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Messaggi - Vito J. Ceravolo

#31
vabbuò Sciombo la tua logica non è formale, ma prettamente dialettica. Frasi come queste sono prettamente dialettiche "Il non essere assoluto é per definizione il non esistere/accadere realmente di alcunché e non affatto l' impossibilità di predicazione." Frasi come questa tua hanno una sintattica pari ad A=non-A
Siccome questo non è opinabile, ma c'è una scienza in merito (logica formale), direi che non c'è altro da aggiungere. Se 
Tuttavia non sei in cattiva compagnia, visto che il 80% delle persone (nichilismo in generale) basano la propria filosofia su passaggi logicamente contraddittori (in senso formale), solo che tu sei almeno così sincero che evidenzi la tua contraddizione formale fin dall'inizio.
La cosa sembra un po' il confronto di Hobbes con un matematico sulla quadratura del cerchio.  La logica formale è una cosa, la tua (vostra) è un'altra. Ma ripeto: non sei il primo né l'ultimo che argomenta in aperto contrasto con la formalità logica.
#32
Ciao a tutti,
 finalmente il mio articolo è stato pubblicato. Questa volta il tema non è più la VERITA' https://www.academia.edu/31272058/VERIT%C3%80._UNIONE_FRA_REALISMO_E_COSTRUTTIVISMO bensì la coerenza
 
Articolo sulla COERENZA:
Pubblicato per la prima volta presso la rivista "Filosofia e nuovi sentieri" il 14 maggio:
https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
https://www.academia.edu/33025670/TEOREMI_DI_COERENZA_E_COMPLETEZZA._Epimenide_G%C3%B6del1_Hofstadter
 
Questi due articoli (verità e coerenza) stanno a premessa della portata filosofica del mio libro Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere (ed. Il Prato, 2016), da cui la citazione di apertura (perché c'è qualcosa anziché il nulla?)
 
Quest'ultimo articolo sulla COERENZA sembra essere importante. Anche per la discussione che è nata in questo forum.  Ma veniamo a noi:
 
Anzitutto grazie a tutti, e scusate se rispondo a tratti in forma molto ristretta e se qualcosa forse mi è sfuggito.
 
Garbino, permetti ora a me di ringraziare te per le tematiche portate:
Ammetto che questo tuo passaggio <la matematica all' infinito non ha più un prima e un dopo e perciò finisce per definire tutto statico> è vero. Ma credo che qui ci si stia spingendo oltre agli intenti del mio Libro, che invece vuole essere la descrizione del mondo sotto il suo aspetto finitario... Mentre la sopraderiva da te prospettata (a mio avviso inoppugnabile) ci porta dritti al conflitto finito-infinito del principio primo (cosa che nel libro affronto solo per via indiretta).
Ora, al di là delle argomentazioni che ci potremmo fare su quella teoria kantiana (intuizione matematica), credo che dovremmo anzitutto partire con la definizione originaria del divenire: "Cosa è il divenire?"
Da me ritengo il divenire come il "passaggio da uno stato all'altro". Da me si necessita che il divenire, quanto il fluire, sia un passaggio, una trasformazione; argomenti tutti che necessitano i vari stati di trasformazione; perché se lo stato fosse sempre lo stesso non sarebbe un divenire, così che il divenire necessiti di fluire sui vari stadi per dirsi divenire.
Quando si dice "fluire"... fluire di che? Sempre divenire è, anche il fluire. Non è che ci sono alternative: o si nega il divenire che accade (dogmaticamente come i neo-parmenidei), oppure si accetta l'accadere del divenire, e quindi il suo passaggio fra i vari stati (per definizione statici). E qui torniamo al discorso che ti facevo sopra: la determinazione, finita per definizione, non può definire il divenire per non fissarlo, può però definire gli stati di passaggio fra un divenire è l'altro.  
Dovresti piuttosto spiegare come fa a fluire se non attraverso stati (luoghi o tempi o definizioni o momenti ecc)... Questa non riesco proprio a immaginarla.
Tutte le determinazione definiscono in forma statica, anche la matematica. Questo lo dico da tempo: qualunque determinazione è finita, quindi statica, per definizione. Ciò non toglie, grazie alla ivi "definizione" di "divenire",  che ci siano scienze che si occupano di successioni, altre di forme, altre di vita ecc.
Sì: il principio primo, che è nel contempo inizio (immensamente piccolo) e fine (immensamente grande), è immobile. Ma ripeto: da me l'immobilità è ciò da cui si dà e verso sui tende il divenire.
 
Sciompo. Il tuo commento a cui ho risposto era in forma lapidaria. Non mi sembrava corretto usarti un linguaggio non adeguato.  Per altro tu continui ad affermare che sei in grado di predicare e pensare il nulla; e io non so come fai, perché io non ci sono mai riuscito. Ma allora tagliamo la testa al toro: perché non presenti una predicazione del nulla diversa dall'affermazione che il nulla non-è, visto che il non essere assoluto è per definizione l'impossibilità di predicazione? Vedi? In qualunque forma lo dico, l'unica cosa che riesco a dire del nulla è che non lo posso dire. (rif. articolo sulla COERENZA, capitolo 5)
Da me si dà solo ciò che accade.
Dire " il nulla non è" non è una contraddizione, altrimenti non sarebbe una verità. Dunque se è vero che il nulla non è in assoluto, allora non può accadere. Ma ho l'impressione che tu stia parlando di una statistica fuori dagli studi della probabilità: una cosa che non ha possibilità di accadere in quanto nulla assoluto, non accade all'infinito, neanche nei tuoi pensieri. (derivazione dal calcolo della probabilità infinita)..
 
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Salve Green Demetr, e "tu" sia, senza scuse.
Condividendo il punto uno, la mia metafisica, che ben si avvicina alla tua di secondo livello, è lo studio della ragione in sé. E la formalità è un modo di tale ragione.
Assolutamente: l'inadeguatezza delle metafisiche di primo livello è di portata formale.
 
