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Messaggi - Apeiron

#301
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
24 Marzo 2018, 10:57:18 AM
Rispondo a @sgiombo  :)


Citazione
CitazioneIl "mio vederla e sentirla parlare" [evento-2] é presente mentre accade (nel suo accadere). mentre il "suo parlare" [evento-1] é passato rispetto al mio vederlo e sentirlo [rispetto all' evento-2] , essendo presente mentre accade (nel suo proprio accadere) [allorché é futuro l' evento-2].
Concordo!

CitazionePer personale ignoranza in proposito non prendo in considerazione la teoria della gravità quantistica a loop.

Rilevo soltanto (ma chiaramente é un' altra questione: non sto obiettando alla teoria, ma svolgendo una considerazione dalla teoria suggeritami) che anche per la pura semantica (e per gli antichi atomisti, secondo l' interpretazione che dò personalmente di quanto ci é arrivato delle loro teorie) lo spazio vuoto é tale (é -da intendersi come- "qualcosa": il concetto di "spazio vuoto" connota ed eventualmente denota "qualcosa" e non "nulla") relativamente al "non vuoto" (gli atomi di Leucippo, Democrito, Epicuro, ecc., o in generale gli "oggetti -enti ed eventi- in esso ubicati", ecc.).
"In assoluto", ovvero senza la (a prescindere dalla) relazione con gli "oggetti" che contiene, non é un concetto (dotato di connotazione; precisazione pleonastica), non esiste (come tale: concetto con significato intensionale; ed eventualmente estensionale, esistendo in questo caso anche la "cosa reale"): "Omnis determinatio est negatio" (Spinoza).

Puntualizzazione corretta. Però, fai conto che per la gravità quantistica a loop non ci sono cose che si muovono nello spazio. Se togli gli oggetti non rimane lo "spazio vuoto".

CitazioneConcordo: anche l' improbabilissimo (in linea teorica, di principio; e di fatto impossibile: l' interpretazione di Boltzmann del II° pr. della TD é a mio parere. oltre che assolutamente geniale, insuperata) ricomporsi dei frammenti del bicchiere caduto e sbriciolatosi, avverrebbe inevitabilmente dal passato al futuro e non viceversa.

Già... pensa che fin dal liceo i libri di fisica tendono a dire che il futuro si distingue dal passato per l'irreversibilità. Secondo me questo crea un'enorme confusione...


Citazione
CitazioneTi chiedo: in che senso sono convenzioni (sia pure relativamente ad enti ed eventi reali intersoggettivamente constatabili empiricamente (se voglio ragionare di cose reali e non immaginarie posso convenzionalmente considerare il territorio dell' Italia attuale (come nazione), oppure quello dell' Italia settentrionale, oppure quello del Vecchio Continente o solo l' Eurasia, ecc., ma non posso considerare l' Atlantide o Lilliput o, convenzionalmente, il territorio complessivo di Atlantide + Lilliput o quello costituente i tre quarti settentrionali o la metà occidentale oppure il territorio di qualsiasi "provincia" di Atlantide")?

Secondo me, a certe condizioni indimostrabili (ma tali che di fatto tutti i sani di mente per lo meno si comportano come se ci credessero), intersoggettivamente tutti (chiunque), purché si collochino "nella giusta posizione" e osservino "nel giusto modo", possono (e inevitabilmente devono, a tali condizioni) constatare l' accadere di qualcosa che si dice "l' esistenza del tavolo".

Rispondendo alla tua domanda, la differenza tra "Italia Settentrionale" e "Atlantide" è che "Atlantide" è un concetto immaginario mentre "Italia Settentrionale" deriva da considerazioni empiriche.

Su questo tenevo a dare una precisazione. Se fosse vero il "convenzionalismo" allora tutta la "realtà" sarebbe una convenzione. Sarebbe "mere convenzioni" perfino le regolarità nella natura. Sarebbe convenzione perfino il fatto che se sbatto il mignolo contro la gamba del tavolo mi faccio (molto) male. No, non sto dicendo questo. Non sto dicendo che la realtà dipende dalle nostre convenzioni. Quello che voglio dire è più sottile: la realtà c'è tuttavia per "orientarci" in essa dobbiamo "creare una mappa", la quale dipende da certi nostri assiomi che possono essere arbitrari. L'esempio geografico è più interessante, in fine dei conti, di quello del tavolo. Non sto dicendo che il "territorio" Italia dipende dalle nostre convenzioni. Sto dicendo che noi distinguiamo l'Italia perchè descriviamo la realtà partendo da alcuni assiomi di base. Non sto negando l'esistenza del Monte Bianco, sto solo dicendo che il "Monte Bianco" non è veramente una "cosa distinta" dal resto delle Alpi. Il fatto che noi "dividiamo" la catena alpina in "montagne" è dovuto ad una nostra decisione di dividere la catena alpina in un certo modo. Ciò non significa però che le cime alpine non esistono (altrimenti se ciò fosse vero Annibale non avrebbe fatto nulla di "speciale"). Questa è la differenza tra me e un "nichilista": per me c'è una "realtà innegabile", tuttavia gli assiomi con cui partiamo nella nostra descrizione sono (almeno in parte) arbitrari.

Negare la realtà invece significa invece ritenere che la realtà è una nostra costruzione convenzionale. Non la sua descrizione, ma proprio la realtà. Ma il fatto che ci sia una realtà ci permette di fare in modo che le nostre convenzioni siano "utili". In fin dei conti riusciamo a sincronizzare gli orologi di Pechino e New York, anche se il "tempo assoluto" di Newton è una convenzione, ma è una convenzione che si basa sull'esperienza e non è semplicemente un'immaginazione come Atlantide.

Perciò: la realtà è indipendente dalle convenzioni. Le descrizioni della realtà invece si basano su assiomi che invece sono in parte arbitrari.
Ed è qui il bello, proprio quell'"in parte". Quell'"in parte" ci piazza esattamente a metà tra "dogmatismo" (essere convinti che le nostre descrizioni siano "esatte" indipendenti da noi stessi ecc) e "nichilismo"/"scetticismo estremo" (essere convinti che tutte le descrizioni sono completamente arbitrarie e che quindi nessuna di esse si può definire "migliore" di un'altra). Ma quell'"in parte" ci dice anche che la natura è regolare, che la ricerca di una migliore comprensione delle cose non è futile ecc

In sostanza questo rende giustizia al "tempo newtoniano". Il tempo newtoniano non è "reale", tuttavia è un concetto ben fondato sull'esperienza. (In modo simile siamo noi a voler "astrarre" il "tavolo" da ciò che lo circonda - c'è un po' di differenza in realtà tra i due casi, ma personalmente li trovo simili.)
#302
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
24 Marzo 2018, 00:48:46 AM
Visto che sono stato "invocato" molte volte in questo topic, non posso fare a meno di rispondere  ;D

Rispondo al primo messaggio di @epicurus

CitazioneNell'ultimo periodo ho letto il libro "L'ordine del Tempo" di Carlo Rovelli: lo consiglio a tutti. Rovelli è davvero molto bravo a presentare cose difficili e fuori dall'ordinario in modo comprensibile, ed ha anche un bello stile. A tratti è pure commovente.

Detto questo, in questo topic mi piacerebbe prima di tutto illustrare cosa sappiamo del tempo grazie ai risultati della fisica. (Le parti tra virgolette sono tratte direttamente dal libro di Rovelli.)

Concordo consiglio vivamente il libro ;) anche questo video merita: https://www.youtube.com/watch?v=xeHHjGKwZWM


Citazione"Due amici si separano, uno va a vivere in pianura, l'altro in montagna. Dopo anni si ritrovano: quello in pianura ha vissuto meno, è invecchiato meno, il pendolo del suo cucù ha oscillato meno volte, ha avuto meno tempo per fare cose, le sue piante sono cresciute meno, i suoi pensieri hanno avuto meno tempo per svolgersi..."

Quale orologio è il più corretto? Questa domanda non ha senso. Ogni punto spaziotemporale ha quello che viene chiamato "tempo proprio". Non c'è un unico tempo, quindi, a cui ogni evento si coordina.


