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Messaggi - maral

#301
Si può dire quello che si vuole, ma nel mondo attuale (mondo comunque dominato dall'impronta economica e culturale occidentale di cui andiamo anche giustamente fieri con tutti le sue implicazioni tecnico nichiliste che ne garantiscono la suggestiva potenza) predicare l'isolamento dai barbari islamici, anche se lo predica Sartori, è assolutamente risibile. E' l'Occidente che ha preparato e costruito questo mondo globalizzato (a partire proprio dalla grande visione razionale illumista che comprende la netta separazione tra la sfera religiosa e politica), e ora ne ha più che mai bisogno, non l'Islam. Non serve a nulla pensare di costruire muri o bombardare le barche per impedire nuovi arrivi, semplicemente perché loro sono già qui e sono i figli e i nipoti dei vecchi immigrati colonizzati, sono tra quelli che hanno conosciuto e sono anche nati nella cultura occidentale, aderendo al suo ineluttabile franare mentre di fatto rifiutavano la loro tradizione.
La Francia, l'Inghilterra hanno colonizzato il mondo e, crollati gli imperi coloniali, hanno continuato con la medesima politica peggiorandola, fuori come in casa propria. Prima o poi la storia presenta il conto, non c'è scampo. Il grande sviluppo dell'Occidente è stato e continua a reggersi sulle spalle di uno sfruttamento globale protrattosi per secoli, la rapina più sistematica e spietata è stata la nostra fonte di arricchimento. E oggi, dobbiamo rassegnarci, per quanto medioevale sia la concezione sociale islamica, e forse proprio per questo, è l'ultima bandiera degli oppressi e degli schiavi, quelli che non hanno bombe e missili teleguidati, ma prolificano figli, sono giovani e hanno tutto il coraggio della disperazione.
Dobbiamo farci i conti seriamente, perché finora abbiamo totalmente fallito nelle periferie delle grandi capitali occidentali, perché sarà sempre più lì che si combatterà la guerra, non ai confini, e nelle periferie delle metropoli del terzo mondo, perché è lì che abbiamo stivato gli schiavi di un modello economico.
Capisco la "casalinga di Voghera" che si chiede, ma che colpa ne ho io. Ha perfettamente ragione. Ma la storia purtroppo non va per il sottile e men che meno è andata per il sottile quella che ha fatto la nostra fortuna consentendo il nostro sviluppo.
Dobbiamo imparare a fare i conti, rendendoci conto.

 
#302
Varie / Re:LOGOS compie un anno!
07 Aprile 2017, 15:17:08 PM
Felice anniversario al forum e a tutti i suoi partecipanti!
#303
Citazione di: memento il 03 Aprile 2017, 00:41:15 AM
- La morte di Dio. Maral, che Nietzsche usi toni tragici non implica di fatto paura e disperazione. Solo chi ha un animo suggestionabile può essere preso dallo sconforto proprio dove fa capolino la tragedia. Riporto,anche qui,un altro aforisma sulla morte di Dio,di ben altro carattere:
"In realtà, noi filosofi e "spiriti liberi", alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d'attesa, - finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, - finalmente possiamo di nuovo sciogliere​ le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare cosi "aperto" (La gaia scienza,aforisma 343)
Non ho detto mi pare che implichi paura e disperazione, quanto che non è cosa da prendersi sottogamba, è di una portata enorme per la quale occorre assumersi un compito parimenti enorme. La morte di Dio richiede la morte dell'uomo che l'ha ucciso. Questo accadimento è comunque sconvolgente e lo sconvolgimento può suscitare sia terrore che esaltazione per quello che promette. Nelle parole che citi prevale il sentimento di esaltazione, che comunque resta un'esaltazione tragica (ove la tragedia non si limita alla scelta dei termini, per darne suggestiva parvenza) di fronte all'immensità del destino e responsabilità che occorre assumersi.
Non è certamente la posizione del semplice ateo che, negando Dio, può trovare ridicola la sua morte, come se gli si dicesse "è morto Babbo Natale".
#304
Citazione di: sgiombo il 24 Marzo 2017, 08:11:58 AM
"pretendere di "usare sempre mezzi degni dei fini che si predicano [-???-]" contro un nemico che (per rammentare solo il peggio, dato che onde elencarne tutte le nefandezze sarebbero necessarie decine di pagine del forum) ha invaso la Grecia e sanguinosissimamente imposto con la guerra il mantenimento del capitalismo, che ha bombardato con le atomiche Hiroshima e Nagasaki a guerra vinta e -come é ampiamente documentato- non ha fatto lo stesso sulle dieci più grandi città sovietiche solo perché per fortuna l' URSS si é dotata per tempo delle stesse armi, che ha condotto guerre sanguinosissime e terroristicissime in totale dispregio delle convenzioni internazionali sugli eventi bellici e perpetrato cruenti colpi di stato in tutto il mondo per salvare il capitalismo dalla rivoluzione per me significa precisamente

fare delle virtuose geremiadi da zitella inacidita che deplora l' intemperanza e la lussuria delle donne sposate o, per ben che vada, seminare illusioni di fatto utili alla conservazione dello stato di cose presenti stesso.