Più propriamente direi che la ragione non inventa l'in sé delle cose, ma è l'in sé: l'in sé delle cose è la ragione.
 
Sulla validità dei predicati solo se non applicati a se stessi, non è la mia soluzione. La mia è chiarità al cap.8 (dedicato proprio agli autoreferenziali) di questo nuovo articolo sulla Coerenza;. Noterai una leggera differenza.
https://www.academia.edu/33025670/TEOREMI_DI_COERENZA_E_COMPLETEZZA._Epimenide_G%C3%B6del_Hofstadter
https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
 Però in generale siamo d'accordo sul paradosso del mentitore.
Al di fuori della "funzione d'oggetto" obbligatoria al soggetto pensante,  la regola di "coerenza a sé" è una questione formale, quella di cui parlavano con le metafisiche...
 
Per "dialelle degli scettici antichi" ... intendo quelli che dubitavano della verità perché non vedevano che la verità si definisce con la realtà e la realtà si definisce con ciò che accade ^_^ senza alcun petitio principii
 
L'unità finale, da me, è l'incontro all'infinito fra oggetto-soggetto. Questa unità non è solo uno o l'altro, ma assieme senza distinzione, morendo la dualità.
Poi certo che si parla di dualità invece fra ragione in sé e sensibile fenomeno. Il secondo derivato dal primo, ma dove il primo, la <verità di ragione>, è uguali per ogni, quindi uguali per ogni osservatore e osservato, quindi indipendenti dalla relazione osservatrice. Il fenomeno che da esso si dà ha invece carattere di relazione.
 
Trovo più comodo definire la ragione come medianità fra oggetto e soggetto. Mentre il sistema come il prodotto fra oggetto e soggetto (cfr. capitolo 7 articolo Coerenza).
 
Non solo la medianità ma tutto è una proprietà dell'essere, dacché solo il non essere (assoluto) non ha proprietà. Poi naturalmente la ragione può essere "compresa" solo da coloro dotati di strumenti atti alla sua lettura, come la razionalità umana o qualunque altro essere dotato di un mezzo in grado di interagire in forma intelleggibile (cioè leggere la ragione) e non solo tramite percezioni (meccaniche o istintive).   
 
Ecco Green, qui trovi buone formalità:
https://www.academia.edu/33025670/TEOREMI_DI_COERENZA_E_COMPLETEZZA._Epimenide_G%C3%B6del_Hofstadter
 
Da me la formalità, un modo della ragione in sé,   è quella per cui si parla di "coerenza a sé" della verità. Quella che poi è vera solo se ha delle conseguenze adeguate nel mondo.
 
Non intendo aprire uno scontro qui su platone, ma "idea" e "reale" da me sono elementi diversi e complementari. L'idea è "vicino" alla ragione in sé quindi studio metafisico. Il reale è "vicino" al valore delle cose quindi studio ontologico.
Non voglio neanche aprire uno scontro qui su Nietzche, ma da me la cosa ha il suo proprio valore, oltre a quello che interpretiamo da lei (cosa) più o meno adeguatamente, più o meno soggettivamente, interssoggettivame e oggettivamente.
 
Ci sono tanti modi per dimostrare la oggettività, argomentazioni di coerenza a sé e alle cose descritte o argomenti sull'influenza che gli oggetti hanno su di noi ecc ecc ecc. Cose di cui anche non si può pensare il contrario senza contraddirsi ecc. Ampie argomentazioni, purtroppo sul libro.
 
Da me anche una pietra ha la propria ragione in sé, senza essere necessariamente un soggetto idealista. Vi è uno scarto fra la ragione in sé delle cose e la razionalità con cui si legge la ragione in sé delle cose. La razionalità può parlare di ragione che non sono vere (pseudo ragioni), la ragione in sé è la verità sovrasensibile delle cose.
Naturalmente, nel concetto di "sistema" sopra espresso, come di qualunque metafisica al principio primo, la ratio è di tale principio; e gli esseri relativi la "vivono" in propria misura: ritagliandola e incollando ecc a seconda di ciò che sono ma sempre in rispetto di essa.
 
Per comprende che tipo di strumento è la formalità, il mio articolo sulla COERENZA può chiarire la mia posizione.
 
Da me il linguaggio è uno strumento, non è la ragione in sé. E come strumento "non decide", bensì spiega o pratica quella cosa a suo modo; ma lo fa su quella cosa!
 
La razionalità è il fenomeno culturale della ragione in sé, la vita è il fenomeno biologico della ragione in sé, la fisica è il fenomeno meccanico della ragione in sé.
 
Qui però Green, non si tratta di sfumature di cambiamento, ma di un radicale diverso modo di fare filosofia. Cosa che nel libro viene chiarito.
Con piacere Green Demetr
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Canneto, dico che è impossibile pensare a qualcosa senza il pensiero, ma questo logicamente (logica formale)  non mi permette dire che sia impossibile che esistano cose fuori dalla mia mente. Dire diversamente da così non ha alcuna derivazione necessaria, solo ipotetica.
 
