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Messaggi - doxa

#31
Varie / Re: La fama e la serendipity
04 Agosto 2025, 09:53:55 AM
Nella mitologia di epoca romana la "Fama"  (dal latino "fari",  = parlare) era una divinità annunciatrice e messaggera di Giove. Immaginata come la  personificazione della parola alata. Aveva le ali cosparse di occhi, di bocche e di lingue, raffigurata nell'atto di suonare una tromba, oppure due:  una per la verità, l'altra per la menzogna.

Fama incarna il potere che ha la parola umana di propagare  una versione della realtà, passando anche all'infamia.

Rappresenta allegoricamente le dicerie che nascono, si diffondono, acquistano credibilità, non fanno distinzione tra vero e falso, amplificano e distorcono i fatti.

La fama è citata da Virgilio  nell'Eneide (libro IV,  173-190); ampliata da Ovidio nelle "Metamorfosi" (12, 39-63).

E' una storia d'amore tragica che  si svolge a Cartagine, dove Enea approda dopo una tempesta.

La regina Didone accoglie Enea e i suoi compagni troiani, offrendo loro rifugio e ospitalità.

Tra i due nasce un rapporto amoroso, alimentato da Venere e Giunone per motivi diversi: la prima per proteggere il figlio, la seconda per distrarlo dalla sua missione.

Didone dimentica il voto di fedeltà al marito defunto Sicheo e trascura i suoi doveri di regina.

I due "brindano ad Eros" in una grotta è presente Cupido tra i due.



La Fama, personificazione della Diceria, racconta in maniera distorta ai Cartaginesi  la relazione amorosa della loro regina, relazione che poi  si trasforma in tragedia quando Enea per adempiere al suo destino, è costretto ad  abbandonare Didone.

La partenza di Enea, annunciata da Mercurio,  fa disperare la donna, che si suicida. 

Nella mitologia e nella letteratura di epoca romana la Fama rappresenta il potere della comunicazione. Può indurre la gloria facendo sapere le gesta eroiche degli individui, oppure può  diffondere pettegolezzi e menzogne, danneggiando la reputazione degli individui.
#32
Varie / Re: La fama e la serendipity
03 Agosto 2025, 16:09:21 PM
Nell'antica Grecia per definire la fama usavano le parole  "kléos" e "pheme".

"kléos" deriva dal verbo greco "kaléo", che significa "chiamo" o "dico", ma allude  anche alla fama che si diffonde nel tempo e nello spazio tramite la poesia epica o i poemi epici (es. Iliade, l'Odissea).  In questi il Kleos è uno status  a cui ambisce il guerriero per essere ricordato dopo la morte.

La parola Kléos era collegata ad un'altra: Klyo (= ascoltare), il cui significato implicito è nell'espressione: "ciò che gli altri odono di te".



Dall'antico verbo greco "phemi" (che significa parlare)  deriva phēmē: "colei che inizia la comunicazione". Indica  la connessione tra l'atto del parlare e la fama o reputazione che ne deriva. Ciò che si dice influenza la percezione dell'ascoltatore e il modo in cui le storie vengono condivise.

Nell'arte la fama era di solito raffigurata con le ali e la tromba.


Robert de Henze, Pheme, scultura bronzea sul tetto dell'Università delle Arti Visive, Dresda (Germania)
#33
Varie / La fama e la serendipity
02 Agosto 2025, 20:05:55 PM
Lo scrittore e critico letterario inglese Samuel J. Johnson (1709 – 1784), diceva che la fama duratura è una cosa complicata. Per definirla usava il sostantivo "bolla", parola molto diffusa oggi nell'ambito economico-finanziario. Johnson metteva in guardia contro le "bolle di fama artificiale", che vengono tenute in vita per un po' da un soffio di moda, da un'ondata di entusiasmo collettivo, e poi scoppiano di colpo e sono ridotte a nulla".

E' vero, la fama viene nutrita da grandi entusiasmi, da "cascate informative"  che si alimentano a vicenda, però, se alla base c'è un'opera di scarsa qualità, le bolle possono scoppiare.

Con "cascata informativa"  s'intende l'amplificazione di messaggi, di comunicati  da parte dei network sociali (anche reti di familiari, parenti e amici) che, per esempio,  ci inducono a leggere un libro o a vedere un film sulla base di informazioni o azioni di altri.

Comunque, la  fama a lungo termine deve moltissimo ai convinti sostenitori di un talento, dalle dinamiche sociali e culturali che rendono noto un individuo.

La fama ha molto a che fare con la "serendipity": questo termine inglese indica le scoperte casuali, trovare una cosa non cercata.

La parola "serendipity" fu coniata dal nobile e scrittore inglese  Horace Walpole nel XVIII secolo. La usò in una lettera scritta il 28 gennaio 1754 a Horace Mann, un suo amico inglese che viveva a Firenze, per significare una fortunata scoperta non pianificata.

Lo scrittore Horace Walpole, IV conte di Orford (1717 – 1797) è considerato il fondatore della letteratura gotica: storie d'amore e di terrore ambientate nel Medioevo.

La natura dell'effetto rete, se riesce, amplifica il numero di quelli che aderiscono e così si arriva alla fama, che non sempre nasce da un talento particolare.
 
