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Messaggi - Sariputra

#301
Nel 1963, anno molto importante per il sottoscritto visto che "ridiscendevo nell'utero"  ;D   , vinceva il premio Hugo un romanzo di science fiction dal titolo "The Man in the High Castle"  ("La Svastica sul Sole" in italiano) di Philip K. Dick- Si trattava di un romanzo del genere "ucronico" (L'ucronìa, anche detta storia alternativa, allostoria o fantastoria, è un genere di narrativa fantastica basata sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale. Per la sua natura, l'ucronia può essere assimilata al romanzo storico o alla fantascienza e si incrocia con la fantapolitica, mescolandosi all'utopia o alla distopia quando va a descrivere società ideali o, al contrario, indesiderabili... def.da Wikipedia). Venne pubblicato in Italia anni dopo, quand'ero un adolescente inquieto e spesso malato che usava fantasticare. Lo lessi non capendoci granché. DicK infatti escogitò un "romanzo nel romanzo" così contorto che lo rendeva molto ostico e poco 'lineare'.
Il romanzo in pratica narrava di una società attuale in cui l' Asse però aveva vinto la guerra. Il nazismo e l'imperialismo nipponico dominavano il mondo intero. Hitler era morto e i suoi successori continuavano una politica di pulizia etnica all'interno di un un regime fortemente dittatoriale. Avevano tentato, fallendo in parte, il genocidio della gran parte della popolazione africana (vi ricorda qualcosa?...). L'imperialismo nipponico invece si era molto stemperato e incominciavano a manifestarsi i primi vagiti di una sorta di democrazia . L'Italia , come alleata poco  influente sull'esito della guerra, anzi come 'palla al piede' del nazismo si era dovuta accontentare delle briciole dalla spartizione post bellica (tutto molto coerente e plausible quindi...). In pratica estendeva il suo domino solo sul MedioOriente e  parte del Maghreb. Gli Statu Uniti, sconfitti, avevano subito il destino speculare riservato alla Germania: gli stati orientali erano sotto controllo nazista , gli stati occidentali sotto quello giapponese e quelli centrali formavano una sorta di "cuscinetto" . Si manifestavano infatti già i segni dell'inimicizia tra i due grandi vincitori (Usa e Urss nella realtà storica..) che si contendevano il dominio del pianeta. All'interno di questa narrazione , Dick inserisce la storia di uno scrittore che scrive un libro ucronico in cui si narra che la guerra è finita con la vittoria degli Alleati e con la spartizione del mondo tra USA e Urss...(La cavalletta non si alzerà più -The Grasshopper Lies Heavy- "cavalletta" come simbolo del nazismo...) .
Si formano così due universi paralleli che si escludono e tuttavia si sognano e si temono l'un l'altro. Due binari della Storia su cui corrono due Mondi.
Questa lunga premessa per porre un quesito: se, ad ogni causa succedesse più di un effetto, creando così in continuazione mondi altri, coerenti con la causa che li ha prodotti, sarebbe possibile, secondo voi, dimostrarne l'impossibilità? E visto che si discute di causa-effetto, casualità o di 'probabilità' la butto là... ;D
#302
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Maggio 2019, 02:27:01 AM
Citazione di: Sariputra il 17 Maggio 2019, 00:31:29 AMEcco dunque una valutazione dall'interno dell'esperienza detta 'mistica' di ciò che racconta il Carlo: personalmente ritengo trattarsi di uno stato intermedio che invito umilmente Carlo, se interessato, ad approfondire senza considerarlo come una 'meta' raggiunta. Si può e si deve 'procedere oltre'... restando "semplici"...Cosa significa "restare semplici" nel contesto di un'esperienza di questo tipo? Significa viverla con serenità senza supporre di aver raggiunto alcunché. Assaporarla come la vista della pioggia sulla montagna... "Saper scomparire" dice Ajahn Brahm... ;D
CARLO Non so bene cosa intendi con "procedere oltre". La visione del Caduceo mi ha "iniziato" ad una ricerca a 360 gradi grazie alla quale ho scoperto che non si tratta di un archetipo tra i tanti, ma della rappresentazione "grafica" dell'"Archetipo massimo", cioè, di un principio universale, l'equivalente del Tao-yin-yang cinese, che nella nostra cultura è conosciuto come il principio di complementarità degli opposti, di cui ho già sintetizzato le "regole" principali. Ho scritto due migliaia di pagine di applicazioni nei più svariati campi della conoscenza: psicologia, simbologia, logica, teologia, filosofia, ecc., e ho abbozzato anche una teoria sulla storia della nostra cultura modellata sulla complementarità. Ma il mio scopo finale è dimostrarne la validità nel campo della Fisica, perché solo in questo modo è possibile unificare le due "polarità" del sapere (scienze fisiche e scienze dello spirito) sotto un unico principio i cui attributi (unità, dualità, trinità, onnipresenza, trascendenza/immanenza, ecc.) coincidono - ed è già evidente - con quelli che da sempre la tradizione religiosa ha attribuito a Dio. Qualcosa come un Principio-Dio che è, insieme, principio logico (dialogica), filosofico (dialettica), psicologico (il Sé), simbolico (gli archetipi sono strutture yin-yang-Tao), principio storico, ecc.. Pertanto, per me, "procedere oltre", significa soprattutto portare a compimento questo cammino fino a fare della Complementarità anche principio della Fisica, piuttosto che procedere in un percorso di perfezionamento interiore personale. Tantopiù, che, specialmente durante i primi anni di ricerca, nei momenti di maggior concentrazione ho avuto delle altre fugaci visioni che sono state determinanti per superare certi momenti di "stasi evolutiva" della ricerca. La più "illuminante", quella che mi ha dato una piena comprensione del concetto di "archetipo" - che è centrale nel mio percorso - l'ho raccontata in questo thread: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/ Lo ripropongo perché con una semplice immagine "spiega" l'archetipo con semplicità e poesia, meglio di pagine e pagine di elucubrazioni filosofiche. VERDI - Ah, forse è lui, op. Traviata https://youtu.be/reVVlOVRctA?t=82


