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Messaggi - Federico Mey2

#31
Tematiche Spirituali / Materialismo e Spiritualità
21 Aprile 2020, 08:58:20 AM

Nell'ambito di quella che in un precedente post ho chiamato Psicofilosofia, cioè l'area che ha come oggetto d'interesse l'agire e il pensare dell'individuo (si disinteressa dell'essenza del mondo), volevo proporre una mia definizione del termine Materialismo, in opposizione al termine Spiritualità.
Il Materialismo consiste nell'avere come obiettivo il Fare, all'interno di uno schema, nella Spiritualità l'obiettivo è il Capire, uscire dagli schemi.
Nel Materialismo si può agire per ottenere ad esempio un vantaggio individuale o collettivo (vedi l'economia e l'utilitarismo in generale), o uno svantaggio (vedi la guerra), ma anche, soprattutto se immettiamo la sfera simbolica, si può agire per comunicare, magari nell'ambito di una pseudo-religione organizzata come un "gioco di società"  (vedi la politica, spesso definita un "teatrino"), o di una religione priva di obiettivi spirituali, in cui la ricerca di Dio è falsa (e quindi esecuzione meccanica di riti).
Anche questo comunicare, pur se scollegato totalmente con i fini di vantaggio-svantaggio che si possono associare meglio al concetto di materialità tipico, è materialismo secondo la mia definizione, in quanto l'agire è meccanico, finalizzato all'apparenza, schematico.
La Spiritualità è l'agire al di sopra dagli schemi, è la ricerca della finalità e dei principi, la indipendenza dalle apparenze, la ricerca.
In sintesi, il Materialismo è FARE (includendo in ciò il comunicare finalizzato all'apparenza), la Spiritualità è CAPIRE.
#32
Tematiche Spirituali / Re:Risposta a iano
06 Giugno 2019, 17:50:23 PM
Salve iano
La tua risposta è fitta di domande e questioni, non è facile ribattere, cercherò di rispondere come posso. 
Lo farò riga per riga, non usando l'inserimento citazione: la prima riga è la tua, la seconda è la mia.
Inizio!

Dare libera espressione a se stessi , senza farsi influenzare  dalla socialità , come via verso la spiritualità .
Esatto, ma "libera espressione" non è il modo di dire migliore: si devono infatti seguire precisi principi di ragionamento.

Un po' come un programma che si svolge da se' dando risultati esatti se nessuno introduce virus sociali.
Non sono proprio i risultati che devono essere esatti, ma i ragionamenti.
 
Però il fatto che gli uomini sono in parte esseri sociali è scritto nel loro programma.
Certo, ma l'avere vita sociale non elimina affatto l'opzione di continuare a ragionare correttamente in modo autonomo: certo, potrebbe risultare difficile farsi accettare...

Proponi un debugging ( si dice così?) culturale?
Se per debugging intendi la correzione di un software già esistente e malfunzionante non è l'idea migliore: meglio piuttosto pensare alla ristrutturazione integrale dall'inizio; e comunque mi riferisco all'individuo, non alla società e sua cultura.

Essere se stessi uscendo dalla cultura che il caso ci ha assegnato?. Sicuramente non è un esercizio sterile , anzi.
Ottimo

Ma di solito questo esercizio si svolge partendo dalla convinzione che la nostra cultura è perfetta per giungere alla conclusione che nessuna è perfetta.
Essere convinti che la propria cultura sia migliore è un errore da principianti...

Si può uscire forse da una cultura , ma non dalla cultura.
Non è da tutta la cultura che eventualmente propongo l'uscita, ma soltanto da quella parte che corrompe il ragionamento.

Le culture sono diverse , ma non prive di convergenze e una può essere la famiglia come indichi tu , 
Ottimo

Mentre sui ruoli che i diversi sessi assumono in essa mi pare tale convergenza non vi sia storicamente , come tu invece proponi , quindi almeno su quest'ultimo punto dissento.
Comunque stavamo discutendo della cultura criticandola, non cercando le convergenze...

La suddivisione dei ruoli fra sessi può avere un senso economico contingente , ma non predeterminato a prescindere.
Penso che l'elemento economico sia secondario a quello spirituale, che io propongo come superiore.

Esistono sicuramente differenze biologiche e psichiche , ma non è scritto da nessuna parte come queste di volta in volta verranno a "coniugarsi"  perché tutto cambia.
Io propongo la spiritualità, che si può scoprire con un'introspezione e un itinerario all'origine dei fenomeni: in questo luogo si trovano appunto le differenze fisiologiche della diversa natura dei sessi, immutabili. Se con "tutto cambia" intendi un processo storico, mi interessa poco.