L'URSS ha fatto esattamente lo stesso in Europa centro orientale, ha voluto fare lo stesso in Afganistan, come gli USA in Vietnam, ma quello che è più grave ha trasformato l'iniziale ideale umanistico rivoluzionario universale nella più soffocante struttura di controllo burocratico che fosse concepibile a livello nazionale e "coloniale" a solo beneficio dei satrapi di partito determinando la falsificazione dell'ideale che aveva guidato la rivoluzione del popolo di Ottobre e, sull'altro versante, quel fallimento economico tecnologico che ha determinato poi il suo crollo dall'interno, per implosione. Per me Stalin, come i burocrati che gli sono succeduti alla guida del partito, è stato e resta un traditore assoluto della rivoluzione di Ottobre, in questo Trotsky (che paragonò lo stalinismo al bonapartismo, già affossatore della rivoluzione francese) aveva completamente ragione. Resta da vedere se, date le premesse elitarie e nichiliste dei bolscevichi, le cose sarebbero mai potute andare in modo diverso. E' indubbio che, soprattutto se si propugna il valore del riscatto del proletariato in senso umanitario, nessun mezzo può essere contraddittorio rispetto a questa istanza, nessun massacro o deportazione di massa decretata dalle alte sfere di partito poteva essere perpetrato contro il popolo russo stesso in nome di una rivoluzione permanente che era in realtà solo la più bieca restaurazione del potere in nuove mani, altrettanto rapaci e oligarchiche delle precedenti, se non ancora di più. A parte lo sterminio, voluto da Stalin, di milioni di contadini russi, milioni di persone del popolo russo finirono nei campi di rieducazione in Siberia, dove il ruolo di rieducatori era affidato, per regolamento, a criminali comuni (i nazisti presero poi ispirazione in questo proprio dai campi di lavoro russi per la successiva gestione dei loro).
Mi dispiace, ma trovo oggi Putin un personaggio comunque disgustoso (e il suo essere stato ufficiale del KGB raddoppia il mio disgusto per questo individuo protervamente malato di potere), in termini diversi né più né meno di Trump, con la sola differenza che Trump in qualche modo può ancora essere meglio frenato a casa sua.
Non c'è niente di peggio che proclamare grandi ideali umanitari usando mezzi e prassi che di fatto li contraddicono nel modo più atroce, magari avvalendosi di una propaganda sistematica per mascherarli, poiché il disvalore del mezzo utilizzato distrugge alla radice il valore del fine per il quale lo si usa e allora non resta altro che mentire propagandisticamente, perché è nella prassi e solo nella prassi che appare il valore del fine e non nelle pure enunciazioni utopistiche che, fuori dalle prassi, non arriveranno mai o al massimo arrivano come menzogne propagandistiche di mascheramento. Vale per tutte le chiese, i partiti, i movimenti e le istituzioni che devono essere serventi e non autoserventi di questo mondo.
Poi ovviamente si può comprendere la nostalgia che può onestamente legare chi ha creduto in quel mondo e che resta alla base irrinunciabile del proprio senso di identità, di sicuro anche guidato da spinte generose, ma questo non toglie nulla alla catastrofe dello stesso altissimo ideale comunista che si realizzò nella Unione Sovietica stalinista e burocratica in nome del partito e del suo reggente assoluto.
Per quanto riguarda le modalità di prese del potere del fascismo e dei bolcevichi furono per certi versi analoghe (e furono i primi a prendere ispirazione dai secondi), guidate dalla medesima visione avanguardista sulla rivoluzione di massa fiancheggiata poi da una propaganda sistematica e mendace per il mantenimento del potere. In Italia non vi fu comunque alcuna opposizione popolare, gli oppositori ci furono, ma estremamente pochi e subito isolati e neutralizzati. E' curioso come la sperata grande rivoluzione socialista del proletariato universale si sia di fatto storicamente realizzata nei paesi europei in rivoluzioni nazional socialiste. La cosa meriterebbe una profonda riflessione, soprattutto oggi, epoca in cui la demagogia propagandistica e populistica nel senso peggiore del termine sembra di nuovo crescere.
E qui concludo non pensando sia il caso di aggiungere altro, visto che l'argomento qui rischia di andare OT (se non lo è già andato).
 
#305
Citazione di: sgiombo il 23 Marzo 2017, 13:22:47 PM
Per cominciare dalla conclusione, dissento dalla tua impostazione del problema, che ritengo "utopistica" e non realistica.

Secondo me se si vuole superare l' orrendo e vieppiù ingravescente stato di cose presenti e far progredire l' umanità (ma anche solo salvarla dall' estinzione "prematura e di sua propria mano") non si può pretendere un' impossibile perfezione e ignorare gli enormi sacrifici, le durissime lotte, di fatto anche gli inevitabili (in larga misura) errori e perfino crimini che sono inevitabili all' uopo.
Se non si è disposti a soffrire terribilmente né -moralisticamente!- a "sporcarsi le mani" si possono fare solo "virtuose geremiadi da zitella inacidita che deplora l' intemperanza e la lussuria delle donne sposate o, per ben che vada, seminare illusioni di fatto utili alla conservazione dello stato di cose presenti stesso.
Se non si é disposti a sottoporsi a pesanti operazioni chirurgiche e dolorose chemioterapie non si può sperare di guarire da un tumore maligno!


So bene che tu, Eutidemo e forse anche tutti gli altri ottimi frequentatori di questo forum non sarete d' accordo, ma non posso autocensurarmi per aderire a convinzioni che non condivido per niente (per questo sono sempre stato molto restio a discutervi di questioni che hanno evidenti implicazioni politiche attuali, anche se poi il mio temperamento polemico e/o il debito di gratitudine che sento verso personalità che vi vengono ingiustamente denigrate mi fanno spesso brutti scherzi...).
Non si tratta di "virtuose geremiadi da zitella inacidita", ma del fatto che il comunismo made in URSS ha fallito miserabilmente e questo è un dato storico. Finché si continuerà a dare la colpa di questo fallimento alla malvagità delle potenze capitalistiche o a presunti tradimenti vari, come ai tempi delle purghe staliniane, non si capiranno mai le ragioni di questo enorme e tanto tragico fallimento. E la prima ragione sta a mio avviso, oltre che nelle obiettive enormi difficoltà che la Russia dovette affrontare nei tempi immediatamente seguenti alla rivoluzione di Ottobre, nell'aspetto degenerativo e assolutamente verticistico che nel giro di pochi anni assunse la struttura partito soppiantando i soviet, tale da tradire completamente ogni spinta ideale umanistica originaria. Il germe peraltro era già presente all'interno del movimento bolscevico anche prima della rivoluzione, da sempre estremamente elitario e tendenzialmente nichilista per quanto riguarda il rapporto tra fine e mezzi.  
In questo contesto la struttura burocratica di governo assunse un ruolo del tutto preponderante che soffocò ogni crescita evolutiva alla radice, in nome dell'appropriazione e della gestione assoluta di un potere del tutto autoreferenziale prima alla struttura, poi al capo struttura.
Le temporanee limitazioni tattiche non furono in realtà né temporanee né tattiche, divennero invece fondamentalmente strategiche con Stalin, il quale non rifiutò di allearsi con Hitler pur di spartirsi la Polonia e proseguì la sua politica imperialista dopo la seconda guerra mondiale nei confronti dei paesi europei centro orientali, ove favorì la scalata non certo democratica al potere dei partiti comunisti spesso minoritari per riprodurre con il massimo cinismo in quelle nazioni la medesima tragica struttura burocratica vigente in URSS. Il problema è che in nome di un preteso realismo non si può giustificare ogni nefandezza e occorre mantenere sempre i mezzi che si usano degni dei fini che si predicano, perché sono proprio i mezzi e le prassi a costituire il primo metro di giudizio morale, non le utopie. Di fatto il comunismo immaginato da Marx in URSS non fu mai nemmeno lontanamente raggiunto e nemmeno minimamente tentato, in nome di uno stato di difesa permanente della rivoluzione prolungato a forza ben oltre i necessari limiti a vantaggio esclusivo del gruppo di potere e cessato solo per l'implosione tecnico economica che venne a determinare.