E' un obiettivo realisticamente difficile da raggiungere perché dovresti far accettare a chi è dogmaticamente e rigidamente 'materialista' e che ha fede solo nella dimostrazione scientifica  l'oggettività di un vissuto soggettivo che, per definizione, sfugge a simile 'staticità' delimitante.
In più lo vorresti fare con le stesse modalità di una ricerca empirica scientifica.
Praticamente vorresti rendere oggettiva sia la misura della fetta di salame tagliata che il piacere soggettivo dato dal gustarla...
Comunque rispetto la tua nobile aspirazione : Il principio di complementarietà come 'scienza del tutto'. 

Ciao
#303
Dire "vince facile" lascia intendere che si voglia competere per affermare la superiorità di un sistema su un altro.  Invece di arrivare ad una dialogo produttivo che ne rispetti la peculiarità e l'importanza specifica si vuole 'sopprimere', per così dire, anche la possibilità stessa di questa dialettica, imponendo un'unica visione del reale. 
In questo senso io intendo il dogma 'materialistico', esattamente come un tempo s'imponeva il dogma spiritualistico, con tutte le nefande conseguenze storiche che conosciamo.
E sempre, quando si vuole uniformare la diversità in un unico contenitore, sorge inevitabile il conflitto. Perché la diversità non ama essere imbrigliata e sottostare a concezioni che, a loro volta, si basano su premesse indimostrabili.
Quindi , personalmente, non 'riciclo' materiale  simbolico per vincere facile in una gara fra simboli, e sono ben consapevole dei limiti del mio dire che devono sottostare a questa gabbia...
Mi sembra che sei più te quindi, in questo frangente specifico,  che tendi a restare "nel chiuso della propria concezione della realtà che non è l'unica possibile". Infatti neghi assolutamente anche la possibilità stessa dell'esistenza di altre "visions" della realtà che non quella 'materialistica'... :)


Ciao
#304
cit. Ipazia: Compreso il "sistema ideologico" che sorregge questa affermazione; la quale scivola facilmente lungo il piano inclinato epistemologico delle vacche tutte nere e del relativismo etico, inteso nel senso volgare di Bergoglio e non in quello philosophisch pluriplanare di Phil (Il quale ha ragione, ma comunque ci siamo capiti lo stesso)


Non affermo un sistema ideologico, come fai tu, ma lo critico dialetticamente. E' un'altra cosa. Cerco di stabilirne i limiti razionali. Stabilire i limiti non significa affatto cadere nel relativismo etico  " inteso nel senso volgare di Bergoglio " che mi sembra tutt'altro che relativista in senso etico.

cit.:Venendo al "dogma materialistico", non mi pare sia così sprovveduto. Ha saputo far tesoro di tutta la cultura umana, inclusa quella orientale con le sue tecniche di meditazione e il suo sistema, "indimostrabile" ma profiquo, di unità psicosomatica

Mai affermato che sia sprovveduto, anzi, è assai agguerrito...e agguerriti sono anche i suoi sostenitori,vista anche la "ferocia" con cui viene difeso... ;D

Il "dogma materialistico" ha indagato minuziosamente gli stati esp dimostrandone la ciarlataneria truffaldina o lo stato alterato della psiche nelle sue forme nevrotiche, isteriche, paranoiche e schizofreniche, peraltro evidenziabili e riproducibili deterministicamente per via chimica. Esso ha indagato le visioni "normali" e patologiche negli stati di veglia e onirico elaborando teorie che riconducono al vissuto del soggetto, senza bisogno di scomodare entità mistiche ancestrali o extraterrestri. Per far ciò ha studiato i meccanismi di imprinting e le pulsioni innate laddove sono radicate le emozioni ovvero gli "archetipi" trasmissibili via DNA che costituiscono la base del sistema operativo umano su cui si applicheranno gli sviluppi dell'imprinting e delle cure parentali. Lo studio prosegue a tamburo battente e non si accontenta della "manipolazione simbolica del reale" ma cerca il reale laddove esso si nasconde.