La differenza tra fama e successo. I social media sono molto importanti per suscitare negli altri la sensazione che intorno a un romanzo o a una canzone ci sia tanto entusiasmo, suscitando un effetto "cascata". Si chiama "accelerazione di fama". Non siamo consapevoli di partecipare all'amplificazione della celebrità di un individuo. Spesso non sappiamo se stiamo seguendo un effetto "cascata", cioè se le persone che prima di noi hanno dimostrato entusiasmo per un libro o un film e che noi stiamo seguendo, siano a loro volta dentro un effetto "cascata" e non, invece, saldi in un giudizio di valore  indipendente. Il messaggio, o l'entusiasmo, si rafforza con il coinvolgimento di altre persone.
E se alla fine ci ritroviamo con un libro acquistato sull'onda dell'entusiasmo collettivo, ma che poi ci delude nella lettura, la "bolla" può scoppiare.

Un conto è acquistare un libro o ascoltare un brano, un altro è amare quel libro o quella canzone. E' una incognita. Potremmo amarlo, ma anche cambiare opinione e disprezzarlo.

Una ricerca italiana condotta da Michela Ponzo e Vincenzo Scoppa ha rilevato che nel periodo successivo alla scomparsa di un autore la probabilità che i suoi libri diventino bestseller aumenta molto, dipende dal battage pubblicitario.  
Se ci chiediamo perché alcuni personaggi hanno raggiunto il successo, senza avere talenti particolari, bisogna ricordare che anche noi stessi siamo parte  di questo "effetto-popolarità", più o meno consapevolmente.

Per chi vuol saperne di più c'è  il libro di Cass R. Sunstein, titolato:  "Come diventare famosi. La scienza segreta del successo" (edit. Raffaello Cortina, pagine 264, euro 22)
#34
Varie / Re: Provincialismo e società di massa
31 Luglio 2025, 22:27:47 PM
A proposito dei provinciali e della vita in provincia, vi faccio leggere un estratto dell'articolo di  Franco Arminio, scrittore e regista, pubblicato la scorsa domenica sull'inserto "Robinson" de "la Repubblica".

"Quando vado in giro non chiedo più: 'Che c'è in questo paese ?' La risposta è sempre stata la stessa: 'Qua non c'è niente'.  La risposta tipica dello scoraggiatore militante, del fallito che si adopera con successo a far fallire la vita degli altri. Queste persone esercitano una vera e propria egemonia culturale nei luoghi in cui vivono. E purtroppo in questi anni hanno visto confermate le loro teorie ogni volta che chiudeva una scuola o un negozio, ogni volta che un ragazzo partiva.

Ora ho una mappa chiara dei regni degli scoraggiatori, potrei scrivere una guida ai cantieri della sfiducia. La Calabria è sicuramente l'aula magna delle occasioni mancate, del rimpianto su quello che poteva essere e non è stato. Poteva nascere solo qui, a Soveria Mannelli, il 'Festival del lamento ', solo qui poteva essere esplicitata la vocazione più profonda di un territorio. E' sempre buon segno quando si fa amicizia  coi propri difetti, quando si capisce che non bisogna  rimuoverli e neppure esaltarli, semplicemente accogliere che abbiamo tante voci e devono dialogare per concorrere al governo di una persona o di un luogo. Lamentarsi va bene se sappiamo lamentarci o ironizzare sui nostri lamenti. E se sappiamo farlo assieme".

[...]

"Il Festival del lamento è una buona occasione per capire che portare il broncio ai propri luoghi è un errore grave quanto quello di considerarli un paradiso: se così fosse sarebbe davvero inspiegabile perché è proprio dai cosiddetti paradisi che si emigra di più".

#35
Varie / Re: Il ballo Sirtaki e Mikīs Theodōrakīs
29 Luglio 2025, 17:10:37 PM
L'editore, grecista e traduttore Nicola Crocetti  alcuni giorni dopo la morte di Theodorakis  scrisse per il Corriere della Sera un suo ricordo, rivelando la vera storia della musica per Zorba il greco. Eccola.

Una sera del 1964 Theodorakis passeggiava su una spiaggia del Pireo con il suo amico, il giornalista Ghiorgos Gatos, al quale confessò che la richiesta del regista Michail Cacoyannis — con il quale avrebbe collaborato a lungo — di scrivere la musica per il film Zorba il greco, lo metteva in difficoltà perché 'non so da che parte cominciare'.

Qualche anno prima — scrive ancora Crocetti — «Theodorakis aveva composto una canzone su versi del noto drammaturgo greco Iàkovos Kambanellis. La canzone, intitolata 'Strose to stroma soughià diò' (Prepara il tuo letto per due), era diventata molto popolare (...). Theodorakis a corto di ispirazione, quella sera tirò fuori il taccuino, riprese l'introduzione alla canzone, aggiunse alcune variazioni sul tema, e in dieci minuti La danza di Zorba era pronta. Nacque così, di malavoglia e su due piedi, passeggiando su una spiaggia del Pireo, la musica per il film di Cacoyannis, che sull'onda del clamoroso successo della pellicola era destinata a diventare una delle musiche più famose del mondo e a vendere centinaia di milioni di dischi'. Il brano, fra l'altro, occupò la prima posizione in classifica per quattro settimane nel 1965 in Italia e in Austria, la quarta in Norvegia, la sesta nei Paesi Bassi, la quarta di Germania...