CitazioneDissento completamente dalla pretesa che il fascismo sarebbe arrivato al potere in Italia "con il pieno consenso popolare"!
Vi giunse dopo un biennio di forsennate, sanguinose aggressioni terroristiche, coperte dalle "forze dell' ordine" dello Stato, alle Case del popolo, alle sedi Comuniste, Socialiste, della CGL, anche a gruppi ed esponenti cattolici democratici (il mio concittadino e lontano parente Guido Miglioli detto il "bolscevico bianco", don Minzoni, ecc). e liberali (Gobetti, Amendola, anche se uccisi successivamente alla "marcia su Roma") e dopo le violenze e i brogli elettorali coraggiosamente denunciati da Matteotti e che gli costarono la vita.
Resta il fatto che la presa del potere nel 1924, anche se vi furono brogli e violenze squadristo, non fu certo quella di un gruppo minoritario. Fino al 43 la stragrande maggioranza del popolo italiano fu fascista in modo quasi plebiscitario e il mondo della cultura lo stesso (basti pensare alla nefandezza delle leggi razziali approvate quasi all'unanimità dal corpo dei docenti universitari). Di fatto fino al 43 non vi fu opposizione. Certamente comunque ebbe notevole influenza anche il carattere servile e sempre pronto ad adeguarsi al potere di gran parte del popolo italiano. In Germania comunque Hitler conquistò il potere democraticamente e fu anche peggio e la Germania era stato il primo paese in cui si era sperato di veder scoppiare una rivoluzione socialista, dopotutto era la patria di Marx ed Engels e c'era un esteso proletariato operaio, elevata cultura sociale e una situazione economica dirompente, sembrava la situazione ideale per una rivoluzione socialista, ma furono invece i nazionalsocialisti a imporsi.    

Citazione
"Fallimentare" mi sembra casomai il capitalismo reale che vi é succeduto dopo le "sconfitte dell' '89 e dintorni" (miseria, fame, criminalità, guerre civili, pulizie etniche, ecc.): non é realistico pretendere di paragonare le Mosca, Sofia o Budapest del "socialismo reale" a Londra, Parigi o Los Angeles ma casomai a Nuova Dehli, Kinshasa o Medellin, o meglio ancora alle Mosca, Sofia o Budapest di oggi: e il paragone -questo, corretto-  mi sembra francamente più che lusinghiero per il "S. R."!
Che il capitalismo non funzioni è ormai sempre più evidente. In Russia poi il paese è nelle mani di un satrapo, ex agente del KGB, che prosegue sulla stessa linea staliniana di gestione del potere, con la variazione di essere passati dalla oligarchia dei boiardi di stato a quella economico mafiosa degli amici del satrapo. Il crollo del comunismo in quei paesi è stato per certi versi ancora più dirompente del crollo del potere zarista nel 17.
Se comunque c'è stato un aspetto positivo nell'URSS è stato quello di aver costituito il necessario polo alternativo all'imperialismo americano e un limite al dilagare della nefanda visione global capitalistica del mondo che seguì al 1989. Comunismo russo e capitalismo occidentale hanno potuto in qualche modo funzionare positivamente finché si sono trovati accoppiati, contrastandosi reciprocamente.
#306
Citazione di: Eutidemo il 22 Marzo 2017, 07:03:01 AM
Citazione di: maral il 21 Marzo 2017, 21:47:32 PM
I problemi sono molteplici. Distinguerei comunque il populismo dalla demagogia: nel primo caso il potere fa riferimento al popolo, nel secondo finisce dal popolo nelle mani di chi sa sedurlo facendo del popolo il mezzo del suo potere, il demagogo appunto.
Secondo me occorre distinguere tra:
- democrazia "popolare", nella quale il potere fa riferimento al popolo, che elegge i suoi rappresentanti politici "sine ira ac studio";
-democrazia "populista", nella quale il potere fa riferimento, sì, al popolo, ma solo in quanto sedotto e trascinato emotivamente dalle utopiche promesse dell'istrionico demagogo di turno.
;)
Mi chiedo allora se non trovi alcuna differenza tra "populismo" e "demagogia" e quindi li consideri sinonimi perfetti ed entrambi connotati dalla medesima negatività.
Al di là comunque delle questioni di definizione facilmente superabili penso che ci siamo intesi, resta a mio avviso il fatto che (seguendo la terminologia che suggerisci) trovo inevitabile che ogni democrazia popolare presenti il seme della degenerazione populista, che è anche il seme che, determinandone la crisi, la trasforma. Se c'è una via per ridurre gli effetti tragici della fase trasformativa dirompente questa non può essere altro che una assunzione delle istanze populistiche che ne fanno da premessa, comprendendo la ragione profonda che ci sta sotto. La democrazia è sempre in uno stato di equilibrio instabile, le sue leggi non presentano in se stesse la loro legittimità, essa va sempre recuperata dai rapporti che si instaurano modificandosi tra i gruppi sociali e gli individui, è come rimanere in equilibrio su un filo mentre il filo balla.

