Citazione di: cvc il 06 Giugno 2020, 08:15:45 AM
Da persona che apprezza le scuole filosofiche ellenistiche, ho ammirato le loro battaglie contro le passioni. Naturalmente va premesso che il concetto odierno di passione non rende l'idea di ciò cui gli antichi si riferivano. Per noi può essere una passione fare jogging, in cui non vi è assolutamente niente di male. Per loro il termine passione era riferito in generale ai sentimenti malvagi dell'essere umano. Fra queste, una delle passioni capitali era considerata appunto l'ira. Seneca, in particolare, ha dedicato un libro all'ira che "ripugna il genere umano". Obiettava, in esso ad Aristotele, il fatto che l'ira potesse essere in qualche occasione utile. Aristotele sosteneva, ad esempio, che in alcuni casi, come in guerra, l'ira potesse essere uno sprone al coraggio. Per Seneca, da stoico, il coraggio è il discernere tra ciò che è da temere e ciò che non è da temere. Mentre l'ira, essendo una passione, una volta messa in moto è incontrollabile e ci porta alla deriva. Quindi va evitata sempre.
Il filosofo Remo Bodei, nel saggio "Ira. La passione furente", stimola alcune riflessioni interessanti. Ad esempio nel concetto di giustizia è implicita la punizione dell'empio. E la punizione che altro è se non l'ira del giusto nei confronti del reo? Certo, qualche ortodosso di una qualche religione o dottrina filosofica potrebbe sostenere che si possa punire senza essere adirati. Ad esempio, se giudico che qualcuno sta andando contro Dio, lo punisco non per la mia rabbia ma per la giustizia divina. In altri termini l'ira divina è giusta, l'ira dell'uomo è malvagia.
Ma può esserci giustizia senza ira? Può esserci un'ira giusta?
Diceva San Tommaso che le passioni sono un difetto dell'animo e le paragonava alla miopia: questa, in quanto difetto fisico, impedisce di vedere chiaramente, mentre le passioni impediscono un giudizio misurato e corretto dei fenomeni del mondo. Ogni uomo è preda di passioni, ma la ragione dovrebbe essere il mezzo per riconoscere quando queste stanno prendendo il sopravvento e tenerle sotto controllo per mezzo della volontà in modo che non facciano danni a noi o ad altri. In definitiva le passioni, in quanto costitutive dell'animo umano e a volte utili come ulteriore spinta per perseguire un obiettivo, non sono negative in sé ma lo diventano quando si è preda delle medesime e ci si lascia guidare prevalentemente da esse, perdendo con ciò di vista l'equilibrio complessivo e la capacità di giudizio.
Nello specifico l'ira non è una passione a sè, ma piuttosto un moto causato da passioni diverse, ha bisogno di altre passioni per esprimersi (solo un folle potrebbe essere preso dall'ira senza alcuna ragione sottostante). Non è bene o male, buona o cattiva, animata da amore od odio ma, come spiega sempre San Tommaso facendo l'esempio legato appunto alla giustizia punitiva, assume in sé entrambe le passioni dato che esprime amore di vendetta (che è giudicata bene per colui che la esercita) e nel contempo odio verso la persona (giudicata ovviamente male) oggetto della vendetta stessa.
Altra questione è però, a mio avviso il ruolo dell'ira nell'ambito della giustizia ampiamente intesa. Filosoficamente la giustizia non può essere assimilata a quella che nelle società moderne viene definita tale. Se si vuole ragionare in termini filosofici, ovvero (kantianamente) universali, non bisogna ridurre la definizione di giustizia a quella che con accezione più corretta bisognerebbe definire "legalità"; il diritto positivo laicamente parlando, o la legge morale considerando il punto di vista religioso, non possono essere criteri universali di giustizia, poiché ognuno sa che questi cambiano da luogo a luogo, da popolo a popolo e da periodo a periodo, e appare quantomai azzardato definire filosoficamente giustizia qualcosa che altrove o in altri tempi viene considerato come il suo opposto.
Partendo da una tradizione che si perde nella "notte dei tempi" ed è comune a tutte le culture Eneo Domizio Ulpiano definiva la Giustizia come "Honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere". Vivere onestamente, non nuocere ad altri ("Non fare ad altri quel che non vorresti fosse fatto a te") e dare a ciascuno il suo ("Date a Cesare quel che è di Cesare") è una forma essenziale e universalistica di giustizia che di per sé esclude l'intervento di qualsiasi passione ma richiede sapienza ed equilibrio (il famoso episodio di Re Salomone ne è un significativo esempio). Giustizia è dunque innanzitutto rispetto del diritto di ogni ente di poter essere ed esprimere quello che è senza la pretesa di qualcuno di giudicare se ciò sia giusto o meno. Rispetto non è sinonimo di giudizio, è anzi il suo opposto, dunque per quanto possa sembrare paradossale la giustizia non giudica ("non giudicate se non volete essere giudicati"; "Inventate, dunque, la giustizia che tutti assolve tranne coloro che giudicano"). Giustizia è innanzitutto un modo di vivere e di pensare, non certo un modo di "calcolare" algoritmicamente secondo categorie legali o morali assolutizzate che prescindono (e dunque in sostanza negano) dal concetto di "dare ad ognuno il suo", ed è pure insensato affermare, in tale contesto, che esiste una giustizia giusta o una sbagliata, perché semplicemente o è giustizia oppure non è.
L'ira, che come dicevo è essenzialmente un "amplificatore" di passioni che non possono che essere personali e individuali (sia pur a volte condivise collettivamente), è in quanto tale un impedimento alla giustizia, sia in senso "buono" (quando a prevalere è l'amore) sia in senso "cattivo" (quando a prevalere è l'odio), dato che entrambi i sentimenti sono di ostacolo al perseguimento della medesima poichè sempre autoreferenziali.