Lo stato in sè non è ciarlataneria truffaldina, semmai lo diventa quando si vuol truffare usando certi termini o spacciandosi per possessori di poteri paranormali. Anche molti medici materialisti, per es., truffano il prossimo per fare soldi. Riguarda l'avidità umana, non lo stato in sé.
Esatto, lo studio continua, ma mi sembra che si tirino le conclusioni un pò troppo affrettatamente. Gli stati provocati dall'uso di sostanze stupefacenti, tipo gli esperimenti con LSD, non hanno nulla a che fare con gli stati detti 'mistici', ma il problema è che non è possibili decsrivere l'esperienza mistica. Chi ne fa esperienza conosce perfettamente la differenza.
Non confondiamo le allucinazioni o gli stati onirici con lo stato mistico che è altra cosa. Il fattore consapevolezza è totalmente diverso.

 cit.:non si accontenta della "manipolazione simbolica del reale" ma cerca il reale laddove esso si nasconde.

Formulando quindi nuovi simboli.   ;)

Ciao
#305
Citazione di: iano il 17 Maggio 2019, 01:04:44 AMIl mondo in effetti , pur con la sua trama necessaria di cause ed effetti , sembra una pura storia inventata.

La trama necessaria in un mondo, alla fine, non necessario...che beffa.. :(
#306
Ogni sistema si regge su premesse indimostrabili.
Il fatto che oggigiorno domini il paradigma materialistico non significa che è più 'vero' degli altri.
E' semplicemente una fase storica della manipolazione simbolica del reale.
E proprio accettando la 'sfida' lanciata, in un certo senso, da Davintro, cioè la critica all'esperienza delle visioni nella fase detta 'mistica' volevo aggiungere qualcosa.
Ogni stato di meditazione profonda porta l'insorgere di stati mentali particolari. Può esserci la visione di immagini archetipiche, ma anche la percezione di 'demoni mentali', assai terrificanti durante questa fase che si possono però superare ( questi 'demoni mentali' terrorizzanti quasi sempre si presentano anche nelle notti travagliate che precedono la morte, come ben sa chi assiste i morenti ancora coscienti), se si riesce a controllare il terrore, approfondendo ulteriormente lo sviluppo dell'assorbimento meditativo detto di "accesso" e tornando con la concentrazione sull'oggetto di meditazione .
A volte , come mi par di ricordare nell'esperienza personale raccontata da Carlo, può esserci l'irruzione di queste immagini a seguito di uno stato mentale che l'individuo non percepisce subito come di 'assorbimento', ma è piuttosto raro e , di solito, è la risultante di una concentrazione pregressa importante.
L'importante è non fermarsi su queste immagini, ritenendo di aver ottenuto un risultato finale, una 'meta' per così dire. Il 'lasciar andare' queste immagini è un'ulteriore fase di 'assorbimento' che è necessaria, almeno finchè non compare un "nimitta". Un nimitta, nella concentrazione d'accesso,  è un cerchio di luce che si forma  e che viene visualizzato (impropriamente..) come situato tra i due occhi, sulla fronte. In realtà è un'immagine che appare allo sguardo interiore che diventa via via più intensa e luminosa. Qualunque buon meditante è in grado di sviluppare un nimitta abbastanza rapidamente. Il problema è che, attualmente, le persone non riescono a mantenere con fermezza la concentrazione univoca per molto tempo. La loro mente 'vaga' in continuazione e si perde in un continuo chiacchericcio interiore. Naturalmente, se si arriva a questo punto, si ha una concentrazione univoca sul nimitta formidabile, che impedisce il sorgere di qualunque pensiero.Infatti il significato di 'nimitta' sarebbe "indiscernibilità delle caratteristiche" in funzione delle quali caratteristiche la coscienza comune non può fare a meno di distinguere le persone, i fenomeni e le cose. Non che le cose perdano ogni caratteristica: è, per così dire, il loro vario 'peso' , la loro varia distanza rispetto alla coscienza liberata che viene meno.Esse divengono a se stesse l'estrema istanza. A questo punto, e qui viene il difficile, bisogna 'lasciar andare' anche il nimitta...e poi si prosegue...
Ecco dunque una valutazione dall'interno dell'esperienza detta 'mistica' di ciò che racconta il Carlo: personalmente ritengo trattarsi di uno stato intermedio che invito umilmente Carlo, se interessato, ad approfondire senza considerarlo come una 'meta' raggiunta. Si può e si deve 'procedere oltre'... restando "semplici"...Cosa significa "restare semplici" nel contesto di un'esperienza di questo tipo? Significa viverla con serenità senza supporre di aver raggiunto alcunché. Assaporarla come la vista della pioggia sulla montagna...
"Saper scomparire" dice Ajahn Brahm...  ;D
#307
Ma...se, per esempio, tutti i cavalli vedessero unicorni alati nel cielo, la loro percezione oggettiva della realtà darebbe per certa la presenza di questi e nessun cavallo dubiterebbe della realtà degli unicorni alati, mentre per noi ovviamente non esistono unicorni alati.
Ovviamente i cavalli non potrebbero comunicarci la realtà (per loro) degli unicorni alati e noi non possiamo conoscere la loro realtà "oggettiva" percettiva.
Se oggettivo è ciò che è intersoggettivo comune, l'unicorno alato visto da tutti i cavalli sarebbe considerato certo e oggettivo dai cavalli.
Noi non vediamo unicorni alati nel cielo e siamo perciò certi, intersoggettivamente, che non esistono.
Ma tutto ciò di cui possiamo essere certi è ciò che percepiamo intersoggettivamente come esseri umani, ma non in assoluto.
Perciò dire che una data realtà percepita è "certa" e non ve ne sono altre è un postulato di fede.
Manca quello che chiamo "il garante esterno" della nostra oggettività percettiva, come ho dimostrato nell'esempio del mangiatori di funghi...
Pertanto, nel caso in questione delle cosiddette 'visioni mistiche', abbiamo numerosi individui che, nel corso della storia umana, hanno un certo tipo di percezione di "archetipi" (Carlo dice multisensoriale...), che non sono comuni nella grande maggioranza , ma sui quali bisognerebbe sospendere il giudizio in quanto non dimostrabili 'oggettivamente' (in quanto non sono intersoggettivi comuni...)ma abbastanza numerosi e coerenti fra loro, attarverso tutte le epoche,  da potersi configurare come 'possibilità limite' della 'mente'...
L'esperienza spirituale detta 'mistica' è sempre un vissuto soggettivo, ma lo è anche la percezione della cosiddetta 'realtà'... :)
#308
Tematiche Filosofiche / Re:L'immagine della realta'
16 Maggio 2019, 10:33:36 AM
Citazione di: Ipazia il 16 Maggio 2019, 10:26:49 AMVi è forse qualche alternativa alla ricerca medica per curare questa patologia ? Magari se la ricerca medica fosse indipendente dal Mercato e dalle sue priorità di guerra e di pace si potrebbe fare di più sia in termini di prevenzione, che di ricerca che di cura. Solo un'ipotesi. La scienza, contrariamente alla metafisica, non fa miracoli ed è già un miracolo che possiamo giovarci di quello che ha imparato a fare per permetterci di vivere di più e meglio che in sua assenza. La storia delle pestilenze e dei suoi farlocchi rimedi omeomiracolistici dovrebbe essere sufficiente per capirne l'irrinunciabile valore.