Phil
Da me l'accadere non è solo l'empirico soggettivo, in quanto accade anche ciò che è oggetto. Da me tutto ciò che è essere accade.
Da me si parla di due verità differenti ma non contraddittorie: quella fenomenica, sensibile sino all'individuale; quella in sé, sovrasensibile sino al generale. In tal senso posso predicare la verità sia del "vissuto" (cit, phil) che della "vita" (in sé).
Quando passi dal serpente al bastone parli comunque di "vissuti" e quindi di verità sensibili (relazionali) che possono variare relativamente all'osservatore e osservato. Altra cosa è invece la ragione in sé, che è il motivo anche di questa variazione.
Quando parli di errori di verità, parli di razionalità non traenti correttamente la ragione dell'oggetto in esame; sia esso un oggetto inteso in sé, o come fenomeno.
Quando invece parlo di accadere, parlo di un accadere che può essere solo immaginario (accadente solo nella mente) o reale (mente+fisico), ma mai irreale.
La verità diviene così meramente "compilativa" (cit. phil), con la capacità di esprimere correttamente sia l'oggetto in sé che la relazione fenomenica derivante dal rapporto fra i vari esseri.
Ma non è con un colpo d'occhio che si può arrivare alla verità oggettiva, in quanto all'osservazione è accessibile solo ciò che appare. La ragione in sé è invece accessibile solo per via astratta e sovrasensibile, nel nostro caso tramite lo strumento della razionalità.
Poi non penso che la partecipazione fra oggetto-soggetto sia così sbilanciata come dici tu Phil, credo invece che ogni descrizione dell'oggetto (in sé o fenomenico) abbia un punto oltre cui dirsi una descrizione errata di quell'oggetto. Già, anche ciò permette di dire che "è proprio una presunzione umana quella di credersi capace di manipolare il mondo senza che il mondo non lo manipoli a sua volta". Sì, questa cosa la descrivo molto nel libro.
Il punto di vista non umano che osservi la questione fra oggetto e soggetto è la "ragione". L'ho anche scritto nell'articolo sulla VERITA' in riferimento a Sini. Parafraso: la ragione non è una questione umana, ma dell'ordine in sé delle cose. Di umano noi abbiamo la razionalità, capacità di leggere la ragione, cioè capace di leggere anche le cose che non sono umane ma del mondo.
Certo! La verità è una declinazione dell'umano, e di tutti gli esseri razionalizzanti, ma una declinazione verso la realtà. Non leggo alcun implosione.
 
Finisco così:
Certo che nel libro trovate risposte più ampie e accurate. Comunque potete incominciare ad approcciarvi alla sua possibilità leggendo gli articoli gratuiti:
 
- sulla VERITA
https://www.academia.edu/31272058/VERIT%C3%80._UNIONE_FRA_REALISMO_E_COSTRUTTIVISMO
 
- sulla COERENZA
https://www.academia.edu/33025670/TEOREMI_DI_COERENZA_E_COMPLETEZZA._Epimenide_G%C3%B6del_Hofstadter
https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
 
 
Per adesso a presto.
Credo mi immergerò in un nuovo articolo
Vito J.C.
 

https://independent.academia.edu/VitoCeravolo
#33
L'articolo che volevo presentarvi ha dei ritardi, quindi lo rimando a più avanti. In compenso vi segnalo che il libro (Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere) da cui la citazione di apertura, è arrivato secondo fra i libri editi presso il Premio Nazionale Filosofia 2017.

Certo, il secondo posto non è il primo, ma è anche da dire che vista le diverse rivoluzioni filosofiche presenti nello stesso, e visto che le "novità" sono solitamente "mal viste", direi... tuttosommato, che non è un cattivo risultato.

I punti forse più importanti del libro sono:

- Ragione come "in sé" (rivoluzione paradigmatica);

- Esistenza come "primo essere";

- Implementazione di un nuovo processo di logica formale.

 

La motivazione pervenutami per il secondo posto è:

Opera fresca e originale che unisce, sapientemente ed elegantemente, filosofia e matematica in un unico processo del pensiero critico.

 

I risultati ufficiali penso usciranno settimana prossima.

Veniamo a noi.

 

In verità, Angelo Cannata, io ho solo detto che è la "affermazione" a non esistere fuori da colui che l'afferma. Ciò che tu ne consegui non è una conseguenza che si spiega senza ricorrere ad argomentazioni fuori dal concetto in essere. Dico:

La presupposizione di "al di fuori della mente" per quanto espressa dalla mente che l'afferma, è la ferrea rivendicazione di quell'esterno che affetta le nostre percezioni e affermazioni (su Spinoza - Etica). L'inoppugnabile influenza degli oggetti sulle nostre affermazioni è a sua volta la ferrea rivendicazione della loro esistenza e della nostra interiorizzazione del loro valore nelle nostre immediate rappresentazioni mentali (su Searse - La mente).  

Esempio: l'immediata esperienza interna di uno con una pietra davanti, include i valori di quella pietra interiorizzati grazie alla percezione e all'apparato neurologico. Sostanzialmente:

- La cancellazione dell'oggetto per la verità del soggetto è un dogma dell'ingenuo nichilista;

- La cancellazione del soggetto per la verità dell'oggetto è un dogma dell'ingenuo realista.

 

In entrambi i casi non esistono argomentazioni in grado di sostenere genuinamente uno o l'altro di questi due sopra-dogma. Si tratta infatti di vere e proprie religioni impedenti la libertà di pensiero. Già nel mio articolo sulla "verità" si può leggere la necessaria esistenza dell'oggetto indipendentemente da uno o l'altro particolare soggetto: https://www.academia.edu/31272058/VERIT%C3%80._UNIONE_FRA_REALISMO_E_COSTRUTTIVISMO

 

Ma su un punto siamo d'accordo Angelo: quando si può dire di fare "filosofia"? 

In generale penso che fare filosofia su dogmi senza argomentazioni forti e, per di più, in aperto contrasto con la formalità e/o la materialità, non sia filosofia. In particolare penso che le due sopra correnti (realismo e nichilismo) siano protofilosofia.

Poi indubbiamente e palesemente, non posso che essere d'accordo con l'affermazione di Myfriend: fare filosofia su ciò che è "impossibile" non è fare filosofia (es: impostare una filosofia sul concetto di "nulla").

 

In merito invece al conflitto che state aprendo fra "realtà" e "immaginazione" e "impossibile"... se qualcuno lo ha letto, nell'articolo sulla verità (cap. 3) ho steso una logica formale che delimita i confini fra queste categorie.

Per carità, non vi dico di comprarvi il libro (costa 18 euro), ma magari almeno gli articoli "gratis" potreste leggerli per riuscire a intravedere la portata filosofica di questo nuovo paradigma della "ragione in sé", da cui, appunto, alcune sue conseguenze... es: un "real-costrutto" in cui si riconosce sia la verità dell'oggetto che del soggetto, "su piani diversi, quindi diversi, ma legati, in dipendenza".

