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Messaggi - Phil

#31
Citazione di: InVerno il 09 Luglio 2025, 12:29:51 PMIl credo perchè credo sarà pure logicamente più elegante, Phil, tautologicamente elegante ed emotivamente rasserenante, ma cosa te ne fai nella vita di relazione?
La vita di relazione è dove dovrebbero essere applicati i dettami etici della propria fede, dovrebbe essere il campo da gioco del proprio credo religioso. Per relazionarsi socialmente ed eticamente con un'altra persona non è poi così rilevante se deriviamo delle scimmie, se Gesù si è mai sbucciato le ginocchia giocando con gli amichetti, etc. la fede autoreferenziale del credente funge da giustificazione del suo agire in un certo modo con gli altri. La dissociazione fra «credo in x, ma poi faccio y», è un'incoerenza mal vista anche fra i credenti, anche secondo il loro credo.
Citazione di: InVerno il 09 Luglio 2025, 12:29:51 PMPer forza il credente deve ancorarsi al reale si deve contaminare di epistemologia
Questo doversi "ancorare epistemologicamente al reale" è ciò che spiga come mai ci siano scienziati che nonostante assieme alle proprie ricerche scientifiche possono concedersi anche ricerche di dio senza essere incoerenti (v. sopra) o semplicemente essere credenti. Le domande a cui risponde la fede non sono le stesse che si pone la scienza epistemica (v. sopra sulla "distinzione dei piani"); le scienze sociali forniscono più analisi e contesto per le risposte che risposte fruibili (e quelle che lo sarebbero, solitamente non piacciono proprio perché contingenti e contestuali, mentre l'uomo preferisce solitamente, oggi come ieri, la fermezza degli assoluti). Quando il credente si "contamina" con discorsi veritativi di stampo scientifico non deve necessariamente mettere in discussione i propri dogmi esistenziali (per questo precisavo che usare la Bibbia come astrolabio o come manuale di genetica non è esattamente un'idea coerente con il suo valore religioso; «non come va il cielo, ma come si va in cielo» diceva diplomaticamente qualcuno distinguendo la teologia dalla astronomia).
Citazione di: InVerno il 09 Luglio 2025, 12:29:51 PMil cristiano così come tutti gli altri vuole capire agire e motivarsi.
Capire, agire e motivarsi: per il capire, in ambito etico-relazionale, le religioni non possono andare oltre le loro teo-logie, che comunque, proprio in virtù della suddetta infalsificabilità, vanno per qualcuno (de gustibus) un passo più avanti di qualunque etica o politica atea (anch'esse inevitabilmente autoreferenziali, ma con l'aggravante dell'immanentismo, al netto di fallacie naturalistiche). Per l'agire e il motivarsi, le fedi propongono "manuali" non in contrasto con le scienze, ma semmai in contrasto fra loro; quindi anche qui l'epistemologo e lo scienziato non vanno in conflitto di interessi se nei giorni festivi vanno a messa, dopo aver passato i feriali a studiare genomi o fare ricerche sociologiche.

Per fare un esempio concreto: se chiedo a un credente se e perché è sbagliato uccidere con la pena capitale, costui mi citerà il comandamento pertinente, ponendo il discorso nel vicolo cieco del dogmatismo, per cui la conversazione non potrà svilupparsi in autentiche argomentazioni (che non siano circoli viziosi). Se invece faccio la stessa domanda ad un non credente, costui mi risponderà con opinioni derivate dal suo paradigma etico-politico, di cui potremmo discutere a lungo, o almeno fin quando non indagheremo il fondamento di tale paradigma che, non essendo di matrice divina, risulterà o "ateisticamente dogmatico" o opinabile come le opinioni che esso stesso genera.
#32
Citazione di: PhyroSphera il 09 Luglio 2025, 09:02:47 AMInoltre devi fare attenzione al testo biblico: si narra di un "angelo" che parla con Abramo, cioè di un messaggio da Dio non di Dio.