Ma certo che è importante, Ipazia! Già ho scritto altre volte che mi ha pure salvato la vita...
Quello che volevo dire è che non è miracolistica e che un giorno "ci saprà dire tutto", che somiglia tanto al "quando sarai in paradiso capirai"...
Nel medioevo c'era il fratonzo senza mutande che andava in giro urlando "Dio dice che..." (e in alcuni paesi c'è il mullah, con le mutande, che ancora urla "Allah dice che..."...) adesso ci sono tutti i siti d'informazione che, se hai notato, sono pieni di "La scienza dice che..."
Tutti che hanno sempre qualcosa da dirci... ;D  >:(


P.S. Sono d'accordo con te che ormai la scienza è quasi del tutto asservita ai meccanismi del mercato. Infatti si fa poca ricerca senza finalità utilitaristiche dettate dai finanziatori, che poi determinano che cosa ricercare e soprattutto quanto se ne può ricavare.
Leggevo un articolo sulla poca trasparenza che c'è nel redattori delle più prestigiose riviste scientifiche, che spesso sono messi lì al di là delle proprie capacità, ma per ben altri motivi che possiamo immaginare. Chiaramente poi però questi decidono che cosa va pubblicato e che cosa no, dando una patente di ufficialità alla ricerca e magari trascurandone altre di migliori, perché incapaci o in mala fede...e questo, diceva il giornalista, è un grosso problema della ricerca attuale che gli stessi ricercatori hanno sollevato.

Ciao 
#309
Tematiche Filosofiche / Re:L'immagine della realta'
16 Maggio 2019, 09:50:11 AM
Neuroscienziati che conoscono e capiscono così bene come funziona il snc che non riescono nemmeno a fermare il tremore  di un anziano ( il sinemet è di vent'anni fa ed è altamente tossico, del tipo: ti stimolo la motilità e in cambio hai scossoni da mucca pazza...). Permettimi di dubitare di tutta questa conoscenza, al momento ...
Mi sembra che, ma non è il tuo caso, si tenda a "idealizzare" un pò troppo la scienza...che, come tutte le attività umane, ha i suoi bei limiti.  :-\

1.600 Post scritti, con questo?..Che sia il caso che mi fermi?  :o
#310
Ma siamo sicuri che sia corretto dire che determinismo/indeterminismo,  causale/casuale siano speculari/contrari?
L'indeterminismo non è la teorizzazione del caos totale come stato dell'universo e la casualità come legge di questo. L'indeterminismo ha piuttosto a che fare con il 'probabilismo' che non con il caos.
Se nel determinismo c'è una sorta di 'radicalizzazione' concettuale della necessità (e il caso è ritenuto impossibile...) nell'ind. la necessità coesiste col caso e viene coniugata con questo.