Citazione di: sgiombo il 22 Marzo 2017, 10:03:45 AM
Demagoghi come Berlusconi o Trump (ma anche Renzi ...) sono in ultima analisi poco più che burattini nelle mani dei veri potenti (dell' "oligarchia dominante reale" cui comunque appartengono e di cui, con maggiore o minore autonomia a seconda dei casi, comunque sostanzialmente curano gli interessi a danno del popolo).  
A mio avviso il demagogo di turno, anche se appartiene alla "oligarchia dominante", ne rappresenta come una scheggia impazzita la cui utilità per quell'oligarchia dominante è quella di un mezzo del tutto contingente in una situazione che presenta rischi. Il demagogo dura finché il rischio dura e in questa situazione il popolo lo adora come suo unico salvatore e i "poteri forti" lo tollerano, perché è un mezzo che torna a loro utile. Ma sia il popolo che i poteri forti si disferanno di lui appena l'emergenza cesserà, dunque per il demagogo è indispensabile che l'emergenza duri quanto più possibile, letteralmente ne va della sua pelle.
Il problema del controllo privato dei mezzi di produzione può certamente venire risolto, soprattutto quando non appare più giustificabile, ma con cosa lo si sostituisce? Non certo con il popolo che non ha competenza e men che meno voglia di esercitare quel controllo. Il problema sta tutto qui e le rivoluzioni, nessuna esclusa, lo ha mai risolto se non finendo con il creare nuove oligarchie la cui capacità sta appunto nell'imporre l'evidenza di uno stato di emergenza quanto più durevole possibile. mentre "il popolo" diventa solo termine per la propaganda e mezzo da sacrificare nel suo stesso nome.
E' vero che la rivoluzione bolscevica era minacciata, avrebbe forse potuto non esserlo? E' vero che l'ideale Trotskista di una grande riscossa mondiale del proletariato che si sperava potesse partire dall'Italia e dalla Germania, fallì (e ci sarebbe da chiedersi come mai, come mai proprio dove più si sperava furono le destre populiste a prendere il potere ottenendolo con il pieno consenso popolare, non contro di esso) costringendo al ripiegamento rivoluzionario all'interno della grande patria russa isolata e con ciò contribuendo alla affermazione di potere assoluto di quel burocrate che era Stalin (burocrate fin dall'inizio della sua carriera politica, burocrate per perversa intima vocazione, con tutta la feroce volontà di potere che questa vocazione inspira: il potere della struttura che ingabbia verso l'interno). Il punto però è che a fronte di quello che l'esterno ha determinato sulla storia dell'URSS, la situazione esterna che rientra perfettamente nella dialettica delle cose non è utile a capire le cause profonde del fallimento. Il problema sta proprio nel non essere riusciti a risolvere il discorso concreto della gestione dei mezzi una volta che essi li si si era assunti come del popolo, il problema è stato nello scambiare il mezzo con il fine, facendo della struttura elitaria del partito (e poi in direzione ancora più elitaria e monocratica, del  capo di quella struttura) il fine portante di una pseudo rivoluzione permanente che si rivelava solo propaganda e menzogna. Fu colpa dei perfidi capitalisti (certamente perfidi)? Non credo che le cose siano così semplici, perché allora ci si potrebbe solo rimproverare di non essere stati abbastanza perfidi, nonostante tutte le perfidie commesse. Le ragioni di quel fallimento sono più profonde, stanno all'origine stessa di quella rivoluzione e del gruppo che se ne assunse la gestione.
#307
I problemi sono molteplici. Distinguerei comunque il populismo dalla demagogia: nel primo caso il potere fa riferimento al popolo, nel secondo finisce dal popolo nelle mani di chi sa sedurlo facendo del popolo il mezzo del suo potere, il demagogo appunto. Se nel populismo il potere appartiene al popolo (nella sua totalità diversificata) la Costituzione Italiana dichiara esplicitamente di essere populista, anche se dice che il popolo esercita questo potere a mezzo delle sue istituzioni e associazioni e questo dovrebbe in qualche modo limitare il rischio della demagogia, ma mi sa che al di là dell'ottimo intento la cosa non funzioni, perché entra sempre in gioco la vecchia dialettica hegeliana tra fine e mezzo: prima o poi quelle istituzioni che dovrebbero essere mezzo per il fine del popolo, diventano il fine stesso facendo di ogni altro fine il loro mezzo e chi le gestisce finisce con il prendere il potere indirizzandolo interamente al poterlo mantenere nelle sue mani, dietro il guscio di una democrazia ridotta a puro slogan.
In genere il sistema che meglio consente questo risultato è, soprattutto oggi, la seduzione demagogica. In Italia Berlusconi è stato ed è un caso esemplare da manuale (sempre pronto peraltro a tornare in scena con le medesime seduzioni ripetute alla nausea) e in America, attualmente è Trump chiamato a incarnare la figura del demagogo fatto carne.
La situazione ideale per il demagogo si determina quando lo strumento legislativo si dimostra del tutto inadeguato alla realtà tragicamente insicura della situazione, quando l'esistenza stessa appare messa in dubbio dal significato immediato di ciò che accade generando angoscia, è allora che il demagogo di turno può mostrarsi alla maggioranza del popolo angosciato (in genere gli strati economicamente più compromessi e soprattutto culturalmente meno attrezzati della popolazione) come il solo che sa rimettere a posto le cose, ristabilire la giusta legalità sospendendo quella vigente così inefficace. Il demagogo sfrutta lo stato di eccezione della legge, per giustificare una nuova legge che fa perno solo su di lui. Maggiore è l'angoscia condivisa nel popolo, maggiore sarà la sua presa seduttiva: al momento propizio, che il suo fiuto gli fa cogliere e la sua enorme ambizione sfruttare, egli apparirà come il mezzo universale, l'uomo del destino, il legislatore supremo, almeno finché gli eventi non rimetteranno tutto in discussione, quando sarà l'accadere della catastrofe che lui stesso ha annunciato proponendosi come rimedio a liberare il popolo dall'angoscia della sua attesa. Il demagogo vive di questa angoscia del popolo e ne ha assoluto bisogno, la sollecita sempre per incarnarne il rimedio.
Ai tempi di Aristotele forse era ancora possibile pensare platonicamente a un governo retto dai migliori o da un sovrano illuminato poiché istruito dal suo precettore filosofo, è stato un vecchio sogno della filosofia questo, sempre andato fallito: la potenza vitale ha fatto sempre a pezzi ogni filosofia didattica, nei molti quanto nei singoli.
La rivoluzione bolscevica è risultata quanto di più tragicamente elitario sia stato possibile concepire in un'epoca necessariamente avviata verso le peggiori tragedie del nichilismo: per le avanguardie rivoluzionarie ogni cosa ed essere umano diventa mezzo di realizzazione dell'utopia, soprattutto quando l'utopia è quella del popolo. Il problema non è nel principio "Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni", ma in chi vuole che tutto debba essere sacrificato a questo principio e quindi assume il ruolo strutturante di gestore assoluto della giusta distribuzione di mezzi e bisogni. E' il motivo per cui l'anelito rivoluzionario, una volta acquistato il potere, si chiuse per sempre nella sua posizione del tutto autogiustificatoria, rendendo necessario una sorta di stato rivoluzionario permanente destinato a soffocare la rivoluzione stessa nella gabbia di una struttura burocratica nefanda, il partito comunista sopra i soviet del popolo prima, il segretario di questo partito, Stalin, sopra il partito poi: l'orrendo Piccolo Padre indispensabile per il grande popolo russo mentre l'utopia era ridotta a slogan obbligatorio per mascherare la menzogna continua del demagogo seduttore.
Il problema sono i Piccoli Padri quando il popolo non vuole altro che essi, è allora che occorre avere il coraggio di difendere il populismo, ossia di riconquistare l'utopia di un popolo che impari da sé a governare se stesso, avendo per fine se stesso, vedendosi come uno nei molti diversi che ne fanno parte, in nome della imprescindibilità e irriducibile diversità di ciascun individuo. Occorre un grande sforzo culturale che sia prodotto da una matrice condivisa e non elitaria, proprio quello che il demagogo non vuole, quando afferma che "la cultura non ha mai dato da mangiare a nessuno", mentre lui sa e può dare da mangiare a tutti. Non c'è niente di peggio.
#308
Green,
penso che dopotutto la nostra anima sia il corpo, i nostri corpi viventi insieme (il plurale è fondamentale e l'insieme non significa che si vada d'amore e d'accordo, anzi), questo intendo per il bios che non è certo riducibile alla sua biologia (pur essendo anche questa, pur essendo comunque anche meccanismo biologico), né alla politica, se non come vita nella polis, nella comunità della cui vita siamo parte vivendo insieme, partecipando della vita di ogni altro che dà significato alla nostra. Il bios (ma Sini lo chiamerebbe in questo senso, più propriamente "zoè", la nostra con-esistenza) ci precede e ci attraversa, non è per nulla un "vivacchiare", ma è la forza potente che ci anima, ci appassiona e ci infiamma gli uni contro gli altri e costruisce, demolisce, ricostruisce e demolisce di nuovo ogni struttura ideologica lasciando ogni volta rovine che sono i resti in cui l'esistenza trova senso, si fa cammino.  
Non ti piace identificare il bios con i corpi, identificalo con lo spirito allora, sono la stessa cosa: ci vogliono corpi viventi per partecipare dello spirito, proprio come ci vuole uno spirito per essere corpo vivente,  questo a mio avviso significa "mantenersi fedeli alla terra", nient'altro.
CitazioneCertamente però vi è una differenza enorme tra la MIA VITA, e la VITA STESSA, non trovi?
Ci sarà una differenza enorme, ma è sempre dalla mia vita che vedo la vita, "la vita stessa" che senso ha senza la che io la viva, per quanto siano sempre gli altri a darmela, con le loro vite assolutamente singolari, ma sempre insieme vissute, relativamente ognuno rispetto agli altri.

