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Messaggi - niko

#2956
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Se naufraghi ,
15 Dicembre 2019, 23:27:54 PM
Scusa Ipazia se ho ancora problemi con i "tuoi" (e purtroppo non solo tuoi) neologismi, ma si dà il caso che l'unico Capitale correttamente scritto con la C maiuscola che io conosca e su cui potrei eventualmente seguirti in un discorso tra persone ragionevoli, senza mancare di rispetto alla mia, e anche alla tua, intelligenza e cognizione della realtà, è un noto e ormai vecchiotto libro di Marx. Che spiega tra le altre cose come funziona il capitale, con la c minuscola.

Tutto il resto sono cazzate segno dei tempi. Brutti tempi.
#2957
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Se naufraghi ,
15 Dicembre 2019, 19:30:42 PM
Ecco, Ipazia ci mancava la sparata citazionista di bassa lega sui marxisti fucsia ahahaha...

appunto come dice anche bobmax, la vera rivoluzione comincia da dentro di te: e quindi dai retta a me, lascia momentaneamente perdere il proletariato internazionale, la liberal democrazia, il destino del mondo e quelle stronzate là..

Emancipati dai neologismi spazzatura di Rizzo e Fusaro!!!

Non ti fanno onore, veramente.
#2958
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Se naufraghi ,
15 Dicembre 2019, 14:56:08 PM
Voglio provare a dare una risposta un po' argomentata all'intervento di Ipazia, anche se in esso ci vedo più un tentativo di ridicolizzare il mio pensiero che un'argomentazione, sarò io che sono malizioso.

La lotta di classe non è aspen, la lotta di classe è su tutti gli stramaledetti posti di lavoro del mondo:  il potere non deriva dal complottare, ma dal possedere materialmente i mezzi di produzione e il capitale, quindi a rigor di logica e di ortodossia marxista, la lotta di classe c'è tanto al baretto sotto casa mia, dove ci stanno un proprietario e un cameriere, quanto ad Aspen, Bildemberg eccetera.

La categorie marxiste come capitale, lavoro, general intellect (quest'ultimo pensato da Marx come conseguenza della società capitalista duecento anni prima dell'avvento di internet) eccetera, sono concetti teorici elaborati per cercare di capirci qualcosa di come funziona la società e avere una minima probabilità di cambiarla, quindi non dividono il mondo in ricchi e poveri, migranti e stanziali e non si prestano alle generalizzazioni cretine dei populisti: descrivono una realtà complessa, in cui il caldarrostaro che va in giro a vendere castagne, in quanto imprenditore che possiede i suoi mezzi di produzione, è concettualmente simile a un capitano d'industria invitato a bildemberg.

Aspen è una concentrazione grande di potere, il baretto piccola, ma di aspen ce n'è uno, di baretti e posti di lavoro miliardi, i due aspetti, di concentrazione (per aspen)  e di diffusione (per i baretti), in un certo senso si compensano, quindi chi è che decide le priorità della fantomatica "lotta di classe" (che detto da un populista è un termine ridicolo) e ci dice che bildemberg è più cattivo e più pericoloso del proprietario del baretto sotto casa mia? Cattivo e pericoloso per chi? Per il cameriere sotto casa mia, certamente è più pericoloso il proprietario del baretto!
E allora?

Esiste una universale ed hegheliana "comunità" al di là di quella creata dai rapporti economici di classe reali, per cui tutta la "comunità" deve avere i suoi orwelliani due minuti d'odio contro bildemberg e non contro il proprietario del baretto?

E chi lo dice?

Per me mera la negazione di una Comune, la distopia capitalistica in sé, non fa una comunità, e non aspiro a che in futuro la faccia, con alcuni, dittatoriali e storicamente già visti, accorgimenti.

Per concludere, Il complotto di alcuni finanzieri e politici che occasionalmente complottano è la conseguenza dell'ingovernabilità intrinseca della società capitalista, non la causa; gli uomini più potenti della nostra società non possono far altro che complottare, a volte anche in riunioni segrete, per provare a governare l'ingovernabile e anche complottando non ci riescono: è evidente che la criticità del sistema non è Aspen e la massoneria in generale.

Infatti i populisti (e i fascisti...) oggi come ieri fanno della lotta alla massoneria il loro cavallo di battaglia principale, perché vogliono buttare fumo negli occhi, vogliono cambiare tutto affinché nulla cambi. Io al giochetto non ci sto, e programmaticamente e come stile di vita guardo il baretto sotto casa mia e non Aspen e Bildemberg.
#2959
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Se naufraghi ,
13 Dicembre 2019, 14:52:32 PM
per myfrend...


Il problema è che quello che tu chiami "sovranità nazionale" non è che protezionismo, l'altra faccia, altrettanto sistemicamente necessaria del liberismo che dici di voler combattere. 

Proprio l'inesistenza e l'impossibilità delle cospirazioni e dei governi mondiali che i populisti vedono ovunque, rendono necessarie forme locali, nazionali  e continentali di governo e di potere, protezioniste rispetto al flusso delle merci e dei capitali. Questa tendenza si contrappone all'altra eterna tendenza del capitalismo, quella liberista, che viene sempre additata dalle anime belle come l'unico problema, invece è una faccia della medaglia, una metà del problema. Senza accumulazioni locali di capitale difese dall'uso della forza e quindi da qualche forma di stato-nazione, che per definizione si contrappone a qualche altro stato-nazione nella spartizione di un territorio reale che non è più solo  mercato, la pacchia liberista del presunto autogoverno mondiale -politico o economico che sia- non dura a lungo. 

L'Uno, con la u maiuscola, già è difficile da trovare in filosofia, figuriamoci in politica.