Riporto un riassunto , da me stilato sulla base di una articolo piuttosto lungo del filosofo Carlo Tamagnone. Riassunto che purtroppo rimane ancora lungo, ma che trovo molto interessante e pieno di spunti eventuali per la discussione aperta sul det./ind. Le parti in corsivo sono  copia-incolla dall'articolo, le altre sono un riassunto mio:

Il divenire fluido (senza ostruzioni..) della realtà si presenta come deterministico mentre la casualità costituisce l'eccezione che produce la novità, il 'nuovo'. Così , mentre il det. esclude l'ind., questo lo include e, in un certo senso lo completa. Questo ha una conseguenza importante sulla 'libertà' umana, che il det. nega assolutamente per ovvie ragioni di coerenza interna alla teoria, mentre l'ind. l'ammette.
Lasciando da parte il famoso "libero arbitrio" , che è un concetto teologico difficile (i monoteismi abramitici infatti sono sistemi deterministici con "eccezione".. .In questi sistemi l'uomo dispone di un certo grado di libertà perché è dotato di 'esistenzialità', per così dire, un'esistenzialità fortemente condizionata dal Creatore..).
Il problema della libertà umana non si pone nell'ind. dato che  è implicata nella teoria stessa indeterministica, mentre assume aspetti drastici nel det. dove si arriva ad una sorta di 'weltanschauung' che tende a 'nascondere' le implicazioni teoriche stesse di questa posizione. Come conseguenza sembra che, siccome nel cristianesimo è prevalsa l'ammissione della libertà umana, il det. abbia finito per presentarsi non solo come  weltanschauung anticristiana, ma necessaraimente atea. L'atteggiamento pro libero-arbitrio, che è maggioritario ma non generale nella teologia cristiana, ha , in un certo senso, 'indirizzato' chi la rifiuti a riconoscersi nel det.
Così spesso , coloro che rifiutavano la teologia cristiana, necessariamente aderivano( si rifugiavano...) nei 'monismi deterministici', che in pratica sono delle vere e proprie teologie alternative. E d'altra parte i monismi deterministici storicamente identificabili cui potersi riferire sono tutti teologici (Stoicismo, Neoplatonismo, Brunismo, Spinozismo, Hegelismo).
La religiosità neoplatonica, o bruniana o spinoziana non sono alternative a quella monoteista perché meno religiose; al contrario, sono spesso portatrici di una religiosità "più alta" e più spirituale.



"Se nelle metafisiche la casualità "deve" essere necessariamente esclusa per ragioni teoriche, nelle filosofie materialistiche e meccanicistiche (come quelle di Helvétius, d'Holbach o Marx) il caso "è bene" che venga escluso per opportunità. Il caso, come "sospensione della necessità" è talvolta visto come un possibile Cavallo di Troia di una "volontà" divina imperscrutabile, e ciò spinge direttamente l'ateo "virtuale" nelle braccia accoglienti e gratificanti della Necessità, facendo rientrare dalla finestra ciò che era stato espulso dalla porta. I materialismi deterministici infatti, da un punto di vista strettamente ontologico, finiscono per identificarsi coi panteismi teologici; però vanno riconosciuti ed apprezzati come profonde filosofie morali, miranti a migliorare la natura dell'uomo e portarlo verso socialità e solidarietà migliori. Va ricordato che in sostituzione dell'Ecclesia, come comunità armonica di tipo religioso, si erge lo Stato come comunità armonica laica attraverso una palingenesi del concetto di esso che Platone aveva posto in Repubblica e perfezionato in Leggi. Sia nel pensiero del teologo Hobbes che negli ateismi di Helvétius, di d'Holbach o di Marx si guarda a un Uno-Tutto umano virtuoso, con i singoli cittadini annullati (o quasi) in esso." (cit. completa da Carlo Tamagnone)

Nell'ind. vengono invece relativizzati gli aspetti  materialistico-deterministici con il concepire il caso e la necessità coniugati e alternati nel flusso del divenire. Questo permette di giungere a una teoria della causalità completa, esauriente e non contraddittoria, aprendosi ad una prospettiva 'probabilistica' dove il caso è l'intersezione di linee causali accidentalmente sconnesse (non lineari..) e la Necessità frutto di una causalità lineare.
Necessità e casualità sono dunque sia correlate e sia, nello stesso tempo, i poli della probabilità ontologica; quindi dei complementari nei processi causali ed indici nominali del probabilismo.
I fisici teorici sono da circa mezzo secolo consapevoli di ciò (esclusi i fisici-teologi..). Max Born ricorda che "Il prima a far uso di considerazioni probabilistiche nella scienza fu Gauss, nella sua teoria degli errori sperimentali.»
E poi aggiunge: "Ciò dimostra che il concetto di caso entra già nei primissimi stadi dell'attività scientifica, in virtù del fatto che nessuna osservazione è corretta in via assoluta. Io ritengo che il caso sia un concetto più fondamentale della causalità: infatti, in una circostanza concreta, la validità o meno della relazione di causa-effetto può venir giudicata soltanto applicando alle osservazioni le leggi del caso."
Il probabilismo è anche un fattore specifico della RgP e Murray Gell-Mann considerando i successivi dimezzamenti della radioattività del più comune isotopo del plutonio (il Pu 239), scrive:
"Mentre il momento dalla disintegrazione radioattiva non può essere previsto con precisione, le direzioni in cui si muoveranno le particelle prodotte dal decadimento del nucleo sono totalmente imprevedibili. Supponiamo che il nucleo del Pu 239 sia in quiete e che decada in due frammenti dotati di carica elettrica, uno molto maggiore dell'altra, in movimento di direzioni opposte. Tutte le direzioni sono allora ugualmente probabili per il moto di uno dei due frammenti, diciamo quello più piccolo. È impossibile dire in quale direzione esso si muoverà. "

La sfera del subatomico va guardata probabilisticamente perché qualsiasi altro approccio, secondo Tamagnone, è irrimediabilmente ideologico. Non a caso un altro grande della fisica subatomica e anti-ideologo come Richard Feynman sottolinea che su 100 fotoni incidenti su una superficie di vetro "è probabile" che 4 di essi vengano riflessi, ma non si può sapere come e quando. Notando:
"Bisogna concluderne che la fisica, scienza profondamente esatta, è ridotta a calcolare la sola probabilità di un evento, invece di prevedere che cosa accade in ciascun caso singolo? Ebbene, sì. È un ripiegamento, ma le cose stanno proprio così: la Natura ci permette di calcolare soltanto delle probabilità. Con tutto ciò la scienza è ancora in piedi."