Corretto. L'assunzione è che gli orologi funzionino allo stesso modo. Tuttavia ciò non significa che la misura di una durata di un evento è uguale per ogni riferimento.
E infatti, se il "montanaro" torna in pianura, la durata della "permanenza in montagna" varia da un riferimento ad un altro.
Detta in altri termini: supponiamo di voler confrontare il "ritmo" di due orologi, uno posto in montagna e uno in pianura. All'inizio quando li ho entrambi a disposizione nello stesso posto (poniamo la pianura) per verificare che funzionano allo stesso modo, guardo che il loro "ritmo" sia lo stesso. Dopo aver verificato questo (il fatto che i due orologi funzionano allo stesso modo è un postulato...) ne porto uno in montagna. Dopo un anno misurato dal mio orologio in pianura, riprendo il mio orologio in montagna (che ricordo ancora, è dello stesso modello del mio, funziona allo stesso modo...) e noto che quest'ultimo ha misurato un po' meno di un anno. Questo fenomeno e nient'altro è la "dilatazione" dei tempi gravitazionale. (Credo che @epicurus lo sa quindi per lui questa puntualizzazione forse è inutile, ma) Spesso si pensa che il "ritmo" degli orologi vari. Ciò non è vero.    


Citazione"Non solo non esiste un tempo comune a diversi luoghi, ma non esiste neppure un tempo unico in un singolo luogo. Una durata può solo essere associata a un movimento di qualcosa, a un percorso dato. Il «tempo proprio» non dipende solo da dove si è, dalla vicinanza o meno di masse, dipende anche dalla velocità a cui ci muoviamo."


Vero anche questo. Con la relatività si spiegano fenomeni che paiono assurdi. Per esempio la durata della vita media di un muone, una particella subatomica, non permeterebbe ad esso di attraversare la nostra atmosfera ed arrivare a Terra. Ci riesce perchè in realtà la "durata della vita media" è tale se misurata nel riferimento del muone, non nel nostro. Per noi il muone arriva ad una velocità altissima quindi entra in gioco la dilatazione dei tempi. Nel riferimento del muone, inoltre, il muone è fermo e la superficie terrestre gli va in contro. La cosa interessante è che nel suo riferimento riesce a percorrere tutta quella distanza nel breve periodo della sua vita perchè in realtà nel suo riferimento entra in gioco la contrazione delle lunghezze (la distanza dalla superficie della Terra per il muone è minore rispetto alla distanza superficie - muone misurata da noi). Ergo le stesse cose che qui si dicono per il tempo si possono anche dire per lo spazio. Le riflessioni riguardo agli orologi ora si possono fare per i "metri", gli strumenti di misura delle distanze.

CitazioneTutto ciò comporta uno dei fatti più pazzeschi e incredibili che l'uomo abbia mai scoperto: il concetto di presente, passato e futuro è relativo!

"Cosa sta accadendo adesso in un luogo lontano? Per esempio, immaginiamo che mia sorella sia andata su Proxima b, il pianeta scoperto da poco, che ruota attorno a una stella vicina, a circa quattro anni luce di distanza da noi. Domanda: cosa sta facendo adesso mia sorella su Proxima b?
Vero... su questo vorrei espandere in un altro momento. In realtà questo mio post non è molto completo, ma sono un po' incasinato  ::)


CitazioneIl concetto di presente è sensato vicino a noi. Filosofi per secoli hanno sempre immaginato di potersi riferire all'universo nella sua interezza in un dato istante temporale, ma ciò non è possibile, non ha senso.

Per dirla brutalmente, il concetto di "adesso" in relatività ha senso solo in un punto dello spazio. In fin dei conti ciò che vediamo, sentiamo ecc è "passato" visto che luce, suoni, gusti ecc impiegano un certo tempo ad arrivare (la velocità della luce è finita...). Dunque quando parlo ad una persona la vedo "con un certo ritardo", per così dire.


CitazioneQuanto è estesa questa bolla? Dipende dalla precisione con cui determiniamo il tempo. Se è di nanosecondi, il presente è definito solo per pochi metri, se è di millisecondi, il presente è definito per chilometri. Noi umani distinguiamo a malapena i decimi di secondo, e possiamo tranquillamente considerare l'intero pianeta Terra come un'unica bolla, dove parliamo del presente come di un istante comune a tutti noi. Non più in là.

...

Ovvero... se la precisione del tempo fosse infinita, la bolla si ridurrebbe ad un punto geometrico.

Aggiungo: ciò che la relatività -  a parte qualche eccezione - non nega è che la sequenza causale degli eventi è uguale per ogni riferimento. Ovvero, se Alice prima vede che il semaforo diventa verde e poi riparte con l'automobile anche Bob dirà che prima Alice ha visto il semaforo verde e poi è partita. L'unica obiezione a questo sarebbero i viaggi nel tempo, ma per me come qualcuno sa sono semplici fantasie.


CitazioneLa meccanica quantistica introduce un altro concetto pazzesco: l'indeterminazione. Per esempio, non è possibile prevedere dove apparirà un elettrone perché finché la posizione dell'elettrone non viene misurata, esso non ha una posizione precisa, si dice che sia in "sovrapposizione" di posizioni.

Come dice @sgiombo ci sono varie interpretazioni della MQ. Comunque la visione "classica" è che la domanda "dov'è l'elettrone?" non può essere fatta prima della misura. Inoltre Rovelli non appoggia strettamente parlando il "Copenaghismo" bensì una interpretazione relazionale (che però è simile...). Ma si va fuori topic  ;D


CitazioneMa la sovrapposizione non riguarda solo le particelle. "Lo spaziotempo è un oggetto fisico come un elettrone. Anch'esso fluttua. Anch'esso può essere in una «sovrapposizione» di configurazioni diverse. [...] Anche la distinzione fra presente, passato e futuro diventa quindi fluttuante, indeterminata. Come una particella può essere diffusa nello spazio, così la differenza fra passato e futuro può fluttuare: un avvenimento può essere insieme prima e dopo un altro."

Qui si entra nella parte "controversa". Sinceramente non ho la competenza per giudicare la teoria, anche perchè non ho la più pallida idea di cosa può voler dire, all'atto pratico, uno spazio-tempo quantizzato. Figuriamoci se poi applichiamo su di esso la riflessione sull'indeterminismo.

CitazioneL'assenza della quantità «tempo» nelle equazioni fondamentali non significa un mondo congelato e immobile. Al contrario, significa un mondo dove il cambiamento è ubiquo, senza essere ordinato da Padre Tempo: senza che gli innumerevoli accadimenti si dispongano necessariamente in bell'ordine, né lungo la singola linea del tempo Newtoniano, né secondo le eleganti geometrie Einsteiniane. Gli eventi del mondo non si mettono in fila come gli inglesi. Si accalcano caotici come gli italiani.

Ma sono avvenimenti, cambiare, accadere. L'accadere è diffuso, sparso, disordinato, ma è accadere, non stasi. Gli orologi che vanno a velocità diverse non definiscono un unico tempo, ma le posizioni delle loro lancette cambiano una rispetto all'altra. Le equazioni fondamentali non includono una variabile tempo, ma includono variabili che cambiano le une rispetto alle altre. Il tempo, suggeriva Aristotele, è la misura del cambiamento; variabili diverse possono essere scelte per misurare il cambiamento e nessuna di queste ha tutte le caratteristiche del tempo della nostra esperienza; ma ciò non toglie il fatto che il mondo sia incessante cambiare.

Qui concordo con Rovelli. Il "tempo" inteso come "dimensione" è sempre stato un'astrazione. Niente nell'esperienza ci ha mai veramente suggerito che, ad esempio, ci fosse il "tempo assoluto" alla Newton. Cosa ci ha suggerito di fare una tale assunzione? Il nostro bisogno di avere un "riferimento" per vivere. Ovvero abbiamo "reificato" una convenzione: abbiamo reso "reale" un'utile convenzione. Il "tempo newtoniano" però è utilissimo. Senza di esso i trasporti e le comunicazioni (e molto altro) sarebbero impossibili. Tuttavia se vogliamo avere una comprensione maggiore delle cose, dobbiamo essere pronti a "lasciar andare" queste convenzioni. In sostanza il "tempo" di Newton è tanto vero come i confini tra le province. In realtà le "province" non esistono all'infuori delle nostre convenzioni. Idem, lo stesso vale per il tempo.

Ma quello che rimane non è il caos. Non rimane un qualcosa di disordinato. Perchè? Anzitutto perchè quel "caos" in realtà può essere descritto (per quanto possibile) con una matematica estremamente elegante. In secondo luogo perchè ci è possibile fare le convenzioni. Riflettete anche su questo. Nonostante questa "complessità" nell'infinitamente piccolo e nell'infinitamente grande, noi comunque riusciamo a fare le nostre convenzioni.