Intorno al protezionismo si compattano certi interessi, e intorno al liberismo certi altri. Alcuni politici rappresentano certi comparti della borghesia, altri certi altri. E questo è tutto. Della sovranità nazionale non frega e non è mai fregato niente a nessuno. Almeno a nessuno dei politici che dicono di rappresentarci.
#2960
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Se naufraghi ,
13 Dicembre 2019, 13:46:38 PM
Tutta la retorica populista è basata sul nemico immaginario, mica il nemico immaginario è solo l'immigrato.

Il populista pensa che il dominio della borghesia sulla società prenda la forma della cospirazione (povero illuso...) e quindi vede cospirazioni ovunque. Le cospirazioni e i nemici immaginari che vede ovunque gli fanno pensare che il privato non sia politico, e quindi a farsi rappresentare dall'uomo con le palle di turno.

Il populista non ha imparato niente dalla storia di due guerre mondiali (egli vive nell'eterno presente), cioè contro ogni evidenza e contro ogni logica continua a pensare che possa esistere un governo mondiale segreto della borghesia o del mercato, senza capire che prima o poi la parola sulla scena mondiale passa alle armi e magari alle bombe atomiche, proprio perché la borghesia e il mercato non si autogovernano e non sono complessivamente governati da nessuno.

Il populista pensa che la borghesia finanziaria sia in qualche modo o in qualche (a tutti i non populisti misterioso) senso peggiore di quella imprenditoriale e quindi nel migliore dei casi odia gli usurai, nel peggiore gli ebrei.

Il populista se è sinistroide si dice marxista, ma non ha capito che i borghesi non sono i ricchi e i proletari non sono i poveri.

Se è colto o si sforza di esserlo ama Pasolini, l'intellettuale più provinciale e cerchiobottista della storia recente italiana.

Se dice di essere oltre la dicotomia destra sinistra ma in realtà è di estrema destra e si vergogna, ama Fusaro.
#2961
Attualità / Re:Un momento di transizione...
11 Dicembre 2019, 01:28:11 AM
Dubito che si possa in qualche modo o in qualche senso "vincere" una guerra termonucleare.

Più che le radiazioni e le singole esplosioni, ci sarà fatale la quantità enorme di polvere e fumo immessa nell'atmosfera dall'insieme di tutte le esplosioni, che non si depositerà e farà da schermo al sole per anni generando il cosiddetto inverno nucleare, e avremo ottime probabilità di fare la stessa fine dei dinosauri. La loro storia dovrebbe insegnarci che senza sole si muore.
#2962
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la "vita"?
10 Dicembre 2019, 17:38:48 PM
La domanda sul batterio è interessante...

nella storia evolutiva della vita la riproduzione sessuata e il destino di morte individuale sorgono insieme come due facce della stessa medaglia: gli esseri asessuati come i batteri e le amebe non hanno un destino individuale di morte, in condizioni ambientali ideali vivono in eterno continuando a scindersi, sono esseri che possono morire di "morte accidentale" ma non di vecchiaia (come gli elfi tolkieniani); solo l'essere sessuato, che si riproduce per copie non identiche di se stesso dipendendo dall'incontro con un altro essere per la sua riproduzione può, e deve, morire di vecchiaia; in natura dunque, eros e tanatos cominciano insieme; da un punto di vista cronologico, la possibilità (inedita da un certo punto in poi in natura) che il figlio di un vivente qualsiasi non sia fisicamente identico al genitore, implica la morte individuale, sia del figlio che del genitore, in una serie generazionale che si configura come serie di diversi, e non più di uguali.

Insomma in un vivente si deve avere il sesso, per poter distinguere il momento della riproduzione da quello della morte, e con il sesso la dipendenza dell'individuo dalla specie aumenta a livello incommensurabile perché l'individuo sessuato non accede mai più alla sua serie di identici che lo eternizza, ne a partire dal suo stesso corpo, ne tramite la sua specie in cui trova solo un surrogato di quella che prima era la discendenza degli identici nella -nuova- discendenza dei simili.
#2963
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la "vita"?
09 Dicembre 2019, 14:07:13 PM
Come l'autore del post, anche io credo che la vita non sia affatto un fenomeno, ma la condizione stessa dell'apparire fenomenico: ci sono fenomeni perché c'è vita, come potrebbe la vita stessa essere fenomeno?

La vita è una finestra sul mondo che ne fa vedere una parte, e quella -piccola- parte di mondo "vista", inquadrata dalla finestra della vita, si fenomenizza, diviene fenomeno per l'individuo che vive. La vita è la causa del fenomeno, si candida dunque ad essere numeno, o comunque la causa universale dell'apparire fenomenico.