 

Non capisco perché Garbino mi dovrei offendere. Dici per Galilei? In verità la sua non è una forzatura, bensì il processo con cui si basa qualunque processo conoscitivo: la definizione di un fisso per riconoscere un divenire (la fissità delle leggi di natura; la fissità delle determinazioni o astrazioni ecc).  

Poi... certo che il divenire non si ferma per far piacere alla determinazione. Certo che il divenire può essere solo "astratto" per essere determinato, perché ogni determinazione presuppone il suo fissaggio, mentre il divenire è ciò che non si fissa e che per il suo scorrere necessità di momenti sopra cui scorrere, cioè necessità di fissità da cui darsi. Ripeto: il divenire è il passaggio da un fisso a un altro.

Sulla quantistica penso sia un po' più complicato di quello che affermi, soprattutto perché mi sfugge la tua teoria per la quale la matematica cancelli il divenire (hai scritto questo?), anche perché nulla di ciò che presuppone relazioni può escludere quel divenire per cui la relazione stessa è possibile. Per di più in filosofia, e non solo, la matematica è associata al tempo, cioè alle successioni, la scienza delle successioni: da Kant in poi il concetto è abbastanza convenzionale e accettato. Ed io mi ci sposo volentieri (sotto questo aspetto).

 

No  Sciombo: tu parli di affermazione. Io parlo della differenza fra affermazione e oggetto. 

(rinvio all'articolo sulla "verità" per chi non ha il libro).

 

Carino il pensiero di M. Bardella: se esiste l'io allora il nulla non ha senso. Anche se la sua affermazione presuppone l'esistenza chiusa sul particolare soggetto. Cosa che viene superata dal mio paradigma. Da me si parafrasa così: se esiste la "esistenza" allora la "non esistenza" non esiste.



Che semplice tautologia. 



Quando sarà, riporterò l'articolo.

Per ora a presto
#34
Dicevo che non mi viene facile seguire le varie discussioni, e che chissà quando potrò riprendere questo discorso e se mai potrò ancora... Di mio, in questo tempo, mi sono dedicato su un ulteriore articolo filosofico che, teoricamente, a breve dovrebbe uscire su un rivista. Quando sarà, ve lo riporterò per completezza di intenti e sperando di coprire ulteriori domande.

In fondo ciò di cui si parla in questa discussione è quello di cui si parla anche su alcuni libri che ho affrontato per scrivere il mio libro. Anzi... di argomenti a cui rispondere, fra i vari libri filosofici, ce n'è assai tanti. Spero pertanto non sia "offendere" dire che qui non faccio altro che riscrivere cose già scritte nel libro, annoiandomi come un cantante che continua a ripetere la stessa canzone. Però è anche vero che qui si è mossa una degna discussione ed ora che ho un po' di tempo, provo a dire anche io la mia...

Sarebbe veramente ingenuo pretendere di fare affermazioni indipendenti dal proprio "cervello" [cit. Angelo Cannata]. Sarebbe come pretendere di affermare qualcosa senza il mezzo con cui lo si afferma. Assurdo! Direi al quanto contraddittorio... come già in molti hanno dimostrato.
Nessuna affermazione può esistere al di fuori dalla mente che l'afferma. Ma ciò non esclude in alcuna guisa che qualcosa possa esistere al di fuori di quella mia particolare affermazione.
Dove per "particolare affermazione" intendo non solo il mio personale dire, ma anche l'affermazione di un intero genere che non è tutti i generi (come il genere umano). Più semplicemente: come è ingenuo quanto rilevato sopra, ormai è altrettanto ingenuo pensare che il mondo non abbia esistenza al di fuori del genere umano o di qualche altro relativo essere pensante.
Certo! Vi deve essere comunque una "ragione" reggente l'ordine delle cose, le quali, in quanto ordinate, pretendono la ragione per cui si ordinano come tali... Anche da qui la mia filosofia, da cui la compartecipazione nella costruzione della realtà (e verità) fra oggetto e soggetto, da cui l'esistenza di questi ultimi.

In questa mia filosofia (fuori dal nichilismo occidentale) il modo di dubitare sulla realtà si poggia sulla "coerenza dell'affermazione all'oggetto che descrive e a se stessa": cioè una verità non in senso esclusivamente realista ma assieme "costruttivista" (come già vi segnali nel mio articolo sulla Verità https://www.azioniparallele.it/contatti/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html).
Questa è un'altra particolarità derivata dal mettere a "in sé" delle cose la "ragione" la quale è da intendersi in misura differente dalla particolare razionalità di questo o quell'altro essere relativo. In termini di conoscenza: ragione come sostanza di ogni particolare razionalità e irrazionalità (ben intendendo l'oggetto irrazionale come qualcosa privo di cosciente razionalità, ma non privo di quella ragione in sé per cui si ordina).

Dalla mia filosofia non vi è nulla di inadeguato nel considerare il divenire tramite categorie statiche, non solo perché:

  • E' impossibile che si possa determinare qualcosa senza la staticità di tale determinazione (es. contrazione di lorenz);
  • Fisicamente qualcosa si dice in movimento solo se in considerazione a qualcosa preso come fisso (es. Galilei);
  • Il divenire si dà da un punto-fisso all'altro del divenire stesso;
  • Se tutto fosse divenire allora nulla diverrebbe, talché il divenire per esistere necessità dell'immobilità (statica) verso cui divenire, e da cui divenire;
  • Le mutazioni naturali sono guidate da leggi generali, universali, "immobili" (es. s/t=v)
  • La conoscenza del divenire si dà tramite l'immobilizazione del suo scorrere;
  • Qualunque forma dialettica si muove su simboli finiti e statici;
  • Maggiore è la precisione della "posizione" e minore è la precisione del "moto" (principio di indeterminazione di Heisenberg) tale che il divenire (moto) esclude di principio di poter essere determinato per non essere immobile, cosicché non ci rimanga altro che determinarlo nelle varie posizione che assume da uno stato all'altro del suo divenire;
... Ma al di fuori di questo che già dovremmo sapere, per di più nella mia filosofia il divenire è possibile solo per l'immobilità da cui si dà ogni divenire e verso cui ogni divenire tende. Il che garantisce di essere coerenti nella descrizione del divenire tramite quell'immobilità tramite cui il divenire si determina.