CitazioneSpesso si sente dire in discussioni filosofiche che la fisica ha dimostrato che il tempo non esiste. Non sono d'accordo (e non lo è neppure Rovelli). Quello che sappiamo è che il tempo è un qualcosa di molto più complesso di quello che pensavamo. Allo stato attuale della fisica il tempo c'è eccome... ma attualmente disponiamo di due teorie potentissime e formidabili, una per il mondo macroscopico e l'altro per il mondo microscopico, ma non sono state ancora unificate. Da qui la ricerca di una teoria che unisca entrambe le teorie. I due candidati più famosi sono: la teoria delle stringhe e la teoria della gravità quantistica a loop (l'area di ricerca di Rovelli).

Nella teoria delle stringhe il tempo è una dimensione legittima, insieme a molte altre dimensioni spaziali. Quindi qui nessun problema. Nella teoria della gravita quantistica a loop, invece, sembra che qui le cose si facciano più particolari: la sua equazione fondamentale (l'equazione di Wheeler-DeWitt) non contiene la variabile temporale. Tuttavia lungi dall'abbandonare il concetto di tempo, se questo è da considerare come misura del cambiamento: infatti per tale teoria il concetto di cambiamento è fondamentale (come ho riportato più sopra con le parole di Rovelli), cioè non esiste la variabile temporale, ma si descrivono come i sistemi cambino l'uno in relazione agli altri.

Tirando le somme, né per l'attuale situazione della fisica, né per quello che sarà probabilmente la fisica del futuro prossimo, il mondo è senza tempo. Il tempo, inteso come misura del cambiamento, è invece ubiquo.


Il tempo non è illusorio, se inteso come ben dici tu come "cambiamento". In fin dei conti è innegabile che il cambiamento ci sia. Tuttavia l'illusione sono le nostre convenzioni, o più precisamente, che le nostre convenzioni siano veramente "reali".

La cosa strabiliante della gravità quantistica a loop è che rimuove completamente lo "spazio" e il "tempo" intesi come "background" dei fenomeni. In sostanza mentre intuitivamente pensiamo che rimossi gli oggetti spazio e tempo rimangono (e lo dice pure la Relatività generale!) per questa teoria rimossi gli "oggetti" rimane letteralmente il "nulla". Non c'è nessuna realtà dietro gli "oggetti".

CitazioneAlcuni sostengono una qualche forma di teoria dell'universo-blocco, secondo la quale tutto lo spaziotempo è cristallizzato e tutto presente. Altri sostengono la teoria opposta secondo la quale il tempo scorre, e che quindi il presente avanza.

Beh, se la relatività fosse la teoria "corretta", sarebbe in fin dei conti plausibile...


CitazioneE così è anche per il tempo. Alcune volte è comodo consideralo come un flusso, altre volte ci è più congeniale parlare dello spaziotempo nella sua interezza. Dipende dalle nostre necessità di analisi. Riguardo all'universo-blocco, che senso ha dire che tutto lo spaziotempo è presente? Nessuno. Ma magari si vuole dire dell'altro e cioè che lo spaziotempo è atemporale: ma anche qui ci sono problemi linguistici notevoli. E' ovvio che se vuoi vedere tempo da fuori avrai una visione atemporale del tempo, ma questa è una tautologia... cioè hai una visione del tempo atemporale proprio perché hai voluto osservare il tempo senza considerare il tempo.  E per chi vede il tempo come flusso, che cosa intende veramente? Noi ci immaginiamo che ci spostiamo nel tempo, ma anche questo non ha senso senza ipotizzare una seconda dimensione temporale (!). E' più appropriato dire che noi siamo nel tempo, cioè abbiamo sia un'estensione spaziale sia un'estensione temporale... o semplicemente che le cose cambiano. Tutto qui.

L'universo a blocco dice che in sostanza il cambiamento è puramente illusorio.

Il problema è che l'uomo è "dotato" di logos, di razionalità. Vuole crearsi una "mappa" concettuale della realtà. Il problema è quando crede di aver catturato la realtà con una di queste mappe. Il "miracolo" è che nonostante l'impossibilità di comprendere veramente la realtà con queste mappe, in fin dei conti è possibile costruire delle mappe, utilissime e tutt'altro che arbitrarie. Le mele scendono quando cadono e non salgono. Succede sempre così. Tuttavia "su" e "giù" sono concetti relativi.

CitazioneE LA FRECCIA DEL TEMPO?

Qui era la parte in cui avevo più "difficoltà". Secondo me qui Rovelli confonde l'irreversibilità con la freccia del tempo. Se anche tutti i fenomeni fossero reversibili ci sarebbe comunque un "verso" del tempo. Tuttavia in tal caso sarebbe possibile "invertire" tutti i processi. Ma questo non c'entra molto con la presenza di un "verso" del tempo.

Riguardo all'esistenza del tavolo... beh direi che non si può dire che "esiste" o che "non esiste". Il "tavolo" gode di un'esistenza convenzionale. Ciò non toglie che se ci sbatto il mignolo contro di esso mi faccio un gran male e che mi è possibile creare questa convenzione. Il "tavolo" non è una vera entità, ma ovviamente non si può dire che non esiste.

Riguardo ad altre cose risponderò un'altra volta. Inoltre, ci sono certe cose su cui non so rispondere. Tipo la "gravità quantistica" non riesco a capirla. Magari ho qualche speranza di capire la matematica e di farci i conti, ma "capirla" è un'altra cosa  ::)

In sostanza il "tavolo", la "provincia" ecc sono utili convenzioni, possono essere usate per "orientarci" nella realtà ma non sono reali. Idem per il "tempo newtoniano". Se ha ragione Rovelli lo "spazio-tempo", lo spazio e il tempo sono anch'essi convenzioni, non sono reali.
#303
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
22 Marzo 2018, 19:51:11 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PMInsomma, è il veicolo che viene distrutto, non la coscienza, che semmai possiamo dire perda l'individualizzazione conquistata nel ciclo di vite. Ma non distrutta. Ritengo che in una visione monista non ci sia nulla che possa essere realmente distrutto.

Cioa @Loris,

grazie per il chiarimento! Infatti non mi tornava molto la cosa  ;) ad ogni modo nelle filosofie indiane, il "flusso" non si ferma mai a meno che (pensare a questo "stimola" il desiderio di uscire)....

Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
Sul confronto col Cristianesimo, credo che la teosofia possa dare ancor più valore alla vita terrena. Faccio quest'esempio. Se un essere umano muore in giovanissima età, ancora infante, quale sarà il suo destino in ottica cristiana?

Qui effettivamente sollevi un punto serio. Personalmente la vedo come una delle "aporie" della dottrina cristiana. Non saprei risponderti a questa domanda. Sarebbe interessante sentire il parere di qualcuno che conosce l'attuale posizione della Chiesa (sinceramente le "risposte" che conosco a tale dilemma non mi hanno mai convinto).

Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
Ora, però, se Dio è in grado di giudicare un'anima senza che questa viva compiutamente una vita terrena, a che cosa serve appunto vivere la vita terrena? Non potrebbe Dio far così con tutte le anime che crea?

Riguardo alla prima domanda, prova a vederla come una sorta di "apprendimento". Nel Cristianesimo imparare ad amare è importante. E l'idea è che Dio ci dona la vita (e la Grazia...) - questa vita terrena serve appunto a imparare gradualmente ad amare e la fede può essere vista come un aiuto a riuscire ad amare. Purtroppo amare è molto difficile e talvolta richiede molta fatica e la fede e la speranza possono aiutarci a coltivare la virtù somma dell'amore (agape). Forse il "senso" di questa vita terrena per il Cristianesimo è questo. Ovviamente è solo la mia opinione sulla cosa.
Ad ogni modo la frase "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. " (1 Gv, 20) fa ben capire come il Cristianesimo non nega il valore dell'esistenza terrena e (in particolare) dei rapporti umani. Secondo me quella frase ci suggerisce che bisogna prima imparare ad amare il prossimo che è "qui" e dopo si è pronti ad amare Dio. E parte di questo "apprendimento" è anche essere capaci di accettare il dono.