Da un punto di vista "scientifico", per quanto di scienza possiamo parlare noi profani, l'estrema improbabilità statistica e combinatoria della formazione casuale della vita a partire dalla materia inorganica (genesi casuale del dna e delle proteine a partire da sostanze più semplici) fa pensare all'esistenza (spaziale o per cicli temporali) di universi multipli: se si vuole escludere l'ipotesi del dio-demiurgo che crea la vita intenzionalmente, e se la scienza ci dice che c'è una probabilità minima che la vita si sviluppi per puro caso, così minima che è ancora ridicola anche confrontata all'età e alla vastità del nostro universo con i suoi miliardi di pianeti come luoghi possibili in cui la vita potrebbe fare almeno un tentativo di svilupparsi, allora dobbiamo immaginare, (esistenti oltre al nostro o come cicli temporali successivi e precedenti al nostro), un milione di universi, come un milione di schedine del superenalotto; è assolutamente normale che almeno una su un milione faccia sei, cioè che almeno un universo su un milione ospiti la vita in almeno un suo pianeta.
Questo spiegherebbe la taratura fine dell'universo e il principio antropico: a noi ci sembra un miracolo che l'universo sia predisposto ad ospitare la vita, in realtà anche la presenza della vita potrebbe essere statistica, ma statistica su un tempo e uno spazio più grandi -infinitamente più grandi- dell'età e della vastità del nostro universo: magari per il nostro universo a taratura fine e sottoposto al principio antropico, la grande danza del caso e del caos ne a partoriti altri trecento milioni di miliardi di universi, in cui la vita non è apparsa mai e di cui noi non sapremo mai niente, e continueremo a credere, vedendo solo il nostro universo "tarato finemente", se siamo credenti nel senso religioso del termine, al "miracolo della vita".
#2964
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
21 Novembre 2019, 16:47:12 PM
Citazione di: bobmax il 21 Novembre 2019, 14:40:32 PM
Ciao Niko,
percepisco una grande passione nei tuoi interventi.

Tuttavia mi riesce difficile seguirti. Questa difficoltà dipende senz'altro anche dai miei limiti, ma ritengo vi sia pure dell'altro.

Poiché mi pare d'intravedere in cosa possa consistere quest'altra possibile causa, che rende difficile la comprensione almeno per me, provo qui a descriverla. Scusami sin d'ora se non ti troverai d'accordo.

Ho l'impressione che vi sia come uno scoglio dove s'infrangono le ondate della tua passione.
Questo scoglio consiste nel cercare di trattare l'assoluto come fosse relativo, e ciò non è possibile.

Bene hai fatto a introdurre il tuo ultimo discorso proponendo una definizione di Verità.
Perché è proprio lì, a mio avviso, lo scoglio. Ossia nel presupporre "ovvio" dover dare una definizione del Vero.

Perché una definizione è senz'altro utile, indispensabile, se rimaniamo nell'ambito dell'esserci mondano. Ossia se consideriamo ciò che in sostanza è necessariamente "relativo".
Ma se desideriamo rivolgerci all'assoluto, allora non c'è definizione che tenga.

Nel nostro esserci, il "vero" può benissimo essere inteso come:

"il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso"

Ma ciò è valido rimanendo però sempre consapevoli che questa "verità" è pur sempre relativa, mai assoluta.
L'accordo e la coerenza sono sempre relativi, mai assoluti. Così come non esiste alcun dato o realtà oggettiva veri di per sé.
E che quel "senso assoluto" è solo un modo di dire.
Consapevoli, inoltre, per quel "ciò" che non può certo essere assoluto, essendo un qualcosa, e anche per quel "non può essere falso".

Difatti la verità, nell'esserci (ossia nel relativo), non consiste mai di una semplice affermazione, che non avrebbe alcun senso. Ma consiste nel suo continuo imporsi come negazione di ogni possibile falsità.
L'A = A, per esempio consiste nella negazione di ogni possibile non A. Una negazione che necessita di essere continuamente riconfermata.

Tuttavia, questa "verità" non può essere Assoluta.
Per la semplice ragione, che l'Assoluto non può avere legame di sorta.
Neppure la necessità di negare ciò che non è!

Può sembrare una questione di lana caprina... ma non lo è affatto!

Che sia invece sostanziale, lo possiamo intuire se ci spingiamo ai limiti del comprensibile.

Per esempio, cercando di pensare il Tutto, possiamo cogliere che il Tutto non può essere "qualcosa"!
Difatti il Tutto è... assoluto.

Se invece non si avverte il limite, in cui si infrange inevitabilmente la mente che vorrebbe raggiungere l'assoluto, il pensiero finisce immancabilmente per avvitarsi su se stesso.

Capitava a Kant. E capita pure nei tuoi scritti. E' l'onestà intellettuale, che non vuole ingannarsi, e cerca la Verità. Senza però avvertirne il limite. E così vi rimbalza inconsapevole e prende a girare su se stessa.

Spero di non aver turbato al tua sensibilità. Perché non era per niente mia intenzione.

Ti auguro ogni bene  


Ho capito in che senso non sei d'accordo, ma non ho capito in che senso non hai capito o non mi segui..

Vuoi relativizzare la verità? Ma è quello che anche io sto cercando di dire da tre post:

Il nulla dove vai a finire dopo la morte, non è una verità del mondo o di chi sopravvive, ma una tua prospettiva, una tua verità: una verità che pertiene a te (a te persona generica che pensi di finire nel nulla, che pensi sia questo il tuo destino): nella memoria di chi sopravvive, e nel mondo, quel nulla non c'è! C'è solo l'essere! Si vuole che quel nulla esista, almeno come nulla? Allora si deve ammettere che una pur minima parte della coscienza del defunto sopravviva, per percepire quel nulla che non è da nessuna altra parte e non è percepito da nessun altro..

Nel mondo che ti sopravvive e che ti ha preceduto da sempre e per sempre, ci saranno degli esseri immateriali, esseri di coscienza o di memoria nella mente dei vivi, e degli esseri materiali, sassi, aria, fuoco, pianeti eccetera, ma non certo il nulla: il nulla nel mondo non c'è! E nemmeno nella coscienza altrui, dove con altrui intendo dei vivi, che hanno ancora rappresentazioni e ricordi del mondo materiale! Se c'è, può essere solo nella tua, di coscienza, che deve persistere come coscienza vuota, indeterminata, senza più contatti con gli altri e con il mondo materiale: coscienza di nulla.

