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Messaggi - daniele22

#31
Ribadisco che il concetto di maggior solidità (oggettività fate voi) di una descrizione (A vs B) non possa che emergere da un confronto dialettico tra le due posizioni. Per ciò che attiene al lavoro minorile c'è in ogni caso l'intero popolo Rom a sconfessare quel cento per cento.
È poi singolare come Phil non abbia risposto al mio post 91 sul tema filosofico dedicato alla gaia scienza e abbia deciso di rientrare dalla finestra per riproporre il refrain che l'etica non possa considerarsi una scienza. Non prendo nemmeno in considerazione il distinguo tra duro e morbido, dato che una scienza è scienza e basta, e le sue determinazioni sono vincolate evidentemente al campo di studio. Forse Nagel lo ha ventilato, ma non lo conosco.
Siete tutti molto colti, non c'è che dire, ma le fondamenta della nostra (la vostra) cognizione della realtà poggiano sicuramente su di un piedistallo di argilla che il sottoscritto ha individuato. Forse il monumento non crollerà, in verità non dovrebbe neppure crollare, ma solo riassestarsi. Tutto dipenderà solo da come l'autorità che tiene in piedi questo fascismo mascherato saprà ancora nascondersi tra le pieghe delle sue astutissime menzogne confezionate soprattutto grazie a quello che chiamo "dogmatismo invisibile", ovvero l'arte di eludere o di assecondare falsamente senza in realtà concedere nulla. Certo, visto pure il trionfo di Trump (il suo discorso alla knesset sembrava quello di Gigi 'a cartelletta che dai balconi di palazzo Chigi proclamava di avere sconfitto la povertà) la cosa sembrerebbe al momento ancora abbastanza facile, ma non si sa mai
#32
Citazione di: Adalberto il 14 Ottobre 2025, 10:44:16 AMRaramente butto lì qualche parola in quei luoghi, non perché non abbia da dire e anche da ascoltare, ma perché è proprio la contesa che non mi piace (più).
Concordo davvero con te sul  pollice opponibile che se da un lato è correlato alla postura eretta, più sicuramente si è scottato con fuoco e ha lanciato una scintilla al cervello  :) .
Infatti, nell'enciclopedia dei patafisici aggiornata a fine settembre 2025, merce non facilmente reperibile, si trova che la prima parola umana fu "erezione" e la seconda "opposizione"
Saluti
#33
Citazione di: Adalberto il 13 Ottobre 2025, 23:15:09 PMAvevo buttato un occhio al thread che citi,  ma in genere evito i luoghi dove covano opinioni stizzose.
Quindi evviva chi ride e anche chi gioca, fra cui "anche" l'homo ludens.

Premesso che  non posso avere opinioni nette su cose che conosco ben poco, ma quella sulla posizione eretta non è storia così banale come si può intuire pensando che la bocca non sia  più lo  strumento unico per prendere il cibo e che le terminazioni nervose della lingua abbiano potuto  assolvere anche ad altre funzioni nell'evoluzione degli ominidi. Il punto è che lo spostamento del centro della masticazione e un equilibrio diverso del cranio sembra  aver offerto più spazio  allo sviluppo del cervello. Ma se vorrai approfondire: "il gesto e la parola II del già citato LG". Ma con questo non desidero stressarti oltre nel dialogo. buona notte

Forse dovresti prestare attenzione a quei luoghi dove vi è aspra contesa; è infatti in quei luoghi che di solito emerge l'umana pretenziosità, che è quella di sapere ciò che vuole (l'intenzione) la parte opposta. Naturalmente il mio è solo un suggerimento.
Non vi è un universale (ancora l'universale) circa l'idea dell'origine del linguaggio. Comunque la mia idea supporterebbe che sia stato semmai l'uso delle mani (pollice opponibile) piuttosto che la stazione eretta a determinarne l'origine. Dato però che pure le scimmie ne sono dotate, probabilmente non sarebbe condizione sufficiente. Di fatto, secondo me, sarebbe stato il contatto col fuoco a determinare la strutturazione della lingua umana
Un saluto
#35
Citazione di: Adalberto il 13 Ottobre 2025, 16:41:34 PMVolo molto più basso delle teorie, ne ho già fatto scorpacciata prima dei trent'anni.

Ho pure problema ad abbracciare un qualche concetto di universale, non so se ne ho dato almeno  l'impressione.