Il senso della vita è sempre mancante, per questo la vita chiede senso in ogni vita e questo chiedere senso è esattamente la domanda filosofica che non trova risposta, o meglio la trova solo nel suo eterno ritornare. Le rovine sono il rovinare di ogni risposta che lascia il suo segno, una traccia lungo il cammino errante che muove da ogni rovina. Se guardi solo le rovine c'è il nichilismo e a un certo punto bisogna ammettere: non ci sono altro che rovine, se guardi il segno in esse presente oltrepassi il nichilismo verso il prossimo segno che diventerà ancora rovina ripetendo la stessa domanda di senso. E' la domanda stessa che ripetendosi infinitamente nega infinitamente il nichilismo: il niente non c'è, perché ogni volta c'è la domanda che si rinnova. Ecco perché occorre passare attraverso il nichilismo per ritrovare il senso. Il senso è la domanda che lascia dietro di sé le rovine di ogni risposta che si era data, sperando di trovare soluzione. Il nichilismo si nega così, vivendone il senso fino in fondo, non a costruire per l'eternità, ma a demolire per l'eternità ogni volta ricominciando a costruire.
E credo che dopotutto questo significhi essere al di là del bene e del male, la nostra società non è né migliore né peggiore di quelle che l'hanno preceduta, lascerà come tutte le sue rovine e il segno che ripete ogni volta la stessa domanda che sempre torna a chiedere ragione di se stessa.


Citazione di: paul11 il 20 Marzo 2017, 00:45:27 AM
Noi siamo il prodotto di una cultura, di un'economia, di una politica, di una modalità che fin dalla nascita costruisce mentalmente, psichicamente un uomo. E quest'uomo si scontra fra ciò che potrebbe essere per sua volontà. con ciò che dovrebbe essere per volontà sociale che crea il dovere.
A me sembra lampante che in Nietzsche sia sempre presente la differenza e lo scontro.Non sarebbe un "pensatore scomodo", come in fondo è stato bollato dalla cultura dominante.
Certo che è sempre presente lo scontro, comprendere lo scontro non significa non parteciparvi, anzi credo che sia quanto mai necessario parteciparvi per poter giungere a comprenderlo, In fondo quello che l'uomo vorrebbe essere per sua volontà non è che quello che il contesto sociale in cui vive nel rapporto con gli altri suscita in lui, quello con cui si lotta è sempre quello che si è per potersi in qualche modo riconoscere. In fondo si lotta sempre per un riconoscimento e Nietzsche lo ha fatto più di tutti, fino a perdere la ragione (e l'assurdo è che solo dopo aver perso la ragione, non sapendo più chi fosse, è stato riconosciuto e anche questo bisognerebbe includere nella sua filosofia, non certo solo come un semplice dato biografico).