In parole povere, quando nasci, si apre una finestra che ti fa vedere una (piccola) parte del mondo, quando muori, la finestra si chiude e non vedi più niente, ma quella non-visione pertiene forse al mondo? E' uno stato del mondo? Niente affatto, pertiene a te! è un tuo stato! E se hai uno stato e qualcosa che ti pertiene, paradossalmente non sei annientato... quel nulla funziona come nulla gnoseologico ma non come nulla ontologico, ti fa avere una corrispondenza tra te stesso, che sei soggetto nullo, e il nulla che ti fa da mondo, da oggetto di percezione, che è oggetto nullo, ma questa corrispondenza è un uno, una verità.

Quindi quel nulla che è il nulla della morte, o tu ci sei che lo inveri, che non percependo e non provando niente lo rendi vero almeno per te laddove non è vero per nessun altro, e allora non sei definitivamente annientato, o la vita è sempre stata un falso, una prospettiva su qualcosa di più complesso o di più semplice che vita non è, e allora quel nulla ne è la continuazione.

Relativizzare una verità significa dargli un luogo e una storia... qui la verità da relativizzare è la verità del nulla-della-morte o del nulla-dopo-la-morte, e appunto, quale altro luogo, e quale altro tempo, per questo nulla, nell'infinità di un mondo pregno e impenetrabile di essere, che non l'interiorità del defunto, che non è più nell'essere e non è più nel mondo? Una cosa che non è nel mondo, che non ha un corrispettivo nel mondo, può stare solo in un'interiorità, in un soggetto, questa cosa nella mia prospettiva corrispondentista della verità può essere solo un errore, ma allora il nulla è errore come lo è la vita, nel nulla la vita continua con altri mezzi..

Quale è l'errore le la semplificazione vera del mio discorso? E' che naturalmente per essere più chiaro e più spiccio ho considerato il nulla una sostanza come un altra, un qualcosa che può essere vero per alcuni e falso per altri, che si aggiunge all'essere e lo completa, e non un'orizzonte impossibile e inattingibile, non come l'impensabile. Ma si può arrivare alle stesse conclusioni anche supponendo che il nulla non esista: il nulla non esiste, quindi non può essere nemmeno un destino o un punto di arrivo, quindi neanche nella morte si va a finire lì. La morte è solo l'oblio, la morte della coscienza, ma una coscienza inattiva, vuota, può essere davvero considerata come inesistente? secondo me no, continua a esistere come possibilità, come virtualità. Ogni negazione è una determinazione, quindi anche la negazione della coscienza che consegue alla morte è una determinazione riferita all'indeterminato, un campo di coscienza che si ripropone come campo virtuale, vuoto, ma impalpabilmente sussistente.

Questa semplificazione è dovuta al fatto che a me interessa indagare soprattutto le condizioni psicologiche e umane che hanno portato a pensare il nulla come destino dopo la morte, non tanto la verità della questione in se. E' evidente, anche solo per esclusione, che un supposto nulla che non sta nel mondo, che non ha corrispettivo nel mondo è uno stato di coscienza (immaginato dai vivi o reale anche per i morti non importa), un qualcosa pertinente anche alla psicologia e all'antropologia: i vivi, (e solo alcuni di loro) hanno immaginato questo stato di coscienza, lo stato di coscienza del nulla in cui si troverebbe chi non è più cosciente, spesso senza vederne le contraddizioni e le implicazioni etiche: pensa che addirittura in questa discussione mi è stato detto che un'etica basata sul pensiero di un eterno ritorno è un fantasma e una paturnia, cioè milioni di persone non si rendono neanche vagamente conto di come anche un'etica -spesso edonistica, raramente titanica o eroica in altro senso- basata sulla brevità della vita e sulla verità epistemica della morte possa essere una paturnia, al vaglio del reale funzionamento della natura e della tecnica, che per me è l'unica verifica possibile di ogni etica.
#2965
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
20 Novembre 2019, 16:25:55 PM
Intervengo di nuovo perchè mi dispiace non essere stato chiaro nei miei interventi precedenti, spero che adesso quello che voglio dire si capisca:

Riporto la definizione che da wikipedia, appoggiandosi al dizionario di filosofia Treccani, del concetto di vertità, perché questo si lega al nulla-dopo-la-morte come ultima e neanche tanto disperata eternizzazione del soggetto: il nulla come e tomba-aldilà in cui il soggetto e la coscienza continuano paradossalmente ad esistere, nel senso etimologico di esistenza, ricevendo l'essere dal nulla. Anche per pensare il nulla, cioè per essere morti, si deve ex-sistere, quantomeno perché si è l'ente per cui il nulla, come accordo delle cose alla parola, come coerenza esistenziale, è vero, è un fatto, mentre è falso, non è un fatto, in altre circostanze e per altri enti. C'è bisogno del contributo prospettico, e quindi esistenziale, del defunto perchè quel nulla assoluto a cui si suppone sia ridotta la coscienza del defunto (in cui si suppone sia sprofondata) sia vero, altrimenti quel nulla, come stato di fatto descrivibile a parole dai vivi e confrontato con lo stato di fatto del mondo, è falso, quantomeno perchè il mondo è il luogo dell'essere, e del divenire.