Ma la storia di Theodorakis, comincia molto prima di quel 1964, anno in cui il cinema lo aveva consacrato definitivamente, reso agli occhi dei greci un eroe popolare e, in quanto tale, intoccabile. Anche se già nel 1962 aveva firmato colonne sonore per Elettra, sempre di Cacoyannis, per Fedra di Jules Dassin con Melina Mercouri e per Il coltello nella piaga di Anatole Litvak. E ne avrebbe realizzate altre negli anni successivi, fra le quali per una almeno la citazione è d'obbligo: quella per 'Z. L'orgia del potere' (1969) di Costa-Gravas, con Yves Montand, Irene Papas, Jean-Louis Trintignant, Oscar come miglior film straniero e premio della giuria a Cannes: è la trasposizione dell'omonimo romanzo dello scrittore Vasilis Vasilikos sul caso dell'assassinio di Grigoris Lambrakis, politico di sinistra e pacifista, ucciso nel 1963 da estremisti di destra con la complicità delle forze dell'ordine e militari nazionalisti e che all'epoca portò alla caduta del governo di centrodestra di Konstantinos Karamanlis.

Theodorakis nella vita musicò, fra l'altro, anche testi poetici di Ghiannis Ritsos, Giorgos Seferis, Pablo Neruda, Odisseas Elytis, Alexandros Panagulis (al quale Oriana Fallaci dedicò il suo bestseller Un uomo) e compose davvero di tutto, fra trii, quartetti, concerti strumentali, sinfonie, musiche per il teatro, oratori, dedicandosi anche alla metasinfonica, una combinazione di musica colta con strumenti popolari, che voleva provare ad abbattere le barriere fra i vari generi. Ma l'altra vita del compositore si muove invece fra guerra, battaglie, torture, detenzioni, esilî, impeti rivoluzionari, impegno politico e soprattutto una lotta instancabile contro la dittatura dei colonnelli in Grecia (1967-1974), durante la quale la sua musica fu proibita: persino cantarla o ascoltarla era vietato e punibile. Fu arrestato per l'ennesima volta e solo grazie a un movimento di solidarietà internazionale guidato da Dmitrij Šostakóvic con, fra gli altri, Harry Belafonte, Leonard Bernstein e Arthur Miller, ottenne la liberazione nel 1970.

Spulciando nell'immenso serbatoio delle Teche Rai, si trova un'intervista datata 10 agosto 1975, in cui il musicista e attivista parla con tono pacato e apparentemente distaccato della sua vita al di fuori della musica. Capelli scuri all'epoca dell'intervista, lunghi e folti, corporatura importante (un omone alto un metro e 95), guarda in camera e dice all'intervistatore: «La mia vita politica comincia nel 1940. Avevo 15 anni e c'era la guerra». Quando la Grecia fu occupata dai tedeschi, Theodorakis si unì alla resistenza: all'età di 18 anni, fu catturato, imprigionato e torturato. Nel dicembre del 1944 combattè nella battaglia di Atene (nota anche come Dekemvriana), un conflitto tra le forze dell'Eam-Elas (Fronte di liberazione nazionale e l'Esercito popolare di liberazione) e le forze britanniche, con il supporto del governo greco. Nel 1947 fu arrestato ed esiliato, e successivamente deportato nei campi di concentramento, dove fu nuovamente torturato. Venne rilasciato soltanto nel 1949. Negli anni fu condannato al confino sull'isola di Ikaria, su quella di Makronissi, detenuto nel carcere di Oropos... «Ancora oggi — dice nell'intervista Rai — i pericoli del fascismo non sono scomparsi. (...) Nessuno dice la verità in maniera diretta come la dico io».

La musica l'ha sempre comunque avuta dentro. Solo di canzoni ne compose un migliaio (diverse in carcere) e fra i suoi interpreti negli anni figurano la fedelissima Maria Farantouri, Édith Piaf, Dalida, Melina Mercouri, Nana Mouskouri, Georges Moustaki... ma anche le nostre Milva e Iva Zanicchi. Nei primi anni Cinquanta Theodorakis a Creta dirige la scuola di musica di Chania e fonda un'orchestra. Qualche anno dopo si diploma al Conservatorio di Atene, dalla fine del 1954 studia in quello di Parigi con il grande Olivier Messiaen e si diploma nel 1959. Due anni prima la sua Suite n. 1 per pianoforte e orchestra vince una medaglia d'oro a Mosca. Anche il direttore d'orchestra greco Dimitri Mitropoulos mostra ammirazione nei suoi confronti. La sua è musica politica che non ricorre anche a figure tratte dalla mitologia, eros e thanatos, Antigone, Medea, Fedra... Fu un compositore profondamente spirituale e compose brani anche nella tradizione sacra greco-ortodossa.