Mi riferivo a questo passo, in Genesi 22, dove Dio parla in prima persona: «Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».» (fonte, altra fonte).
#33
Citazione di: baylham il 08 Luglio 2025, 12:15:47 PMla fede non è il cavallo vincente della religione, ma il cavallo di Troia, che spiega la sua inferiorità, arretratezza rispetto alla tecnica, alla scienza e alla filosofia.
La fede è il cavallo vincente della religione se la corsa è quella per autogiustificarsi: il senso del mio discorso era che appellarsi alla razionalità, alle scienze umane, etc. è controproducente, se lo scopo del credente è quello di sostenere la propria fede.
Ovviamente per un non credente la fede non è certo il cavallo vincente per la confutazione delle idee religiose (difficile confutare l'infalsificabile), ma questa è tutta un'altra corsa e non è quella per cui ho citato Giovanni.
Superfluo osservare che quando Cristo definisce «beati» coloro che credono senza aver visto, non sta dando lezioni di metodo scientifico né su come usare le percezioni per studiare il mondo che ci circonda.

Citazione di: baylham il 08 Luglio 2025, 12:15:47 PMLa "difficoltà esistenziale" è il sintomo della sua inferiorità.
Inferiorità su quale piano? Questo è il passo falso: se non si distingue il piano esistenziale da quello scientifico, si rischia di commisurare fede e scienza su un piano trasversale che epistemologicamente non esiste, come accadeva nel medioevo quando si usava la Bibbia per capire come fosse fatto il cosmo. Errore speculare sarebbe affermare che ci pensa la scienza (o peggio, i sensi) a dare le risposte esistenziali che alcuni cercano, come se l'etica o la semantica esistenziale in genere fossero "scientificabili" (mi si passi il neologismo).
Confondere fede religiosa e "fede" non religiosa è un buon primo passo per cadere nella caverna in cui non si distinguono gli oggetti dalle ombre (senza scomodare le solite "vacche che son tutte nere").
#34
Citazione di: iano il 05 Luglio 2025, 15:08:29 PMStante in alcuni la forte necessità di credere, (che io comprendo), se è con le parole che la si è indebolita, non è con un diluvio di parole che  si rinforzerà. la fede, e questo è quel che mi pare facciano i teologi.
Giusto per riprendere il già citato Giovanni: «Gesù gli disse [...] beati quelli che pur non avendo visto crederanno» (o «hanno creduto», a seconda della versione; Gv 20, 29). Il discorso sulla fede religiosa inizia e finisce qui («Credo quia absurdum» e dintorni), con questa semplicità teoretica che è difficoltà esistenziale. Forse anche per questo le divinità, se non erro, solitamente non scelgono di manifestarsi per parlare a dotti teologi o verbosi esegeti, ma ad interlocutori ben più semplici e dottrinalmente "impreparati".

Chiamare in causa la psicologia, l'antropologia, etc. a sostegno della fede religiosa è come chiamare in causa l'astronomia per sostenere il terrapiattismo; non è esattamente una buona strategia argomentativa; per capirlo basta considerare cosa sia la divinità per tali discipline.
Quello che infatti spesso sfugge ai credenti, in modo direttamente proporzionale alle loro "attitudini filosofiche", è che (come avrò già detto in passato) partono a cavallo per andare a cercare un "cavallo vincente", quando in realtà lo stanno già (maldestramente) cavalcando: la fede. L'arrovellarsi fra dati, studi comparativi, esperimenti e peer-review (che non sarebbe guastata agli evangelisti, ma all'epoca non era troppo di moda), è un cruccio che il credente può agevolmente scrollarsi di dosso semplicemente recitando il Credo con convinzione. Come detto sopra: teoreticamente semplice, ma esistenzialmente difficile.
Se poi ciò non basta, o peggio, viene recitato a cantilena senza fede, non è certo alla scienza che è opportuno chiedere spunti motivazionali per la propria fede; tanto più se ciò che di indirettamente favorevole viene proposto viene poi letto come anti-religioso.