La metafisica di mio utilizzo riconosce la verità di stati generali e statici riferiti ad ogni oggetto, quanto di passaggi in divenire riferiti al particolare soggetto. Ossia una Teoria sul mondo-come-è e il «mondo-come-lo-vedo-io»  [cit. Apeiron], intese come verità differenti ma correlate quindi non contraddittorie.

[Apeiron] «Il discorso semmai si sposta sulla seguente domanda: la mappa è più simile ad una "approssimazione" della realtà o ad un semplice modello concettuale?»
Assai complicato è soffermarmi qui sul fatto che, mettendo la "ragione" come "in sé" delle cose, ne segue che la descrizione razionale di un qualcosa, laddove ne rispecchia la ragione (benché tramite le differenze fenomeniche del proprio linguaggio) né è una descrizione adeguata... Ma qui è assai ampio il discorso e vi converrebbe leggere il mio libro per averne una più avanzata e completa argomentazione.

Da me se il non-essere (nulla) assoluto non può essere pensato allora, davanti ad un qualsivoglia pensare, deve essere necessariamente pensato l' "essere" affinché non sia pensato il "non-essere (assoluto)".
Questa è una chiara conseguenza logica la cui negazione porta solo a contraddizioni formali.
ES: Questa frase che segue ha una contraddizione formale, è contraddittoria con se stessa: «se il Nulla Non è allora non può essere nemmeno pensato. Motivo per cui non può essere nemmeno pensato l'Essere.» Questa sembra una frase che ha la pretesa di dire che la "negazione" non sia un derivato della "affermazione", ciò sembra pretendere di poter negare qualcosa che non sia stato prima presupposto... Ma su questo argomento ho scritto profusamente nel mio articolo in prossima uscita e che spero di riportarvi a breve.

Nel mio libro ho parlato diffusamente dell'impossibilità di una incoerenza reggente: «Un'incoerenza generale, cioè, incoerente col suo stesso intento di essere la descrizione coerente delle cose.» pp. 54-58

Da me la soggettività non esclude l'oggettività come il soggetto (pensante) non esclude l'oggetto (pensato), ma anzi ne è relativamente una conseguenza, coincidendo (soggetto-oggetto) all'infinito; da cui la "ragione in sé" come coincidenza fra soggetto e oggetto, come medio di contatto e possibilità di conoscenza.

Vale per tutti che se "x" ed "y" esistono allora esiste l'insieme "z" degli stessi: così accade sia in coerenza formale sia davanti a qualsiasi caso materiale. Fino a prova contraria? Già. (cfr. Mondo. Strutture portanti)
Il che, come dicevo sopra, non esclude la verità soggettiva. E poi, in fondo, è chiaro che qualunque affermazione è una pretesa di assolutezza, anche quando dico che "assolutamente qui ed ora a me piace il caffé", o come quando affermo che la verità non esiste o... Accipicchia! E' chiaro come ogni dichiarazione soggettiva è un ergersi sull'oggetto della propria dichiarazione, cioè il soggetto sull'oggetto. (Cfr. Articolo sulla verità)
Viene da sé che non basta che una comunità intenda come vera una cosa per far si che essa sia vera, come quando tutti credevano che la Terra fosse piatta, così come la verità oggettiva non toglie la possibilità di verità personali.

[acquario69] Dove sei quando non sei presente a te stesso?
«Dove qualcosa d'altro oltre sé c'è, ci si può trasformare da un sé a un altro diverso sé, dove ogni distinto sé è identico a se stesso e non ad altro, quindi portatore individuale dell'infinita uguaglianza del sé con sé.» p. 168

Ora mi stacco... Anche perché capisco il forte distacco e difficoltà a comprendere la mia filosofia solo su sprazzi sparsi qua e là di "ragioni"... e le innumerevoli conseguenti domande che, in generale, trovano comunque argomentazioni sul mio libro in questione.
Oltre al fatto che voi, dopo diverse discussioni, avete slittato il discorso sull'etica, la violenza e altre questioni su cui mi azzittisco.


P.S. Per quanto sembri strano dirlo da un paradigma di "ragione in sé", nella mia filosofia l'amore è il culmine sensibile. Da cui un'etica assai diversa dalla "cattiveria personale" su cui si erge un ingenuo nichilismo o dalla "cattiveria universale" opprimente l'ingenuo realista. Ma su tali caratteri di "cattiveria", come detto sopra, mi azzittisco.
#35
La cosa più difficile è sicuramente capire che tale risoluzione iniziale, come anche le mie spiegazioni passate, presenti e future, sono inconcepibili ed esulano dall'attuale dominio del nichilismo occidentale.
Avete scritto tanto e non posso rispondere ad ognuno, però cerco di riportarvi alcuni passaggi che possono aiutare nell'immergersi in questo nuovo modo di fare filosofia. 
Il resto purtroppo, per quanto possiate trovare risposte nel libro da cui la citazione in apertura, qui non le riporto... mi chiederebbero uno sforzo di ricerca nel libro non indifferente e che non mi posso permettere in questo periodo.

CONSERVAZIONE DEL PASSATO
«Il risultato del divenire conserva sia l'esser divenuto che l'origine da cui diviene, diversamente (come Severino) il risultato non sarebbe un mediato del divenire, ma un qualcosa che si dà immediatamente, senza alcun passaggio diveniente.
Nel risultato del divenire, dunque, come in qualunque altro risultato, debbono conservarsi i valori per cui il risultato è tale (divenuto), ma non è nel particolare risultato preso in esame che si deve conservare necessariamente la totalità di ciò da cui il risultato si dà. Ovvero: la totalità di ciò che dà un risultato può in parte conservarsi anche nell'ambiente esterno a quel particolare risultato, se vi è un ambiente esterno. Per esempio: [...]»