Anche in una definizione sociale della verità, il defunto è in un solipsismo, è in un nulla che percepisce solo lui, che è falso per tutti gli altri ma è vero per lui. Se veramente il defunto è nel nulla, quel nulla è un nulla che ha bisogno di lui come soggetto generico per essere vero, per (non) manifestarsi anche solo come nulla; non è un nulla autonomo, autosussistente. Defunto e nulla si eternizzano e si "danno l'essere" a vicenda: sono quella corrispondenza tra soggetto e oggetto, quell'uno, che in molte tradizioni filosofiche è la verità.

scrive wikipedia:

Con il termine verità(inlatinoveritas, in grecoἀλήθεια) si indica il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso (...) Per Parmenidela verità si fonda sull'indistinzione, o coincidenza, tra pensieroed essere, tra logicae ontologia, che avrebbe contraddistinto tutto il pensiero antico: egli non attribuisce alla verità nessuna determinazione, appellandosi piuttosto al rigore logicoche vede la verità rigorosamente contrapposta all'errore, per cui semplicemente l'«essere è», e il «non-essere non è. (...) Nellafilosofia modernail problema gnoseologico degli strumenti di ricerca della verità diventa preponderante, soprattutto in Cartesioche individua nel cogitoil metodo fondamentale per distinguere il vero dal falso; mentre Kantdarà per scontata la verità preoccupandosi piuttosto delle possibilità di accesso alla verità.

Ora, se la verità è:

"il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso"

E' evidente che solo il defunto può essere in accordo con il nulla-della-morte e percepirlo come una realtà oggettiva, e solo per il defunto il nulla-della-morte esiste in senso assoluto e non può essere falso.
Dopo la morte il mondo continua ed è un'estensione eterna, infinita e soprattutto impenetrabile di essere, il nulla-della-morte non ha luogo e non ha tempo, non ha localizzazione se non nell'interiorità del defunto, che è assurdamente tratto fuori dal mondo, per quanto il mondo sia infinito, e non percepisce e non prova più nulla, ma questo vuol dire che l'interiorità del defunto non è annientata, non è realmente tolta come interiorità, perché è il luogo in cui fluisce ed è vero quel nulla, che non è vero da nessuna altra parte del mondo e in nessuna coscienza di essere ancora vivente, cioè da nessuna parte dell'essere sopravvivente al defunto.

E' evidente che il nulla della morte è un nulla gnoseologico e non ontologico, un nulla che si riduce all'indefinito e quindi al campo della coscienza come pura possibilità, pure virtualità. Nell'interiorità del defunto si da lo stato di cose che è correttamente descritto dalla parola "nulla", questo stato di cose non si da da nessuna altra parte del mondo e in nessuna altra coscienza che sia di essere ancora vivente, quindi nella parola nulla c'è, quantomeno per i vivi che la pronunciano, la convinzione che l'interiorità, il campo di coscienza del defunto, esista: appunto il nulla è una tomba, un costrutto per eternizzare i defunti, e in certi casi anche per pensare che stiano "bene", e che anche noi stremo bene, quando staremo nel "nulla".

Il nulla assoluto come realtà materiale non si trova da nessuna parte nell'eternità spaziale e temporale del mondo prima e dopo di noi, quindi è evidente che il suo "essere", il suo eventuale "essere vero" è uno stato psicologico, un fatto di coscienza, e quindi quel nulla non riesce realmente ad annullare la coscienza, ma solo a farla precipitare nell'oblio, nell'indefinito. Oblio che anche nel senso comune del termine (il termine oblio per come è usato di solito) è il nulla solo-della-coscienza, e non di tutto l'essere.

Ovviamente la coscienza che percepisce il nulla è spersonalizzata, non è la coscienza di qualcuno, ma la coscienza che corrisponde perfettamente a quel nulla che percepisce, ma qui si tocca appunto il problema del soggetto, e mi vengono in mente i filosofi che hanno pensato le forme generiche universali e impersonali del pensare (principalmente Cartesio e Kant) o la verità come corrispondenza di soggetto e oggetto (principalmente Hegel).


Ma anche pensando a Parmenide, se accettiamo l'identità di di essere e pensiero, non possiamo non accettare anche l'inverso di questa proposizione, cioè che il nulla, in quanto opposto dell'essere, sia la differenza intercorrente tra essere e pensiero, stante che l'essere è l'identità, di essere e pensiero.

Il nulla è pensiero che è falso perché non pensa l'essere; il pensiero che non si riferisce all'essere e non lo pensa è il nulla, perché è l'impossibile forma vuota del pensiero, vuota di contenuti, di fatti, di percezioni, di voci, eccetera. I morti sono nel nulla, e quindi nella differenza-tra-essere-e-pensiero: essi o sono senza pensare, o pensano il non essere, la forma vuota del pensiero, due stati minimi possibili di soggettività che nel nulla concepito come differenza di essere e pensiero sono lo stesso: allora la loro anima è lo stato larvale, quello che sopravvive nell'ade come coscienza vuota, incosciente.
#2966
Citazione[font=Verdana","Arial","Helvetica","sans-serif]Salve niko. Citandoti : [/font]"Non vince chi combatte meglio, bisogna giungere a un livello di giustizia, cioè di equidistribuzione, per non stare tutti peggio".
Con la massima naturalezza tu e - per convinzione o per distrazione - moltissimi altri considerano il concetto di giustizia coincidente o sinonimo di equità.

Ti faccio un esempio : la distribuzione equa (egualitaristica, indiscriminatamente uguale) delle risorse secondo te realizza la giustizia quando riguardi una massa di persone alcune delle quali le hanno generate mentre alcune altre si limitano a rivendicarle senza aver contribuito NON IMPORTA PER QUAL MOTIVO a produrle ?

Se io producessi beni per 100 persone e, distribuendoli a 100 persone che ne hanno bisogno o che li richiedono, mi accorgessi che solo 50 di loro mi pagano, cosa farei ?
Secondo te dovrei far finta di niente, vero?.