Non credo giovi troppo nemmeno fare dei testi sacri un'opera crittografica, le cui chiavi di decifrazione sono nascoste nel "cuore di ognuno", in esoterismi cabalistici o in un "sentire comune" ereditato da epoche in cui la pioggia era la collera degli dei ed era da "sciamani" sapersi relazionare al divino (nessun dio ha mai chiesto di istituire cattedre di teologia e, vedi sopra, si relaziona poi "di fatto" con i non dotti; ciò è eloquente, in molti sensi).
Se si ha davvero fede in un dio, non c'è scienza o scoperta filologica che possa accrescerla in modo significativo; se invece si cerca di puntellare il proprio credo con riscontri epistemici, "alleanze" interdisciplinari o simili, allora la cavalcata sarà ancora lunga.
#35
Citazione di: PhyroSphera il 05 Luglio 2025, 11:38:27 AMNel positivismo 'divinità epistemologicamente infalsificabile' passa a significare che su di essa non c'è vero discorso e ciò è antireligioso.
«Divinità epistemologicamente infalsificabile» significa che su di essa non c'è discorso veritativo in senso scientifico, o anche solo gnoseologico; questa precisazione paradigmatica non è anti-religiosa, è invece proprio ciò che dà senso alla fede in quanto tale, salvaguardandone la lingua dogmatica e assolvendola dall'onere metodologico di argomentazioni rigorose e probatorie. La confusione fra a-religioso e anti-religioso spesso inquina anche i discorsi più attenti.
Quella sul gender degli angeli era una battuta, seppur non priva di un "doppiofondo" serio.
#36
Il neopositivismo e il postmoderno sono (stati) in realtà i migliori alleati della persistenza religiosa: il primo ha individuato la divinità non come logicamente falsa, ma come epistemologicamente infalsificabile, smussando tutti i forconi che si leva(va)no contro chiese e crocifissi in nome di una (contro-)verità assoluta. Ponendo Dio fuori dal discorso rigorosamente veritativo, lo hanno "ridimensionato" a sufficienza da renderlo letteralmente inconfutabile, ossia semplicemente possibile ma non verificabile.
Il postmoderno ha poi "metabolizzato" la fede come fenomeno culturale legittimo, sincretizzando e reinterpretando le "ragnatele teologiche" non come assi cartesiani di metafisiche potenze, ma come mandala di una spiritualità mondanamente soteriologica.
In un'epoca in cui il sesso degli angeli è una tematica gender, dubito sarà la religione ad esser radicalmente azzittita; sta a lei saper scegliere e tutelare con cura i suoi discorsi.
#37
Attualità / Re: "Effetto san Matteo"
02 Luglio 2025, 16:37:09 PM
Citazione di: InVerno il 02 Luglio 2025, 11:01:06 AMAltri studi suggeriscono che la relazione tra il denaro e la felicità comincia a diventare inversamente proporzionale oltre ad una certa soglia di reddito (se ricordo bene 70mila?) [...] Quando si è pieni di soldi le persone intorno smettono di vedere l'uomo e cominciano a vedere un portafoglio deambulante, si diventa un opportunità per gli altri di arricchirsi, si rimane soli in mezzo a tanta gente
Solitamente è una mossa impopolare, ma vorrei comunque umanizzare il ricco, non tanto per alimentare la serie "anche i ricchi piangono", quanto per ipotizzare non cosa gli altri vedano nel ricco, ma piuttosto cosa il ricco veda negli altri. Superato il "confine" della ricchezza che dà felicità (sia essa 70k o oltre), cosa inizia a dare infelicità nonostante la ricchezza? La ricchezza stessa, il prezzo da pagare per continuare ad essere ricchi, ciò che la ricchezza fa capire o altro? Le turbe esistenziali dei ricchi aristocratici di ogni epoca (che fossero filosofi o meno) sono tali perché i loro pari erano comunque sanguisughe che li deumanizzavano in vacche da mungere, perché era tutto troppo comodo e facile nelle loro routine, perché avevano troppe scelte e troppo potenziale economico al punto da restare inibiti e scontenti, o altro?