Riguardo alla seconda domanda. Ti risponderei con la prima. Di certo è un "mistero"  ;)


Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
Ma, un momento... Dio, infinito amore, saggezza e conoscenza, creerebbe un'anima ben sapendo che essa andrà direttamente all'inferno ("senza passare dal via", come si dice a Monopoly :( )? Che razza di giustizia sarebbe? Signore onnipotente, mi tiri fuori dal nulla e mi sbatti direttamente all'inferno, senza che nemmeno abbia fiatato? Ti ho forse chiesto io di venire al mondo? Non potevi lasciarmi dov'ero, che male almeno non stavo? No, Dio non può compiere una mostruosità del genere.
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La "predestinazione" è una interpretazione minoritaria da quanto ne so (Calvino e pochi altri...). Sulla questione dell'Infero ti consiglio questo bellissimo articolo di Enzo Bianchi, (ex) priore del Monastero di Bose http://www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-quotidiani/7304-inferno-quel-fuoco-acceso-dalla-nostra-liberta

Comunque sì concordo che la teosofia effettivamente dà importanza all'esistenza "presente" :)


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Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
Dio potrebbe solo creare anime buone che vanno in paradiso.
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PMDio dunque non sarebbe onnipotente. E il suo inferno sarebbe spaventosamente vuoto... Mi piacerebbe che ci fosse qualche convinto cristiano a commentare queste riflessioni... Infine, Apeiron, non afferro il tuo riferimento all'Universalismo nell'ultima frase del tuo post: a quale punto delle precedenti discussioni ti riferisci?

Potrebbe essere interessante un dialogo pacifico con un credente su questo tema, anche se in questo periodo non me la sento di partecipare ad un dibattito su di ciò su Internet (per quanto pacifico possa essere...).

Riguardo al mio riferimento sull'Universalismo o "salvezza per tutti", intendevo questo. Se siamo già sicuri che la "salvezza" è assicurata allora non ci viene la spinta a "salvarci". Ovvero, la "salvezza universale" può essere interpretata come "indipendentemente da come mi comporto, comunque il mio destino non cambia".
TI consiglio di leggere il mio dialogo con Eutidemo, qui https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/filosofia-e-vita-vissuta/ e questa mia riflessione https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/immortale-anch'io-no-!-tu-no-!!/msg17367/#msg17367




Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 20:45:22 PMAnche io propenderei per il si. Con buona pace delle correnti mentali buddiste e gravitazionali di Franco Battiato :)

Il mio "sì" era dovuto più che altro all'osservazione che era la stessa "corrente mentale". Per un Buddhista però dire che saresti sempre "tu" sarebbe sbagliato, visto che in realtà non è possibile trovare una "identità" che permette di fare davvero questo confronto  ;)

Comunque il motivo per cui, secondo i Buddhisti, è possibile parlare delle "proprie" vite è perchè le memorie si trasmettono in una determinata "corrente mentale". E inoltre è possibile distinguere le correnti mentali. Tuttavia non si può dire che da una vita all'altra passa sempre la stessa "coscienza", visto che ogni coscienza è momentanea e "sorge" a causa di determinate condizioni. Forse più corretto sarebbe dire che c'è una "serie" di coscienze momentanee, perchè il termine "corrente" può far sembrare che ci sia una "coscienza" che persiste e che "cambia". In realtà è questa "corrente" è un continuo sorgere e cessare di coscienze momentanee. Ad ogni modo, è possibile distinguere le varie "serie" di coscienze.
 E, secondo il Buddhismo, non c'è alcun "io" - nessuna sostanza - che può essere trovato in esse.

Leggiti, se non lo hai già fatto questo post di @Sariputra https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18256/#msg18256 e il successivo.
#304
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
21 Marzo 2018, 19:55:01 PM
Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 19:48:48 PMEsatto: pur completamente diverso, sarei presente a me stesso come lo sono ora? Avrei coscienza di esistere? So che è difficile esprimere correttamente questi tarli di pensiero...

Siccome di fatto sarebbe stata la stessa "corrente mentale" a "scendere" altrove, sarei orientato a risponderti "sì".   

Ma come dicevo altrove, non ci si dovrebbe identificare nemmeno con la "corrente mentale" per il Buddhismo.
#305
Citazione di: epicurus il 21 Marzo 2018, 10:08:14 AM
E invece secondo me è proprio il contrario. Infatti, sappiamo che ci sono verità che non conosceremo mai. Ad esempio, le verità matematiche sono infinite, quindi sicuramente ci saranno infinite verità matematiche non conosceremo mai (anche senza introdurre i teoremi di Goedel).


Concordo  :)

visto che le cose da conoscere sono illimitate e la vita è limitata... siamo costretti a scegliere cosa conoscere e cosa trascurare. In realtà è molto importante tenere a mente che non possiamo conoscere tutto (ad esempio la cosa in teoria ci rende più umili, più aperti, più prudenti*...).

"prudenti" visto che dobbiamo scegliere cosa conoscere
#306
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
21 Marzo 2018, 19:29:10 PM
Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 19:21:36 PMCiao Apeiron, grazie per la risposta :) che la coscienza non sia un prodotto del nostro cervello, ma che venga da esso ricevuta ne sono quasi convinto anch'io (più su facevo l'anologia con un decoder ricevente e forse trasmittente verso un Hub). La cosa che mi ha sempre fatto sbroccare è il pensiero che se fosse arrivato prima un altro spermatozoo al traguardo, sarei stato comunque qui? Fisicamente no certo, sarei diverso... sarei stato magari più alto, più intelligente, biondo (o magari bionda). Avrei avuto un'altra vita, altre esperienze e memorie... ma tutto questo conta poco o nulla. Sarei stato cosciente di me, come lo sono ora? Per farla breve: sarei nato e sarei presente a me stesso/a ora? C'è da sempre qualcosa che non mi torna, ma non lo so spiegare... e sicuramente non mi son fatto capire :)

Figurati :)

Tra l'altro ho scritto male la parte rivolta a te. Non so perchè ma a volte mi capita di scrivere in un'altra lingua  ;D

Ad essere sincero, non capisco dove vuoi arrivare con queste domande. Vuoi sapere se saresti "te stesso" anche se un altro spermatozoo fosse arrivato prima?
Nel Buddhismo da quanto ho capito oltre a spermatozoo ed ovulo serve anche che la coscienza "scenda" nell'utero... Spero d'essermi fatto capire stavolta.
Ma non saprei cosa ti risponderebbe un Buddhista a questo tuo dubbio  ;)...

Addendum: Forse ti direbbe questo: la "tua" coscienza sarebbbe "discesa" in un altro utero, forse.
#307
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
21 Marzo 2018, 19:04:07 PM
Ciao @Suttree,

Premessa "tanha" significa "sete" ma come ben dici è il desiderio  

Come ti dicevo, ammetto che la cosa non è chiara nemmeno a me. Il punto è che per il Buddhismo (ma non solo, come dicevo...) il Sé individuale non è una "sostanza" nemmeno durante la vita. Ovvero anche adesso abbiamo una percezione distorta delle cose che ci fa credere che ci sia dentro di noi un "principio unificatore", qualche "sostanza" che renda me, me. Dunque la continuità tra una vita e l'altra non è vista in modo differente dalla continuità durante la vita stessa. Prima paragonavo la morte e la rinascita al sonno e al risveglio, tuttavia ovviamente la differenza è che il corpo è "vivo" in un caso e nell'altro non lo è  (per definizione) . Tuttavia per il Buddhismo l'elemento "vinnana" (tradotto solitamente con "coscienza") non cessa come pesa il materialismo che lo vede come un fenomeno emergente, ma "si trasmette" altrove. L'elemento "vinnana" non è identificabile con una "sostanza" visto che è in realtà è una successione di "momenti". I post di @Sariputra di cui avevo messo il link in questa discussione, in una risposta a @Loris, lo spiegano molto meglio di quanto lo possa fare io. Ad ogni modo la differenza tra "me" e l'essere di una "mia vita futura" è vista come analoga alla differenza tra il "me" di oggi e il "me bambino". Quindi sì, c'è trasmissione dell'informazione tra una vita e un'altra, ma non ti saprei dire come. L'analogia, menzionata da @bluemax che alcuni Buddhisti utilizzano è quella di un fuoco che si spegne su una candela ma prima di estinguersi completamente passa ad un'altra candela. La nuova fiamma non è né uguale né diversa a quella precedente. Ma anche questa analogia è limitata perché in fin dei conti, come dice la citazione che trovi nella mia risposta a @bluemax qui sotto, niente cambia più rapidamente della mente.