E i 50 che non possono o non vogliono pagarmi, secondo te come reagirebbero ?.
Credo che questi ultimi penserebbero : "Questo ha talmente tanta roba che può permettersi di regalarcela !...........facciamo girare la voce che abbiam trovato una persona veramente GIUSTA" (giusta per che cosa, indovinalo tu). Saluti.

L'equità è una parte costitutiva, integrante e necessaria della giustizia, non un suo contrario o un suo negativo, ma bisogna non avere il capitalismo o il darwinismo sociale in testa per capirlo...

La giustizia passa per una serie di parti o momenti, uno dei quali, imprescindibile, è l'equità.

Ammetto serenamente che la totale equità è un momento innaturale e mortifero nella vita di una società, ma necessario per aprire le porte al nuovo, purché, appunto resti un momento e non un bloccarsi eterno nell'equità (la vita è differenza, anche e soprattutto di potere).

Il lavoro (non alienato) è, o almeno dovrebbe essere, ricompensa a se stesso, quindi una società evoluta (comunista) non ricompensa il lavoro con una quota maggiore di ricchezza prodotta redistribuita al lavoratore -il che non avrebbe senso e non renderebbe onore al merito correttamente inteso- ma con ricompense più, per così dire "spirituali", o, se vogliamo essere terra terra, politiche.

Semplicemente, lavorando, espandi la tua rete di relazione di rapporti umani, le emozioni di cui vivi al di là del pane che mangi, se vuoi vederla da un punto di vista altruistico, e il tuo carisma personale e influenza nella società, anche in vista dell'estinzione dello stato e della forma di vita che ne seguirà, se vuoi ostinarti a vederla da un punto di vista egoistico.
#2967
Citazione di: Ipazia il 18 Novembre 2019, 11:53:39 AM
Citazione di: niko il 17 Novembre 2019, 19:27:45 PM

Sono stanco di questa discussione, proprio per questo cito Antony che chiaramente non condivide il mio pensiero ma almeno lo ha capito, a differenza di altri, che non capiscono o fanno finta di non capire: preferisco mille volte che il mio pensiero sia considerato "rapinatorio", piuttosto che buonista....


Il tono da "muoia Sansone e tutti i filistei (noi)" non lasciava dubbi e così pure la rapina à la Robin Hood, perchè tanto ce la meritiamo. Se il metro è la violenza, vince chi combatte meglio, e nessuno può invocare altri tipi di immunità morali.

CitazioneNon c'è niente di buonista nel dire che dobbiamo mangiare tutti o sennò ci aspetta un futuro, e un presente, di guerra.

Certo, ma se l'unica cosa che possono/sanno fare è mangiare, meglio alimentarli dove costa meno. O no ?

CitazioneBuonismo è categoria mediatica, è moda, è il pretesto che si usa come argomento per non capire e non ragionare.

Infatti io non lo uso volentieri, meglio cattocomunista, umanitario, terzomondista. Che si capisca cosa vuol dire lo dimostra il bassissimo consenso che, a differenza di qualche anno fa, questi atteggiamenti ideologici riscuotono presso chi ne deve pagare la bolletta.

CitazionePoi che non si conoscano le differenze tra l'indipendenza e lo sviluppo industriale dell'estremo oriente, fenomeno di inizio novecento, e la decolonizzazione dell'africa, che risale al secondo dopoguerra, come se nel frattempo non fosse successo niente, e si rimescoli nel torbido per dire che gli africani è colpa loro se sono sottosviluppati, che dire, è un livello (basso) della discussione che non mi interessa più, ognuno si tenga i pregiudizi che ha..

Il Vietnam se la passava peggio della Nigeria anche nel secondo dopoguerra. Francesi e americani non gli hanno risparmiato nulla. In Nigeria hanno fatto e stanno facendo tutto da soli. Il livello miserabile della scienza politica africana non è ideologicamente occultabile e in assenza di acque limpide si finisce per forza a pescare nel torbido di macellerie etniche e religiose, e di miserie politiche che superano alla grande la miseria socioeconomica. Tenuto conto pure che quella politica è poco giustificabile in un paese che non può neppure giustificarsi con le sanzioni che strangolano il Venezuela e che può vendere, nella competizione tra tanti clienti eccellenti, il suo oro nero a chi più gli aggrada, investendo i profitti per migliorare le condizioni di vita della popolazione piuttosto che trasformarla in una iperprolificante mafia migratoria tra le peggiori della storia criminale. Pregiudizio per pregiudizio, meglio andare fino in fondo. Sfondando pure il muro della moda.
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Non vince chi combatte meglio, bisogna giungere a un livello di giustizia, cioè di equidistribuzione, per non stare tutti peggio. Finché questa giustizia, questa equidistribuzione non c'è, la "rapina" (rapina scritto tra virgolette soprattutto per chi considerate rapina un extracomunitario che chiede l'elemosina o che immigra illegalmente) è pienamente giustificata... altri discorsi comunitaristi alla Fusaro (del tipo comunità contro comunità) meno, direi.

Poi che dire, umanitarismo e terzomondismo sono termini neutri, cattocomunista quasi sempre è una provocazione e uno sminuimento dell'avversario dialogico, perché di fatto quasi nessuno è serenamente cattolico e comunista insieme e accetterebbe questa descrizione come un termine neutro, quindi si dice cattocomunista a qualcuno per dirgli ipocrita, ed è come buonista, stessa moda, stessa categoria mediatica, che io non accetto, non tanto perché provocazione, ma perché banalizzazione.