Per un'ironia tutta gaussiana, è difficile relazionarsi con entrambe le classi periferiche rispetto a quella media, ossia quelle dei poveri e dei ricchi: con i primi temiamo di essere sfruttati e deumanizzati (v. sopra), o che siano falsi poveri, o, più inconsciamente, che andando con lo zoppo finiremo per zoppicare anche noi (che sia per ingenua scaramanzia o solo per il motto "dimmi di chi ti circondi e ti dirò chi sei", di certo discutibile ma socialmente non irrilevante). Con i secondi siamo a disagio per il gap estetico-edonistico, per molte "competizioni" perse già in partenza o perché la possibilità di splendere solo di luce riflessa non piace a tutti, preferendo cercare il proprio simile (anche "simile, ma un po' al ribasso" va bene lo stesso).

Andrebbe poi filtrato quanto ci sia di stereotipale nell'immagine del "ricco triste nella gabbia dorata", insoddisfatto umanamente perché totalmente assorbito dal lavoro, dalle sue proprietà, dai ruoli di pura rappresentanza formale, etc. al punto di non avere più relazioni autentiche. Ci sono molte persone, non certo ricche, che vanno in depressione o si suicidano per motivi relazionali; anzi, sarebbe interessante avere i dati sulla percentuale di disagio psicologico per causa relazionale (non di altro tipo) usando come separatore la fatidica soglia dei 70k; magari scopriremo dinamiche interessanti o ne nascerebbe addirittura un contro-stereotipo, dove è la classe media (in proporzione ovviamente) quella con più problemi e sofferenze relazionali.
#38
Attualità / Re: "Effetto san Matteo"
01 Luglio 2025, 17:47:54 PM
Citazione di: doxa il 30 Giugno 2025, 23:34:00 PML'effetto San Matteo, teorizzato dal sociologo Robert Merton, descrive come le persone che già godono di un vantaggio iniziale tendano ad accumulare sempre più vantaggi, mentre chi parte svantaggiato incontra difficoltà crescenti nel recuperare terreno.
Una spiegazione economica, in fondo, ce la dà la stessa parabola: entrambi i servi che hanno investito i talenti hanno raddoppiato le somme, quindi nessuno dei due è stato in proporzione più "bravo" dell'altro. Tuttavia, mentre inizialmente avevano un divario fra loro di 3 talenti (un servo ne aveva 2, l'altro 5), dopo averli investiti con eguale resa proporzionale (che ha per esito il raddoppio) anche il divario è aumentato in modo proporzionale: uno ne aveva 4, mentre l'altro 10, con divario di 6. Se avessero continuato così, il servo più ricco avrebbe man mano aumentato sempre più il divario con l'altro, ossia il più ricco sarebbe diventato sempre più ricco.
E il povero? Il povero ha meno margine di errore rispetto alla soglia di soddisfazione dei bisogni primari, al punto che per non rischiare di perdere quel poco che ha, spesso lo affida "al materasso" più che ai banchieri.

Il valore economico (e non solo, come insegna la parabola) andrebbe come sempre contestualizzato, perché un euro non vale un euro per tutti; potremmo scoprire che, in proporzione, InVerno finirà per spendere per i suoi invitati "più" di Bezos (a proposito, auguri per le nozze a entrambi): il nostro forumista, supponiamo, se la caverà con mille euro per tutta la festa, mentre Bezos ha speso per ogni singolo invitato circa il doppio; eppure InVerno potrà dire che ha speso per la sua festa di nozze metà (dico per dire, cifra a caso) di quello che guadagna in un mese... Bezos può forse affermare altrettanto? Chi ha speso e "si è speso" di più per i suoi ospiti? Chi dei due dovfebbe "guadagnare più credito", in riconoscenza o altro, presso gli invitati?
Se consideriamo lo stipendio ufficiale di Bezos di circa 80.000 dollari al mese, sicuramente il nostro forumista passa per tirchio, ma sappiamo che c'è dall'altro nelle possibilità economiche di Bezos.