Alla caduta del regime dei colonnelli nel 1974, Theodorakis il 10 ottobre tenne un concerto alla stadio di Atene davanti a 50 mila persone finalmente libere. Riprese anche la precedentemente abbandonata attività politica. Venne candidato come sindaco di Atene dal Partito comunista nel 1978, fu eletto diverse volte al Parlamento, e dal 1990 al 1992, sotto il governo di Konstantinos Mitsotakis diventò anche ministro, battendosi, non sempre con successo, per la cultura, per la riforma scolastica e per la riconciliazione fra greci e turchi. Forse, ha detto qualcuno, la sua ingenuità è stata quella di voler funzionare come artista anche nel campo della politica.

Tra i suoi capolavori che ancora oggi si cantano, figura Epitaphios, su un poema del 1936 di Ritsos, messo in musica da Theodorakis nel 1958. Un canto di dolore e speranza per il popolo greco, un lamento per le vittime della repressione e un inno alla resistenza.

end
#36
Varie / Re: Il ballo Sirtaki e Mikīs Theodōrakīs
29 Luglio 2025, 17:08:09 PM
Voglio farvi leggere l'interessante articolo di Helmut Failoni pubblicato l'altro giorno dal Corriere della Sera. 

"Se sei un compositore e crei -così, dal nulla, diciamo pure al volo- una musica di quelle di presa immediata su chiunque, costruita su una successione melodico-ritmica semplicissima, di poche (ma, attenzione, giustissime) note, che dopo qualche anno viene inoltre percepita dal mondo intero come un antico/atavico ballo di origini elleniche, diventando in breve (lo è tuttora) il simbolo universale della Grecia, un inno nazionale non ufficiale, vuole dire che hai vinto. Hai vinto su tutti i fronti. Nessuno escluso.

Quella musica è un sirtaki, il sirtaki di Zorba, di Zorba il greco per l'esattezza, che non è un antico ballo tradizionale (come invece lo è il 'syrtos' dal quale deriverebbe almeno il nome, e l'antico 'hasapiko', di cui è uno sviluppo e una variazione), ma una musica piuttosto essenziale, un frammento di melodia, trascinante e ipnotica, che Mikis Theodorakis  (1925 – 2021) -compositore, musicista, politico, uomo simbolo della lotta contro le dittature, poeta, scrittore, di cui il 29 luglio ricorre il (purtroppo) silenzioso centenario dalla nascita-  realizzò per il film da tre premi Oscar 'Zorba il greco' (1964) di Michael Cacoyannis, con Anthny Quinn e Irene Papas, basato sull'omonimo romanzo di Nikos Kazantzakis.

Nella pellicola, in una scena divenuta leggendaria, girata Creta sulla spiaggia di Stavros (parola che significa croce), 15 chilometri a nord-est di Chania, Quinn danza il sirtaki insieme a Alan Bates, con il mare sullo sfondo. Mani e braccia tese sulle spalle dell'altro. Incrocio di gambe. Sguardo dritto e fiero (in realtà chi lo danza ed è agli inizi guarda solo per terra per non inciampare e non cadere...). Il ritmo ha un andamento crescente e serrato, concettualmente simile a quello del 'Bolèro' di Maurice Ravel, con il quale per il resto ovviamente nulla ha a che fare.

Danzando il sirtaki, si inizia con movimenti lenti e solenni, armoniosi. Si fanno piccoli saltelli. Ci si piega, ci si inchina, ma via via, qua do aumenta la velocità, solo i più bravi reggono senza scomporsi. A ritmo sostenuto e ossessivo si sente ancora più metallico il suono delle corde del 'bouzouki' lo strumento cordofono tradizionale greco (una sorta di liuto), che Theodorakis negli anni a venire avrebbe nobilitato, portandolo anche nel repertorio extra-popolare. Quando il ritmo spicca il volo, si entra in un vortice, si balla anche in cerchio. Il pubblico, seduto ai tavoli davanti ai resti della cena, batte le mani a ritmo e incita la carovana di ballerini urlando 'Opà ! Opà !' C'è chi si alza e si unisce, chi batte rumorosamente il fondo del bicchiere colmo di 'retsina' o di 'ouzo' sul tavolo e poi lo trangugia in un unico sorso. Ad 'aspropato' (letteralmente 'a fondo bianco', nel senso di bicchiere vuoto), come dicono i greci. E' una loro celebrazione della vita.

segue
#37
Varie / Il ballo Sirtaki e Mikīs Theodōrakīs
29 Luglio 2025, 17:06:12 PM
Oggi, 29 luglio,  ricorre il centenario della nascita di Mikīs Theodōrakīs. 

Michaīl "Mikīs" Theodōrakīs,  compositore musicale e politico greco: nacque nell'Isola di Chio il 29 luglio 1925 e morì ad Atene il 2 settembre 2021.


Mikīs Theodōrakīs

Appartenne a quel gruppo di artisti che  in quel periodo fecero conoscere meglio la Grecia e, indirettamente,  le sue vicende: Maria Callas, Costas Gavras, Theo Anghelopulos, Nikos Kazantzakis,  Odisseo Elitis, Yorgos Seferis, Yannis Ritsos, Maria Faranduri, Irene Papas e Melina Mercuri.


