Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - niko

#2971
Tematiche Filosofiche / Re:Nietzsche
24 Ottobre 2019, 16:45:03 PM
Quello che rende forte il forte è che egli definisce la sua morale a partire da se stesso: il discorso principale del forte è "io sono buono" e solo secondariamente e di riflesso il forte dice, "se io sono buono, i diversi da me, quelli che non sono come me, sono cattivi". Questo rende forte il forte.

Quello che rende debole il debole, è che egli definisce la sua morale a partire dagli altri: il discorso principale del debole è "gli altri sono cattivi"; solo secondariamente e di riflesso il debole dice: "se gli altri sono cattivi, io, che non sono gli altri, che non sono come gli altri, sono buono". Questo rende debole il debole. Egli definisce il bene a partire dagli altri; e quindi in una lotta che in Nietzche non è mai per la sopravvivenza, ma sempre per la vita, per l'affermazione dei valori, ha già perso in partenza. Il debole si conforma ai valori degli altri, sia pure interpretandoli come disvalori o volendoli per se. Crede di essere buono perché gli altri sono cattivi. La sua vita è dunque scandita dai valori degli altri, ne è condizionata fino al midollo. 

Mentre il forte crede di essere buono senza un vero perché, ha un amore per sé stesso incondizionato, quindi autentico. E quindi se ne può infischiare dei valori degli altri. E creare i suoi di valori, e donarli agli altri. 

C'è un nesso tra coscienza è dominio. La lettura di Nietzche mi ha aiutato a superare l'illusione che si possa dominare se stessi e gli altri, ed essere "buoni re", "buoni governanti", di se stessi e insieme degli altri.

La brutale realtà è che i forti tendono a dominare gli altri e i deboli tendono a dominare se stessi.

Il problema non è dunque che i forti tendono a dominare e i deboli ad essere dominati (quello è semmai il falso problema per le anime belle), il problema è che in qualche modo "il dominio" nella condizione umana ma direi del vivente in generale, emerge sempre, e bisogna sapere in che modo emerge nella propria vita, e assumersene la responsabilità.

Facciamo l'esempio basilare minimo di un re e del suo servitore, di qualcuno che deve dare un ordine e di qualcuno che deve eseguirlo.

Per obbedire a un ordine, devi fare di te stesso un oggetto del tuo stesso dominio, devi annullare in te stesso le passioni. Mentre per impartirlo devi essere tu stesso dominato da forti passioni, devi volere una cosa o un obbiettivo al punto tale che se non basta il tuo corpo per ottenerlo, tendi a servirti del corpo degli altri come strumento per i tuoi obbiettivi, e quindi ad asservirli. Se il re non riesce a raggiungere il cibo, se lo farà portare dal suo servitore. C'è sempre un dominio come realtà che supera la sottomissione, un dominio che emerge dall'abisso, che è o quello del forte sul mondo o quello del debole su se stesso.

In Nietzche la vendetta per i deboli diviene un valore perché non viene agita, ma viene posticipata a tempo indefinito, "promessa", divenendo il fine, e la fine, del mondo interiore in cui si trovano a vivere i deboli: il servitore odierà il re e di riflesso crederà di amare se stesso, ma non si può amare se stessi di riflesso, i valori del servitore saranno gli stessi identici valori del re in un mondo in cui si aspetta la rivoluzione o il carnevale, cioè in cui si aspetta che il re diventi servitore e il servitore re, mentre lo scopo della vita sarebbe creare nuovi valori, uscire dalla contrapposizione. E' solo perché i forti possono vendicarsi, che non fanno della vendetta un valore, che non cadono in questo meccanismo perverso.

Il comando "obbedisci!"  come forma generica e indeterminata di ogni comando, è in realtà il comando "divieni cosciente!" perché per obbedire a un ordine indefinito qualunque esso sia, si deve prendere ad oggetto il proprio stesso corpo, si deve estraniarsi da esso e formare un '"anima o una "coscienza", come luogo diverso dal corpo da cui ascoltare l'ordine e dal quale obbedire. La voce della coscienza è la voce del padrone.