Caro Jean,
mi unisco a Garbino nel lodare la tua indispensabile leggerezza, in cui sento tutta la densità di un'antica saggezza. E' un dono raro e prezioso il tuo e trovo piacevolissimo leggerti, Anche perché forse l'origine più profonda del senso delle cose in fondo è solo, come sempre, negli intermezzi.
#309
Mi permetto di obiettare che Nietzsche non voleva essere semplicemente se stesso, noi stessi lo siamo tutti sempre e comunque, siamo quello che siamo (cose, animali, esseri umani), voleva diventare se stesso, diventare quello che si è, che è diverso. E l'eterno ritorno dell'identico è il modo che giunge a pensare lo renda possibile.
#310
Scusa green se tento di abbozzare qualche risposta appuntando brevemente le questioni che colgo nel tuo intervento
Citazione di: green demetr il 18 Marzo 2017, 20:47:07 PM
Sono rimasto abbastanza colpito dalla tua interpretazione dell'oltreuomo come volontà di ripetizione di se stesso.
Il fatto è che non capisco come mai potrebbe arrivarci! visto che l'uomo non può MAI essere se stesso, e infatti Nietzche nel paragrafo sulla "grande salute" incita a NON essere mai se stesso, nel senso proprio di rinunciare a ogni ipotesi di senso.
La rinuncia al senso non rimanda alla rovina, come in Hegel, ma dovrebbe essere una riappropiazione della relazione con gli altri (in quali termini probabilmente è quello che mi auguro di conoscere lungo il cammino, senza dimenticare che forse è proprio impossibile).
Nietzsche sottotitola l'Ecce homo "Come si diventa ciò che si è" (come si diventa ciò che si è? non suona assurdo?) e nelle lettere invita a "non scambiarlo per qualcun altro". A me pare che il "me stesso" (che non vedo come non possa essere altro che la mia vita stessa a cui comunque si aderisce, ma sempre in divenire) sia un punto chiave per Nietzsche. Rinunciare a ogni ipotesi di senso non significa a mio avviso rinunciare a volere se stessi (e si potrebbe anche dire che si vuole sempre se stessi, proprio perché non si è mai se stessi, non ci si possiede e ciò che sono è ciò che non possiedo, per questo lo voglio). Nietzsche non svapora mai in un "non io" universale (salvo che di fatto nell'ultimo decennio della sua vita) sovrastante l'esistenza e  di vago sapore buddista o comunque orientaleggiante. E non sono nemmeno sicuro che questa volontà sia poi così impersonale per Nietzsche, quasi metafisica, di sicuro non è altrove dall'esistenza. Non vedo altra strada se non identificarla nella vita concreta e peculiare nella sua singolarità assoluta, nell'attimo che è eterno per ogni attimo in cui si vive, senza che lo si possa mai possedere e quindi che sempre si vuole.
Corrisponde al bios, ma non a un bios astratto definibile concettualmente, ma a quel bios corporeo che è la propria vita, il proprio percorso che si fa senza essere mai fatto (e dunque mai passato). E' brama insaziabile, tanto il leone quanto per il fanciullo, anche se di segno diverso passando dall'uno all'altro.    
Il ritorno indica che occorre sempre voler tornare proprio là dove non si è mai stati e anche questo suona assurdo come si fa a "tornare" dove non si è mai stati? Ma è evidente se consideriamo cosa è l'uomo, letteralmente:
CitazioneL'uomo è quell'animale che non può essere un animale
e non può essere animale perché l'animale, a differenza dell'uomo, sa perfettamente esserlo vivendo (lo sa il suo stesso bios), L'uomo no, è un animale che pur conoscendo non sa e per questo vuole essere se stesso mentre lo è e vuole in quanto animale sempre mancante.
Il problema del senso è il problema dell'essere umano. l'oltreuomo (come Dio e l'animale) non ha più questo problema, perché il senso che trova nel volere è quello di non avere senso, nulla ha senso e questo è il senso più radicale che si possa volere e che l'eterno ritorno annuncia.  


CitazioneNon capisco invece come possa diventare un eterno ritorno questo mai cominciamento. Nel senso che se nulla parte/inizia allora come può essere di RITORNO, di ritorno da cosa? sarebbe la domanda a cui manca la risposta.
Lo stesso dicasi per la ipotesi di Maral, se fosse un nulla, come farebbe il nulla a tornare? alias come farebbe un identico a tornare? Ma qui temo che tu sia troppo invischiato nel sistema severino per poter intendere la questione.
Eppure proprio a partire da Severino che legge le righe prima dell'eterno ritorno, il tempo è la questione centrale.
Il nulla è il luogo dove non si è mai stati e a cui sempre si torna per tornarvi ancora o, se preferisci, il nulla è quel luogo dove la vita (non in generale, ma nella sua singolarità specifica) sa senza saper di sapere. Il nulla è l'attimmo assolutamente presente; cos'è questo attimo che sempre ritorna se non un nulla da cui ogni storia trae origine e fine? come il palpito del tuo unico cuore che proprio in questo istante batte senza sapere di battere.

CitazioneAndare oltre il bene e male in Nietzche non significa andare nel territorio di nessuno, significa invece riconoscere come MALE la concenzione del bene e del male come il cristiano la intende, e cioè all'interno della sua ipocrisia individualista essenziale.
Vi rimando oltre che a umano troppo umano anche a rochefocauld, che nietzche cita come suo anticipatore.

La critica morale di nietzche è la critica del cristianesimo come mimesi dell'egoismo. Ci terrei a ricordarlo, perchè non si passa dal oltre il bene e il male, al relativismo. Mancano diversi passaggi tra i 2 momenti. Cioè da quello morale-politico a quello destinale (relativismo, volontà di potenza, eterno ritorno).
Su questo non sono per nulla d'accordo. Certo, si può intendere Nietzsche anche così e le sue invettive contro il cristianesimo paolino lo confermerebbero, ma se ci si fermasse qui il pensiero di Nietzsche sarebbe un fallimento completo. Come ci si può porre al di là del bene e del male rovesciandone semplicemente i significati? Come si può definendo in termini opposti il bene e il male? Sempre di morale (e di fare la morale) si tratterebbe e l'egoismo sarebbe ancora un precetto morale con tutti i suoi santi egoisti che poco varrebbe chiamare superuomini. Se il pensiero di Nietzsche è coerente tutto va ontologicamente (non certo eticamente) compreso in nome della volontà di potenza che cancella ogni morale, senza sostituirne una con un'altra. Ma questo non significa che Nietzsche sia un relativista, al contrario: la cancellazione della morale diventa così davvero assoluta, è il solo modo in cui può essere assoluta e definitiva.
#311
Citazione di: donquixote il 17 Marzo 2017, 19:42:43 PM
Citazione di: Garbino il 17 Marzo 2017, 18:15:30 PMNietzsche, per sua stessa ammissione, da giovane si è dilettato nel ruolo di filologo.