Anthony Quinn e Alan Bates mentre ballano il sirtaki sulla spiaggia

Il sirtaki  è una danza popolare  greca, ma non tradizionale. La musica fu ideata dal compositore Mikīs Theodōrakīs,  per quel film del 1964  integrando e rielaborando due versioni musicali della danza tradizionale greca "hasapiko", conosciuta anche come "danza dei macellai":  ha una versione lenta (hasapiko bary) e una veloce (hasapiko grigoro). Il nome deriva dal termine greco "chasapis", che significa macellaio. Il hasapiko è caratterizzato da una serie di passi base e varianti eseguite in gruppo, spesso con le mani sulle spalle dei vicini.

Anche nel sirtaki il ritmo della danza, inizialmente lento, ha l'andamento crescente, accelera.

Sirtaki divenne il simbolo di una Grecia spensierata, come lo  fu  alcuni anni prima la canzone  "I ragazzi del Pireo" (in lingua greca "Ta pediá tou Pireá"),  scritta dal compositore ellenico  Manos Hatzidakis per il film "Mai di domenica", nel quale la canta l'attrice Melina Merkouri.

L'etimologia della denominazione "sirtaki" deriva dalla parola  ellenica "syrtos": danza popolare greca, caratterizzata da un ritmo vivace e coinvolgente. La musica che accompagna il syrtos è anch'essa chiamata syrtos e utilizza strumenti tradizionali  come il bouzouki, il violino, il laouto, e altri.

Il sirtaki si balla in formazione lineare o in cerchio, con le mani sulle spalle del vicino. La formazione in linea è più tradizionale.



La danza inizia con movimenti lenti e armoniosi e passi che non si distaccano molto dal suolo, che poi si trasformano gradualmente in azioni più veloci, spesso anche salti e balzi.

Segue
#38
Varie / Re: Provincialismo e società di massa
25 Luglio 2025, 09:16:00 AM


Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il quarto stato, olio su tela, 1901, Galleria d'arte moderna, Milano.

La società di massa è la nostra società, caratterizzata dall'uniformità dei consumi e degli stili di vita.

Per massa s'intende un folto aggregato di persone, abbastanza omogeneo; ed anche folla indifferenziata: i singoli individui sono irrilevanti rispetto al gruppo. C'è l'omologazione, il conformismo.

"Società di massa": questo concetto sociologico fu creato nel XIX secolo con la diffusione dell'industrializzazione e del connesso fenomeno dell'urbanizzazione per lavorare nelle fabbriche o per supporto ad esse. Come conseguenza la popolazione  è uscita dalla dimensione dell'autoconsumo ed è entrata nell'economia di mercato: diffusione di massa dei prodotti di consumo. Le automobili, i cellulari, i computer, le televisioni e molti altri beni, sono alla portata di tutti,  nell'Occidente industrializzato: Europa e Nord America.

L'aumento demografico, l'urbanizzazione di massa, la diffusione della scolarità, l'estendersi del diritto di voto hanno completato il quadro.
Con la "terza rivoluzione industriale", la società di massa è diffusa  in tutto il pianeta,  con conseguente globalizzazione, un fenomeno politico, economico e culturale:  investimenti economici e finanziari in ambito mondiale, interdipendenze delle economie nazionali. 

Tra gli aspetti positivi della globalizzazione vanno evidenziati la velocità delle comunicazioni e della circolazione delle informazioni.

#39
Varie / Re: Provincialismo e società di massa
24 Luglio 2025, 09:35:31 AM
L'ambiente sociale di provincia è un affare serio e difficile da spiegare.

 Lo scrittore statunitense Ezra Pound (1885 – 1972) scrisse: "Il provincialismo è volontà di uniformità. E' una malevolenza latente, attiva".


Vivere in provincia non è facile per chi è abituato alla varietà e alla grandezza delle metropoli, ma chi vi si trasferisce, col tempo capisce se è  considerato parte della comunità di arrivo, se è stato integrato come "uno di loro".

Nei luoghi non turistici i forestieri vengono guardati con curiosità e diffidenza. Nei luoghi turistici, invece, i forestieri sono presenze abituali, purché di passaggio. Non suscitano curiosità finché si limitano a scattare foto, comprare prodotti, assaggiare la cucina locale e andare via.

Se non è un turista, ma  uno che ha deciso acquistare casa e abitare in paese, subito suscita un atteggiamento di circospezione. Non è incapacità di accoglienza, quanto piuttosto impossibilità di posizionare l'estraneo in una storia nota.  Per superare la diffidenza bisogna attendere che il forestiero si collochi nella comunità, che costruisca una sua storia in paese. Resterà però per sempre  con l'epiteto: "il torinese" "la francese" "il marchigiano" anche dopo trent'anni di permanenza: viene etichettato,  però è come dirgli:  "ora sei uno di noi". 

La provincia è conservatrice. Vivere in provincia significa spesso votarsi alla nostalgia del tempo che fu. Perciò dagli abitanti del luogo  ogni cambiamento viene salutato, ma  con amarezza, in particolare  quando la cementificazione devasta paesaggi o sostituisce edifici storici di pregio. Altre volte lo scetticismo è immotivato e incapace di cogliere rapidamente vantaggi e miglioramenti.
#40
Varie / Re: Provincialismo e società di massa
23 Luglio 2025, 18:17:12 PM
La vita di provincia ?  Ininterrotta interrogazione esistenziale.