Non so di genetica, ma sembra che senza la postura eretta non saremmo stati in grado di comunicare in maniera così articolata da inventar parole  ecc. ecc.  e contemporaneamente non si sarebbe liberato spazio per alloggiare più materia cerebrale.



Capisco la pace come conclusione (temporanea)  dell'esaurirsi di una delle forze  che si guerreggiano  a seguito di un'azione scellerata,  ma quella giusta non so cosa davvero significhi, forse un nobile sogno. Poi, se -a buon diritto- non ti piace il mio uso di quest'ultimo aggettivo, :)  devo amichevolmente chiarire che, appartenendo io al IV stato,  non lo caratterizzo esattamente come un complimento

Di recente è stato aperto un thread in cui si chiede cosa sia la pace sollevando dubbi sul concetto di pace e al tempo stesso affermando una certa incomprensione della guerra. Visti pure gli interventi mii chiedo se sia possibile che gente di venti, cinquanta o settant'anni non abbia mai litigato in vita sua onde dedurre eventuali motivi che magari gettino un po' di luce sulla guerra. No, si tira fuori la pace interiore.Ti sembra sensato? A me, con tutta la buona volontà no. Capisco bene quindi che si parli di complessità dei problemi sociali quando ci si diverte a complicarsi la vita.
Un universale, oltre a quello già riferito potrebbe essere che tutti gli esseri umani ridono.
La postura eretta c'entra assai poco con un linguaggio, o meglio, non sarebbe la posizione eretta a giustificare l'esistenza del linguaggio umano.
La pace giusta è una grande stronzata degli ultimi timi tempi.
Spero di avere risposto al tuo intervento
Un saluto
#36
Citazione di: lisaaS il 13 Ottobre 2025, 12:13:57 PMBellissima riflessione. Le domande sono il vero motore del pensiero. Le risposte chiudono, ma le domande aprono mondi sempre nuovi.
Ciao lisaaS e benvenuta tra noi. La tua è senz'altro una buona osservazione. Spero di risentirti con altri interventi
Un saluto
#37
Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 08:15:10 AMEcco allora un problema filosofico da risolvere.
Traccia del problema: abbiamo due descrizioni di uno stesso fenomeno o di una classe di fenomeni.
La descrizione A e la descrizione B.
Spiegare perché la descrizione A risulta essere più oggettiva della descrizione B, tenendo fermo che ciò non può dipendere dal fatto che la descrizione A conterrebbe rappresentazioni più adeguate del suo oggetto (cioè tenendo fermo l'anti-realismo).
Le spiegazioni che si rifanno ad un generica convenzionalità o fede delle descrizioni (quindi A sarebbe più oggettiva perché in questa fase storica suscita in qualche modo una maggiore fede) saranno considerate nulle in quanto modi retorici di evitare di affrontare il problema: cioè dar conto della struttura stessa dell'oggettività.
Supplemento (solo per veri filosofi): sviluppare il tema seguente "Etica: l'oggettività come compito".
Avete sette giorni di tempo.
Buon lavoro.
Che cosa determina la maggiore o minore oggettività (solidità) di una descrizione?
Secondo me il valore con cui si confrontano dialetticamente le due descrizioni
#38
Citazione di: Adalberto il 12 Ottobre 2025, 19:11:07 PMCiao, intravedo una differenza di vedute tra il vivere una tensione verso una disillusa visione universalista – o più semplicemente di comunità estesa -  negoziando patti di reciprocità anche commerciali di convenienza e all'opposto  il cercare di costruire una più solida etica universale tramite concetti filosofici. Sbaglio?
Non sbagli. Infatti l'universale sta nella teoria, ovvero nel riconoscere di essere solipsisti piuttosto che restare nell'illusione di avere un'intelligenza superiore alle altre specie. Degno di nota sarebbe che, così come avviene per l'idea di possedere "un poco" di libero arbitrio, capiti pure che si dica che la differenza tra la nostra intelligenza e quella degli altri sia di natura quantitativa piuttosto che qualitativa. La maggiore quantità verrebbe spiegata in termini che sono in un certo senso imputabili alla morfologia del nostro sistema nervoso.. questioni genetiche in fondo. Ovvio che non condivido tale idea.
Se l'universale stazionasse quindi nella condivisione della nostra condizione solipsistica si porrebbe certamente la domanda del "che fare" a fronte di tale novità. Allora, dato che soprattutto di questi tempi si invocano paci giuste e durature bisognerebbe rendersi conto innanzitutto se queste aspettative siano veraci o menzognere. Giusto?
#39
La filosofia può considerarsi semplicemente come correttezza di pensiero in relazione ai pensieri sviluppati all'interno della lingua umana. Se tale correttezza viene messa in crisi si può ben considerare che quel pensiero sia solo fuffa
#40
Citazione di: Adalberto il 11 Ottobre 2025, 13:04:50 PMTranslator