Veramente non si è solo "dilettato", visto che come filologo ha mantenuto per qualche anno la cattedra di lingua e letteratura greca all'università di Basilea, e poi quando ha lasciato l'insegnamento la stessa università gli ha concesso un vitalizio con cui si è potuto mantenere sino alla fine dei suoi giorni.
Nietzsche infatti era filologo per formazione accademica e, per il breve periodo in cui lavorò all'università, insegnò filologia, non filosofia. Questo aspetto è sempre sottolineato dai filosofi suoi avversari e detrattori (tra l'altro il suo modo di fare filologia non era particolarmente consono allo stile formale ritenuto adeguato per farla). Capita che grandi filosofi non abbiano avuto una competenza accademica specifica con grande dispetto di quelli che ce l'hanno e riescono solo a ruminare   :)  .
#312
Citazione di: Garbino il 16 Marzo 2017, 16:16:25 PM
La volontà di potenza in definitiva non ha bisogno dell' uomo, essa può farne tranquillamente  ( retoricamente ) a meno. E' l' uomo ( sintetizzo ) che necessita dell' arte infusa nella volontà di potenza e che può tornare a usufruirne attraverso la liberazione dal suo passato e dalle menzogne che fin qui ha accettato. La volontà di potenza non è un valore né crea valori ( e non è neanche Dio ). E' l' uomo, l' essere valutante, che può tornare a creare valori e raggiungere l' Olimpo dei Greci. E' l' uomo che diviene Dio grazie alla volontà di potenza finalmente liberata.
In altre parole la volontà di potenza è una forza creante assolutamente irrazionale che è infusa in tutta la vita. Questa la mia opinione.
Come si è detto il primo punto da chiarire mi pare cosa sia la volontà di potenza che Nietzsche riprende da Schopenhauer e che evidentemente non può essere né una forma di volontà individuale arbitraria e del tutto svincolata (e la profonda ammirazione sempre mantenuta da Nietzsche per Spinoza non può che attestarlo) e men che meno la buona volontà cristiana e nemmeno la cattiva volontà dei malvagi. La volontà di potenza appare l'impulso vitale stesso, ossia quella forza profonda che anima l'esistenza e corrisponde all'esistenza stessa al di là del gioco delle rappresentazioni e quindi al di là del bene e del male.
Forse In questo senso Nietzsche non è, almeno nella sua fase più matura, come farebbe un qualsiasi ateo, interessato a condannare l'asceta o il cristiano. Nietzsche è sgomento davanti alla morte di Dio, il passo della Gaia Scienza lo dice chiaramente: la morte di Dio è sconvolgente, nonostante quello che pensano gli atei ridacchiando. Quello a cui lui è davvero interessato è mostrare come il bene e il male fanno parte di un gioco di maschere, che i "buoni in realtà non sono per nulla buoni, né i cattivi sono cattivi, bene e male sono mere parvenze dacché è morto Dio, il grande baluardo metafisico che  imponeva i giudizi morali con i necessari doverosi mascheramenti in cui l'essere umano poteva trovare il suo senso artefatto (non dimentichiamo che Nietzsche era pur sempre figlio di un pastore luterano, che aveva amato il padre di cui conservava il ricordo profondo, a fronte della sua avversione per la madre e la sorella).
Zarathustra non si esalta per la morte di Dio, come a dire finalmente Il grande carceriere è crepato! balliamo tutti insieme lieti e garruli, fratelli e sorelle, finalmente potremo liberarci di quegli impiastri di sacerdoti, asceti e stregoni facendo fare a loro la stessa fine, impiccati nelle chiese. Al contrario, Nietzsche mostra chiaramente che la morte di Dio significa inevitabile la morte dell'uomo, quello stesso piccolo uomo che prima andava in chiesa e ora è ateo e magari si aggrappa alla scienza pur di conservarsi. Nietzsche ben sa cosa significa quella morte di Dio per l'umanità e la storia del secolo successivo, dopo la sua morte, avrebbe dato ben ampia ragione alla sua profezia. E qui, dato che l'uomo muore, che perde di senso, trovandosi così esposto, entra in gioco, evocato in scena, ma senza che possa apparire, quasi una sorta di Godot, l'Oltreuomo che solo potrà sostituire Dio e l'uomo, entrambi morti. L'Oltreuomo però non c'è, non si vede ancora e questo aumenta lo sconvolgimento, la sola indicazione che se ne ha è che l'Oltreuomo è colui che incarna lo stesso impulso vitale stesso, aderendovi scegliendolo, ma non come si sceglieva tra il bene e il male.
Qui c'è a mio avviso una cosa da capire, se la volontà di potenza è l'assoluto delle potenza vitale, non c'è né mai c'è stata gabbia che abbia potuto contenerla. L'asceta, il sacerdote sono già volontà di potenza in atto, ne sono comunque incarnazione che la realizza. La volontà di potenza non può che vincere sempre, è essa che crea le maschere della morale, le rappresentazioni metafisiche, le gabbie e al pari le distrugge, non l'uomo ed è questo che l'oltreuomo deve volere accettare.
Perché altrimenti non si capisce il terzo grande punto cruciale della filosofia nicciana, quello filosoficamente fondamentale che è l'eterno ritorno che pare così in contraddizione con l'idea di una volontà immaginata tanto ingenuamente liberatoria per l'umanità intera, del tipo io voglio tutto e posso tutto. Al contrario, l'eterno ritorno dice che io non posso niente e voglio non potere niente, perché solo così si vuole davvero tutto, si vuole l'eterno ritorno, che vanifica ogni maschera, ogni etica fondata su un bene e su un male, solo nell'eterno ritorno si è davvero oltre i condizionamenti del passato con le sue colpe e i suoi meriti, oltre il sentimento del bene e del male. E allora. nell'ottica dell'eterno ritorno è chiaro che non ha più nemmeno senso la condanna del cristiano, dell'asceta, del sacerdote, come si può condannare se si è oltre il bene e il male? Nietzsche condanna, ma lui sa di non essere l'Oltreuomo. In nome di quale bene e di quale male si può benedire o maledire e condannare? Forse che l'impulso vitale è bene? Se lo è non è assoluto, perché deve fare i conti con il suo male. E' chiaro che deve perdere di senso qualsiasi condanna, perché qualsiasi condanna ricondurrebbe alla logica del bene e del male. L'Oltreuomo, chiunque sia, non può condannare assolutamente nulla e nessuno dal momento che sceglie la volontà di potenza, ossia la vita stessa che è comunque anche vita (e quindi volontà di potenza) dell'asceta, del sacerdote, del cristiano, del santo e dell'ateo e di ogni piccolo uomo, financo il più miserabile, ipocrita e repellente.
Io non credo che Nietzsche abbia visto le cose in questo modo fin dall'inizio, non so se sia davvero giunto a vederla davvero in questo modo nemmeno alla fine, ma di sicuro la conseguenza di una volontà di potenza assoluta, proprio intesa nel suo pieno e assoluto significato vitale, non può che essere questa. Solo così l'Oltreuomo può essere Dio, quel Dio che l'uomo ha ucciso manifestando così l'evento della fine dell'uomo e quindi del mondo degli uomini. Solo così il nichilismo a cui la morte definitiva di ogni Dio conduce con la morte di ogni ordine e istituzione di senso è effettivamente superato da un ribaltamento assoluto del nichilismo stesso che così si è compiuto. Non perché si è costretti ad arrendersi, ma perché lo si vuole.
#313
Citazione di: Garbino il 13 Marzo 2017, 17:38:53 PM