Questo mio contributo è solo per far notare all'autore della discussione che forti e deboli per Nietzche non sono categorie fascistoidi ma filosofiche, intende "forti" nella vita e "deboli" nella vita, se vogliamo "saggi" e "stolti". Non tutti quelli che hanno potere in termini nietzchani sono "forti" e non tutti quelli che non lo hanno sono "deboli". La sua è una filosofia vitalistica: l'ascendere, il resistere, il declinare, fanno tutti parte della vita, quindi siamo tutti "forti" e "deboli" in quanto facciamo parte della danza della vita; la vita per lui non può finire nel nulla o morire, ma declinando può trasformarsi in sopravvivenza, smettere di essere autosuperamento e divenire mera persistenza: questo stato di volontà del nulla, di agonia e strascinamento nella sopravvivenza, (che comunque salva la vita dal nulla della volontà, che se fosse possibile sarebbe invece l'impossibile morte della vita, e quindi ha una sua funzione) ne identifica specificamente la debolezza, la fase declinante. Inoltre l'intuizione che se il tempo è eterno e senza origine allora è necessariamente circolare è un'intuizione bellissima, convince a ragionare sulla forma del tempo e a decidere in base ad essa la propria vita e le proprie priorità. Nietzche è stato un grandissimo maestro morale, veramente il più grande di tutti, uno che ha riflettuto sul fatto che c'è infinito tempo dietro di noi eppure noi ci siamo, eccoci qui: l'infinito tempo che avevamo alle spalle è assurdamente passato perché noi potessimo vivere, e adesso tocca a noi, viviamo, e possiamo vivere consapevoli che una vita non vinta dall'eterno passato non sarà vinta nemmeno dall'eterno futuro. Emergere da un infinito è come emergere da due infiniti, è come emergere da infiniti infiniti. E' la stessa esperienza. Alla faccia del nichilismo.
#2972
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
23 Ottobre 2019, 00:38:14 AM
Ciao Elia...

Sulla libertà come tipico valore cristiano ci sarebbe molto da dire...

direi che la cultura greca e romana consideravano un valore positivo immenso la sottomissione del singolo alla legge o comunque alla sua comunità di appartenenza vista come entità impersonale (Socrate era un eroe) e un disvalore tremendo la sottomissione di una persona ad un'altra persona in carne ed ossa (chi finiva in schiavitù a seguito di una sconfitta in battaglia o di un debito non pagato invece, era un povero disgraziato); per far considerare un valore positivo anche la sottomissione di una persona ad un'altra persona ci è voluto appunto il cristianesimo, perché in esso Dio è persona oltrechéautore dellalegge, ed è superiore agli uomini sia come persona che come legge, è pastore del gregge, richiede ai suoi sottoposti una fedeltà personale oltreché istituzionale, che farebbe inorridire gli antichi greci e romani.

Poi in linea generale chi pone il problema del male morale, come il tipico uomo religioso occidentale, considera (beato lui) la libertà come già realizzata, quindi difficilmente riesce a realizzarla laddove essa manca, perché di realizzarla non ne può avere a rigore di logica  nemmeno l'intenzione; ha forse qualche chances in più di realizzarla chi riconosce le cose come stanno, la mancanza di libertà come situazione iniziale, e quindi l'improponibilità del problema del male, e pone dunque il problema della stupidità, come il tipico filosofo occidentale. 

Autodeterminarsi in generale è un bene e questo bene bisogna conquistarselo lottando contro l'ignoranza e la stupidità, poi non c'è un modo buono di autodeterminarsi in particolare contrapposto a uno malvagio, il fatto stesso di autodeterminarsi è buono, e a volte per farlo ci vuole la forza, sapienza e forza ci vogliono, al di là di una certa ambigua considerazione per i deboli e per poveri nello spirito che il cristianesimo ha portato.

Dunque qual è il problema? e qual è la soluzione? Convivere senza invadere nessuno lo spazio dell'altro direi, almeno per il banale problema dei crocifissi nelle scuole, che dovrebbe essere il tema..
#2973
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
22 Ottobre 2019, 17:10:56 PM
Ma chi l'ha detto che i valori cristiani sono condivisi da tutti? o peggio ancora da tutti "in Italia"?!

Appunto se stiamo qui a parlarne in un forum di filosofia, direi quantomeno che nella storia della filosofia c'è stato chi ha denunciato quei valori come antivitalistici (Nietzche) o antirivoluzionari (Marx), giusto per dire due nomi famosissimi.

Nietzche ha parlato di Dioniso contro il crocifisso, quindi della possibilità di rivendicare l'innocenza della vita e della sofferenza contro la loro messa in stato di accusa che il crocifisso costituisce; la sofferenza non necessariamente per tutti è espiazione (croce da portare, magari per arrivare da qualche parte), per alcuni può essere già giustificata dalla vita (in altre parole il "male" si giustificherebbe fin dall'eternità col "bene", se proprio vogliamo parlare in termini di male e bene), quindi parafrasando un noto proverbio, davanti al problema della sofferenza, che tutti ci accomuna, o cantiamo (tragedia) o portiamo la croce (cristianesimo), ma non capisco perché quelli che vogliono portare la croce, che sono liberissimi di farlo, appiccichino i loro simboli sui muri degli edifici pubblici, che sarebbero anche di quelli che vogliono cantare...

metto un link alle parole di Nietzche per spiegarmi meglio: http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaN/nietzsche352s66.htm
#2974
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
19 Ottobre 2019, 17:39:24 PM
Aborro i simboli religiosi nei luoghi pubblici, e in particolare il crocifisso, che ha il difetto, o il pregio, dipende dai punti di vista, di non poter funzionare da simbolo neutro, per questo secondo me ha avuto così tanto successo nella storia come simbolo: o è simbolo di vita o lo è di morte, ma è difficile poter restare indifferenti davanti a tale simbolo, sia per chi crede, che per chi non crede, perché rappresenta una morte o un'agonia e stimola un coinvolgimento empatico o un rifiuto difensivo che può al limite sfociare in un senso di disgusto a prescindere da se si creda o no alla religione che da un significato particolare a quella specifica agonia.