VALORE DEL NULLA ASSOLUTO
La sopra definizione si poggia sulla non esistenza del nulla in assoluto, cioè sul fatto che nulla si dà dal nulla o finisce nel nulla, poiché non esiste. Cosicché del nulla non si può dire nulla e qualunque pensare il nulla non è altro che pensare a qualcosa che non è nulla: essendo impossibile pensare senza l'oggetto pensato, allora il nulla assoluto, non essendo alcun oggetto, non può essere pensato.
La sopra soluzione della domanda iniziale, poggia semplicemente sul concetto di nulla inteso in assoluto. Pertanto non si potrà mai coglierla fin quando si continua nichilisticamente a pensare che il nulla sia qualcosa da cui si dà altro o in cui è possibile accadere: il nulla non accade e tutto ciò che accade non è nulla. Di conseguenza è possibile solo l'accadere di ciò che ha valore, quindi è.
Sotto questo punto di partenza, possiamo sospendere la definizione di tutto ciò che è (dai suoi apparenti paradossi alle  altre varie problematice), in quanto la definizione in apertura, mira solo a definire la necessità dell'essere davanti all'impossibilità dell'accadere del nulla. Quindi sotto questo punto di vista a noi è sufficiente affermare il nulla assoluto come qualcosa che di principio è impossibile a qualunque definizione (sia reale che immaginaria). Cosicché noterete che qualunque mia definizione del nulla altro non è che la definizione della sua impossibilità definitoria: similmente a come si definisce che il rotondo-quadrato non è di principio definibile perché impossibile. E, ripeto, non si può comprendere la definizione di apertura se non si accetta il detto presupposto: A=A. Il che è naturalmente incomprensibile alla filosofia di natura nichilista.
[maggiori dettagli su Mondo. Srutture portanti]


DIFFERENZA FRA PENSIERO E REALE
«è vero ciò che accade nel mondo psicofisico (verità fisico-concettuale) ed è falso ciò che accade solo nel mondo immaginifico (es. sogno)» 

«non sempre l'ordine e la connessione dei nostri concetti sono uguali all'ordine e alla connessione delle cose; solo quando il nostro concetto sia la verità dell'oggetto (o rapporto) trattato»

RICONCILIAZIONE FRA OGGETTO E SOGGETTO
Vi consiglio la lettura gratuita di questo mio saggio dove tratto alcune soluzione dell'argomento
#36
Grazie mille per i tanti testi riflessivi.

L'ordine formale a fondamento di questa filosofia (e quindi di questo genere di soluzione della domanda in oggetto), si basa su A=A. Ne segue l'allontanamento di questo paradigma dal nichilismo occidentale imperante (cioè da "nulla è" ovvero A≠A).

Come detto da alcuni sopra, qui si tratta di una trasformazione di ciò che è e dell'impossibilità di trasformarsi in niente (assoluto) perché non esiste.
In questo senso, per quanto sia vero che "nulla è nulla" sia una tautologia, altrettanto vero è che predicare nulla di qualcosa è dire che essa "non è" ciò in cui si predica "nulla". Ne segue che "Nulla è nulla" si trasforma in "nulla non-è"; così come "Aristotele è nullamente-giallo" significa "Aristotele non è giallo".

Penso che una delle più importanti novità di questo libro sia proprio il basare la sua ricerca partendo dall'identità originaria formalmente incontrovertibile, cioè A=A; il che (come dagli esempi sopra) impedisce che il nulla assoluto sia qualcosa, ovvero impedisce la possibilità di A≠A.

Se mi posso permettere, vi segnalo la pubblicazione di un saggio sulla Verità introduttivo a questo pensiero, pubblicato per la prima volta presso «Azioni parallele" a questo indirizzo
http://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html

Sperando possa dare un contributo a capire le linee formali e di ricerca di verità che hanno portato alla soluzione della domanda in oggetto.

Sempre grazie per il genuino confronto
Vito
#37
Mi spiace doverlo ripetere ma la tua posizione e formalmente una contraddizione logica. Nel dire che il "nulla è" affermi che l'essere è nulla e ciò sta alla base per eccellenza del nichilismo; oltre che di altro.
"Nulla è" non equivale a "nulla =" ma a "nulla = è". In questo tuo passaggio confondi la copula con la predicazione.
Comunque esistono tanti centri logici (o libri) dove puoi presentare (o confrontare) la tua teoria e così verificare quanto sia vera la mia affermazione: ciò che scrivi è formalmente una contraddizione logica e tu stai basando la tua teoria su A≠A. 
Capisco che il tuo intento sia altro, ma comunque questo è il risultato. 
Se tu vuoi continuare a pensare che quello che hai scritto è logica formale, fai pure, ma io ti consiglieri un confronto con qualche gruppo logico.