A molti sta stretta e vorrebbero fuggire. "Qui non c'è niente" dicono i giovani.  Non sopportano le beghe di paese, il pettegolezzo, la noia.  E' difficile resistere alla voglia di andare a vivere nelle grandi città, approdo ed emanazione di destini, di sogni e disincanti.

Vivere in un paese o una piccola città: croce e delizia, può essere gabbia o evanescente afflato poetico. Comunque quando si vive in provincia si viene "inquadrati", significa occupare una precisa posizione nell'ambito della locale rete sociale.

Da bambino e da adolescente trascorrevo le vacanze estive dai nonni paterni: a Vasto, località  abruzzese sulla "costa dei trabocchi".

Ricordo che numerose donne anziane per godere della brezza marina si riunivano all'esterno delle loro abitazioni che prospettano sulla Loggia Amblingh. Si mettevano all'ombra  chiacchieravano e lavoravano: riparavano le reti da pesca usate dai coniugi  oppure facevano altri lavori. Quando passavo in quella zona a volte  mi chiedevano quale fosse la mia famiglia.  Avevano la necessità nella loro mente  di collocarmi in una precisa posizione all'interno della rete sociale.


Veduta di un piccolo tratto della Loggia Amblingh.

Il posizionamento dell'individuo  è il concetto cardine della provincia e in generale delle comunità più piccole.

Sapere la collocazione familiare degli estranei era ed è  importante, permette di sapere le case, le proprietà e in generale gli spazi di pertinenza di ciascuno.

Nel passato il posizionamento  era collegato con le gerarchie sociali.  Steccati invalicabili. Oggi la scala sociale (apparentemente) è meno ripida. Ma in ogni piccola comunità è ancora possibile individuare le famiglie notabili (in alto), quelle perbene (un gradino più sotto), quelle semplicemente oneste, quelle "sanza infamia e sanza lode" e quelle decisamente oscure.

In provincia è  molto importante la reputazione, che scaturisce solo in parte dal posizionamento. L'appartenenza a un gruppo familiare può condizionarla, ma in buona parte dipende dalla storia personale o di ciò che la comunità pensa di sapere di te.

Spesso  la conoscenza è basatasul pettegolezzo: può essere lusinghiero o malevolo. Le cosiddette "etichette sociali"  e i soprannomi rimangono per sempre.

La stima sociale in provincia è amplificata se si è ricchi.

Un'ultima annotazione. Nel passato nelle piccole località quando si usciva per la passeggiata serale  non c'era la scelta del tragitto, era sempre lo stesso, il corso nel centro storico,  di breve lunghezza. E si camminava avanti e indietro, con la costrizione di salutare più volte le stesse persone.  Erano le cosiddette "vasche".
#41
Varie / Re: Provincialismo e società di massa
23 Luglio 2025, 15:27:12 PM
Dello scrittore e attore  Riccardo Conte voglio farvi leggere un articolo pubblicato il 19 febbraio 2021 sulla rivista  "Vanity Fair", col titolo: "Gioie e dolori della vita di provincia".

"Da quando mi sono trasferito a Milano, ogni volta che mi chiedono dove sono cresciuto io rispondo sempre a Roma. La risposta corretta sarebbe che sono cresciuto nella provincia ad almeno trenta minuti di macchina dalla capitale, ma io resto sempre sul vago. 

I motivi?

1) perché è inutile specificare un luogo che con alte probabilità nessuno conosce; 

2) perché se dico che vengo da Roma penso di fare più bella figura rispetto un paesino oppure una città di 73 mila abitanti (Benevento); E anche questo è un pensiero provinciale.

Pur avendo la provincia dentro di me, ho sempre pensato di non appartenere alla provincia: sin da ragazzino ho avvertito un'energia, mista alla curiosità e l'entusiasmo di scoprire realtà e conoscere ogni giorno persone diverse che, nonostante i migliori sforzi, un contesto così piccolo e ristretto soddisfa a fatica.

Crescere in provincia ?  Non c'è la frenesia della metropoli e nemmeno lo sconforto di una landa desolata con le balle di fieno: è una terra di mezzo. Crescere in provincia può essere un sogno o una condanna a seconda della persona che sei o diventi.

La provincia è rassicurante: è un luogo che si ripete, si rinnova a passo di lumaca, e generalmente cerca di soddisfare le esigenze di un gruppo ristretto ma se desideri una scelta alternativa, devi o creartela o cercarla altrove. 

La provincia cambia a fatica, e questo può anche confortare: quando sei adolescente e stai ancora cercando di capire chi sei è un luogo che non riserva sorprese e nemmeno cambi di programma così bruschi da destabilizzarti. 

Ripercorrere sempre la stessa strada e riconoscere le stesse facce, sapere che tua madre e tuo padre, i tuoi amici e tutte le persone che conosci vivono e respirano la stessa aria è qualcosa di comodo, facile, e famigliare. A lungo andare può essere anche noioso, ripetitivo, e terribilmente asfissiante.

La provincia è croce e delizia. La croce subentra soprattutto quando non fai quello che fa il 90% delle persone intorno a te: niente di che, ma se ipoteticamente sei queer, sovrappeso e non te ne frega assolutamente nulla di portare avanti diete dimagranti; sei donna e sessualmente libera; sei di pelle non bianca, crescere in provincia può avere la sua buona dose di difficoltà, a seconda del caso.