D'altro canto, se Bezos avesse voluto spendere metà dei suoi ricavi mensili in termini patrimoniali, cosa avrebbe dovuto fare? Affittare tutto il Veneto o usare come bomboniera di nozze una pepita d'oro con annesso sacchettino di confetti (ovviamente fatti a mano da Cannavacciuolo e benedetti uno a uno dal Papa)?
#39
A mio avviso quello che fa inceppare, sul tema della fede, il meccanismo narrativo della vicenda di Abramo non è tanto il fatto che Dio si sovrapponga alla morale religiosa del non uccidere (di cui dovrebbe essere fondatore e giudice), bluffando per vedere se Abramo è davvero ciecamente sottomesso alla volontà divina, ma la "morale della favola" si inceppa soprattutto per la relazione in cui tale prova di fede viene contestualizzata. La fede in un dio che ti parla direttamente, non è la fede del "credente medio" a cui la vicenda vorrebbe insegnare qualcosa. La fede è solitamente tale proprio in assenza di rapporto diretto con Dio: la vera pietra angolare della fede è credere anzitutto nell'esistenza di Dio (da cui consegue l'esistenza di una sua legge, etc.). Una volta che l'esistenza di Dio diventa "ovvia e banale" perché Dio ti parla "faccia a faccia", tutto quello che accade in seguito perde di valore, in termini di fede, perché è fondato sulla diretta esperienza "empirica, percettiva e sensoriale" (prima che spirituale) della divinità, sulla esplicita volontà di Dio espressa in "prima persona" (o quantomeno dalla sua voce) al "fedele ascoltatore".
Come dire: è facile avere fede in Dio se Dio ti parla e lo riconosci come tale; anzi, non è nemmeno il caso di parlare di «fede», ma di fiducia in lui, proprio come ci si fida di un padre che ti dice di fare qualcosa che non capisci o che credi "non andrà per il verso giusto".
#40
Citazione di: nessuno il 18 Giugno 2025, 12:07:36 PMl'uomo perde le proprie caratteristiche irrazionali lungo la strada tecnologica;
l'uomo si perde.
Secondo me, nell'efficacia produttiva dell'IA, l'uomo non si perde perché non ci perde tempo, ma ne guadagna, in quelle attività "efficientate" dall'IA (per quanto in modo ancora ottimizzabile e non certo privo di "allucinazioni"). "Guadagnare" tempo significa guadagnare l'unica "cosa" che non si può né produrre né comprare. Questo è un altro dei motivi per cui, secondo me, metterla sul piano di "intelligenza umana vs intelligenza artificiale" è, nel migliore dei casi, fuorviante.
Non ha senso fare a gara di velocità con un calcolatrice, ma ha senso usarla per risparmiare tempo, in quell'ambito specifico. Cosa rimane, dopo aver perso l'eventuale gara di velocità o aver perso il "gusto"(?) di fare calcoli a mano o a mente? Il risultato, che è quello che si desiderava ottenere. Parimenti dopo che l'IA ha risolto un problema con i suoi algoritmi o ha prodotto codice, immagini, testi o altro, ciò che rimane, umanamente, è la fruizione, pragmatica o edonistica che sia, di quanto prodotto dall'IA. E questa fruizione, spesso con un attesa che altrimenti sarebbe stata ben maggiore, non è necessariamente connessa a una perdita. Certo, in ambito edonistico l'attesa ha un suo ruolo nel processo di godimento, ma in altri ambiti non è desiderabile né desiderata.
Tale fruizione genera una dipendenza e una perdita di competenze, ma questa è la costante che segue tutto lo sviluppo della tecnica, anzi potremmo dire che è l'essenza della tecnica: produrre un "sostituto di competenze" così efficace che spinga l'uomo a perdere competenze dirette (saper "fare cose") per acquisire competenze indirette (la gestione dello strumento che "fa cose"), al punto da non poterne quasi fare a meno.