E a proposito come si coniuga il cambiamento con la perfezione,partendo dal perfetto nulla dove nulla cambia?
Non è vero che dal nulla non inizi un cambiamento. Il percorso che propongo io è quello della maturazione individuale, dalla prima età alla maturità, ugualmente ripercorribile in ogni istante della maturità con la riflessione. E' naturale avvenga la maturazione, la questione è che avvenga in modo corretto e immune.

Se perfetto è il programma nel suo svolgersi senza errori esente da intrusioni , quindi non in rete ,andrà così avanti all'infinito
Forse stai facendo un parallelo con rete/internet=interazione sociale? Facile la risposta: internet lo puoi usare come vuoi, in modo critico o acritico: nel secondo caso perdi la tua personalità, la cedi alla società. Nel primo caso mantieni al limite il 100% del controllo sul tuo ragionamento, i tuoi valori...

Ma in un programma di computer ciò non è garantito in effetti. Perché nel programma umano dovrebbe esserlo ?
Io non garantisco proprio nulla, anzi sostengo che le quasi totalità degli individui non conservi autonomia dall'influenza della società. Dico però che la possibilità c'è: e c'è nell'evoluzione della personalità, che non c'è motivo resti statica. 

Non possiamo scommettere su un computer, che è cosa che ben conosciamo perché da noi costruito. Come facciamo a scommettere su qualcosa che non sappiamo chi e come ha costruito?
Non so a che scommessa ti riferisci

Grazie dell'interessamento, salve
#33
Salve
Sono contento si stia riattivando il mio argomento
Prima di rispondere a iano devo precisare il mio articolo di ieri sera, che forse era andato un po' fuori l'argomento iniziale, che infatti attualmente non ricordo bene.
L'argomento di questi ultimi articoli invece era la Perfezione, che io propongo come obiettivo spirituale ultimo, più elevato.
Nel mio ultimo articolo di ieri sera sembra che io sostenga che l'argomento della perfezione fosse legato ad uno specifico linguaggio, quello che io uso normalmente, in modo naturale, che è per me primario, che è quello Logico.
Voglio osservare che ne esistono altri, che io non critico in modo assoluto, che io non ritengo "sbagliati", "imperfetti" per loro natura, come quello Poetico, che segue altri criteri e che io apprezzo molto e anch'io scrivo poesia.
Mi propongo di trattarne in un argomento apposito, non è il caso di farlo qui.
Per concludere il tema della Perfezione, resto convinto che essa resta il possibile obiettivo della spiritualità anche in un linguaggio diverso da quello Logico (che è quello a cui sono più legato), anche se assume forme diverse.
Salve
#34
Citazione di: giogio il 05 Giugno 2019, 18:01:35 PM
CitazioneForse è un equivoco...
Io mi riferivo alla perfezione umana, perfezione fisica. Qui vorrei aggiungere Giacomo 3:2:" poiché tutti manchiamo in molte cose. Se uno non sbaglia nel parlare, è un uomo perfetto, ed è pure capace di tenere a freno tutto il corpo." Ti posso confessare che per ora non ho conosciuto una sola persona perfetta. Ribellandosi a Dio Adamo ed Eva persero il suo sostegno nella perfezione. 
Sì, è senz'altro un equivoco, tu mi confermi che la mia definizione di perfezione è tutt'altra cosa che la tua.
La mia si riferisce al ragionamento, a ciò che sta "a monte" dei risultati, come il parlare o l'agire, cose di cui io invece mi disinteresso.
Faccio qualche esempio: Una persona potrebbe dire:
1 - "A me piece il mare", intendendo che gli "piace" ma magari è straniero (o pugliese). E' un errore nel parlare, ma non nel ragionamento, che è perfetto, nel momento che, spiegandogli l'errore linguistico, è disposto a correggersi.
2 - "A me piace soltanto il mare, ma a volte mi piace la montagna". E' un errore logico evidente: lo è nel ragionamento? Facciamo dei sottocasi
2.1 - Capisce e si corregge. Non se ne è accorto, aveva le idee un po' confuse o era sotto l'effetto di droghe. Spiegatoglielo, si corregge opportunamente.
2.2 - Non capisce. Non è in grado di capire il pur semplice errore logico, ma potrebbe essere disposto a correggersi.
2.3 - Capisce e non si vuole correggere. E' il caso forse di imperfezione più preoccupante.
Ci sono quindi 3 livelli: quello più pratico (ciò che si dice), il ragionamento (ciò che si capisce) e lo spirito (la propria direzione spirituale, es la disponibilità a correggersi).
Come capirai a me del livello più pratico (ciò che per es Giacomo dice), non mi interessa nel senso che non è da quello che valuto la sua perfezione. Molto più importanti sono gli altri due livelli.
Allo stesso modo la mia idea di perfezione non corrisponde minimamente a quella del linguaggio corrente secondo la quale una società molto ben organizzata, efficiente, è perfetta. La mia idea riguarda i singoli individui pensanti, e un popolo di individui perfetti secondo la mia definizione potrebbe benissimo formare una società al livello pratico totalmente inefficiente, 
Perchè la spiritualità sta sopra gli altri livelli, e una società potrebbe (ma non necessariamente) fondarsi su una spiritualità imperfetta, incompleta, e risultare soltanto all'apparenza priva di errori: ma il compito del filosofo (anche il religioso può farlo) è andare oltre l'apparenza, è di far emergere l'anima, il terzo livello.
Spero si sia capito qualcosa, anche se più che altro mi sembra che non ci sia molto interesse
Salve
#35
Salve.
Ho visto un grande antagonismo e ostilità, forse paura, alla mia idea che la perfezione esista.
Vittorio
Citazione di: Vittorio Sechi il 29 Marzo 2019, 23:35:10 PMNel Nulla non vi è nulla: non vi è errore, neppure perfezione (così è dimostrato che se i presupposti sono errati, l'intera architettura è errata).