Ad ogni modo lo stesso problema lo hanno le filosofie non-duali induiste e la Teosofia di Loris. In fin dei conti il loro "centro unificatore" è lo stesso per tutte le cose e, dunque, anche per loro anche durante la vita la nostra convinzione che ci sia in noi qualcosa che ci renda "noi" è illusorio. Nel caso di tali filosofie monistiche tuttavia esiste una vera sostanza che è uguale per tutti. Il Buddhismo invece nega anche ciò. Non c'è niente di "sostanziale". La "Cessazione", la fine delle rinascite non può essere interpretata come l'unione con il "Principio Universale". Tuttavia la "Cessazione" non è un "semplice nulla" perchè vi è un elemento che non nasce e non muore nel Buddhismo, il Nibbana (come diceva @Sari in una sua risposta).    

Spero di esserti stato utile, ma ricordati che sono solo un dilettante ;)  

@bluemax,
grazie mille della tua risposta!
Credo che su ciò ci sia semplicemente una differenza di linguaggio tra "le mie fonti" e le tue. Nel Buddhismo Theravada, Nibbana è certamente la cessazione della sofferenza ma è anche un elemento non-nato, non-divenuto, non-formato - tuttavia anch'esso è vacuo, "senza Sé". Entrambe le correnti del Buddhismo parlano di un "Sé empirico" (o fenomenico o "convenzionale"). Negano però che ci sia un "vero Sé" sostanziale, un Atman. Ciò che può definire la nostra identità, ovvero ciò che rende me, me.  Posso essere d'accordo che c'è un'anima... Ma dunque è mai stata fissa questa "corrente mentale" (citta-santana)? Si può trovare una "identità" in essa. Beh, abbiamo dall'Anguttara Nikaya:
"Monaci, la mente cambia rapidamente. Non vi è nulla di paragonabile in natura al rapido cambiamento della mente." https://www.canonepali.net/2017/08/an-1-41-50-panihita-acchavaggo-pura/  Dunque in questo processo ci può essere qualcosa che rimane costante, qualcosa che dà un'identità?  


Detto questo né il Buddhismo Theravada né il Buddhismo Mahayana negano la continuità della "corrente mentale" che può, volendo, essere considerata un'anima. Entrambi però concordano sul fatto che questa corrente è una successione di momenti, non c'è qualcosa che persiste (altrimenti si cadrebbe o nell'eternalismo o nell'estremo opposto). La rinascita sarebbe impossibile se non si trasmettesse da un corpo all'altro questa corrente, questa "anima". Tuttavia è una cosa che continua a mutare, è appunto più simile ad un fiume o ad una fiamma piuttosto che ad una roccia. E così come non c'è alcunché di solido nella fiamma e nel fiume, allo stesso modo non si può trovare una "sostanza" dentro questa corrente. Questo chiaramente vale per chi non ha ancora raggiunto il risveglio. E qui c'è la differenza tra le due scuole (in realtà anche prima che la corrente Mahayana nascesse come movimento ben "identificabile" c'erano ben 18 scuole di Buddhismo, il Theravada è solo una di esse). Per il Theravada il completamente liberato (l'arhant) non è più soggetto al ciclo di rinascite. Non si può "classificare" né come esistente né come "non-esistente", es: https://www.canonepali.net/2015/06/snp-5-6-upasiva-manava-puccha-le-domande-di-upasiva/ . Per il "veicolo" Mahayana (e il suo "sottoveicolo" Vajrayana) invece c'è ancora continuità del "flusso",

Inoltre come ben dici, i Theravada ("ortodossi") affermano che tutta l'esperienza possa essere ridotta in quattro "elementi": mente(citta), contenuti mentali (cetastika), materia (rupa), Nibbana. I primi tre "elementi" sono condizionati, sono soggetti alla generazione e alla distruzione. Nibbana invece è il non-condizionato. I Mahayana invece ritengono impossibile trovare un termine nell'analisi dell'esperienza. Non esiste un livello "fondamentale", l'esperienza non può essere spiegata riducendola a determinati elementi. Ma ogni cosa è senza esistenza intrinseca (vacuità, sunyata). Ma nemmeno "sunyata" è una "realtà" a cui ci si può aggrappare, la vacuità è vuota. Non si può trovare un "livello fondamentale" della realtà che può spiegare gli altri.
Infatti il Sutra del Cuore dice: "La forma è vuota, la vacuità è forma, la vacuità non è altro che forma e la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuoti sensazioni, discriminazioni, fattori di composizione e coscienze. Similmente, Shariputra, tutti i fenomeni sono vacuità; sono privi di caratteristiche; non sono prodotti e non cessano; non sono contaminati e non sono privi di contaminazioni; non diminuiscono e non crescono. Perciò Shariputra, nella vacuità non c'è forma, né sensazione, né discriminazione, né fattore di composizione, né coscienza. Non c'è occhio, né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non ci sono forme visive, né suoni, né odori, né sapori, né oggetti tangibili, né fenomeni; e neppure il costituente dell'occhio e così via, fino ad includere il costituente della mente e il costituente della coscienza mentale" (per il testo: http://www.ghepelling.com/index.php?option=com_content&view=article&id=127&Itemid=597&lang=it )

Dunque il buddhismo negal'anima? La nega se per "anima" pensiamo a qualcosa che persiste, che ci dà un'identità fissa. "No" se per "anima" intendiamo la "corrente mentale". Buddha nega "Dio"? Beh dipende ;)  Certamente nega l'esistenza di un "Dio Personale e creatore". Riguardo ad altre idee di "Dio"... Nega che ci sia un principio primo di tutte le cose, quindi non è nemmeno una filosofia monista come l'Advaita, la Teosofia o altro.  Non vi è nemmeno un "principio" dinamico, come il Dao dei Daoisti. Nel Theravada c'è però il non-condizionato... (https://www.canonepali.net/2015/06/udana-8-3-nibbana-sutta-la-completa-liberazione-3/ , https://www.canonepali.net/2015/06/an-3-47-sankhata-sutta-condizionato/ e altri discorsi). Ma questo non-condizionato non crea niente, non è un "principio".
Riguardo alla dottrina Mahayana, come dici tu c'è questo "Assoluto" – credo che tu ti riferisci a "Tathata". Ma "Tathata", la "natura delle cose", è aldilà di ogni concettualizzazione (dal Sutra del Cuore, "non c'è occhio, forma..."). La parola "Assoluto" invece richiamo molti concetti, molti concetti di realtà "fisse".

@Loris,
Grazie per la risposta!
Da quanto ne so il buddhismo classico accetta vari "reami infernali" e l'Avicii è quello peggiore. Nel buddhismo però questi "inferni" però non sono eterni (ma il "soggiorno" in essi dura molto...). Anche per chi "cade" nei reami di "perdizione" c'è speranza. Idem per chi rinasce nel mondo animale. Dico "classico" perché oggi pare che si tende a vedere questi "reami" come stati mentali. Ad ogni modo l'idea è che chi compie azioni malvagie tende a soffrire per esse.

Quindi se uno "fallisce" la Teosofia dice che viene distrutto, che ad un certo punto non rinasce più?

Comunque il meccanismo della reincarnazione ricorda quello di Platone ne "la Repubblica": dopo un periodo di intermezzo è l'individuo che sceglie dove andare. La differenza però è che Platone non accetta il monismo.

Piccola correzione: per gli indiani (non solo indù) il tempo non è ciclico nel senso dell'Eterno Ritorno. Se ciò fosse vero la liberazione sarebbe impossibile. Somiglia più ad un'elica o ad una scala a chiocciola. Ma a differenza della teosofia, per gli indiani non c'è un "progresso". È un continuo ciclo di nascite e rinascite senza alcun vero "fine". Come ben dici è una visione piuttosto deprimente, tutt'altro che consolatoria. E infatti la contemplazione di tale "ciclicità" motiva alla liberazione.  Al contempo però l'idea di ciclicità contiene un aspetto "positivo". Infatti si "trascende" la prospettiva di questa vita e ci si sente parte di qualcosa di più grande. Si capisce la "piccolezza" e la transitorietà della realtà quotidiana e ciò dovrebbe condurre al "distacco". Inoltre questa contemplazione dovrebbe dare un incentivo alla compassione perché si diventa più consapevoli della propria sofferenza e si comprende che gli "altri" non sono in una situazione diversa da noi.