Dover rinunciare al 'come' e al 'quando' per la scienza è parecchio frustrante, ma questo implica, sec. Tamagnone, la particolare dinamica della RgP...

"Da un punto di vista ontico è infatti l'energia cinetica a determinare la natura della particella: se la particella è lenta è onda se è veloce è corpuscolo. Ai fini dell'"individuazione" gioca un ruolo importante anche la compresenza di altre particelle. Essere abbastanza "isolata" in una certa zona di spazio-tempo significa essere individuo-corpuscolo mentre come onda solo se essa è "sola". Questa sorta di "individualità" della particella, quindi, c'è e non c'è a seconda dello stato energetico e della compresenza di altre [912]. In definitiva però lo stato d'onda o corpuscolo è questione probabilistica, sicché il probabilismo ontico trova nella RgP un'ulteriore conferma.Se noi possiamo accantonare la dicotomia determinismo/indeterminismo è anche perché abbiamo ora strumenti di conoscenza indisponibili sino a pochi decenni fa. Oggi sappiamo che a livello fondamentale (subatomico) la realtà è indeterministica e tematizziamo con nuove evidenze la complessità della RgM. Essa è infatti uno degli aspetti dirimenti della realtà che ci circonda e solo analizzandola si capisce meglio ciò che è deterministico e di ciò che non lo è. Se infatti il "macroscopico semplice" ha solitamente comportamenti determinati, decifrabili, leggibili e formulabili con equazioni relativamente semplici (algoritmicamente ridotte), il "complesso" richiede un approccio differente. Il problema è che gli studi sulla complessità hanno aperto nuovi orizzonti, ma c'è la tendenza a rinchiuderli nel pensiero "tradizionale" includere nel caos deterministico anche quello indeterministico. Sappiamo che dopo x giocate la somma delle probabilità si equilibra e che la probabilità di uscita di uno dei sei numeri al gioco dei dadi è pari a 1/6 (come quella che concerne la roulette è di 1/36). Quel che io devo sapere (se non scelgo di giocare all'infinito e di azzerare il bilancio guadagni/perdite) è che "ogni volta" che getto i dadi e ogni volta che punto su un numero della roulette sarà solo il caso a far sì che io vinca o perda. È infatti l'"ogni volta" e non il "dopo tante giocate" ad essere gnoseologicamente significativo, anche se in astratto io posso dire che "prima o poi" le probabilità di aver perso o vinto diventeranno uguali. Solo "sommando" storie successive e differenti di gioco io sono in grado di "prevedere" il risultato finale. Gell-Mann usa la metafora dell'ippodromo per farci capire l'inconsistenza del determinismo, poiché ogni metaforica "corsa di cavalli" delinea "storie alternative" di cui solo una diventa reale, e quindi "vera". Tutte le altre vengono espulse nel corso del processo fenomenico del "correre dei cavalli".Se, per esempio, corrono dieci cavalli equivalenti in velocità, e quindi ognuno di essi ha la stessa probabilità di vincere, i dieci risultati possibili si escludono e la storia del "sistema corsa di 10 cavalli" è quindi solo storia "combinata" sulla base di dieci possibilità-storie "incoerenti" tra loro. La coerenza, e con essa la determinazione, è possibile solo se si esclude ogni perdente dal calcolo e si considera solo il vincente: si accantonano gli "abortiti" e si guarda solo ai "riusciti". Se questo modo di considerare la realtà è pragmaticamente "utile" è però riduttivo: quindi gnoseologicamente scorretto. È ben vero che "questa volta"io ho capito (a "grana grossa") quel che mi può convenire o no, ma non ho capito assolutamente nulla dei meccanismi per cui "qui ed ora" un certo fatto accada o non accada. L'accadere "sì o no" è infatti,sia nella realtà effettuale che nella teoria, questione esclusivamente probabilistica, dove il massimamente probabile (la necessità) e il massimamente improbabile (il caso) sono i margini della sola cornice filosofica possibile.  " (cit. lett.da C. Tamagnone)

Il probabilismo delinea così un nuovo orizzonte teorico perché:

1° - Permette di uscire dall'impasse teorica della dicotomia necessità/caso
2° - Delinea un 'gradiente' di probabilità per cui il caso e la necessità divengono soltanto concetti-limite del          divenire.