Cacciari afferma che l' annuncio della Morte di Dio porta a compimento il Nichilismo. E ciò è falso. O almeno molto discutibile.
Lo afferma intendendo come morte di Dio la fine di qualsiasi principio metafisico sulla base dei quali l'uomo fondava il proprio senso umano. La morte di Dio (che noi, uomini, abbiamo ucciso) non è per Nietzsche qualcosa di gioiosamente liberatorio, non è qualcosa su cui si possa scherzare al mercato (come si dice nell'aforisma 125 de "La gaia scienza"), ma è un avvenimento terribilmente angosciante che annuncia la morte dell'uomo. Ed è certamente l'uomo, l'uomo Nietzsche innanzitutto, che si scopre esposto all'annientamento. Annientamento che l'immagine di Dio (immagine del fondamento metafisico) solo nascondeva. Ovvio che la volontà di potenza sta oltre la dimensione umana, è una sorta di assoluto divenire che non ha scopo alcuno al di fuori di se stesso, perfettamente autoreferenziale esso viene a rivelare un diverso assoluto metafisico che paradossalmente sta inalterabile: tutto diviene. Ma è proprio per il determinarsi di questo paradosso che è necessario che anche il divenire divenga, che lo stare del divenire stesso si presenti non come un eterno stare ma come un eterno ripetersi identico.
In questo l'uomo, il suo progetto, è radicalmente annientato. L'uomo si rivela nulla, perché nulla è il senso, non c'è senso, quindi non c'è uomo possibile con la sua tensione, speranza di trovare senso, sullo scenario dell'eterno ritorno. Però Nietzsche (a differenza ad esempio di Leopardi che si ferma di fronte a questo immane scenario ove più nulla ha senso umano) parla di un oltreuomo, ma chi mai può essere l'oltreuomo? Non semplicemente chi si sente finalmente liberato, sollevato dal peso di Dio e di una morale che lo ingabbia, ma chi è pronto a incontrare infinite volte se stesso identicamente, chi vuole assolutamente se stesso identico, tornando ancora e ancora a essere quello che è. in una unicità assoluta che è solo eterna ripetizione. E questo significa appunto essere nella volontà di potenza che non è volontà progettante dell'uomo che si propone dei fini diversi a cui tendere e per questo lascia solo rovine e macerie definitive in cui la volontà si dissipa.
Così mi era parso di poter intendere, se ben ricordo, la lezione di Cacciari: alla fine l'eternità del divenire sembra coincidere nella sua interpretazione (che riconosce discutibile e arbitraria) proprio con l'eternità identica dell'ente, prova a seguirla fino in fondo.
#314
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
13 Marzo 2017, 14:02:10 PM
Citazione di: Duc in altum! il 12 Marzo 2017, 20:09:53 PM
Errando, errando, caro @maral, si finisce poi per comprendere davvero qual è la verità. Sbagliando s'impara, no?!
Purtroppo no, caro Duc, sbagliando si impara solo a ripetere l'errore in forma diversa. non a comprendere la verità, perché è la verità che già ci comprende e  volte, può capitare, inaspettatamente, di sentirsi in essa compresi e quando questo accade (per miracolo, per grazia, per una inattesa sincronia? Vedi tu) non c'è resistenza che tenga, semplicemente è così. Ma non dura troppo vivendo, non dura per sempre, è un attimo che è già passato, tutto quello che si può dire è che ha lasciato un segno e su questo segno si potrà tentare di immaginare un senso per il nostro cammino errante che si intreccia con altri cammini erranti, ognuno dei quali offre i propri segni a riconoscimento comune, ma senza pretese, senza volere che siano segni universali, senza progetto, solo lasciando che accada per come a ciascuno accade, ossia vedendo come ogni vita ha la sua profonda sapienza che si riflettono nei segni che lascia in possibile condivisione.
Dopotutto credo che la verità è solo questione di postura, non di volontà a credere in un determinato contenuto o significato anziché a un altro, è come quando si impara ad andare in bicicletta (o anche a camminare in equilibrio su un filo), non si tratta di quale bicicletta o della regola giusta per tutti per sapere come si fa, si tratta solo di farlo e rifarlo, ognuno tentando a modo suo insieme agli altri, errando sempre, ma nella speranza che ogni errore, ogni inevitabile sbilanciamento, corregga quello precedente, così che alla fine non si cade. Così ognuno impara dalla propria esperienza e dalla propria esistenza errante, vedendola reciprocamente riflessa negli altri che provano con noi, ognuno che nella sua differenza sa.
Non c'è una verità assoluta, proprio come non c'è un modo assoluto di andare in bicicletta, non c'è ricetta universale, non c'è progetto, ma può accadere ci si trovi disposti a lasciarla accadere mentre esistiamo relativamente l'uno all'altro.
La verità non si impara leggendo cosa è (per questo non siamo più fortunati di Pilato), ma la si sperimenta errando nel più modesto fare quotidiano, ossia esistendo, ove l'esistere comprende anche l'esperienza di leggere e capire cosa leggono gli altri chiedendosi perché.
#315
Mi sembra doveroso ringraziare Garbino per questo percorso attento che ha qui presentato attraverso i tre saggi della "Genealogia della morale" che, appartengono al tema fondamentale nicciano della trasvalutazione dei valori, annullati dall'unico valore che è dato dalla volontà di potenza (la forza vitale si potrebbe dire). Mi permetto però di osservare che il discorso sulla "rovina" è tutt'altro che trascurabile in Nietzsche (nel senso in cui mi pare e se non fraintendo, Green voglia alludere, effettivamente non sempre chiarissimo nei suoi accenni spesso un po' troppo solo accennati), per il passaggio che dalla volontà di potenza conduce all'eterno ritorno, anzi direi che è un punto chiave, come ben spiega Cacciari in questo video (riprendendo la profonda lettura severiniana di Nietzsche):  https://www.youtube.com/watch?v=EJ-sAoz8PY4 (dal minuto 4 in avanti). In breve, la volontà di potenza è il divenire, ma il divenire è inscritto nel tempo e nel tempo, di fronte al passato del "già fu", la volontà di potenza si scopre del tutto impotente, può vedere solo rovine e macerie che testimoniano che ciò che è stato è stato e nulla può essere cambiato. Il tempo che dà un senso definitivo al divenire sottrae così al divenire ogni possibilità di essere autentica forza creatrice, lo dissipa in se stesso in forma di rovine e macerie che non possono più essere altro di ciò che sono state. Proprio da qui la necessità di eliminare il senso del tempo ed eliminare il passato come definitivo assolutamente non intaccabile attraverso la necessità dell'eterno ritorno dell'uguale: nulla è passato, poiché tutto ritorna, e tornando la volontà può volere ogni volta riaffermare la sua totale potenza su di esso.