Mentre Giogio
Citazione di: giogio il 03 Maggio 2019, 23:48:07 PMPerfezione umana per ora non è raggiungibile. Tutti siamo nati con la tara dell'imperfezione e purtroppo conosciamo solo questa realtà.

Forse è un equivoco dato dalla mia definizione della parola.
Deriva dal concetto di "giusto", non in senso di Bene, ma il contrario di "sbagliato".

Per fare un esempio, una normale calcolatrice (che non sia guasta) è perfetta, cioè fa i calcoli aritmetici sempre giusti.
Il nulla per la vita di una calcolatrice è essere spenta o non ricevere il tasto =.
In questo caso la calcolatrice è perfetta anche se è muta, perchè non fa errori.
Non sbaglia a non rispondere, è fatta anche per quello.
Per cui ripeto che, nell'ambito della Psicofilosofia, che si occupa di entità pensanti e decidenti (non di altro), il Nulla è perfetto.

Ma la questione più interessante è come ci si evolve dal nulla verso la complessità restando nella perfezione.
Il ragionamento di Giogio, copia e incolla di testi biblici e probabilmente di dottrine ecclesiastiche, non aiuta molto. Questi testi possono essere un ottima ispirazione e degni di massimo rispetto spirituale ma per ragionarci filosoficamente bisogna essere pronti a rielaborarli.
E' chiaro che se si parte dal copiare un'idea e non si mette la voglia di capire al primo posto non si fa molta strada.
La mia idea di perfezione è legata proprio a questo: essa non è un qualcosa che è, c'è o non è, non c'è. E' connessa alla voglia di cercarla.
Semplificando in modo estremo la propria mente la puoi ad esempio trovare. Certo se inizia a negare che il Nulla sia perfetto significa che non si sta capendo quello che voglio dire, non stiamo parlando la stessa lingua. 
Se invece si sostiene come pregiudizio che l'uomo è imperfetto senza neanche fare una valutazione significa che non soltanto non cerchi la perfezione, ma stai perfino stimolando il suo opposto, ti stai preparando a predicarlo, perchè ne hai una forma di paura.
Stiamo cioè predicando due cose opposte!
Salve
#36
Tematiche Spirituali / Lotta all'idolatria
14 Aprile 2019, 14:26:58 PM
Salve
Definizione
L'idolatria è definita come adorazione di un'immagine o di un oggetto, che diviene sacro e al vertice della spiritualità dell'uomo.
Così è infatti considerata dalle religioni più anti-idolatriche, e la Bibbia e il Corano citano situazioni di adorazione di cose tipo delle statue.
Tuttavia questo caso di porre degli oggetti al vertice della spiritualità, dal punto di vista dell'uomo che vuole tendere verso qualcosa di molto significativo, è evidentemente la meno interessante.
Il passo successivo, reso più facilmente possibile dalla modernità e le tecnologie, ma soprattutto più interessante, è che gli uomini stessi si trasformino in dèi.
Il prologo di ciò è il Cristianesimo stesso, che nel considerare Cristo come Dio commette la prima evidente idolatria, che però riferisce al passato, cioè ad un morto, e ciò rende meno forte l'impulso idolatrico di sentire la presenza attuale di un idolo, cioè di un Dio terreno.
La proposta lodevole del Profeta Maometto si basa a mio parere proprio sul contrasto a questa religione allora nascente criticandone principalmente questo elemento di idolatria in coerenza con la critica alle idolatrie del tipo citato dalla precedente Bibbia, in realtà meno importanti, perchè meno interessanti.