Crescere diverso (dalla media) in provincia rischia di farti sentire terribilmente solo, con una costante sensazione di scomodità e disagio, temendo nei momenti peggiori di essere sbagliato e inadeguato, e con un costante desiderio di andartene via al più presto e trovare un posto nel mondo in cui sentirti accolto, che sia a trenta minuti di macchina o in un altro continente. Questo ha anche il suo effetto collaterale: rischi di sentirti "speciale e unico al mondo", e ti credi quasi di essere superiore a chi si ritrova in quella piccola e confortevole realtà. Sei un po' come quella spocchiosa di Belle che si sente la più intelligente del villaggio solo perché legge qualche libro. Anche meno.

Se crescere in un contesto chiuso può essere più o meno avvilente, al contempo è bene ricordare che:

1)esiste un luogo per te e non c'è nulla di sbagliato in chi sei;

2)alcune persone stanno bene anche senza tuffarsi in una metropoli lontana dalla realtà famigliare, e anche in questo non c'è nulla di sbagliato.Quando ritorno in provincia ritrovo tutto come l'ho lasciato, si aggiungono giusto qualche ristorante, una nuova birreria, e altri parrucchieri. Ripercorro le stesse strade che attraversavo quando avevo sedici anni con una sicurezza che credevo di non raggiungere mai, e una fiducia in chi sto diventando che mi fa ridere in faccia ad ogni forma di bigottismo o nuovo pettegolezzo. Ma guardo anche con inaspettato affetto e devozione questo luogo che non ho mai sentito mio e al contempo mi ha formato e cresciuto, restando una parte di chi sono. Bene o male, me lo porto dietro ogni volta che me ne vado".
#42
Varie / Re: Provincialismo e società di massa
23 Luglio 2025, 14:46:47 PM
Secondo voi il  provincialismo e i provinciali ancora esistono nella società di massa ?

Spesso in provincia si commette l'errore di ritenersi al centro del mondo anche se si rappresenta una marginalità, un punto invisibile nella cartina geografica.

La provincia è un immenso patrimonio culturale, ma la difesa campanilistica di un territorio spesso è negativa, perché indica chiusura, un limite nella percezione del tutto, del grande nel confronto col piccolo. Sarebbe come dire: è bello solo ciò che mi riguarda.

Io credo che la società di massa,  la produzione di massa, la cultura di massa, i mass media e il consumismo abbiano emarginato o eliminato il provincialismo e i provinciali. Infatti  l'attuale società tende ad uniformare comportamenti e modelli culturali di riferimento.



Sono state le trasformazioni economiche, sociali, culturali e politiche a determinare la formazione della società di massa.

Il sociologo Luciano Gallino scrisse che "la società attuale è anche detta di massa perché i prodotti, i servizi, le opportunità, i consumi sono potenzialmente fruibili dall'intera collettività. Nella società detta di massa, una sempre più ampia porzione di popolazione ha facoltà di partecipare alla vita collettiva: sociale, politica, culturale".

La società di massa nasce con l'industrializzazione e l'urbanizzazione  Nelle nazioni industrializzate gran parte della popolazione si trasferisce dalle campagne, dai paesi  alle città e così si formano le metropoli con milioni da abitanti.

Le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche hanno indotto la cosiddetta "seconda rivoluzione industriale" modificato la produzione industriale e il commercio, innescato un processo irreversibile di modificazione della mentalità e del comportamento delle masse.

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#43
Varie / Provincialismo e società di massa
23 Luglio 2025, 09:51:19 AM
Ormai viviamo nella società di massa. Che fine ha fatto il provincialismo ? Questo sostantivo a cosa allude ?

Nel passato dicevamo: "sono dei provinciali !", per indicare chi abitava nelle piccole città o paesi, oppure, in modo spregiativo, chi aveva la mentalità, il modo di fare, il conformismo e  gli atteggiamenti considerati tipici di chi viveva in provincia, nelle  piccole località con  reali o presunte arretratezze:  economica, sociale e culturale, causa gli scarsi contatti con centri e ambienti culturalmente più aggiornati.

Nel nostro tempo abitare in provincia (la vita in paese o nella piccola città)  cosa significa ?

Molte persone, stanche della grande città, vorrebbero trasferirvisi. Altri, che  ci sono nati,  non vogliono andarsene. Forse perché non conoscono alternative, forse perché ci stanno bene davvero. Qualcuno non ci tornerebbe neppure sotto tortura. Altri – e sono i più numerosi – vanno via in cerca di occasioni e di tanto in tanto, quando il vento gli riporta un odore noto o una musica lontana, ne sentono la mancanza. Così aspettano le vacanze e organizzano un viaggio al paese o nella piccola città dove hanno trascorso l'infanzia o ne hanno un buon ricordo.


Treviglio

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#44
Varie / "Ab ovo usque ad mala"
13 Luglio 2025, 19:20:51 PM
"Ab ovo usque ad mala" (= dall'uovo fino alle mele): è un proverbio latino, allude ai pranzi degli aristocratici di epoca romana, iniziavano con le uova e terminavano con la frutta.