Nota che io non ho mai parlato di indifferenza fra fisicità e immaginazione: infatti so bene che una cosa può esistere solo nell'immaginazione e non nella realtà fisica. Questo fa cadere le tue parole di apertura del tuo ultimo post: "confondere questi due aspetti ben diversi".
No, non ho confuso proprio nulla e non capisco da dove tu abbia pensato a questa confusione (non ho confuso né il soggetto col predicato, né la copula con la predicazione, né la realtà fisica con l'immaginazione) . Ho solo ricalcato quanto il nulla non sia possibile né fisicamente né concettualmente, sia attraverso esempi fisici sia attraverso esempi formali.
La tua idea di pensare il nulla assoluto è solo un'illusione. Qualunque definizione tua immaginifica o di pensiero non è altro che, per definizione, una determinazione di un qualche valore, al massimo di un qualche nulla relativo, mentre il nulla assoluto è privo d'ogni tipo di valorizzazione, anche immaginifica. 
Io non sono mai riuscito a pensare al nulla, neanche ad immaginarlo. Tutti i pensieri e le immagini mentali sul nulla si sono sempre dimostrate definitorie di un qualche valore, come il "vuoto nero" ... un'attrazione ecc. Ogni pensiero è una determinazione e ciò esclude da esso qualunque cosa sia priva di qualunque determinazione. Appunto il nulla assoluto.
Ma comunque questa tua posizione è chiaramente derivata dal tuo convincimento che "nulla è" è un'espressione vera. 
Non so se ti può essere utile, ma anche il nichilismo e altri similari basano la propria teoria su "nulla è", benché loro siano consapevoli che questa è una contraddizione logica-formale, ed è anche per questo che hanno bandito la logica formale a fronte di una dialettica priva della stessa logica-formale.
#38
Del nulla non si può dire altro che non esiste e quindi che non ha alcun valore per cui essere definito. E tanto non esiste fisicamente quanto non esiste concettualmente. 
Tutte le descrizione del nulla che vadano oltre l'affermazione della sua impossibilità definitoria (affermo che non esiste perché per principio non posso affermarne l'esistenza) non sono altro che descrizioni di un nulla relativo, come uno spazio vuoto con la sua precisa struttura metrica finita o infinita, come il vuoto quantistico con le sue profonde leggi matematiche ecc.
Nessuno è in grado di immaginare il nulla o pensarlo, anche nel silenzio dei propri pensieri permane un ronzio di fondo come nella radiazione cosmica universale. E questo non è solo un concetto fisico che impedisce di principio la costituzione del nulla, ma è anche concetto logico-formale, perché qualunque pensiero o immaginazione si riferiscono sempre ad un oggetto, mentre il nulla assoluto non è qualcosa. 

Il nulla non è tanto pensabile-creabile fisicamente quanto concettualmente. Ogni pensiero che s'illude di pensare  il nulla, o qualunque fisicità che s'illude di creare il nulla, a nient'altro si approssima che ad un oggetto e al suo valore. Al più si approssima ad un nulla relativo (come il sopraddetto spazio vuoto, il vuoto quantistico ecc).

Nella logica formale il nulla non è, mentre dire "nulla è" è semplicemente una contraddizione logica A≠A. Questa non è una opinione ma un fatto formale.
La logica di cui parli tu ("nulla è") è prettamente dialettica e non formale. E so bene che esistono "filosofie" che basano il loro presupposti sulla contraddizione formale A≠A  a favore di dialettiche che tutto possono dire. Ma io non sono di queste ultime correnti e nel libro cerco di mostrarne il superamento. 

Poi è vero (come vediamo nel passo successivo) che dire "nulla è nulla" altro non significa dire "nulla non è". Ma ciò non toglie che dire "nulla è" rimane pur sempre una contraddizione fin quando non viene negata attraverso il predicato "nulla": perché nel "nulla è" il verbo essere assume una predicazione esistenziale, cosa in contraddizione col non-valore del nulla.

Le eccezioni non fanno parte della mia filosofia. La mia metafisica copre ogni caso senza alcuna eccezione. Le eccezioni sono casi che mostrano un difetto della regola, e questo è un fondamento della mia filosofia. E in questa mia filosofia la struttura linguistica è uguale per ogni cosa senza alcuna eccezione; sarà poi il contenuto della forma linguistica a decretare uno o l'altro valore o alcun valore.
"X (soggetto) è (copula) nulla (predicato)" significa che X non ha valore. Qualunque cosa sia X. 
"X (soggetto) è (predicato)" significa che X ha valore. Qualunque cosa sia X. 
ecc.
In sostanza bisogna sempre differenziare quando una cosa viene posta come soggetto o predicato. La mancanza di tale differenziazione è fonte di errori e paradossi irrisolvibili. 

Con calma leggerò.
#39
Mia colpa in errata corrige:
1) La frase giusta è: "Esiste poi una nuova definizione di esistenza che parte dal suo significato originario": quello di avere l'essere portandolo esplicitamente nel suo significato.
2) Errato è anche il nome "Aldo Moro" che in verità è Andrea Moro.

La mia buona fede in questi due errori si riscontra nel libro in cui invece vengono riportati correttamente, sia Andrea Moro in bibliografia che la differenza etimologica fra essere ed esistenza:
 
-  L'esistenza consiste etimologicamente nello stare (in latino existere da ex e sistere forma derivata da stàre): l'esistenza sta [...] nel permanere;
-   L'essere si compone etimologicamente nell'esistenza (radice da es nelle lingue di ramo europeo, contenente la nozione di esistenza): l'essere esiste [...] nel divenire, una sorta di attività come lascia intendere la forma participiale inglese be-ing. [p. 123]

E questo è uno dei motivi della sopra nuova definizione di "esistenza", etimologicamente valido e completo. Ma la definizione di una parola è anche il suo vocabolario, che è quello tramite cui la riconosciamo e distinguiamo da un'altra; e l'esistenza ha l'essere esplicitamente nel suo significato mentre l'esistere si cova nell'essere.
Quindi il problema non è certo la mia ivi definizione completa di "esistenza", ma sta su un altro piano: nel millenario conflitto per il quale il principio primo è nel contempo finito e infinito. Questo conflitto ci catapulta sull'altro tuo discorso, un conflitto aperto che rende valida tanto la tua definizione di limite quanto la mia definizione di finita perfezione [pp.122, 124].
Ma questi sono solo uno dei modi di parlare del detto "millenario conflitto finito-infinito del principio primo". Il che non toglie le altre forme con cui se ne può parlare e se ne è parlato da Parmenide in poi: immobile; divenire; ecc.
Il libro si poggia sulla possibilità di risolvere positivamente questo apparente contraddizione, cioè risolverlo attraverso la logica formale.