Hai ragione Daniele a non coglierlo :) perchè il senso sottostante alla  frase a cui ti riferisci è +/- questo. Non ho il terreno solido di un pensiero strutturato sotto i piedi del mio corpo e della mia mente, i quali cercano di galleggiare  alla meno peggio: in breve mi muovo disordinatamente seguendo un qualche banale fiuto, da animale qual sono.

Antesignani della scrittura?
Sì ,  Leroi-Gourhan chiama mitogrammi quelle grafiche paleolitiche prive di un contesto compositivo che faccia emergere un qualche preciso significato come avviene nelle opere più vicine a noi. 
Praticamenete li descrive come simboli (bisonte/femmina/ cerchi , cavallo/maschio/aste) che però avevano bisogno della parola per essere narrati attraverso fili di significato che venivano tessuti da una cultura piuttosto che da quella successiva, la quale aggiungeva magari qualche tratto, qualche segno in accumulazione ai precedenti
Erano primitivi nell'esporre tecnicamente i loro pensieri:  mi viene il dubbio che i loro pensieri non fossero così primitivi come ce li descriviamo. 
Anche la Gimbutas per altre vie scorge una espressione linguistica nei più segni grafici geometrici  (triangoli, zig zag, spirali, semicerchi = luna= corna bovine) che in culture anche successive rappresentano in varie formo il principio femminile della vita e della continuità.
Non ho capacità per giudicare queste letture, ma le trovo interessanti perché ci staccano un po' dal continuare a confondere  il nostro ombelico con il famoso asse del mondo su cui molti si arrampicano dicendo cosa altrettanto stimolanti.

Ma per tornare a bomba sul tema lanciato da Jacopus, ero sincero quando  chiedevo a te uno spunto per proseguire il dialogo perché personalmente sono arenato sul discorso  dell'universalismo. Mi spiego meglio con una domanda.
Non è che appena concepiamo questo universalismo come idea sociale onnicomprensiva,  arriviamo a descriverla ancora una volta come "nostra" antropietica? Ovvero in questa nostra costruzione di una universalità umana, di questo processo di costituzione di una immagine nobile e ideale, non è che alla fine proiettiamo sempre noi stessi con la nostra cultura alla faccia del nobile intento?
Ciao, a presto.