Idolatria "moderna"
Chiamando idolatria antica quella citata all'inizio, relativa a immagini e oggetti, quella moderna è a mio parere relativa alla deificazione di uomini viventi. Come potrebbe effettivamente realizzarsi?
Ci sono due strade: la passiva, in cui dei soggetti vengono, da parte degli altri, resi dèi per una convinzione generalizzata: si convincono tutti che alcuni soggetti siano da essere considerati in modo diverso, come ad esempio facenti parte di un universo parallelo per il quale esiste magari anche un linguaggio parallelo "tagliato" su di loro.
Il tentativi però fallisce se questi soggetti non si ritengono tali, e riescono a "normalizzare" la propria vita.
La strada attiva, è quella in cui altri soggetti si fanno dèi loro stessi, ciò avvenendo se essi riescono a porsi in diretta competizione con Dio, e in questo modo si mettono al livello più elevato della spiritualità e possono sentirsi dèi. Non si sentirebbero dèi soltanto quelli che lo fanno direttamente, ma anche tutti coloro che supportando questi atti si sentirebbero anch'essi di poter sostituire Dio e di esserlo loro.
Si tratta di atti che stanno nell'ambito della magia, ma il più significativo sarebbe quello, oggi tecnicamente possibile (mentre nell'antichità non lo era e per questo non poteva essere citato dai libri antichi, ma se gli autori vivessero oggi, evidentemente lo farebbero per proibirlo con ancora maggior forza) di "produrre" esseri umani.

Trasversalità della questione
Il problema riguarda tutti gli uomini, indipendentemente dal fatto che formalmente si dicano monoteisti, politeisti o ateisti. Anzi queste espressioni dovrebbero passare in secondo piano perchè si addicono soltanto alla dannosa politicizzazione della Fede, all'ostentare degli uomini il possesso di un tesserino di appartenenza religiosa che oscura la vera Fede, rendendo tutto l'argomento unicamente un gioco politico modano e non più spirituale e divino.
Bisogna soltanto chiedersi se la propria intima spiritualità apprezza o disprezza l'idolatria (che corrisponde alla materializzazione della propria Fede), o invece vuole esserne una oppositrice, cercando il vertice della propria spiritualità correttamente nel Cielo o in un profondo esame di coscienza (cose entrambe ugualmente assolute e spirituali).

Che fare?
Così moltissimi potenziali anti-idolatri potrebbero combattere una possibile idolatria, e anche se l'appello più esplicito proviene dal Profeta Maometto, molti altri potrebbero prendere la stessa posizione anti-idolatrica. Anche ad esempio una parte dei Cristiani che propendono per l'idea di un Cristo-Profeta e rifiutano quella del Cristo-Dio. Ed i Buddisti fanno lo stesso. Non conosco molto le altre.
Ma non bisogna essere legati troppo alla formalità delle religioni: si resterebbe invischiati in argomenti che si sorpassano facilmente, anche perchè bisogna considerare la modernità. Bisogna considerare lo spirito, l'intenzionalità ad esempio dei Profeti, non la letteralità di ciò che ci hanno trasmesso. Il loro spirito, la loro intenzione profonda, può restare e vincere, l'interpretazione letterale rischia di passare e perdere, o di restare in vita soltanto grazie alla falsità, e perdere comunque.
Se una idolatria moderna (cioè fatta di uomini-dèi, non di oggetti o immagini sacre) dovesse realizzarsi, importante sarebbe che tali uomini rifiutino questo ruolo: e il 50% della lotta sarebbe vinta. L'altro aspetto, la deità attiva, di chi (posso immaginare delle specie di Re-Strega-Mago) vuole diventare Dio compiendo atti eccezionali (ho citato la produzione di esseri umani, intendendo in modo illegale, senza i veri genitori) sarebbero gli anti-idolatri che la dovrebbero impedire, e sarebbe un 50% ancora da fare.
#37
Tematiche Filosofiche / Re:Elogio dell'individualismo
31 Gennaio 2019, 08:57:26 AM
Salve
Citazione di: cvc il 21 Gennaio 2019, 09:54:16 AM Secondo me è necessario distinguere l'individualismo inteso come esaltazione dell'ego dall'introspezione e interiorizzazione della vita e del mondo.

Mi sembra questa una osservazione interessante: in particolare la seconda definizione, cioè individualismo consistente nel porre al primo posto l'introspezione e l'interiorizzazione del mondo, è significativa.
Se conoscere sè stessi è al primo posto, anche capire quale debba essere la propria strada lo è.
Oggi c'è una tendenza a non farlo, a limitarsi ad essere ingranaggi di una macchina, ad essere partecipi del funzionamento della società.
Criticando ciò, non voglio criticare l'aspetto concreto di questo funzionamento, ma sottolineare la necessità di uno spazio mentale autonomo in cui essere sè stessi, e che oggi i molti non possiedono a mio parere.

