Ciao Iano. Inizio togliendomi subito i sassolini dalle scarpe: non trovo molto felici le espressioni "chi vince tra scienza e religione?", "possedere la verità", "ci sono tante verità quante sono le religioni", "la scienza è spinta dall'illusione di trovare la verità", "la verità non abbisogna di prove".
Ma sono d'accordo che tutto nasce da un uso inappropriato dei termini.
Secondo me tutti i vari fraintendimenti sono dovuti al modo eccessivamente generale (e pomposo) in cui viene affrontata la questione. Partiamo dal punto iniziale e semplice: c'è una situazione che vogliamo comprendere, un problema di cui vogliamo conoscere la soluzione. Cioè, ignoriamo qualcosa e vogliamo conoscerla.
Poniamo il caso che vogliamo sapere cosa c'è oltre il mare (e se c'è un oltre-mare). Come approcciamo il problema? Il modo più diretto è navigare il mare, esplorandolo. Ma non abbiamo mezzi per navigare. Allora si potrebbe cerchere di capire come far galleggiare una struttura abbastanza grande per farci stare delle persone (e delle provviste), struttura che è possibile governare in qualche modo. Si fanno studi, molte prove, ecc... finché abbiamo la nostra barca pronta per l'esplorazione. Ma come orientarsi in mare? Magari si notano le regolarità del sole e delle stelle (o del magnetismo del polo nord?). Dopo tutte queste questioni si è pronti per partire all'avventura per scoprire nuovi luoghi.
Naturalmente ho semplificato, ma in realtà tutto questo è complicato e ci sono molte questioni ingegneristiche, astronomiche e geografiche da considerare. Ma solo l'idea di partire ad esplorare il mare per aumentare le nostre conoscenze è un'idea da un certo punto di vista centrale. Avrei infatti potuto assumere senza fondamento (dogmaticamente, si potrebbe dire) la grandezza del mare e le cose che si sarebbero potute trovare in tale esplorazione.
Consideriamo ora un problema un (bel) po' più semplice e contenuto. Ho un contenitore con 100 calze nere e 100 calze bianche (non c'è distinzione tra calze destre e calze sinistre). Sono al buio e voglio prendere il minor numero di calze in modo da essere sicuro di avere almeno una coppia di calze dello stesso colore. Questo, contrariamente a quello precedente, è un problema concettuale. Ma anche qui, come procedere? Assumo arbitrariamente la soluzione, o mi ingegno per trovarla nel modo più affidabile possibile?
L'uomo ha un numero imprecisato ed eterogeneo di pratiche e criteri di buon senso e ragionevolezza, sviluppati e affinati nei secoli e il punto fondamentale è il "ora vado a vedere", espresso anche nel mio primo esempio, in cui se voglio capire quanto grande è il mare, prendo una barca e inizio a esplorarlo. L'osservazione semplice è stata arricchita da metodi ausiliari per attenuare gli errori (aumentando così l'affidabilità dell'osservazione) e da metodi complementari di ragionamento astratto (come nel caso del secondo problema da me proposto).
Ma l'accrescimento della nostra conoscenza avviene in ogni momento della nostra vista, anche e sopratutto per questioni minute: muovendosi in auto per una città, interpretando i discorsi e le azioni delle persone, ecc... In pratica nella vita di ogni giorno abbiamo degli scopi e per ottenerli dobbiamo usare il buon senso, la ragionevolezza, per cercare di ottenerli.
E la scienza? La scienza non è nulla di radicalmente diverso da questo nostro modo di conoscere il mondo con buon senso, solo che il tutto viene sistematizzato e reso molto più rigoroso, e il livello di attenzione viene portato a livelli più elevati. Tutto qui.
E la fede? La fede è rappresentata dall'uomo che invece di esplorare il mondo per capire quanto vasto è il mare, invece di ragionare e capire quanti calzini prendere per raggiungere il proprio scopo, invece di comprendere il funzionamento di un auto per farla funzionare di nuovo, invece di fare tutto questo egli preferisce assumere le risposte.