La produttività dell'AI non è nemmeno necessariamente una perdita del valore dell'attività dell'homo faber (che è esattamente colui che "fa" l'IA, comunque), anzi potrebbe comportare una sua rivalutazione economica; d'altronde sono stati proprio i macchinari della produzione di massa a dare un maggior valore di mercato al "fatto a mano", che talvolta diventa tratto distintivo di oggetti di lusso (v. ad esempio le Rolls-Royce montate a mano, ma anche, più semplicemente, la pasta fresca artigianale "fatta a mano").
Per quanto riguarda la perdita dell'irrazionalità, il discorso è in fondo il medesimo: la tecnica (di cui l'IA fa parte) è un megafono anche per l'irrazionalità e, quando non lo è, la rivaluta per contrasto, proprio come l'imperfezione del "fatto (d)a (u)mano" viene rivalutata per contrasto dalla rigorosa omogeneità del fatto a macchina.
Ad esempio, l'IA per ora fa fatica a produrre qualcosa di degnamente umoristico, mentre se la cava egregiamente con sintesi di documenti seri e formali; c'è perdita o guadagno, in termini di umanità, se lasciamo all'IA un po' di noiose e "meccaniche" relazioni schematiche per dedicarci un po' più a ciò che è meno standard e probabilisticamente prevedibile, o semplicemente per gestire diversamente il nostro tempo "liberato dall'IA"? 
Chiaramente l'IA ha un costo (almeno a livello aziendale), ricadute ecologiche e sociologiche, etc. ma sul piano filosoficamente umano (e umanistico) discende dall'invenzione della ruota, della scrittura, delle macchine a vapore, di internet, etc. non è alienante molto più di loro (pur contaminando altri ambiti, ovviamente, e in questo sta la sua novità).
#41
Citazione di: Jacopus il 18 Giugno 2025, 19:31:10 PMMentre scrivo mi arriva alla mente questa espressione lapidaria "Kierkegaard, ultima propaggine del Medioevo".
In realtà è il concetto stesso di dio l'ultima propaggine del medioevo; lo dico ovviamente non come polemica, ma come constatazione: le teologia era nello Zeitgeist di quel periodo, di quelle culture, di quel livello di conoscenza di sé e del mondo. Il che non significa affatto che non possa tutt'oggi, molto dopo Kierkegaard, essere degna di discussione o ispirare percorsi esistenziali. Anche le monarchie, per esempio, sono appartenenti ad uno Zeitgeist antico, pur restando oggi in vigore e ancora "funzionanti".
La "tremenda asimmetria" fra uomo e Dio di cui parli, è ciò che rende tale Dio: è l'asimmetria fra forma umana e forma divina, potere umano e potere divino, razionalità umana e ragione divina, etc. «asimmetria» significa che non si può partire da una "modalità di condizione" nota, quella umana, per dedurre direttamente l'altra. A-sim-metria, significa per etimo che la "misura" dell'uomo non è quella di Dio, e questo è tutto ciò che sappiamo di razionale della sua; proprio come sapere che un cerchio ha un rapporto asimmetrico con un altra figura produce la conoscenza minimale che l'altra figura potrà essere qualunque cosa, tranne che un cerchio simmetrico a quello di partenza.
Tale scarto asimmetrico è lo spazio del "salto della fede" di Kierkegaard: non è un passo misurato (poiché è una conversione fra due "sistemi di misura", di cui il secondo è essenzialmente ignoto), non è un passaggio logico ossequioso delle regole degli uomini (v. stadio etico), non è dialettica procedurale con l'alterità o con la negazione (v. Hegel), ma è il collasso della razionalità in un'angoscia individuale bramosa di eccedenze che la sappiano traghettare oltre, irrorando tale viaggio/salto di un senso che travalichi la sciatta mondanità dell'immanenza (ossia, detto diversamente, è non accettazione della propria "finitudine semantica", in puro Zeitgeist di matrice medievale, appunto).