Citazione di: Lou il 21 Gennaio 2019, 17:59:25 PM I due soggetti umani, individuale e collettivo, non penso abbiano necessariamente da entrare in conflitto, confluiscono l'uno nell'altro e viceversa, l'uno per l'altro, se esiste misura. Dar corso a conflitti tra l'uno e l'altro, a mio parere, è frutto di una incomprensione di base, poichè l'individuo solo è già estinto per un verso e, per l'altro, la collettività senza individuo è nulla. 

A mio parere invece il conflitto potenzialmente c'è, ci dovrebbe essere, perchè il collettivo può invadere lo spazio individuale, ciò causando assenza di spiritualità e demotivazione, che può diventare profonda. 
L'individuo singolo non è già estinto; la collettività senza individualità esiste e può anche vivere bene, ma è debole.
Salve
#38
Salve
Rispondo principalmente a Everlost-risposta n11
Citazione di: everlost il 27 Gennaio 2019, 01:29:38 AMBuonasera Federico Mey2 Ma no, quale ostinazione a negare la seconda ipotesi...io rivedrei le definizioni che tu hai dato, per esempio, perché la 1 mi va un po' stretta e la 2 non mi convince. Sì, certo, credo che l'intelligenza e la socialità delle persone dipenda in massima parte dall'ambiente in cui crescono. 
Allora, come dicevo si contrappongono due teorie, la ambientale, quella che tu dici di sostenere, e la innatistica, che valorizzo io. Ma non si tratta di valutazioni della attuale scienza sociologica o psicologica.
Io valorizzo la spiritualità, consistente nella strada dell'umano di raggiungere il culmine di sè, la propria anima.
Come ho scritto in altre discussioni, definisco l'anima il luogo in cui vengono definite le finalità e i princìpi da seguire.

Se vale l'argomento ambientale al 100%, l'umano non gestisce questo luogo,la propria anima, ma la "cede" alla società. Di conseguenza dico che cade la spiritualità e viviamo nel materialismo.
E' chiaro che ciò avviene frequentemente, nei "molti", ma io non mi interesso di statistica. Io mi interesso di idealismo, di teoria, non di come va il mondo. Quand'anche ce ne fossero pochissimi diversi, essi hanno un valore infinito.

La teoria innatistica dice quindi che conta ciò che si è, valorizza le differenze. 
Queste differenze sono di due tipi: comuni alle categorie a cui si appartiene, ad esempio il gruppo etnico, o quello sessuale, e individuale. 
A metà strada tra l'individuale e l'etnico c'è un legame importantissimo: la consanguineità familiare, su tutto il legame tra genitori e figli (ovvio il dibattito, potenzialmente feroce, che si può aprire qui su consanguineità e adozione).
E' un discorso molto ampio come puoi capire, quello che ho aperto, in cui la differenziazione razzistica (o meglio l'etnicismo, se preferisci differenziare il termine per dare un valore morale al primo e amorale al secondo (ma c'è un motivo preciso se io preferisco non farlo!)), rappresenta soltanto una piccola parte.

Come si vede faccio ragionamenti poco in linea con gli altri, mi sento un po' "isolato". Ma tento davvero di portare un po' di vento nuovo nel quadro della noiosa scarsa sensatezza del pensiero dell'attuale società.
Salve
#39
Salve
Noto che i partecipanti si sono divisi nelle 3 categorie che ho proposto: 1=Indifferenziazione, 2=Differenziazione non moralistica, 3=Differenziazione moralistica

Riassumendo, Socrate78 si schiera per la 3, con l'elemento "pesante" della superiorita' tra razze;
Viator sembra voglia schierarsi per la 2, ma non ne e' convinto, dice che ne ha paura, forse perche' sotto sotto intende affermare la 3;
Jacopus si schiera per la 1, sostenendo la prevalenza della "teoria ambientale" su quella "innatistica";
Everlost e' anche per la 1;
Sgiombo tende verso la 2, e nota da alcune risposte precedenti che forse si vuole negare la 2 per paura di ammettere la 3.

Anch'io ho notato quello che ha notato (forse) Sgiombo, che l'intestardirsi a rifiutare la 2 sia forse dovuto a ragioni politiche (oggi si dice "corretto politicamente").
Ritengo che questo sia un errore in un forum di filosofia: politica e filosofia devono essere ben distinte, come ho detto alla fine del mio articolo introduttivo.

Per chi credesse veramente nella 1, a sua difesa c'e' la teoria ambientale: se l'umano e' intellettualmente unicamente frutto della societa', rimarrebbero soltanto le caratteristiche fisiche, che sono evidentemente poca cosa. Io invece come ho detto sostengo l'altra teoria.