Così come dire degli africani o di una parte rilevante di loro come i nigeriani: non possono far altro che mangiare ci sta, è una descrizione che può essere neutra; invece dire non sanno far altro che mangiare è pregiudizio che rasenta il razzismo, come se noialtri invece sapessimo fare chissà cosa e loro fossero esseri umani di serie b, siamo sempre lì, dire è colpa loro se sono sviluppati (come se non esistesse un sistema-mondo che perpetua il sottosviluppo come differenza di ricchezza che genera differenza di potere) è un livello veramente basso della comprensione del mondo.

Inoltre non è vero che il capitalismo ragiona sempre su scala planetaria come il più assatanato dei comunisti, il capitalismo ha fasi liberiste, in cui si apre al mondo in un certo senso come il più assatanato dei comunisti, e fasi protezioniste, in cui, sempre in funzione dell'accumulazione di capitali, riscopre nazioni, staterelli, militarismi, paternalismi, autoritarismi e campanilismi vari; e stiamo vedendo i frutti avvelenati, soprattutto di abbrutimento e di guerra tra poveri, di una sua fase protezionista...
e questa è proprio una necessità storica, perché senza protezionismo  non ci sarebbe guerra, e non ci sarebbe possibilità di superare le crisi cicliche del capitalismo...
#2968
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
17 Novembre 2019, 20:37:16 PM
Citazione di: bobmax il 17 Novembre 2019, 19:21:44 PM
Citazione di: niko
Ricacciati fuori dal nulla e dall'oblio, rimane solo l'eterno ritorno come prospettiva del dopo morte, per questo invitavo a riflettere sulle possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita, il che determinerebbe in qualche misura come vivere, un'etica che dovrebbe valere anche per i vivi.

L'etica dovrebbe quindi dipendere dalle "possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita"?
Davvero l'etica dovrebbe essere condizionata dall'idea di un eterno ritorno?
A mio avviso, considerazioni di questo tipo possono condurre solo ad una esaltazione della volontà di potenza.

Mentre l'Etica è una sola: Fede nel Bene.

Il nulla assoluto esiste, come possibilità, ed è essenzialmente la possibilità che la fede etica sia un'illusione.
E' l'horror vacui di fronte alla nullità di ogni possibile valore.
Che poco ha a che vedere con la morte in quanto tale, ma ha a che fare con la possibilità che il Bene non sia.

La paura della morte deriva dall'attaccamento all'esserci mondano. Un attaccamento che svanisce quando in gioco vi è il Bene.

Per me il nulla assoluto è, banalmente, la possibilità che non esista nulla. Neanche il nostro pensiero, neanche noi che scriviamo queste cose.

Altrettanto probabile della possibilità che invece esista qualcosa, altrettanto indimostrabile. L'essere potrebbe essere solo un decremento, o un frazionamento, o una visione prospettica del nulla. Da dentro non lo si può sapere.

Questa prospettiva che non esista nulla, niente di niente, ben lungi dall'annullare l'etica come un'illusione, rende possibili un sacco di prospettive etiche nuove e interessanti che se si suppone che esista qualcosa sono più difficili da accettare e da implementare, come quella di un'etica derivante dell'eterno ritorno, quindi per me ben venga, l'ipotesi del nulla assoluto. Semplifica un sacco di cose.

Per me l'etica non è qualcosa in cui avere fede, non è un oggetto di fede, ma una cosa che deve dare felicità, una strategia per essere felici.
Che me ne faccio del bene? Perché dovrei aver paura del vuoto? Il vuoto è leggerezza, è essere accolti da qualcosa che non cade mentre tutto il resto cade.

Dicevo nel mio intervento precedente di escludere il nulla assoluto, perché comunemente la gente lo esclude, comunque il punto è che anche se siamo già nel nulla assoluto, non c'è un nulla relativo della morte in cui andare, non c'è un inizio, non c'è una fine; il procedimento più comune è vedere quel nulla relativo, quello proprio del fenomeno morte, come un nulla assoluto (perché tale è per la coscienza, e tipicamente ci si identifica con la propria coscienza) ed escluderlo, ma nulla vieta di postulare che siamo già nel nulla, in un mondo complessivamente o localmente nullo, e quindi in un ulteriore nulla non possiamo precipitare da morti.
#2969
Citazione di: anthonyi il 11 Novembre 2019, 12:46:44 PM

Comunque nel tuo ultimo post viene fuori la tua ideologia di fondo che si può sintetizzare con quella che negli anni 60/70 era definita "spesa proletaria", cioè andare a rubare nei negozi armati della giustificazione ideologica che "la proprietà è un furto", allora sappiamo le cose come sono andate a finire, la P38, il terrorismo, le leggi speciali, e il carcere.
Il pericolo di un'evoluzione violenta dell'ideologismo/eticismo è sempre presente, d'altronde la tua affermazione che tra chi ha e chi non ha c'è la guerra è già un'affermazione violenta, lo dico per te, rifletti bene prima di scrivere o dire qualcosa, e non perché c'è qualcuno che poi questo qualcosa lo legge/ascolta e poi fa una "differenza antropologica", ma perché tu stesso sei condizionato da quello che scrivi/dici e poi magari potresti trovarti a fare le cose che scrivi/dici senza volerlo.
Un saluto

Sono stanco di questa discussione, proprio per questo cito Antony che chiaramente non condivide il mio pensiero ma almeno lo ha capito, a differenza di altri, che non capiscono o fanno finta di non capire: preferisco mille volte che il mio pensiero sia considerato "rapinatorio", piuttosto che buonista....

Non c'è niente di buonista nel dire che dobbiamo mangiare tutti o sennò ci aspetta un futuro, e un presente, di guerra.

Buonismo è categoria mediatica, è moda, è il pretesto che si usa come argomento per non capire e non ragionare.