#42
Citazione di: Jacopus il 18 Giugno 2025, 00:22:05 AMRitengo, secondo una modalità ellenistica e quindi precristiana che sia possibile essere contemporaneamente (o in tempi diversi della propria vita) esteti, etici e religiosi.
Non è un caso che Kierkegaard parli di tre stadi; si può quindi passare da uno stadio all'altro, in diversi momenti della vita. Si potrebbe anzi dire che il passaggio di stadio, se avviene in una certa direzione, è il percorso più autentico (giacché essere sin dalla nascita nello stadio religioso, semmai sia possibile, lo renderebbe meno consapevole): lo stato etico è "cura" per l'insensatezza di quello estetico, e quello religioso è "cura" per il "meccanicismo" di quello etico.
Per il resto (compreso Abramo), evito il copia e incolla e rimando qui.
#43
L'esempio delle mele era volutamente semplicistico, ma mette comunque in evidenza una differenza, facendo emergere un "algoritmo impraticabile" per l'IA: quello dell'immaginazione. Anche se non immagino più delle mele per contarle, posso farlo, l'IA no. Così come l'AI usa zero e uno per far funzionare i suoi processi e i suoi calcoli, noi no.
Citazione di: iano il 14 Giugno 2025, 14:13:14 PMper cui se è vero che una macchina non pensa alle mele per fare il calcolo, l'uomo ha trovato conveniente smettere di pensarci, non essendo tale pensiero essenziale al calcolo.
[...]
Il fatto che la macchina sia più veloce di noi a fare il calcolo , fa passare in secondo piano che noi già avevamo  reso più efficiente la nostra limitata potenza di calcolo sfrondandola dai pensieri inessenziali che lo rallentavano.
Qui emerge un'altra divergenza fra uomo e IA: l'uomo, o meglio il bambino, ha bisogno essenzialmente della capacità di astrazione per imparare a contare, l'IA no; l'apprendimento addestramento dei modelli linguistici (o anche solo la programmazione di una calcolatrice) si basa su procedure che non richiedono immaginazione. L'"IA bambina" (mille virgolette) non impara contando mele immaginate, l'uomo bambino sì, e non c'è altro "algoritmo" che possa usare per imparare (anche se poi, crescendo, smetterà di contare in mele).
L'IA risponde come se sapesse le tabelline, ma in realtà non le sa; e non può saperle perché non ha il concetto di «tabellina», anche se sa darne la definizione, la storia, etc. perché non ragiona per concetti, ma processa in modo computazionale. E senza ragionamenti, concetti e capacità d'astrazione, secondo me, l'intelligenza può essere solo una metafora (così come un'automa che "faccia lezione" mostrandosi arrabbiato con i suoi studenti o contento dei loro risultati, sarà inevitabilmente il surrogato di un docente, con buona pace di Turing).
#44
L'IA può già produrre intonazioni di voce come quelle umane (con pause, versi, intercalari, etc.), così come ci sono robot che simulano le espressioni facciali. Credo che il punto di "divergenza qualitativa", su cui volevo mettere l'accento (e sul quale chiedevi lumi), sia non il cosa fa l'AI, ma il perché. La differenza fra "fare x perché..." e "fare x come se..." (alzare la voce perché si è arrabbiati o alzare il volume come se si provasse rabbia).
Con attenta programmazione ogni comportamento può essere riprodotto e simulato, sempre meglio quanto più la tecnologia si evolve.
Se tralasciamo l'analisi della procedura di elaborazione, allora il mio 6 non si distingue dal 6 della macchina calcolatrice; se invece analizziamo il come si è arrivati al 6 e il come io e la macchina lo raccontiamo (se anche entrambi parlassimo di immaginazione e gioia del risultato, uno dei due mentirebbe), allora un 6 non vale l'altro. Lo stesso dicasi per il professore che fa un'eccezione per simpatia personale o si esalta parlando di politica; un robot può imitarlo, ma sarà sempre un "come se": come se discriminasse fra allievi preferiti e allievi antipatici, come se fosse politicamente schierato, etc.