Per chi invece, come Socrate78, volesse trovare supporto nel chiedersi se e' valida l'idea di superiorita' di qualcuno su qualcun'altro, credo che usciamo dal campo della filosofia per entrare nella politica, per cui mi interessa poco. A meno che cio' che si vuole e' di raffinare meglio la definizione 3 di "differenziazione moralistica" in sottocategorie...
Salve
#40
Salve
Si usa spesso, perlomeno io lo faccio, questo concetto, ma ritengo che sia fonte di contraddizione non chiarirne la definizione.
Se in passato mi si chiedeva di definirmi razzista o non-razzista, potevo rispondere una volta in un modo, una volta nell'altro. Ma non perchè il mio modo di pensare sull'argomento fosse contraddittorio, o perchè esso sia mai cambiato nel tempo. E' la definizione, che è un po' ingannevole!

Elenco alcuni concetti esprimibili con parole che hanno nella propria radice il termine "razzista":
1 – Indifferenziazione - Avere l'idea che l'appartenenza ad un gruppo etnico non sia un elemento considerevole come costituente del carattere fisico o mentale di un individuo.
2 – Differenziazione non moralistica – Ritenere che il gruppo etnico sia un elemento significativo, ma non avere una prospettiva moralistica, cioe' non pensare che la differenza determini un giudizio complessivo di bene o male, di superiore o inferiore, di dominazione tra gli appartenenti ai diversi gruppi connessa. E' il mio caso.
3 – Differenziazione moralistica – La precedente, ma con moralismo, che puo' arrivare anche all'odio.

Se quindi prendiamo le definizioni 2 e 3, entrambe potrebbero definirsi razzismo, ma evidentemente cio' che piu' conta e' la presenza del fenomeno 3, perche' da esso origina il fenomeno del male e i conflitti sociali.
Chi e' "al di la' del bene e del male", come me, cioe' non-moralista, il passaggio tra il caso 2 e il 3 non e' per nulla implicito, come per chi e' moralista. Per cui succede che il moralista, ossessionato dal caso 3, rifiuti il caso 2 per evitare il passaggio al 3, per lui implicito.
In altre parole, chi e' moralista (la mentalita' prevalente in occidente lo e'), se vuole negare di essere un discriminatore di tipo 3 (maligno o benigno), neghera' drasticamente anche il piu' evidente segno di differenziazione di tipo etnico.

Nell'ambito dello spiegare le evidenti differenze tra gli individui, chi propone l'idea 1, propone contro la "teoria innatista", la "teoria ambientale" .
Entrambe le teorie ammettono che natura e ambiente siano elementi complementari, potenzialmente entrambi significativi, ma i fautori della seconda, molto popolare in occidente, dicono che i primi tendono a annullarsi con l'educazione e l'influsso di cultura e media.
Io sono un sostenitore della teoria avversa, per la quale e' l'ambiente che puo' annullarsi, e educazione, cultura e media essere al limite irrilevanti.

Nell'ambito della definizione 2, bisogna specificare meglio: pur mantenendo un atteggiamento non-moralista, un "differenziatore" potra' sentirsi piu' "affine" ad un particolare gruppo etnico, il suo o un altro, e preferire i rapporti con quello: senza disprezzare moralmente gli altri, pero', e senza "amare" quello preferito (al punto ad esempio di rifiutare di scegliere come compagno/a uno di un altro gruppo)! Altrimenti entra nel 3.

Ovviamente anche nell'ambito della definizione 3 ci sono molte specificazioni da fare, come razzista maligno e razzista benigno, ed e' importante stabilire se il sentimento e' profondo o a un livello piu' superficiale.
Ma per me era importante chiarire che l'"entrata in gioco" del moralismo non deve avvenire subito, ma in una fase successiva.

Inoltre, il mio modo insolito di affrontare questo argomento, che si sa e' molto importante per la politica e la societa', vuole essere un modo di stimolare la filosofia e di differenziarla dalla mondanita' e dalla politica: se per queste ultime contano gli slogan, i logo, le parole servono come bandiere per una comunicazione dove conta l'"effetto" di cio' che si dice, il risultato, (es. l'uso del termine "razzista" per uno scopo o per l'altro), per la filosofia conta l'opposto, non l'apparenza, il finale del ragionamento, ma il ragionamento stesso, che puo' essere complesso e non dare un risultato definito sinteticamente, pronto per essere "usato" nel linguaggio. Non definito sinteticamente non significa pero': non definito perfettamente, perche' infatti lo e'!
Salve
#41
Salve
Mi è venuto in mente una analogia che può essere utile per capire il mio concetto di andare "al di là del Bene e del Male".

Vediamo il bene e il male come una droga, in cui una è collegata, confluisce nell'altra, nel "Benemale". D'altra parte, si sa che l'assunzione di droghe ha 2 effetti uno il contrario dell'altro.
Io non mi pongo il problema quindi degli effetti, positivo o negativo, isolatamente.
Io non mi pongo il problema del consumo, occasionale o frequente che sia.
Io mi pongo il problema della dipendenza ("addiction" (l'inglese qualche volta, raramente, è più chiaro)) da questa droga (il Benemale), cioè della malattia.