Direi che in particolare per quel graffito delle mani, la cosa più sicura che si possa dire sul contenuto di quel segno è: sono ignorante. Naturalmente ci si rende conto di questo, e infatti diamo un'interpretazione sui graffiti antichi come indice di qualche cosa in relazione all'evoluzione umana.
Dato comunque che mi hai fatto una domanda abbastanza precisa ti dirò che non vedo nulla di "nobile" nella mia idea di giungere a un'etica universale.
Essendo tra l'altro un solipsista figurati se non mi rendo conto che la realtà è una costruzione individuale. "L'imperfezione" umana alla fine è solo il risultato di una ricerca filosofica personale e non una cosa campata per aria. Sarebbe in un certo senso oggettiva. Tra l'altro questa pretesa di universalità c'è pure nelle scienze, se non mi sbaglio. Dico, non è che per vivere dobbiamo per forza sapere le leggi della fisica
Saluti
#41
Se uno afferma che ogni postulato è indimostrabile, il rischio di un relativismo così espresso è quello che la scienza possa essere manipolata da chi ha il potere di gestire la ricerca scientifica
#42
Citazione di: daniele22 il 10 Ottobre 2025, 09:33:08 AM
Dovevo in effetti dire che è la conoscenza a guidare l'azione senza tante interpretazioni.
Nel post non avevo accennato che il tizio potesse anche pensare di porre rimedio alla propria condizione. Ho solo accentuato il suo carattere di trasgressore inveterato perché fosse più chiaro cosa possa farci fare la conoscenza senza che ci si contraddica nel nostro comportamento.
Se la scienza dice, come del resto il buon senso, che si possono manifestare queste due possibilità in contrapposizione (polarizzate), accetto ben volentieri il suo verdetto.
Tutto questo mostra (le dimostrazioni le lascio ai matematici), diversamente da quello che vorresti dimostrare, che la conoscenza possiede un carattere di natura emotivo, e pure effimero, per cui l'individuo nel suo procedere si aggrappa di volta in volta, senza ben rendersi conto, all'una piuttosto che all'altra delle sue conoscenze (in questo caso sarebbe più opportuno il termine "coscienza del presente" più che conoscenza in generale). In virtù di ciò accadrebbe che il santo bevitore possa anche "guarire" astenendosi e che il salutista "si corrompa" senza la necessità dell'intervento di una conoscenza "in più"; bensì rimescolando consapevolezze che sono già in loro. Ma è sempre una "coscienza del presente" a guidarli. Questo mi ricorda il seguente pensiero di E.Junger: "Assecondiamo alla minaccia la nostra condotta assai più che alle nostre idee". Dato che le idee (ideali immagino) non sono conoscenza, la minaccia, per essere considerata tale ¿a cosa farebbe appello se non alla nostra consapevolezza, conoscenza, "coscienza del presente"? Poi c'è chi è disposto a morire per un ideale e chi no.
Per quello che riguarda il comportamento verso il prossimo, forse mi sbaglio, ma mi sa tanto che si applichi, ribaltandolo, il medesimo trattamento che riserviamo a noi stessi, applichiamo cioè la nostra consapevolezza. A fare infine la differenza, in connessione alla conoscenza e all'azione verso il prossimo, sarebbe solo l'ignoranza implicita, ma sistematicamente ignorata, della nostra conoscenza dell'altro (amico o nemico). Il famoso "So di non sapere" resta così spesso confinato nel mondo della propaganda più becera.
La scienza dovrebbe quindi ben tenere conto di questo carattere umano che esprime questa bipolarità con cui la vita umana reagisce durante il corso della vita dinnanzi al dolore e alla morte. Invece no, pretende quasi di negarne una. "Noi siamo i giusti", dicono
Saluti

Una correzione anche se forse si capiva ugualmente nonostante l'errore. Il soggetto dell'ultimo paragrafo non è la scienza, bensì l'etica umana
#43
Citazione di: Adalberto il 08 Ottobre 2025, 17:43:53 PM....Ma - sinceramente - possiamo davvero credere che tutto ciò regga  il confronto emotivo con...  quelle decine  mani dipinte di bianco su fondo ocra che si sono accalcate le une sulle altre sopra su pareti di caverne, parecchie  migliaia di anni prima dell'ultima glaciazione?
Preferisco tenermi ben aperto il dubbio...
Ciao Adalberto, preferirei la via del dialogo.
Se potessi far mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione. Hanno detto pure che la peggior cosa che possa accadere a un rivoluzionario sia quella di vincere la propria rivoluzione. Accetto il rischio.
Non colgo il senso del tuo pensiero che ho evidenziato.
Potrei quindi restringere il campo e dire ugualmente che in campo linguistico non esiste significante fintanto che noi non gli si attribuisca un significato.
¿Se le mani accalcate su pareti di roccia fossero allora un antesignano della scrittura? Se fossero cioè un significante?
#44
Citazione di: Phil il 09 Ottobre 2025, 13:39:03 PM
La convenienza non è una conoscenza, ma l'esito interpretativo di una serie di conoscenze. Uso tutte le conoscenze che ho e decido, interpretandole, che mi conviene comunque fumare e mangiare a piacimento perché «tanto devo morire comunque». Da quelle stesse conoscenze, altri potrebbero derivare convenienze diametralmente opposte: «dato che la morte è certa ma questa vita mi piace, cerchiamo di provare a farla durare il più possibile, facendo almeno una vita sana». Ciò dimostra che non è la conoscenza ad incarnarsi istintivamente in un'azione, ma c'è sempre l'intermediazione dell'interpretazione. Infatti non ci sono scelte esistenziali o etiche che siano direttamente scientifiche o epistemologicamente oggettive, come dicevo prima; è sempre una questione soggettiva di come elaboriamo le conoscenze a disposizione (esattamente come accade nella bioetica e in altri ambiti delle "scienze morbide").