"Posti la necessità e il caso come poli estremi di una scala di probabilità, il divenire cavalca la freccia del tempo verso un "più probabile" e un "meno probabile" in base a linearità o intersezione di cause. Le nostre precedenti definizioni della necessità come "linearità di cause" e del caso come "sconnessione/incrocio/sovrapposizione" restano valide. Il probabilismo ontico include l'una e l'altro e le supera in una nuova concezione ontologica dove, a qualsiasi regione lo si applichi, basta considerare le variabili in gioco. La probabilità che un accadimento fisico possibile entro una certa cornice sistemica si realizzi oppure no, che il divenire prenda una direzione verso l'ordine o verso il disordine, che una mutazione si evolva verso un successo o verso un aborto, è l'unico criterio filosofico valido. Il probabilismo non va perciò considerato come un espediente relativistico per etichettare ciò che si sottrae all'equazione deterministica. D'altra parte anche il dualismo onda-corpuscolo in fondo indica un "divenire di probabilità", per cui Kenneth Ford può affermare: «Il dualismo onda-particella e il legame onda-probabilità sono dunque intimamente connessi.» (cit.lett. da Carlo Tamagnone ).

La probabilità dunque, secondo Tamagnone, è la sostanza della realtà fisica sia pure con peso differente nelle varie regioni e il "forse" congetturale l'unica certezza...
#311
Tematiche Culturali e Sociali / Re:La volgarità
15 Maggio 2019, 12:14:27 PM
Citazione di: sgiombo il 15 Maggio 2019, 12:03:54 PMPerò, Sari, se ben ti capisco, mi sembra di capire che se di escrementi dobbiamo parlare (a volte capita i doverlo fare...) sinonimi più o meno politicamente corretti (ma pur sempre dal medesimo significato) di "merda" dovremo pure usare (vedi anche Dante, ovviamente nei luoghi ove conviene: nell' Inferno, mica nel Paradiso). Concordo di cuore (saremo forse vecchi maschilisti) sulla repulsione terribile della volgarità nelle donne. Aggiunta delle 12, 04: Mi pare (se ben comprendo) che nell' aggiunta successiva fughi anticipatamente i miei dubbi.

Sì, artisticamente a volte ci vuole quel "tocco forte" (tra l'altro l'ho usato anch'io in qualche post pubblicato in questo forum...). Ma è per l'appunto quel tocco di penna che sottolinea un tratto dell'opera, che lo caratterizza maggiormente. In questo caso non parlerei di 'volgarità' , perché si è consapevoli dell'uso che se ne fa...e che è tanto più efficace quanto più è limitato. Se Dante infarciva la DC di volgarità...beh!Non sarebbe stata propriamente dello stesso valore, giusto?
#312
Tematiche Culturali e Sociali / Re:La volgarità
15 Maggio 2019, 11:46:17 AM
Io, al contrario di te, ho abbandonato l'amicizia e la frequentazione dei miei conoscenti (o parenti, a parte la necessaria cortesia in questo caso..) volgari. Non li sopporto più. Siccome "quello che abbiamo sulla punta della lingua abbiamo anche nel cuore", ritengo che la volgarità verbale rifletta la volgarità dell'animo. E' inutile la frequentazione di persone d'animo volgare, anche se 'nascosto' (ma pronto a 'balzar fuori' in qualsiasi momento la forte avversione si impadronisce di esse...).
La volgarità verbale in una donna poi, la trovo ancor più insopportabile, foss'anche una dea , fisicamente, mi provoca subito un forte disagio che ammoscia qualunque purezza di sentimenti... disagio che cerco di controllare praticando la presenza mentale e allontanandomi, appena possibile, con cortesia e cordialità.
Oltre a ciò penso che il ricorso alla volgarità riveli una deplorevole povertà di termini...
Raramente infatti la volgarità è un tratto del fraseggio di una persona colta e sensibile ( ma che però sa usarla limitatamente e con dovizia per uso letterario o di 'coloritura', quasi un tocco di pennello più marcato...come ha scritto anche Sgiombo) ma è invece presente nella maggior parte dei buzzurri (i quali possono essere anche incredibilmente intelligenti, ma sempre buzzurri d'animo rimangono...).
Vivaddio, non siamo mica porci! Le scarpe per camminare sopra gli escrementi possiamo e sappiamo ben metterle... :(

P.S. Nella realtà, essendo quello descritto sopra un mio ideale di mondo, mi trovo purtroppo anch'io perennemente circondato dalla volgarità e ci convivo. Quasi tutti infatti , nella vita quotidiana, sono volgari nel linguaggio ( e spessissimo anche nei comportamenti...). In definitiva trovo che il mondo stesso sia, in ultima analisi, "volgare"...Oh!Come NON lo amo!... ;D
#313
Tematiche Filosofiche / Re:L'immagine della realta'
15 Maggio 2019, 11:33:40 AM
@Phil
La mia non è  ovviamente una riflessione vincolante.
Nessuno è obbligato a "crederci"...
Tra l'altro i problemi non sono solo quelli che sorgono per effetto del pensiero, ma anche quelli dati dall'avere un corpo...
Avere consapevolezza dei limiti della ragione, della logica e quindi di tutta la manipolazione simbolica  aiuta non a vivere come "animali senzienti" ma più "umanamente", se così si può dire...

cit.:"rispondendo tardivamente alla tua domanda, non mi interessa il Nirvana: preferisco una pacifica partita al "gioco di società" che mi circonda (forse per una questione di masochismo, se il buddismo è antidoto al dolore)."