In altre parole, per chi non condivide l'ideologia secondo cui tale simbolo è un simbolo di vita, tale simbolo è oggettivamente un simbolo di morte, perché rappresenta un cadavere o un uomo agonizzante inchiodato a un pezzo di legno; io posso credere che il supplizio di un ebreo avvenuto duemila anni fa mi procuri la salvezza eterna, e quindi interpretare quel cadavere come un simbolo di vita, ma sennò, se non credo questo, ai miei occhi è un cadavere, cioè un simbolo di morte, che può farmi pena (empatia) o disgusto (rifiuto psicologicamente difensivo) ma difficilmente mi lascerà indifferente. 

Quello che voglio dire, è che il crocifisso vale comunque da memento mori, anche per chi non crede, è un morto appeso ed esposto che ci ricorda inevitabilmente che tutti dobbiamo morire, e per reazione, potenzialmente, fa venire voglia di credere per salvarsi empatzzando con le sofferenze (ingiuste) di quel morto, cosa che è una reazione anch'essa prevista e contemplata da quel simbolo, dalla strategia comunicativa di chi usa e ha usato quel simbolo. Ma io da persona che non crede in nessuna religione e ama la vita non accetto quel memento mori mentre sto studiando o lavorando o comunque svolgendo la mia vita in un luogo pubblico, cioè non accetto quel simbolo ne come simbolo religioso, ne tantomeno per le emozioni e reazioni che quel simbolo tenta di suscitare in vista della conversione ad una religione, sarebbe molto meno grave per me una trovare esposta in un'aula di scuola o di tribunale mezzaluna dell'islam o un elefante dell'induismo, almeno non sarebbero cadaveri e non userebbero una simbologia di morte per suscitare certe determinate sensazioni ed emozioni, il tentativo di persuasione sarebbe più discreto e meno invadente, non so se mi spiego. 

Non voglio qui discutere se tutto il cristianesimo sia una religione contro la vita (io credo di sì), ma sicuramente quel simbolo in particolare lo è, un simbolo contro la vita, che la pone sotto accusa, per la sua durezza, brevità, incompletezza, assurdità e tutti i difetti che dal crocefisso sono evidenziati, e quindi, dato che la vita, banalmente, prescindendo dalle religioni, è ciò che accomuna i vivi, difficilmente quel simbolo potrà portare concordia, semmai discordia.
#2975
Tematiche Filosofiche / Re:La felicità
19 Ottobre 2019, 15:59:45 PM
La cosa che trovo interessante di questa discussione è che se la morte è la porta della felicità, accettata questa premessa,  ne consegue che la vita ha sempre un lieto fine. Di tutti i viventi del mondo si potrà dire prima o poi "e morirono per sempre felici e contenti", parafrasando il noto finale delle favole, "e vissero per sempre felici e contenti".  Molto Disneyano. 

Da un punto d vista religioso (ne parlo tanto per parlare, perché io personalmente sono ateo), se l'annullamento dell'anima non è una punizione, ma uno stato di felicità, un Dio che manda i peccatori all'inferno, cioè alla tortura eterna senza annullarne l'anima, è effettivamente un Dio crudele e vendicativo, perché non concede ai suoi nemici quella morte eterna che sarebbe per loro lo stato di felicità, e invece li tortura. 

Al contrario un Dio che semplicemente davanti alla disobbedienza degli uomini ai suoi comandi (il famoso albero...)  introduce la morte come salario del peccato, che quindi a un livello spirituale si limita a "uccidere" chi non gli obbedisce senza "torturarlo", è e resta un Dio buono e misericordioso, perché in fondo concede la felicità a tutti, anche a chi lo sfida. Distruggendo l'anima di chi lo sfida preserva la sua creazione senza fare realmente del male a nessuno: il giusto avrà una felicità positiva, nel paradiso, e l'ingiusto una felicità negativa, nell'annientamento, ma sempre entrambi saranno felici alla fine, sempre se accettiamo l'equivalenza tra felicità e morte che si propone in questa discussione. Il lieto fine del "tutti morirono felici è contenti" di cui sopra si può applicare anche alla favola della religione cristiana, purché si sia annichilazionisti, cioè si immagini l'inferno come luogo di annientamento e non di sofferenza. L'inferno è il nulla, che davanti al non-senso della vita è comunque desiderabile. Quello che cambia, tra l'essere giusti o peccatori, è solo la differenza ineffabile tra l'annientamento di tutti i desideri e la loro soddisfazione, l'indicibile differenza tra l'essere felici perché completamente soddisfatti e l'essere felici perché morti, differenza che ha senso finché si è in vita e non ha più senso per i morti.