Detto questo, concordo con te che la prospettiva teosofica è, per certi versi, più "attraente". Pensare che ci sia un progresso certamente aiuta. Ma gli indiani, coloro che cercano la "liberazione" non accetterebbero mai una cosa simile, la vedrebbero come una credenza consolatoria, un attaccamento subdolo al samsara. La differenza è appunto che la "freccia nel tempo" mira a qualcosa nella teosofia, nelle religioni indiane invece a nulla. Per gli indiani dunque il "fine" è qualcosa che al massimo imponiamo a noi sulla freccia del tempo e il "fine" più alto è proprio la "fuga" dal ciclo.  



Proprio questa differenza dà importanza alla vita "mondana". E qui mi sembra invece più simile al Cristianesimo: come nel Cristianesimo c'è un senso, un fine vero e proprio. E questo permette di lavorare e vivere nel mondo senza doverlo trascendere (almeno per ora). Ma a differenza sia delle religioni indiane che del Cristianesimo mi pare che la Teosofia non abbia una vera e propria "soteriologia", visto il suo ottimismo.

Riguardo infine all'Universalismo... Purtroppo mi pare una sorta di "predestinazione". Ovvero come "speranza" posso anche accettarla ma come "realtà di fatto" non credo ;)
#308
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
20 Marzo 2018, 13:26:26 PM
Citazione di: Sariputra il 19 Marzo 2018, 17:28:49 PM
cit:Apeiron:
Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."

Caro Apeiron, sono stanco ormai, e Villa Sariputra ha bisogno di un nuovo patriarca. La paga è bassa, ma il paesaggio è ameno, le dolci colline ricoperte di vigneti rosso fuoco al tramonto, le botti piene, gli animali da accudire, le cipolle, ecc.. e le abitanti della Contea....non so se mi spiego  ;)
Che ne dici?...
Posso finalmente salire la montagna?...

Beh hai il mio via libera. Credo che sia giusto decidere di salire la montagna per concerdersi un buon riposo ;)
...
Tuttavia la Contea potrebbe finire nelle mani sbagliate  ;D ...  :(  :(  :(  


Citazione di: bluemax il 19 Marzo 2018, 18:05:50 PMtutto quello detto da Sari è "accademicamente" vero... Ultimamente stiamo discutendo una cosa fondamentale e molto interessante al centro dove vado a prendere lezioni di buddismo. Tra gli aggregati che costituiscono l' "essere" vi sono le cinque coscienze sensoriali piu' la coscienza mentale. Vero è che ogni coscienza è impermanente ed interdipendende da cause e fattori esterni. Ma è pur vero che esiste uno "SPERIMENTATORE" di tali esperienze. Un giudice se vogliamo, una sorta di "sacco" dove vanno a fire le "ESPERIENZE" o se vogliamo lo spettatore che vede il film proiettato sullo schermo. Se vogliamo la possiamo chiamare INDOLE che viene modificata da varie esperienze nel corso delle vite. Tale indole è vero che è impermanente e dipendente dalle ESPERIENZE, quindi mutevole per fortuna altrimenti non potrebbe "evolvere". Ed è in tale INDOLE che sono "registrate" gli effetti delle nostre esperienze. Come per quando ci svegliamo la mattina, il nostro carattere non è modificato dal sonno rispetto la giornata precedente, cosi' la rinascita nella vita futura non modifica sostanzialmente l' INDOLE precedente. In definitiva la tesi secondo la quale non ESISTE uno sperimentatore non è prerogativa del BUDDISMO ma solo del buddismo Theravada altre scuole buddiste "ammettono" che esista una mente sottilissima (che potremmo chiamare Anima o Io o Sè o se vogliamo bagaglio di esperienze). Si potrebbe obbiettare al fatto che se anche l'INDOLE (maturata di vita in vita) svanisce con la morte, non vi sarebbe alcun chè che possa andare nel nirvana. Dove nel nirvana esiste uno STATO PERMANENTE della mente che ha raggiunto il massimo stato esperenziale e non deve piu' passare da uno stato all'altro. Praticamente la morte sarebbe simile al passaggio dal sonno alla veglia e dalla veglia al sonno dove ad ogni risveglio (ogni mattina) tutti i ricordi del giorno precedente svaniscono (in quanto materia) ma rimane l'indole intatta. Bene... pare che per altre scuole buddiste sia questa INDOLE a passare di vita in vita. (motivo per cui, alcuni bambini hanno l'indole di uccidere le formiche, altri di difenderle avendo avuto ad esempio medesima educazione e medesime esperienze) scusate ho scritto di ultra fretta perchè sono a lavoro quindi perdonate orrori ortografici. Non ho riletto :D :D :D

@bluemax,
sinceramente un linguaggio così "sostanzialista" mi sorprende anche da una scuola Mahayana. Più che una "Anima", credo che almeno per certe scuole del buddhismo Mahayana ci sia la convinzione che così come la "corrente mentale" non ha mai avuto inizio, allo stesso modo non avrà mai fine. La pratica serve per tirare via gli "inquinanti" lasciando una "corrente mentale" pura, libera dall'afflizione. Tuttavia non ha una vera "identità" che persiste ma semplicemente una continuità. In fin dei conti il buddhismo Mahayana si fonda sul concetto di "vacuità". Quindi è errato dire che nella corrente mentale persista un'Anima, un Soggetto o quant'altro.  Semplicemente si ha un continuo flusso di "esperienze momentanee" senza alcun centro "unificatore".
Se ti va, potresti dare qualche informazione in più?


Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 19:03:31 PM
Citazione di: Apeiron il 19 Marzo 2018, 12:41:22 PMIn realtà sono curioso del processo della reincarnazione/rinascita nella teosofia. Nel buddhismo e nell'induismo la rinascita può anche avvenire nel mondo animale. Nella teosofia è possibile cio? Da quel pochissimo che so non è possibile (un po' come nel caso di Platone...)
Avete detto molte cose, tu Apeiron e Sariputra, che vanno digerite con calma: e allora "prendo tempo" rispondendo alla tua domanda di cui sopra. La concezione teosofica è assolutamente monista, come ben dici. L'unica vera essenza è il non-manifesto, Brahman, detto anche Parabrahman, detto anche semplicemente QUELLO, ad indicare il fatto che è assolutamente privo di attributi. QUELLO è la radice ultima di tutto ciò che è manifesto. Quindi, è chiaro che solo QUELLO è vero, e tutto il resto è uno scendere sempre più in profondità nell'illusione. Paradossalmente, perfino il Sé universale è un'illusione rispetto a QUELLO. Ora, secondo questa visione (che è molto prossima a quella induista, come giustamente riconosci) dal piano divino del Sé universale si generano delle scintille, le monadi, intese come una"porzione" di sostanza divina (scusate l'inadeguatezza del linguaggio) che si riveste di un velo, o in altri termini si dotano di un veicolo, di un corpo per poter scendere più in profondità nell'illusione. A che scopo? L'illusione è un gioco divino (Lila) che serve al Sé universale per fare esperienza di Se stesso, attraverso le esperienze delle singole monadi. Man mano che l'universo intero si articola e si dispiega in piani sempre più grossolani, dove vige la dualità della contrapposizione (illusoria) fra spirito e materia, anche le monadi si dotano di veicoli via via più grossolani, per sperimentare quei piani. Al livello di questo universo materiale, le monadi si "incarnano" dapprima come minerali, e fanno esperienza del regno minerale; passano poi al regno vegetale, e fanno esperienza del regno vegetale; passano quindi al regno animale, e quando hanno completato l'esperienza di questo passano al regno umano. Ci sono anche regni oltre-umani, ma di questi ben poco possiamo dire. Man mano che la monade progredisce di vita in vita, di regno in regno, accadono due cose:

  • il suo veicolo meno grossolano, che viene detto "corpo causale", conserva le registrazioni delle esperienze fatte nelle singole vite dai corpi più grossolani (i corpi materiali e psichici);
  • il "raggio della sua individualità" (scusate ancora la goffaggine del linguaggio) si restringe sempre più, si affila sempre più: se nel regno minerale una monade è vasta quanto un intero pianeta, nel regno vegetale può estendersi a un bosco, nel regno animale può circoscriversi ad uno sciame d'api, negli animali superiori arriva a limitarsi agli individui di un gruppo familiare finché, in alcuni animali che hanno fatto sufficiente esperienza, scatta l'individuazione e divengono veri individui, incarnandosi come esseri umani nella vita successiva (questi animali sono cani, gatti, elefanti: quelli che sono in contatto con esseri umani).
E' evidente quindi che tutto il processo sopra descritto ha lo scopo accumulare esperienze per costruire l'individualità dell'essere umano, poi oltre-umano. Ma questo è solo il ramo discendente dell'evoluzione, quello che affonda nella materia. Ad un certo punto, l'individuo riconosce la vera realtà (che è l'UNO) e comincia il suo percorso ascendente che lo porta ad abbandonare (perché superati) gli strumenti che servirono a costruire la sua individualità; fino a che, dopo un tempo più o meno lungo, potrà ricongiungersi alla Sorgente. Ma - e qui è il mistero, l'incomprensibile per le nostre menti limitate - il ricongiungimento non è annullamento, tutta l'esperienza accumulata si riversa nella sorgente, anche l'individualità resta, benché inclusa nel Sé universale, e mantiene piena coscienza di Sé e di tutta la sua storia. Diciamo che, ricongiunta alla sorgente, la monade ha la facoltà di entrare in una modalità di coscienza tale da recuperare il senso dell'individualità che è stata sua per miliardi di anni. Non so se qualcuno di voi avverte, come io avverto, la grandiosa bellezza di una concezione del genere, dove tutto acquista un senso, e dove anche la vita terrena con le sue sofferenze non è qualcosa da cui fuggire (come sembra essere per il buddismo), ma è solo come il faticoso studio dell'alunno che sa di dover sgobbare per essere promosso... Quindi, in definitiva, per un teosofo quel che si reincarna (il corpo causale) è solo un veicolo, certamente illusorio rispetto al Sé universale da cui proviene, ma sempre meno illusorio del corpo materiale e psichico che corrisponde al sé personale della sua vita terrena. Illusione dentro illusione, scatole cinesi: l'illusione di ordine superiore contiene quella di ordine inferiore, ed è realtà per essa... Alla domanda se l'essere umano possa reincarnarsi in un animale, la risposta del teosofo è (come prevedevi)no: lo studente può essere bocciato, ma non retrocesso. Quel che ha acquisito, l'ha acquisito per sempre. P.S. Quel che ha appena scritto Bluemax mi torna molto bene... ;-)

Grazie mille della spiegazione, interessante  :D

Ma la "bocciatura" può prevede una sorta di "inferno temporaneo"?  

Riguardo alla "reincarnazione" è in realtà più simile alla versione Buddhista di quanto pensi.  In ambo i casi la rinascita è un processo del tutto illusorio. Comunque come dice il @Sari per il Buddhismo - a meno che non ci sia la Liberazione - @Apeiron non riaprirà gli occhi, strettamente parlando ma il "processo vitale" cercherà un'altra rinascita. L'essere che rinasce non è né uguale né diverso da @Apeiron. Bruco e farfalla non sono né uguali né diversi, tuttavia c'è ovviamente continuità. Tuttavia né il Buddhismo né la Teosofia - da quanto capisco - accettano che gli esseri individuali siano "totalmente reali". Dunque in realtà per entrambi non c'è re-incarnazione ma sono ri-nascita. In ultima analisi nessuno veramente rinasce, ma c'è la rinascita ecc

Riguardo alla Teosofia ritengo che la grossa differenza tra di essa e le religioni indiane sia il fatto che per la Teosofia la Storia ha dunque un fine. Progredisce. C'è una freccia del tempo: prima ci sono minerali, poi piante ecc. Ma mi pare che nessuna delle religioni indiane sia d'accordo che su tale questione. Mi risulta che l'Induismo, il Buddhismo e lo Gianismo siano tutte concordi nel dire che il "progresso" sia completamente illusorio per il fatto che l'universo è ciclico. Anche se viene raggiunto il più alto dei "paradisi" comunque si regredisce se non ci si "risveglia" (forse ciò non è vero per qualche sottoscuola induista...). In sostanza l'idea è che se non ci libera dal ciclo samsarico non c'è "scampo" al regresso, al declino e alla sofferenza. E da qui si capisce la forte tendenza "rinunciante" della filosofia indiana. Inoltre il concetto di "progresso" mi sembra pure alieno nella Cina. Per esempio il Daoismo raccomanda di vivere senza "agende", nella "non-azione". E anche il Confucianesimo mira all'armonia nel qui ed ora... La visione del progresso è in realtà abramitica e occidentale. Platone per esempio raccomandava al "filosofo giusto" di governare e di non rinunciare al mondo (pur accettando apparentemente che c'era un ciclo di rinascite e che era necessario conoscere le "forme eterne" per "liberarsi"...), Aristotele parlava spesso di teleologia. Ovviamente, per esempio, il Cristianesimo ha una storia lineare che punta verso un momento ben preciso. Forse ci sono somiglianze maggiori tra Neoplatonismo e Teosofia. Dunque la Teosofia sembra una sorta di Advaita "ottimista".

Comunque sì, mi sembra proprio che la forte differenza con le religioni indiane sia questa idea di "progresso". Gli indiani vedono la storia come un ciclo dove in ultima analisi non si può trovare alcun "senso" o "progresso" (a parte quello, in ultima analisi insoddisfacente, dovuto al fatto che le azioni hanno conseguenze).

Mi sembra inoltre che ci sia una sorta di assunzione che ci sia una "riconciliazione universale" e che cioè tutti gli esseri si "liberino" (o "acquisicano l'illuminazione").  Su questo però ti chiederei conferma ;)
#309
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
19 Marzo 2018, 15:15:22 PM
Citazione di: Suttree il 19 Marzo 2018, 13:48:22 PM
Scusate, sarò fatto del peggior coccio, ma io davvero non riesco a capire una cosa: se tutto, ma proprio tutto è impermanente, che senso ha parlare di rinascita? Dopo la morte il nostro fisico torna polvere, e questo lo sappiamo. Ma se tutto è transitorio, se anche dei nostri pensieri, la nostra memoria, il nostro Sè superiore non resta alcuna traccia... beh allora basta leggere un Giacomo Leopardi o un Sartre  :)
Potete spiegare in parole povere ad un povero ignorante che differenza sostanziale c'è tra il nichilismo e il buddismo, nell'ottica della morte annientatrice?

Provo io... ;)

Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."

Comunque riguardo al Sé superiore come dicevo a @Loris... Per molti pensatori induisti l'unica cosa che non muore è il Principio Universale, Brahman - l'unica cosa che esiste veramente è proprio Brahman mentre la molteplicità è illusoria. Dunque anche in questo caso non c'è veramente "reincarnazione" ma solo "rinascita" degli "individui". Altri pensatori indiani invece dicevano (e dicono) che ognuno di noi possiede un elemento indistruttibile (il nostro Sé). Solo ammettendo questo si può veramente parlare di "reincarnazione".
#310
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
19 Marzo 2018, 12:41:22 PM
Anche se non credo di dare una spiegazione migliore del @Sari provo a rispondere anche io:

Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AMApeiron, ti ringrazio molto della tua approfondita spiegazione, ma forse sono di coccio io e continuo a non capire.

Figurati! tranquillo che la mia comprensione è intuitiva. Per fare un paragone da prendere con le pinze è più o meno la comprensione che avevo quando ero al liceo della relatività rispetto a quella che ho oggi dopo cinque anni di università (e ancora ho dubbi  ;D ).

Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AM
Premetto che anche il teosofo riconosce tranquillamente che tutto è impermamente, anche il sé personale. E' vero che i contenuti della mente variano costantemente, ma quel che non varia è l'esperienza soggettiva dell'io-sono-io. Con una metafora: pensiamo a una lavagna su cui si cancella e si riscrive continuamente. I contenuti cambiano, ma quel che resta è la lavagna. Che poi è quel che si fa in meditazione: si cerca di "svuotare" la mente dei suoi contenuti, per cercare di avere esperienza della "lavagna". Quel che voglio dire è che non si può pensare a "contenuti mentali" senza la "lavagna mentale" su cui sono scritti e che li unifica in una esperienza unitaria (benché impermanente e illusoria).


In realtà sono curioso del processo della reincarnazione/rinascita nella teosofia. Nel buddhismo e nell'induismo la rinascita può anche avvenire nel mondo animale. Nella teosofia è possibile cio? Da quel pochissimo che so non è possibile (un po' come nel caso di Platone...)