Nella citazione in apertura, comunque, si chiarisce che tale soluzione della domanda heideggeriana passa attraverso una differenziazione fra nulla assoluto e nulla relativo.  Il che mi permette di arrivare a tale risoluzione heideggeriana attraverso vie diverse dal detto contrasto millenario (benché l'abbia obbligatoriamente trattato, ma attraverso termini puramente esistenziali). La teoria di fondo è questa: se c'è un principio primo per tutto allora tutto ha, in linea di principio, un percorso di riconduzione al detto principio. Cioè: esistono tante strade per dare una soluzione corretta ad un dato problema, benché ogni diversa sintesi (strada) generi uno o l'altro insieme di relazioni descrittive che, se ben utilizzate, devono coesistere reciprocamente senza contraddirsi logicamente, appunto per la medesima unità di fondo per cui si danno [p. 75]
Ammetto che il libro da cui questa citazione è esteso.
#40
Mentre il nulla non è definibile, se anche il tutto non lo fosse allora nulla sarebbe definibile, neppure le parole che ci scambiamo; oltre al fatto che ciò contraddirebbe l'indefinibilità del nulla e la perfetta determinazione del tutto che in quanto tutto è la determinazione di ogni cosa.
In questo senso il nulla non può avere alcun tipo di esistenza perché se l'avesse il tutto non sarebbe tale; deve cioè negarsi all'esistenza all'infinito, implicandola negativamente.

Esiste poi una nuova definizione di esistenza che parte dalle sue origine etimologiche:

L'esistenza è la sostanza d'ogni cosa che è. Ciò che non è prodotto da niente se non da sé. Il suo esistere, cioè avere l'essere, è proprio della sua natura. [p. 118]

"Nulla non c'è" rimane un derivato negativo dell'esserci, mentre dall'essere si dice "nulla non è". In entrambi i casi si ha l'annullamento di una possibile qualità ed esistenza del nulla, qualcosa che sta alla base di quel tipo di filosofia che trova nella logica formale una guida A=A. 
Invece "Nulla c'è" come "c'è nulla", se da una parte colloquiale sono qualcosa di utilizzato, dall'altra scientifico-filosofica sono qualcosa di concettualmente contraddittorio A≠A. 

L'inversione verbo predicato funziona così:
1) verso "l'uomo (chi) mangia (fa)" 
1a) inverso "mangia (fa) l'uomo (chi)" 

2) verso "l'uomo (chi) mangia (fa) il chinghiale (cosa)" 
2a) inverso "il chinghiale (cosa) l'uomo (chi) mangia (fa) "

3) verso "Marc Marquez (chi) Batte (fa) Valentino Rossi (cosa)" 
3a) inverso "Batte (fa) Marc Marquez (chi)  Valentino Rossi (cosa)"

In sostanza la frase, con l'inversione verbo soggetto, cambia significato solo se si invertono fra loro anche i significati di "chi" fa e "cosa" fa; ma in questo caso si ha una frase completamente diversa, mentre io ho parlato solo di una inversione predicato-soggetto, e non di un'inversione dei significati e valori delle parole utilizzate. 
E comunque questa è una posizione linguistica che condivido, non solo per la sopra dimostrazione, ma riconosciuta anche in ambito linguistico, come per esempio da Aldo Moro (Breve storia del verbo essere) oltre che da molti altri su cui non mi dilungo. 

La frase "non esiste nulla" non è data da una doppia negazione ma da una sola negazione che si applica su un oggetto. Esattamente "non esiste A" non è una doppia negazione, indipendentemente se l'oggetto A sia una pera, una mela, tutto, nulla, la pragmatica ecc.

La particolarità paradigmatica da cui si erge questa piccola citazione, è un nuovo paradigma che riconosce la verità sia dei fenomeni che della cosa in sé. Tale paradigma è anticipato nella quarta di copertina del libro di riferimento (per leggerla cliccare sopra uno dei link nel post di apertura). 

Sull'opposizione bisogna logicamente accettare formalmente (logica formale) che ogni cosa ha la sua negazione, anche se questo è sicuramente un problema fondamentale.
Ci tengo comunque a precisare che in rigore di questo particolare "nuovo paradigma", se la predicazione è riferibile sensatamente solo al soggetto predicante, ciò non necessariamente nega l'esistenza di una cosa al mancare di questo o quell'altro particolare soggetto.
#41
«[...] affinché il nulla non esista deve negarsi all'esistenza implicando così l'esistenza stessa. Una logica negativa per cui è necessario che esista l'esistenza per la non esistenza del nulla [...].
[...] Se il "nulla assoluto" è impossibilitato a esistere per la sua identità priva di valore, allora il nulla non può accadere e necessariamente deve accadere qualcos'altro affinché ad accadere non sia il nulla. Che è come dire: il nulla non può esserci, altrimenti il nulla sarebbe, ma se il nulla non può esserci allora "qualcosa"; perché: se non c'è nulla allora o c'è nulla, il che contraddirebbe il non esserci del nulla, o c'è qualcosa. E badate bene: se con l'inversione verbo-soggetto la frase non cambia di significato, allora il misterioso "non c'è nulla" brilla come "nulla non c'è" quindi necessariamente qualcosa. Anche se poi "non c'è nulla" o "nulla non c'è" possano rispondere a domande diverse, pur mantenendo lo stesso risultato. Relativamente si potrebbe dire: "non c'è nulla di quello che intendevo ma c'è altro" oppure "nulla non c'è, guarda bene". A questo punto sospendiamo qui la domanda heideggeriana e riassumiamo le diverse logiche sopra espresse [...]»


Ceravolo V.J., Mondo. Strutture portanti, Editore Il Prato, Collana Cento Talleri, 2016 (dicembre), Nihil negativum e privatum, pp. 133-134

Libro sul sito della casa editrice Il Prato, collana Cento talleri
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Ciò che qui ho riportato è un piccolo estratto del paragrafo "3.15. Nihil negativum e privatum" del suddetto libro, dove si esamina la differenza fra nulla assoluto e relativo, così da abbattere ciò che Jim Holt (Perché il mondo esiste?) chiama "l'ultimo baluardo del nichilismo".