#45
Citazione di: Il_Dubbio il 14 Giugno 2025, 10:24:22 AMLa teoria sostiene che il modo come pensa un uomo è equiparabile ad un calcolo.

Le macchine vengono programmate in modo che quei calcoli vengano effettivamente svolti.

Chi, come me, volesse mettere in dubbio questa equivalenza, dovrebbe trovare un modo per distinguere il pensiero umano da una macchina. Ovvero un test che una macchina non potrà mai superare.
[...]
nonostante tutto quello che crediamo ci sia di differente tra un uomo ed una macchina, non possiamo stabilire se anche quelle differenze non possano essere colmate da programmazioni sempre piu sofisticate inserite in una macchina.
Credo convenga, come in tutti i test, distinguere la valutazione del risultato dalla valutazione della procedura che porta al risultato. Di fronte alla domanda (scegliamo un calcolo matematico in modo da "agevolare" la macchina): quanto fa 3 per 2? Sia io che la macchina rispondiamo 6; siamo arrivati alla stessa conclusione; ma ci siamo arrivati con la stessa procedura di calcolo, con lo stesso metodo? No, perché io posso aver immaginato 2 gruppi da 3 mele ciascuno e poi le ho contate una alla volta, oppure posso aver recitato la tabellina del 3 come un rosario fino a trovare la soluzione (tre per uno tre, tre per due sei...). Il calcolatore, sappiamo con certezza, non ha immaginato le mele e non ha recitato la tabellina né del tre né del due. Per far emergere una differenza "qualitativa" di fronte al medesimo risultato, basta chiedere come ci si è arrivati (certo, una macchina  può essere programmata anche per mentire e rispondere «ho immaginato 2 gruppi di tre mele, poi le ho contate mentalmente e mi sono sentito felice quando ho trovato il risultato").
Per questo non ha senso parlare, metafore a parte, di "intelligenza matematica" se si parla di una calcolatrice: in quel programma di uno e zeri non c'è intelligenza, ma esecuzione, proprio come la ruota di un mulino a vento che gira facendo girare la macina, solo che essendo impercettibile all'occhio, la "sottile magia" dell'uno e dello zero viene interpretata solo guardando al risultato.

Citazione di: Il_Dubbio il 14 Giugno 2025, 10:24:22 AMin linea di massima un insegnante può essere sostituito da una macchina?
Ancora non riesco a trovare un argomento che faccia saltare il banco. Io dico si, oggi non ha tutti gli elementi per poterlo fare, ma non c'è una caratteristica che l'insegnante ha, che non si possa riprodurre in una macchina.

Per cui io sono alla ricerca di quella caratteristica...ovvero una qualità non programmabile in grado di cambiare anche la qualità delle risposte di un uomo rispetto ad una macchina.
Direi che di divergenze comportamentali ce ne sono e tutte, non a caso, radicate nella natura umana. Sarà capitato a molti di avere in classe un insegnante di cattivo umore che quindi è più nervoso o "cattivo" del solito, o un insegnante che fa preferenze e assegna voti con misure differenti a seconda dell'allievo (tradotto in "macchinese": a parità di inputoutput differenti), o che fa uno strappo alla regola (devia dalla procedura) e concede un intervallo più lungo, o non interroga un alunno perché capisce, dall'espressione sul suo viso, che non ha studiato, o si infervora quando parla di un argomento mentre appare più spento quando parla di altri, etc. Non sono aspetti intrinsecamente necessari all'insegnamento, ma sono comportamenti che di fatto distinguono un insegnante umano da un insegnante artificiale, che per essere di cattivo umore, o allegro, o fazioso nei voti, o fare uno "strappo alla regola", etc. deve essere programmato. E si torna al discorso del giradischi che "ride" o della differenza nel calcolo del risultato: è sicuro che possiamo impostare una macchina per riprodurre una risata o fare calcoli matematici, ma non c'è forse una "differenza qualitativa" fra il produrre e il riprodurre, oppure fra dare/trovare un senso in un evento e limitarsi a farlo accadere?