Il motto è citato anche da Orazio nelle "Satire" ed è stato preso in prestito per titolare la mostra: "Dall'uovo alle mele. La civiltà del cibo e i piaceri della tavola a Ercolano".

L'esposizione è a Ercolano nelle belle sale affrescate di Villa Campolieto, fino al 31 dicembre.

La rassegna invita alla scoperta delle abitudini alimentari degli antichi Ercolanesi.

L'antica Herculaneum offre testimonianze della sua vita quotidiana: pane, cereali, legumi, frutta uova, frutti di mare, ecc.. Reperti organici, seppur carbonizzati dalle ceneri vulcaniche del Vesuvio, sembrano sprigionare sapori e odori; raccontano storie di gesti domestici, di preparazioni meticolose e di momenti conviviali.

Oltre agli alimenti sono in mostra vasellame decorato, utensili da cucina, strumenti per la preparazione, la conservazione e il consumo dei cibi, altri oggetti d'uso comune e di lusso che testimoniano l'intera filiera, dalla produzione allo smaltimento.


Ercolano: Villa Campolieto
#45
Varie / Apriscatole
09 Luglio 2025, 22:10:03 PM
Apriscatole


 
Ingombrante, non ha l'interesse del cavatappi né l'allure vintage degli attrezzi casalinghi per la pasticceria.  Ma è uno strumento utile. Senza di lui la moderna alimentazione non avrebbe progredito.

Come spesso accade nella storia della tecnica, l'utensile arriva dopo l'oggetto che lo rende necessario.

Luca Cesari in un suo articolo del 29 giugno scorso, pubblicato sull'inserto domenicale  del quotidiano "Il Sole 24 Ore" informa  che i barattoli di latta furono creati alla fine del XIX secolo come risposta a un bisogno militare: rifornire gli eserciti in movimento con alimenti sicuri e conservabili.

Nel 1795 il governo francese indisse un premio per chi riusciva a prolungare la durata dei cibi.

Nicolas Appert, confettiere, inventò un metodo di sterilizzazione in vetro; meno di vent'anni dopo John Hall e Bryan Donkin adattarono il sistema ai contenitori metallici. E' iniziò la grande stagione dei prodotti conservati.

Le prime lattine erano spesse, rudimentali, per aprirle servivano martello e scalpello. Solo nel 1855 ci fu il primo brevetto per un apriscatole: a depositarlo  fu un produttore di posate, l'inglese Robert Yates, che propose un attrezzo a leva con lama da taglio fissa. Era il prototipo di una serie che si evolverà per oltre un secolo, tra sistemi a rotella, modelli a farfalla, a chiavetta, elettrici, infine incorporati direttamente nei barattoli. Strumenti apparentemente secondari, ma fondamentali nella storia dell'alimentazione industriale.

Negli anni della "guerra di Crimea" (4 ottobre 1853 – 1 febbraio 1856)  e della "guerra civile americana"  (detta anche "guerra di secessione", dal 12 aprile 1861 al 23 giugno 1865) le conserve salvarono le vite, prevenendo malattie come lo scorbuto.

Nel 1856 Francesco Cirio avviò a Torino una delle prime fabbriche dove si lavoravano prodotti vegetali, specializzandosi poi nei pomodori pelati.

La diffusione dei barattoli con pomodori fu rapida, e il cibo in scatola  cominciò ad entrare nella vita quotidiana.

Dopo la seconda guerra mondiale ci fu la crescita dei consumi, pelati e carne lessata in gelatina diventarono protagonisti delle dispense nelle cucine, sia delle case sia delle mense.

Le conserve hanno un ruolo importante nella vita quotidiana. La lattina ormai si è  affermata come simbolo di modernità. I creativi del marketing fanno il possibile per rendere attraenti le scatolette. E pensando ai creativi come non ricordare il pittore, scultore e grafico statunitense Andy Warhol (1928 – 1987), esponente della Pop art: ritraeva  i barattoli  come fossero  nella vetrina di un negozio.

Ecco una delle 32 tele Campbell's Soup Cans"  di cm 51 x 41. Raffigurano i barattoli con  tutte le varietà della "zuppa Campbell" in quel tempo in commercio. I singoli dipinti  li realizzò con una tecnica di stampa serigrafica.


 
Dietro le quinte c'era l'apriscatole, indispensabile strumento domestico senza "prestigio", associato all'opinione di un pasto povero o di emergenza.

A differenza del cavatappi, che si esibisce tra luci e brindisi, l'apriscatole con lame e leve  lavora nell'ombra, nascosto, poco estetico, eppure indispensabile. Simboleggia un modo di cucinare pratico più che estetico.

La sua reputazione di oggetto negletto lo ha relegato al margine anche del collezionismo. Il bolognese Carlo Grandi ne ha 365,  databili dalla  metà dell'800 ai giorni nostri. Li ha donati al Museo del pomodoro, che è a Collecchio, in provincia di Parma. Sono in un'apposita sezione ed esposti al pubblico.

L'apriscatole non è solo un utensile,  testimonia il progresso tecnico. Come ogni oggetto davvero utile ha saputo trasformarsi, rimanendo fedele alla sua unica essenziale funzione.