Risalgo cioè all'origine della questione, nelle menti dei "pazienti", gli umani, per cercare di curarli (come un bravo medico si preoccupa più di curare la malattia, non i sintomi)!
Valutando i "pazienti" trovo che gli europei d'origine siano i più malati, i più "dipendenti" dalla droga Benemale, e i fenomeni di riferimento sono il Cristianesimo e il Nazismo.
I popoli del sud li vedo come forse "tendenti" ad ammalarsi, ma si sanno curare. La loro cura è Allah, che vedo come tensione verso l'Assoluto, la Perfezione, prima che verso il Bene.
Gli orientali li vedo come sani, invece.

Mi scuso con Socrate78 se non rispondo, ma se lo facessi svierei le idee del lettore dal nocciolo della mia tesi, confondendolo con il solito argomento di "cosa è bene e cosa è male", e non si riuscirebbe più a capire: la tensione verso questo argomento è molto invadente (proprio perchè i molti sono "dipendenti" da questa droga), e tende a riempire la discussione.
Salve
#42
Salve
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Gennaio 2019, 15:51:57 PMCiao Federico Se tu prima dici che il progetto (di Adolf) è catalogabile come male e poi invece dici che non bisogna idealizzare il bene per il bene o il male per il male, il pensiero che mi susciti è che tu ti stia contraddicendo...
Allora, esempio di bene fine a se stesso (amore=finalità ultima) può essere il Cristianesimo, esempio di male fine a se stesso (odio=finalità ultima) i tedeschi. Qual'è la contraddizione?
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Gennaio 2019, 15:51:57 PMNel momento in cui affermi: "dal mio punto di vista di "superare il Bene e il Male", si tratta di vedere se si hanno obiettivi superiori", mi daresti a pensare che il tuo ragionamento sia come quello di Machiavelli (il fine giustifica i mezzi), sbaglio?  
Non c'entra molto perchè dipende sempre da qual'è il fine di Machiavelli, magari è il male, l'odio fine a se stesso; oppure non lo è, e in questo caso si fa soltanto del male "secondario" nell'intenzione: in questo secondo caso siamo più "al di là del bene e del male" che nel primo caso.
Non mi sto occupando di giudicare moralmente totalmente, soltanto distinguo tra chi ha bene o male come finalità ultima, e dico che questi sono dentro al bene e male, ne sono ossessionati, per loro è necessario vivere la moralità.
E chi non ce l'ha come finalità ultima, e dico che essi lo sono di meno, sono un po' oltre, ne possono fare a meno.
Salve
#43
Salve
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Gennaio 2019, 11:06:20 AMCiao Federico Perdonami ma trovo tu ti contraddica. Quando ti riferisci a quel tale di nome Adolf che ritiene sia bene lo sterminare gli Ebrei affermi: "Si può però ragionare anche in termini assoluti, perchè conta la finalità ultima di ciò che si fa: odio e razzismo erano elementi portanti della società tedesca, il punto di arrivo del progetto. Quindi quel progetto è catalogabile come male". In una successiva risposta invece affermi: "Il passo successivo è tentare di andare al di là di entrambi, di qualsiasi cosa essi siano costituiti! La mia idea è che molti sono ossessionati da essi, li ritengono imprescindibili, e stanno o da una parte o dall'altra. Per contrastare una parte, si schierano dall'altra, ecc...La mia idea è che bisogna avere degli ideali superiori, e non idealizzare il Bene per il Bene o il Male per il Male!". Quindi, sempre che il principio di non contraddizione abbia un senso, delle due se è l'una non è l'altra... saluti
Non capisco

Colgo l'occasione per fare una correzione a una mia risposta
Citazione di: Federico Mey2 il 19 Gennaio 2019, 20:27:23 PM...Mentre se prendiamo l'esempio di Stalin egli, seppure odioso, non proponeva odio immotivato nè razzismo o classismo: era quindi catalogabile, in quanto al fine ultimo, come bene....
Dal mio punto di vista di "superare il Bene e il Male", si tratta di vedere se si hanno obiettivi superiori, oppure se si esercita il Bene fine a se' stesso o il Male fine a se' stesso, diciamo per divertimento, senza necessita'. 
Nel confronto tra i due dittatori il tedesco agiva in questo modo, mentre Stalin aveva un obiettivo superiore. 

