Citazione di: Phil il 27 Luglio 2025, 14:09:39 PML'ho tirato in ballo, come dicevo (correggimi sempre se sbaglio), per il suo residuo realista (il sum), ma non per la confutazioni del volontarismo e dell'"illusionismo" che tu mi/gli hai imputato e di cui non credo sia comunque capace.Questo è il rovesciamento fallace che mi ha spinto a segnalarti la fallacia naturalista: il volere la vita, il voler vivere non è una prescrizione (di chi? la natura non "prescrive", essendo essa solo un insieme strutturato di rapporti causali, come insegnano le scienze), tale volere è un istinto. Se affermi che l'uomo vuole vivere per istinto, ne fai una descrizione che non credo sollevi obiezioni. Se invece valutiamo tale istinto come bene, giusto, sano, etc. o, andando oltre l'istinto, scegliamo consapevolmente di restare vivi, in entrambi i casi non possiamo argomentarlo semplicemente descrivendo la voglia (o la scelta) di restare vivi come parte dell'esser vivi (ecco la fallacia). Per una argomentazione valida, non fallace, servono altre argomentazioni e altre prescrizini, prese (non dalla descrizione dell'uomo con la testa attaccata al collo) dalla morale, dalla metafisica, da valori esistenziali, etc.Qui sarò sintetico perché ormai siamo offtopic anche rispetto all'offtopic: l'intelletto non può adattarsi alla volontà (di fatto capisco anche quello che non vorrei capire, come già detto, e non posso illudermi del contrario) e credo sia noto che quando la volontà sottomette (so che hai scritto «adeguarsi» e non «sottomettersi») l'intelletto, lo stato di scollamento fra desiderio e ragione può produrre le migliori frustrazioni, paranoie e altri stati non proprio "felici, decenti e interessanti" (se intuisco cosa intendi con queste espressioni).
L'espressione «volontà/estensione» forse uccide Cartesio più di quando gli ho imputato una calcolatrice e, almeno scritta così, è un ossimoro e non colgo il senso di contrapporla a intelletto/cogito, che ossimoro non è: intelletto e cogito sono affini, ma volontà ed estensione direi di no. Non credo nemmeno tu intenda che l'intelletto sta alla volontà come il cogito sta all'estensione. Forse alludevi al fatto che, secondo te, l'intelletto deve adattarsi alla volontà come il cogito deve adattarsi all'estensione; tuttavia sia l'intelletto che la volontà che il cogito sono "mentali" (passami il termine vago) mentre l'estensione non lo è (se intendi il mondo extra-soggettivo), quindi la proporzione mi sembra un po' vacillante (oltre a quanto già detto sull'improbabile adattamento della intelletto alla volontà).
Ok, non sono stato sintetico, ma almeno credo si capisca che non è questione da sbrogliare in un topic intitolato "Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?" di cui abbiamo già abusato con la fallacia naturalistica (che, almeno borderline, riguarda anche la divinità).
La vita e' prescrittiva nel senso che essa e' un caso, ma, dato il caso, ci sono (solo!) un numero conchiuso e coerente e limitante di microcasi, o casi minori, che lo giustificano.
Se lancio due dadi a sei facce e ottengo 7 e' un caso, ma se ho a posteriori l'informazione che e' uscito, proprio, il totale di 7, e non un altro, sono sicuro, a priori, o se vogliamo retrospettivamente, che le combinazioni possibili sono [4 +3, 5+2, 6+1]. So, che e' uscita una di queste, anche se non vedo la combinazione precisa, ad esempio, sono cieco e un mio amico, vedente, mi informa che e' uscito 7 di totale.
Ugualmente la vita, (tanto sulla terra, come destino comune, quanto nella nostra singola storia personale, come destino individuale!) nasce per caso (non e' prescritta in assoluto) ma una volta nata ci vincola, e ci vincola a delle prescrizioni che, in grandissima parte non sono etiche o morali, non dipendono dal giudizio; sono tali di fatto, prescrizioni di fatto. Istinto di sopravvivenza, e volonta' di vivere prima di tutte. Se abbiamo un corpo, abbiamo il programma di mantenerlo vivo, e, quel corpo, ha specificamente gli organi di pensiero, di sentimento e di senso che gli servono per mantenersi vivo e proluferare, ( 5+2; 4+3, 6+1... ci vuole tanto a capirlo?) non, certo, organi di pensiero e di senso concepibili secondo la categoria, nefasta in quanto ad oggi culturalmente abusata, di "liberta' ", o di caso.