Dovevo in effetti dire che è la conoscenza a guidare l'azione senza tante interpretazioni.
Nel post non avevo accennato che il tizio potesse anche pensare di porre rimedio alla propria condizione. Ho solo accentuato il suo carattere di trasgressore inveterato perché fosse più chiaro cosa possa farci fare la conoscenza senza che ci si contraddica nel nostro comportamento.
Se la scienza dice, come del resto il buon senso, che si possono manifestare queste due possibilità in contrapposizione (polarizzate), accetto ben volentieri il suo verdetto.
Tutto questo mostra (le dimostrazioni le lascio ai matematici), diversamente da quello che vorresti dimostrare, che la conoscenza possiede un carattere di natura emotivo, e pure effimero, per cui l'individuo nel suo procedere si aggrappa di volta in volta, senza ben rendersi conto, all'una piuttosto che all'altra delle sue conoscenze (in questo caso sarebbe più opportuno il termine "coscienza del presente" più che conoscenza in generale). In virtù di ciò accadrebbe che il santo bevitore possa anche "guarire" astenendosi e che il salutista "si corrompa" senza la necessità dell'intervento di una conoscenza "in più"; bensì rimescolando consapevolezze che sono già in loro. Ma è sempre una "coscienza del presente" a guidarli. Questo mi ricorda il seguente pensiero di E.Junger: "Assecondiamo alla minaccia la nostra condotta assai più che alle nostre idee". Dato che le idee (ideali immagino) non sono conoscenza, la minaccia, per essere considerata tale ¿a cosa farebbe appello se non alla nostra consapevolezza, conoscenza, "coscienza del presente"? Poi c'è chi è disposto a morire per un ideale e chi no.
Per quello che riguarda il comportamento verso il prossimo, forse mi sbaglio, ma mi sa tanto che si applichi, ribaltandolo, il medesimo trattamento che riserviamo a noi stessi, applichiamo cioè la nostra consapevolezza. A fare infine la differenza, in connessione alla conoscenza e all'azione verso il prossimo, sarebbe solo l'ignoranza implicita, ma sistematicamente ignorata, della nostra conoscenza dell'altro (amico o nemico). Il famoso "So di non sapere" resta così spesso confinato nel mondo della propaganda più becera.
La scienza dovrebbe quindi ben tenere conto di questo carattere umano che esprime questa bipolarità con cui la vita umana reagisce durante il corso della vita dinnanzi al dolore e alla morte. Invece no, pretende quasi di negarne una. "Noi siamo i giusti", dicono
Saluti
#45
Citazione di: Adalberto il 08 Ottobre 2025, 17:43:53 PMCiao Daniele, ora va decisamente meglio grazie, ma l'altra sera parlavo per metafora, dovendo digerire in una serata lombidiosa il pensiero di come sia possibile – qui vicino – affrontare temi importanti in presenza di forzate contrapposizioni propagandistiche che impediscono il dialogo pur possibile e fruttifero fra  visioni contrastanti.

Quanto al solipsismo, sono ben convinto (se non costretto dalla contingenza di trovarmi ad essere come sono) di scrivere abitualmente  consultando il mio ombelico come uno oracolo e cercando di interpretare le fumose ispirazioni da la lì mi provengono. Se ho tempo. mi interrogo anche se  proprio lì  ci sia un  qualcosa di puù profondo del  frustrante tentativo di interpretarlo (mi esprimo in forma scherzosa, ma sono serio e consapevole).
Talvolta, con discreta fatica ma scarsi risultati, mi sforzo  anche di capire  il frutto dei pensieri altrui, facendone una interpretazione ahimé inevitabilmente difforme  sia dalla combinazione delle parole lette che dalle intenzioni di chi le ha compilate. Trovo che,  bene o male,  sia questa la normalità delle relazioni umane.