De gustibus non est disputandum.. ;D
Ciao
#314
Tematiche Filosofiche / Re:L'immagine della realta'
15 Maggio 2019, 09:36:30 AM
@Davintro
Innanzi tutto grazie per aver riflettuto sul mio breve post.
Non avendo una conoscenza filosofica 'adeguata' provo a spiegarmi, sempre precisando che le parole sono inadeguate a spiegare con completezza ciò che è anche frutto della pratica...
Quindi prendile con gli evidenti limiti.

Parlo di puro specchio perché la coscienza non può essere un atto di pensiero in quanto il pensare (anche il "pensare se stesso") è fondamentalmente un 'processo' diretto di manipolazione simbolica. Per questo motivo spesso ostacola e fuorvia  le nostre intuizioni penetranti. A motivo di questa manipolazione, quella che definiamo convenzionalmente come " coscienza" è fortemente legata, "prende dimora" nell'elemento della forma.
Trovo del tutto giusto quello che dici a proposito della coscienza se la intendiamo "come atto consapevole del pensare", ma io lo vedo già come il momento dopo, quando inizia la manipolazione simbolica. Lo specchio è "prima" di quel momento...
Uno specchio è inattivo e pertanto non può pensare se stesso, ma può contenere questo pensiero come immagine cangiante riflessa. Pensiero che è essenzialmente nome e forma. Infatti tutti noi pensiamo per immagini e per nomi. Lo specchio, essendo non-producente forme e nomi, è lo spazio dove questi però possono 'manifestarsi' (apparire). In mancanza di questo specchio non vi è manifestazione di nome e forma e quindi nemmeno di coscienza-di-sé. Se proiettiamo un film abbiamo bisogno di una parete o sfondo ove proiettare le immagini.
In mancanza di uno sfondo dove si proiettano le immagini? Lo specchio è la possibilità perché permette l'apparire dei fenomeni e anche di quel processo che noi convenzionalmente chiamiamo 'coscienza personale'. "Specchio" come metafora della pura consapevolezza non discriminante , ovviamente. Naturalmente lo 'spazio dello specchio' è anche il contenitore delle immagini (fenomeni). Per questo mi sembra corretto dire  , come dico spesso, che la coscienza (che io intendo, alla "buddhista", come pura consapevolezza percettiva non discriminante o anche "retta attenzione"...in mancanza della quale si resta inebriati dai propri pensieri) contiene i fenomeni 'materiali' e non viceversa.
Chiamiamolo, se proprio vogliamo chiamarlo in qualche maniera, il "puro percepire" prima dell'"apparire" dell'atto del pensare. Di questo specchio nulla si può dire, è 'indefinibile', perchè l'atto di definirlo è sempre una manipolazione simbolica discriminante, a posteriori della percezione. Eppure su questa indefinibilità si basano tutte le definizioni. Perché la BASE è il puro percepire non discriminante.
"Appare" , per così dire, quando il pensiero giunge al suo termine e con esso l'attaccamento a nome-forma.
Ma anche dire "appare" è una manipolazione simbolica.
Per questo lo "specchio" è a monte di ogni cosa, compresa la coscienza di sé.
La coscienza 'diviene' nel pensare. Lo specchio no.
Non è un problema che riguarda la "retta conoscenza", ma ne è la possibilità.
Mi si confà il silenzio, direi.  ;D

Riporto una frase di Schopenhauer:
«La vera filosofia deve in ogni caso essere idealista: anzi deve esserlo, se vuole semplicemente essere onesta. Perché niente è più certo, che nessuno può mai uscire da se stesso, per identificarsi immediatamente con le cose distinte da lui: bensì tutto ciò che egli conosce con sicurezza, cioè immediatamente, si trova dentro la sua coscienza. [...] Solo la coscienza è data immediatamente, perciò il fondamento della filosofia è limitato ai fatti della coscienza.»
Naturalmente l'idealismo di S. non è l'idealismo di Hegel ("il gran ciarlatano" lo definiva...).

Namaste
#315
Le cause e le condizioni a cui siamo sottoposti possono essere anche una grande risorsa e non solamente il vincolo che ci determina nel nostro agire o pensare. Se ripenso alla mia vita comprendo chiaramente che, la causa per cui mi sono interessato all'introspezione o alla meditazione, sta nella sofferenza fisica vissuta nell'infanzia e prima giovinezza. Il fatto di passare lunghi periodi con l'impossibilità o la difficoltà di vedere bene, per via dei problemi agli occhi e degli interventi chirurgici, mi portava per forza a dover 'rifugiarmi' nell'interiorità, a "guardare dentro", piuttosto che essere proiettato, come è abitudine della mente, 'fuori'. All'epoca ne soffrivo ovviamente, oggi però devo dire che mi è stato utile, se non necessario, per avere una migliore 'sintonia' con i temi che poi ho approfondito proprio a partire da quello stato esistenziale. Posso comprendere meglio alcune esperienze interiori proprio perché le ho vissute ' dentro', seppur all'epoca in modo poco consapevole.
Per questo , al di là del fatto che la realtà che percepiamo sia o no totalmente deterministica, che è più un problema logico-teorico, mi sento di dire che le cause e le condizioni possono essere anche delle grandi opportunità, se vissute alla luce della comprensione e anche "lungo tutto il migrare dei giorni"... :)