A scanso di equivoci, vorrei precisare che aver ricordato la "profondità" dello scetticismo (che impedisce di sbarazzarsene semplicemente affermando "io esisto e non ne posso dubitare", poichè è proprio tutto il resto che il dubbio autentico problematizza, non certo la "voce dalla coscienza"), non implica affatto che, nel mio piccolo, sia un "sostenitore dello scetticismo".

Di fatto, le tre questioni che ho ricordato scomodando Gorgia, non sono esclusive dello scetticismo: identità, conoscenza e linguaggio sono temi inestricabili per ogni prospettiva filosofica... e più che metterle in dubbio, secondo me, la questione cruciale è fare i conti con la loro "relatività", il loro dipendere biunivocamente dal paradigma che le impiega (che è a sua volta basato su un approccio relativo... re-lativo, ovvero che ri-porta al suo punto di partenza, agli assiomi assunti come indubitabili, alla preferenze teoretiche, etc....).
La laboriosa sfida concettuale è probabilmente quella di barcamenarsi fra i molteplici orizzonti e le impostazioni disponibili, per provare a lanciare uno sguardo al di là di quello che scoprono e inventano le (neuro)scienze.

Si infatti se pazienti recupero le argomentazioni successive a quella che tu ritieni semplice, infatti non le ricordo, a me ripeto basta la spiegazione più semplice, non ho bisogno di ulteriori strumenti capziosi. Comunque attendi, ne scriverò.


Sulla relatività del sistema di riferimento infatti ci può aiutare la scuola analitica, in quanto pensavo che fossimo un gradino più avanti nella discussione, ne avevo gettato un primo abbozzo nel mio primo intervento.
(non so forse la questione è troppo accademica, e se non piace agli amici del forum, figuriamoci a me, che sono di idee opposte a quelle analitiche).
Comunque se non accettiamo la questione che lo scetticismo è battibile, non avrebbe senso nemmeno la argomentazione successiva. Quella che tu chiami del relativismo.






#2954
Ovviamente dipende sempre cosa si intende per razionalità.

Aristotele mal lo digerisco, il suo concettò di razionalità nè più nè meno che Platone, suo maestro, si associa al concetto di Bene, nel senso proprio che coincide.
Se dunque la ragione è il LOGOS, ovviamente non sarei d'accordo. Non perchè il LOGOS non esista, ma perchè esso appare come Dinamismo Continuo, e non come nella teoria, di origine orfica , dei 2 maestri da una duplice natura della Idea (o natura o realtà che sia, dipende a che scuola ci riferiamo).
Per cui la RATIO è veramente la DIVISIONE tra ciò che è bene e ciò che è male.
Ma appunto bene e male sono solo convenzioni etc....etc.....(vedi i 3d su Nietzche).

Se invece intendiamo ragione come intelletto allora non è una scelta, in quanto l'uomo nasce simbolico per natura, l'uomo nasce insieme al linguaggio insomma. Come d'altronde è evidente nella psicologia evolutiva o dinamica che sia, o come è ovvio osservando un bambino.
Dunque intellige, mette subito in relazione il proprio corpo con l'esterno.
#2955
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
21 Ottobre 2016, 14:56:37 PM
Per quel che mi riguarda la discussione si è divisa i 2 tronconi.

Tra chi sostiene lo scetticismo (Cannata,Sgiombo,Phil) integralmente (ma con diverse argomentazioni), tra chi lo sostiene solo non convenzionalmente (Apeiron), e chi invece lo ritiene superabile con l'argomento del soggetto esistente (Green,Maral,Davintro).

In attesa di portare altre soluzioni dei vari dualismi e monismi contro lo scetticismo, che non ricordo più, e devo andare a recuperare dal Fish.

Certamente sono d'accordo con te Maral che la rappresentazione non è di dominio del soggetto, ma piuttosto dei soggetti. Ma qui apriremmo il capitolo del linguaggio (sia a livello veritativo, logico-formale che sia, sia  quello descrittivo metafisico, nominalista o realista che sia).

Il discorso scetticista non ha la grandezza del discorso sul Mondo, ma si intrattiene con se stesso, nella semplice ma per loro fondamentale desiderio di stabilire se la realtà esista o meno.

Scrivi infatti nel secondo intervento.

"In ogni caso comunque la cosa è ricondotta al gioco dei suoi significati, è solo significando qualcosa (ossia affermando di sé qualcosa in rapporto alle sue negazioni) che qualsiasi cosa può concretamente esistere."

Che io parafraso nella questione della corrispondenza 1:1 tra senso e realtà.

Portato nella nostra discussione su Severino, ricordo che il nostro accettava la coincidenza tra il suo "apparire" e il "fenomeno" nell'accezione continentale.

Probabilmente la parola apparizione sembra qualcosa di evanescente rispetto alla parola oggettività.

Ma in fin dei conti l'oggettività non riguarda il campo del filosofo, perciò a mio modo di vedere sbagli a concentrarti su quello.(Che va bene solo quando critichiamo un certo modo di fare scienza. metafisico, ingenuo etc....).

Il punto è se il fenomeno possa avere la qualità trascendentale a cui Davintro allude.
Mi sembra infatti di essere totalmente d'accordo con il suo intervento.

Davintro però mette l'accento più sul trascendente che sul quello dell'esperienza, la qualità della regolarità del contenuto mentale.

Ma su cosa sia questa trascendenza non accenna. Quindi nel caso aspetto delucidazioni.

A mio parere il trascendentale è quella superficie che è direttamente a contatto con la sensorialità.
Al contrario di Kant o di Husserl non credo vi siano delle celle inferiori come le facoltà o l'intenzione, che decidano per essa (la percezione).

Ripeto fuor di scetticismo la percezione esiste, d'altronde anche scientificamente oggi il soggetto che prima dicevamo è riconosciuto come PROPRIOCEZIONE.

Ma la propriocezione è di fatto nel tempo, e quindi nello spazio, che ne decide le regole convenzionali. (dunque è del tempo storico di cui si parla, non quello assoluto, e cioè a mio parere dell'esperienza).

Infatti la propriocezione tramite NEGAZIONE assume di volta in volta il carattere di IO, io non sono più in quello spazio, ora sono in questo, e nell'accumulo degli infiniti fotogrammi, egli decide formalmente di avere una esperienza. Ossia intenzionalmente si fa soggetto.

A quel punto e solo a quel punto egli giudicando come tale, come soggetto cioè, il contenuto della sua percezione, potrà decidere del fenomeno.

A quel punto decide che deve esistere per forza una superficie (abduzione), e a quel punto si innesta il problema se esista la corrispondenza.

Ossia senso e reale hanno carattere speculare?

Poichè il mondo analitico non analizza il trascendente (kant) nè il formale, ossia il carattere di presentazione NEGATIVA del contenuto(Hegel-Heideger), appunto il significato, il simbolo direbbe Lacan.
A noi non rimane che stare alla soglia del gioco. Ossia nella parte inferiore, dobbiamo cari Maral e Davintro spiegare come il reale informi del sensoriale.