Poi che non si conoscano le differenze tra l'indipendenza e lo sviluppo industriale dell'estremo oriente, fenomeno di inizio novecento, e la decolonizzazione dell'africa, che risale al secondo dopoguerra, come se nel frattempo non fosse successo niente, e si rimescoli nel torbido per dire che gli africani è colpa loro se sono sottosviluppati, che dire, è un livello (basso) della discussione che non mi interessa più, ognuno si tenga i pregiudizi che ha..
#2970
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
17 Novembre 2019, 18:27:57 PM
Rispondo a chi mi ha detto di spiegarmi con parole più semplici...

Il nulla non esiste, e quindi in filosofia il nulla dopo la morte, come pensiero filosofico, è l'equivalente di quello che in antropologia è la tomba che segna l'inizio delle antiche civiltà, un costrutto -inesistente prima che l'uomo lo costruisse- che funge da luogo dove "riposare", cioè pretendere di sopravvivere, nell'immaginazione di un oltretomba di qualche tipo o nella memoria dei posteri.

La piramide è fatta di tufo, il nulla di pensiero, ma entrambi sono lì per eternizzare un defunto, la piramide fa segno a un al di là, e pure il nulla, come costrutto di pensiero, fa segno a un al di là, entrambe dicono: "il mondo dell'apparire non è completo, perché oltre a ciò che appare, oltre al mondo sensibile e materiale, c'è pure l'oltretomba e la vita impalpabile del defunto nella memoria, o, in alternativa, pure il nulla, che è comunque anch'esso un oltretomba, e un qualcosa che funge potentissimamente da richiamo del defunto alla memoria."

Il nulla è dunque un costrutto del pensiero inventato con funzione di tomba, una continuazione del culto dei morti con altri mezzi.

Il nulla è speranza come può essere speranza un paradiso con gli angioletti o un nirvana buddista, almeno per due ovvi motivi..

il primo: perché il nulla significa la possibilità di sopravvivere nella memoria dei posteri per chi ne è degno (basti pensare a tutti i popoli che avevano l'epica come enciclopedia tribale, i greci stessi prima della filosofia, chi muore da eroe entra nell'epica, cioè nella vita collettiva del popolo a cui appartiene, tema che c'è anche nei sepolcri del Foscolo).

Il secondo, ancora più grande e ancora più ovvio: perché il nulla è comunque redenzione dalla sofferenza, felicità negativa, non avere bisogni.
Una vita che finisce col nulla, finisce bene, almeno nella lezione di tutti i grandi filosofi che hanno definito il piacere come mera assenza di dolore senza dargli un connotato esistenziale positivo, mi viene in mente Schopenauer, per il quale la vita non finisce per niente con il nulla, ma se per ipotesi (sbagliata) finisse col nulla, finirebbe bene. Se si identifica la vita col desiderio, se si è profondamente romantici o irrazionalisti, non si può che desiderare la morte, se in essa si vede l'avvento del nulla per sé stessi, e quindi la fine dei propri desideri.

Inoltre da un punto di vista epicureo o comunque materialista come si riscontra nella maggior parte dei materialismi, pensare che la vita venga dal nulla e vada a finire nel nulla, giustifica anche in vita, a prescindere dal mio precedente discorso sulla felicità negativa, aver perseguito il piacere e non il dolore, perché il piacere, contrapposto al dolore, è l'unica cosa che vale davanti al nulla da cui veniamo e al nulla che ci aspetta, è l'unica misura dell'esistenza.

Ma il mio intervento voleva dire che la ragione stessa porta a superare il nulla come pensiero del dopo morte, perché il nulla assoluto non esiste, c'è il nulla relativo di quello che ora siamo (appunto diventare scheletro, diventare cenere) ma questo vuol dire diventare radicalmente altro e non annullarsi. Diventare un'alterità inconcepibile e inconoscibile. Infatti mentre il corpo può frammentarsi, il pensiero, il senso del sé, non può frammentarsi, lo diceva già Platone, per il quale l'immortalità dell'anima era data dal suo essere semplice e non composita: le cose composite sono passibili di distruzione -scomposizione-, le cose semplici no: dunque l'anima, che è semplice, sopravviverà al corpo, che è composito.

Con un po' più di razionalità il pensiero del nulla come destino del dopo morte, diventa pensiero dell'oblio, dell'ignoto, del non poter sapere neanche se dopo la morte ci sia il nulla o ci sia il radicalmente altro, ma questo non coglie secondo me ancora la realtà dell'uomo, che è psicosoma, unione di anima è corpo: volendo morire alla conoscenza, entrare dopo la morte nell'ignoto e non necessariamente nel nulla, l'anima vuole morire a se stessa, restare se stessa anche nella morte, vuole affermare di essere fin da ora, fin da  adesso che è viva, pura conoscenza, pura anima: l'oblio, l'entrata nell'inconoscibile, non è un nulla assoluto o qualsiasi, ma è il nulla specifico, "personalizzato" di chi già è, o si ritiene, un ente di pura coscienza/conoscenza: ma noi non siamo pura coscienza/conoscenza, siamo anche corpo e istinto, quindi il nostro destino non può essere solo l'oblio, nella misura in cui fin da ora non siamo solo conoscenza. Non possiamo morire a noi stessi come enti di pura conoscenza, perché non lo siamo, quindi ci sono buone ragioni filosofiche anche contro l'oblio e l'inconoscibilità.

Ricacciati fuori dal nulla e dall'oblio, rimane solo l'eterno ritorno come prospettiva del dopo morte, per questo invitavo a riflettere sulle possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita, il che determinerebbe in qualche misura come vivere, un'etica che dovrebbe valere anche per i vivi.