Per cui, devo concludere che Stalin era piu' "al di la' del Bene e del Male" del tedesco, e non, come ho scritto, nel Bene rispetto all'altro.
L'obiettivo non e' fare confronti di chi e' meglio o peggio, ma capire il concetto di "superare il Bene e il Male".
Salve
#44
Salve
Citazione di: Jacopus il 19 Gennaio 2019, 18:34:12 PMFederico. Non si tratta di essere o non essere d'accordo. Direi che la fai troppo semplice. Intanto consideri il bene come il raggiungimento di una pace armoniosa fra i componenti di una società. 
Ripeto che non sto definendo la mia idea di bene. La definizione che ho dato:
Citazione di: Federico Mey2 il 19 Gennaio 2019, 18:00:23 PMAllora DEFINIAMO che: (per la società) BENE=ciò che serve a far funzionare la società evitando il più possibile il sorgere di conflitti dannosi alla sua struttura; un insieme di norme che ... esiste per ragioni pratiche ed utilitaristiche, che cambia attraverso tempi, luoghi, culture. Così va bene? 
Era una ripetizione di quello che aveva scritto viator, e l'ho fatto con l'unico obiettivo che si arrivi al primo passo della discussione, che per me è, come dice anche:
Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Gennaio 2019, 19:13:05 PMPremesso che la morale E' la "scienza della condotta" (Dizionario Filosofico - N.Abbagnamo, tanto solo per chiarirci su quale "lingua" vogliamo usare...), è chiaro che definiremo "morale" la condotta verso il "bene" ed "immorale" quella verso il "male". 
Questa definizione, senza chiedersi affatto cosa sia bene e cosa male!
Il passo successivo è tentare di andare al di là di entrambi, di qualsiasi cosa essi siano costituiti! La mia idea è che molti sono ossessionati da essi, li ritengono imprescindibili, e stanno o da una parte o dall'altra. Per contrastare una parte, si schierano dall'altra, ecc...La mia idea è che bisogna avere degli ideali superiori, e non idealizzare il Bene per il Bene o il Male per il Male!
Tutto ciò vale indipendentemente da ciò in cui consistono bene o male, per cui per me è inutile e fuorviante trattarne, per capire questa idea. 
Salve
#45
Salve. Finalmente penso di poter rispondere con qualcuno che ha veramente voglia di discutere, cosa che non è stata possibile negli ultimi scambi.
Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Gennaio 2019, 19:13:05 PMCiao Federico Scusami ma a questo punto sono curioso... Premesso che la morale E' la "scienza della condotta" (Dizionario Filosofico - N.Abbagnamo, tanto solo per chiarirci su quale "lingua" vogliamo usare...), è chiaro che definiremo "morale" la condotta verso il "bene" ed "immorale" quella verso il "male". 
Evviva!
Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Gennaio 2019, 19:13:05 PMC'è un tale di nome Adolf che ritiene sia "bene" lo sterminare gli Ebrei... Vi sono altri che invece lo ritengono un "male": chi ha ragione? Se dovessi giudicare io, direi che da un punto di vista "oggettivo" ed aprioristico (che è il punto di vista della filosofia continentale; oltre che il mio) Adolf ha torto marcio. Ma dal punto di vista "soggettivistico"; utilitaristico e relativistico; non posso dire che Adolf abbia torto. Cioè, ce l'ha "per me", ma non in assoluto, visto che ho espunto l'assoluto dal mio metro di giudizio.  
Il problema è spesso anche quello di non "pretendere" risposte uniche e definite, del tipo dualistico Sì o No, Bianco o Nero, con o contro...che sono molto utili per prendere decisioni, ma i filosofi dovrebbero focalizzare l'attenzione su tutta la risposta complessiva.
 
E' chiaro che ci sono vari punti di vista: dalla parte della strategia tedesca era bene, dalla parte della situazione di chi era discriminato e dell'"umanità" era male, così come in generale un soldato fa il bene del proprio paese se spara al nemico, e al tempo stesso fa il male dell'"umanità".
Si può però ragionare anche in termini assoluti, perchè conta la finalità ultima di ciò che si fa: odio e razzismo erano elementi  portanti della società tedesca, il punto di arrivo del progetto. Quindi quel progetto è catalogabile come male. 
Mentre se prendiamo l'esempio di Stalin egli, seppure odioso, non proponeva odio immotivato nè razzismo o classismo: era quindi catalogabile, in quanto al fine ultimo, come bene.
Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Gennaio 2019, 19:13:05 PMA parer mio, con "al di là del bene e del male" Nietzsche intendeva proprio questo (intendeva cioè il bene e il male come categorie oggettive, aprioristiche e perciò assolute). saluti
A mio parere, Nietzsche non si distanziava troppo da quello che è stata la società tedesca nel secolo dopo: cioè avente come punto di arrivo una società squilibrata dove l'odio giocava una parte notevole, anche se meno rispetto ad Hitler.
Ma quello che volevo sottolineare è che Nietzsche, partendo da dalla morale cristiana che proponeva il bene assoluto, ha desiderato rifiutarla, ma ha reagito ad essa, invece che sorpassando il problema del Bene e del Male, spostandosi dalla parte del Male, invece che proporre come fine ultimo un mondo senza odio, male e squilibri insormontabili.  
Salve