Non è una questione di vincitori e vinti. Se si vuole conoscere il mondo e lo si vuole conoscere in modo affidabile, non c'è altra strada che adoperarsi ed impegnarsi utilizzando ingegno, osservazioni e senso critico. La fede può soddisfare altri scopi o bisogni.
Ma sono d'accordo che tutto nasce da un uso inappropriato dei termini.

Secondo me tutti i vari fraintendimenti sono dovuti al modo eccessivamente generale (e pomposo) in cui viene affrontata la questione. Partiamo dal punto iniziale e semplice: c'è una situazione che vogliamo comprendere, un problema di cui vogliamo conoscere la soluzione. Cioè, ignoriamo qualcosa e vogliamo conoscerla.
Poniamo il caso che vogliamo sapere cosa c'è oltre il mare (e se c'è un oltre-mare). Come approcciamo il problema? Il modo più diretto è navigare il mare, esplorandolo. Ma non abbiamo mezzi per navigare. Allora si potrebbe cerchere di capire come far galleggiare una struttura abbastanza grande per farci stare delle persone (e delle provviste), struttura che è possibile governare in qualche modo. Si fanno studi, molte prove, ecc... finché abbiamo la nostra barca pronta per l'esplorazione. Ma come orientarsi in mare? Magari si notano le regolarità del sole e delle stelle (o del magnetismo del polo nord?). Dopo tutte queste questioni si è pronti per partire all'avventura per scoprire nuovi luoghi.
Naturalmente ho semplificato, ma in realtà tutto questo è complicato e ci sono molte questioni ingegneristiche, astronomiche e geografiche da considerare. Ma solo l'idea di partire ad esplorare il mare per aumentare le nostre conoscenze è un'idea da un certo punto di vista centrale. Avrei infatti potuto assumere senza fondamento (dogmaticamente, si potrebbe dire) la grandezza del mare e le cose che si sarebbero potute trovare in tale esplorazione.
Consideriamo ora un problema un (bel) po' più semplice e contenuto. Ho un contenitore con 100 calze nere e 100 calze bianche (non c'è distinzione tra calze destre e calze sinistre). Sono al buio e voglio prendere il minor numero di calze in modo da essere sicuro di avere almeno una coppia di calze dello stesso colore. Questo, contrariamente a quello precedente, è un problema concettuale. Ma anche qui, come procedere? Assumo arbitrariamente la soluzione, o mi ingegno per trovarla nel modo più affidabile possibile?
L'uomo ha un numero imprecisato ed eterogeneo di pratiche e criteri di buon senso e ragionevolezza, sviluppati e affinati nei secoli e il punto fondamentale è il "ora vado a vedere", espresso anche nel mio primo esempio, in cui se voglio capire quanto grande è il mare, prendo una barca e inizio a esplorarlo. L'osservazione semplice è stata arricchita da metodi ausiliari per attenuare gli errori (aumentando così l'affidabilità dell'osservazione) e da metodi complementari di ragionamento astratto (come nel caso del secondo problema da me proposto).
Ma l'accrescimento della nostra conoscenza avviene in ogni momento della nostra vista, anche e sopratutto per questioni minute: muovendosi in auto per una città, interpretando i discorsi e le azioni delle persone, ecc... In pratica nella vita di ogni giorno abbiamo degli scopi e per ottenerli dobbiamo usare il buon senso, la ragionevolezza, per cercare di ottenerli.
E la scienza? La scienza non è nulla di radicalmente diverso da questo nostro modo di conoscere il mondo con buon senso, solo che il tutto viene sistematizzato e reso molto più rigoroso, e il livello di attenzione viene portato a livelli più elevati. Tutto qui.
E la fede? La fede è rappresentata dall'uomo che invece di esplorare il mondo per capire quanto vasto è il mare, invece di ragionare e capire quanti calzini prendere per raggiungere il proprio scopo, invece di comprendere il funzionamento di un auto per farla funzionare di nuovo, invece di fare tutto questo egli preferisce assumere le risposte.
Non è una questione di vincitori e vinti. Se si vuole conoscere il mondo e lo si vuole conoscere in modo affidabile, non c'è altra strada che adoperarsi ed impegnarsi utilizzando ingegno, osservazioni e senso critico. La fede può soddisfare altri scopi o bisogni.