Stante il, descritto, 7 (avere una vita) e' prescritto, l'implicito, 5+2, 6+1, 4+3 (avere un istinto, e un programma, di sopravvivenza, e organi di pensiero e di senso altamente condizionati, ai fini della sopravvivenza).
Secondo me, tu non mi capisci o fai finta di non capirmi, perche' sei ottimista, e pensi che l'umano giudizio, sulle cose, conti tantissimo. Il mondo per te, dovrebbe girare intorno al fatto, o meglio, alla differenza, che una, eventuale, valutazione etica dell'istinto, non sia, immediatamente, l'istinto.
Spoiler: nella stragrande maggioranza dei casi, incluso questo, l'umano giudizio non conta niente. Siamo polvere di stelle, fiato nel vento, diramazioni impreviste, note a margine.
Se esce sette, e tu lo sai, la combinazione dei dadi in particolare, che tu non sai, non chiede il tuo permesso, per essere una tra 5+2, 6+1, 4+3. E' cosi' e basta. Non c'e' riflessione possibile, non c'e' duplicazione dei dadi e del loro risultato in un universo metaetico, non c'e' una morale della favola da trarne, non c'e' necessita' (solipsistica) di una tua precisa conoscenza in merito perche' le cose stiano come stanno, non c'e' bisogno che tutto questo sia, in qualche modo, "sancito". Le cose che sono arrivate tutte allo stesso identico punto, e che noi constatiamo, che sono arrivate li', magari, per la gioia degli ottimisti e degli idealisti non avranno seguito, tutte, necessariamente la stessa identica strada, ma sicuramente, lo stesso numero, limitato di strade.
E dunque, ai fini di stabilire quanta oggettivita' e quanto distacco sia possibile nell'ambito della "conoscenza", conoscenza che poi, si riduce all'atto, umano, finito e ripetibile, dell'esperire e del conoscere, l'istinto di sopravvivenza e l'avere un corpo, esteso, contano; la riflessione pseudoetica o metaetica sull'istinto di sopravvivenza e sull'avere un corpo, in confronto, contano, si', ma come il due di coppe quando briscola e' bastoni. Io mi rifiuto, di metterli sullo stesso piano, perche' non stanno sullo stesso piano. E non voglio dire cosa sia buono e cosa sia cattivo. La prescrizione, qui, ai fini di questo discorso non e' etica perche' il mondo non gira, intorno all'etica. Non e' comportamentale, non e' una consulenza, non e' una pubblicita', non e' una prestazione. La prescrizione, qui, e' immediatamente la descrizione, senza esserne ne' inferita ne' argomentata. Ne' inferibile ne' argomentabile. Mi importa assai, se c'e' una regola, logica, che impedisce di inferirla. Anzi, che mi impedirebbe di inferirla se io volessi, inferirla.
E quindi, il Dio/conoscenza oggettiva, e' stato tale perche', e finche', piacque all'uomo, che fosse tale. Finita l'illusione, del Dio, resta il desiderio, che ci ha portato, ad immagginare quel Dio. La memoria, dell'errore, non e', a sua volta, errore. La maschera, sia pure riposta e dismessa, non smettere di essere, maschera. E questo impedisce di resettare la storia, o la vita, in modo stupido, ovvero in modo automatico, impedisce, un bel mattino, di capovolgere la clessidra per atto politico o con gesto della mano.
Il significato, di un sogno, e' l'irreversibilita', sostanziale, di quel sogno, stante la potenza della memoria che lo attinge. Stante il modo, tipico, dell'esperienza umana. Per cui la perdita di realta' o di verita', di qualche cosa che nella memoria si deposita, e che da un certo punto del nostro cammino in poi, noi sappiamo non essere piu'vero, non sempre, anzi, quasi mai, e' perdita di sensorialita' e di certezza, rispetto all'esperienza ed esperibita' di quella stessa data cosa. Non e' altro, non e' interessante il gioco infinito di cercargli un significato, altro. Al sogno.