Quindi un dubbio: era questa la frase che attendeva una risposta? 
Allora, un conto è la pretesa di universale espressa ai tempi quando non erano noti i confini del mondo, altro conto è la pretesa di universale che si è espressa ad esempio con la prima Esposizione universale o l'istituzione dell'ONU.
Questo fattore è determinante.
Dobbiamo dunque continuare a sprecare energie inutili per fare sì che ci si possa continuare a guardare in cagnesco?
Pensavo di averti risposto, ma in maniera indiretta e non si capiva un acca, sorry.
In breve non sono convinto che noi umani moderni ora siamo più in grado dei nostri progenitori di concepire "per davvero" un senso di universalità con i nostri simili e nemmeno con  il vasto e asservito mondo animale e  vegetale che ci circonda.
Siamo certamente  più bravi ad "esprimerlo a parole", articolando sofisticati concetti (al posto di divinità plurali) ed elaborando sistemi di raffinati pensieri.
Ma - sinceramente - possiamo davvero credere che tutto ciò regga  il confronto emotivo con...  quelle decine  mani dipinte di bianco su fondo ocra che si sono accalcate le une sulle altre sopra su pareti di caverne, parecchie  migliaia di anni prima dell'ultima glaciazione?
Preferisco tenermi ben aperto il dubbio.
Infatti – e nei fatti ci sono le cose che contano al di la del problema della loro interpretazione – sembra  che la conflittualità umana allora  fosse minore, ma c'erano anche più spazi liberi. Ora  confini del mondo  sono noti soltanto perché sono stati raggiunti,  quindi ci sentiamo strettini e magari incattiviti.
Ricordo vagamente Malinowski che illustrava  le pseudo guerre  fra i guerrieri di opposte tribù che si insultavano e inveivano a vicenda in maniera ritualizzata senza far scorrere il sangue.  Anche Girard, pur professando altro mestiere, ha speso parole a riguardo, ma non ho pretese di averlo ben inteso sfogliacchiandolo.
In conclusione: oggi – con tutto il nostro patrimonio concettuale - non siamo certo più bravi a "concretizzare in  fatti"  questi nostri  grandi presupposti universalistici, visto quel che ci succedete intorno.
A questo punto una citazione  .. profonda ci sta bene : "Se potessi mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione" ,
(Se altri non la riconoscono, come usa fare la settimana enigmistica,  alla fine  verrà svelato il riferimento)

A parte il discorso sul merito che a quanto pare ci convince solo per metà, non ho chiaro quale sia la tua visione dell'economia, che -a mio avviso- spalanca enormi opportunità di cooperazione . Infatti  non oso parlare di universalità, io volo basso.
Pochi ricordano la CECA , la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio che nel primo dopoguerra ha spalancato le porte della cooperazione fra ex nemici  e ha permesso  alle nostre generazioni di vivere tranquilli e pasciuti nel nostro orticello "infelice e scontento" per oltre 70 anni. Dalla CECA è nata l'Europa e dal benessere lo scontento (= una  dozzinale e tipica riflessione senile).
Forse questa della cooperazione economica, del commercio internazionale è un via da perseguire con più impegno, una via di interessi (per molti una parolaccia) da percepire noi e far cogliere (agli altri)  nel loro senso di opportunità reciproca.
L'idea di Obama di creare due grandi accordi economici, uno sul versante pacifico e l'altro su quello atlantico è stata subito fatta naufragare da Trump I.
Ora Trump II sta disarticolando le relazioni internazionali che rimangono e che ognuno pensi per sé
Alla faccia delle speranze di universalità (per chi pensa in grande) o di cooperazione per me.

PS 1
Perdonami se abbandono per ora il discorso AI che sennò facciamo notte
PS 2
Giorgio Gaber.
Ciao. Sarà meglio definire uno tra vari modi in cui intendo il solipsismo.
Il solipsista diviene consapevole di esserlo quando si rende conto che la cosa, quella che realizziamo nella nostra mente, non deriva dall'elaborazione di un'immagine immota, bensì da una storia di immagine (soggettività quindi in primo piano).
La storia di un immagine, come unità quantizzata o discreta, significa a noi che il segno (la cosa) non esiste nella nostra mente fintanto che non abbia senso, che in ultima analisi sarebbe dato dalla realizzazione di un'azione che può compiere la cosa. Questa unità discreta formatasi nel legame istantaneo tra segno e senso sarebbe di natura interiore e questa è la cosa più problematica dell'intera faccenda per il solipsista che non sa di esserlo, ma volendo si può percorrere la via. L'esito del percorso dovrebbe mostrare che noi siamo stati costretti a conoscere. L'istinto alla conoscenza non corrisponderebbe pertanto a semplice voglia di sapere, non sarebbe ricerca spassionata e libera, ma costrizione.
Un altro modo per definire il solipsista consapevole è che egli si rende conto che tutti siamo fondamentalmente egoisti. Irride quindi chi pensa di essere altruista e che propugna a vari titoli che ci si debba sforzare per essere altruisti. Personalmente approvo il gesto altruista, sia il mio perché gratifica la mia visione del mondo e al tempo stesso aiuta l'altro, sia quello degli altri che gratifica aiutando comunque me o altri. Per me si tratta di un regalo, non dico disinteressato, ma nella speranza che...
Comunque, allo stato attuale delle cose si può tranquillamente accettare che non debba essere proprio un dono
Saluti
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Ps: buono Gaber, aggiungo Bubola - "Un uomo ridicolo"