Comunque il problema della reincarnazione/rinascita è presente anche nella filosofia monista. Se a livello ultimo tutto è uno, cos'è che si reincarna? Direi un processo, no? Dunque da questo punto di vista monismo e Buddhismo non sono poi così diversi. Ne approfitto per dire che nonostante l'enfasi del Buddhismo sull'anatta sono convinto che ci siano molte somiglianze con filosofie affini. Tu parli di "lavagna". Il Buddhista ti direbbe che rischi di identificarti con la lavagna, dicendo "la lavagna sono io, la lavagna è mia" e siccome l'identificazione è "sintomo" di brama, attaccamento o avversione allora non ti "liberi". D'altro canto però l'"ortodossia" della scuola Theravada ha sempre sostenuto che "Nibbana" non è non-esistenza (come una minoranza di monaci di tale scuola negli ultimi decenni dice e come diceva l'antica scuola Sautrantika)* ma è il non-condizionato, il non-nato, il non-formato... Il problema è che con la concettualizzazione si rischia di crearsi una "falsa idea di Nibbana" e quindi invece di raggiungere il Nibbana si cerca inutilmente di raggiungere un concetto che non corrisponde a niente di reale**. Per spezzare una lancia a favore dell'induismo c'è da dire che molti indù dicono cose molte simili riguardo a Brahman (è "Nirguna", senza "attributi"). Ah, dimenticavo... Due differenze molto importanti: 1) Brahman è la "causa di tutto" mentre Nibbana non ha alcun ruolo di causa, non è un "principio" da cui deriva tutto 2) a livello relativo/convenzionale (o "illusorio")  a differenza di Brahman non si manifesta come una Divinità Personale ("Saguna" Brahman).    


Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AM
Detto questo, come dicevo all'inizio, non riesco ancora a capire quale sia il preciso significato di rinascita, rispetto a quello di reincarnazione.
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AMPer essere diretti, la metto come segue. Supponiamo che io non faccia nulla, in questa vita, per estinguere la mia brama, il mio attaccamento alle cose impermanenti. A questo mio comportamento dovrebbe seguire, per il buddismo, una rinascita. Ma di cosa? La domanda secca, a cui dovrebbe seguire una risposta secca, è la seguente: mi ritroverò io, soggettivamente (benché illusoriamente), in una nuova futura esperienza corporea? Se la risposta è , allora non vedo differenza fra rinascita e reincarnazione. Se la risposta è no, allora parlare di "rinascita" è fuorviante, perché si tratterebbe del semplice processo di trasformazione continua di materia ed energia: cioè, esattamente quel che afferma la scienza materialista e riduzionista. Ma allora a che mi servirebbe essere buddista e praticare da buddista? Non posso restare semplicemente nichilista e materialista? Se è vero che non sperimenterò più esperienze corporee (nemmeno illusorie) allora mi basterebbe attendere la morte: quando quella arriverà, sarò certamente libero dal samsara. Posso tranquillamente non fare nulla e attendere la fine: anzi, se è vero che la vita è sofferenza, allora la scelta giusta sarebbe paradossalmente quella di terminarla subito... Apeiron, te la senti di darmi una risposta secca, sì o no? ::) (P.S. Anche gli altri ovviamente, anzi...)

Risposta secca: a livello convenzionale ci sono esseri che rinascono. Es: https://www.canonepali.net/2015/06/an-10-176-cunda-kammaraputta-sutta-a-cunda-il-gioielliere/ "Ha delle rette visioni: "C'è ciò che è dato, ciò che è offerto, ciò che è sacrificato. Ci sono dei frutti e dei risultati dalle buoni e dalle cattive azioni. Si ha questo mondo ed il mondo che segue. Si ha madre e padre. Ci sono degli esseri che rinascono; ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."  (sottolineatura mia) Come nell'Advaita (e da quanto dici nella teosofia) però a livello ultimo ciò non è più vero. Ergo se non fai niente per liberarti certamente rimani nel samsara. E se ti comporti male... i discorsi parlano da soli  ::) detto questo una buona condotta, essere disposti a donare e a comportarsi bene produce buoni frutti es per il dono: https://www.canonepali.net/2015/06/an-7-49-dana-sutta-donare/ . Ma come dice il @Sari non è un rigido determinismo. Se uno si comporta bene si tende ad avere buoni frutti (e viceversa).

Tuttavia come dice giustamente il @Sari a un livello più avanzato della nostra analisi, secondo il Buddhismo non c'è alcun Sé individuale che passa da una vita all'altra. Ciò che ricorda di più, secondo me, il processo della rinascita sono le metamorfosi degli insetti. L'insetto per certi aspetti è sempre lo stesso, per altri no. Ovvero il Buddhismo ti dice che c'è una continuità ma non c'è alcuna vera trasmigrazione perchè nessuna sostanza passa da una vita all'altra. Ma a livello "pratico" come dice la situazione sopra ci sono "esseri che rinascono". Le azioni malvagie tendono a dare cattivi frutti e inversamente le buone azioni tendono a dare buoni frutti. La moralità non è come si pensa oggi basata su semplici convenzioni, bensì ha una base ben più solida. Come dice il @Sari questa visione che mette in guardia sulle conseguenze delle nostre azioni (in positivo o in negativo) è ben contraria alla filosofia del "cogliere l'attimo" anche se il "buddhismo secolare" a volte fa pensare che il Buddhismo sia una filosofia solo del qui-ed-ora. La grossa differenza tra Epicureismo e Buddhismo è proprio data dal "moralismo", dall'ideale della rinuncia e della "trascendenza". Il "Buddhismo secolare" è in fin dei conti un misto tra Epicureismo e qualche aspetto del Buddhismo.  

Comunque, come dicevo, se la Teosofia è monista non c'è nemmeno una vera "reincarnazione" nemmeno nella Teosofia, visto che a livello ultimo non ci sono "esseri individuali" (i quali esistono a livello del famoso "Velo di Maya").

Addendum: Riguardo alla domanda finale del tuo ultimo post, il Buddhismo crede che "riaprirai gli occhi". Tuttavia a livello ultimo non c'è una sostanza nel flusso del kamma. Ergo, si deve dire che "c'è una riapertura degli occhi". Ma come dicevo prima se nella Teosofia c'è il monismo anche nella Teosofia non c'è nessun "io" che riapre gli occhi visto che l'unico "io" è il Sé universale!

Sia nel Buddhismo che nell'Advaita non si può parlare di "re-incarnazione" perchè non c'è una sostanza individuale che si reincarna. In ambo i casi c'è una rinascita.

*riguardo alla "non-esistenza", chi propone tale "posizione" non parla di "annientamento" solo perchè non esiste alcun "io" che può essere annientato. Ma in fin dei conti per loro il non-condizionato è la semplice cessazione o assenza del condizionato. La tradizione Theravada rifiuta questa dottrina della "semplice assenza". Nelle scuole Mahayana ci sono ancora altre opinioni...  ma direi che stavamo parlando di rinascita e quindi la questione del Nibbana la lascerei perdere adesso. Se vuol leggere il topic sul Buddhismo della sezione filosofia troverai una lunga discussione su ciò.


Scusate le molte modifiche...


**14:57 ho modificato questa frase. Oggi non è giornata, si vede  :(
#311
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
18 Marzo 2018, 16:09:11 PM
@Loris Bagnara,

Cerco di dirti la mia. Ma se sei veramente curioso del Buddhismo ti consiglio di visitare questo sito https://www.canonepali.net/il-canone-pali/. Ci sono molti discorsi tradotti in Italiano. Non voglio sembrare "avverso" alla teosofia ma sappi che al centro del Buddhismo c'è la frase "ogni cosa è senza Sé" ("sabbe dhamma anatta"). Nonostante questa chiara affermazione, molti ritengono che ci sia un "vero Io" anche nel Buddhismo. E prendono parti di qualche discorso - spesso decontestualizzate -  per dire che anche nel Buddhismo c'è un "vero Io".  Adesso cerco di spiegarti a parole mie quanto ho capito io. Comunque ti consiglio veramente di leggerti i post di @Sariputra che ti avevo indicato se non lo hai già fatto.

non c'è alcuna "re-incarnazione" nel Buddhismo. Il processo di ri-nascita è dovuto all'illusione dell'identificazione. In sostanza l'idea è che la brama (tanha) fa in modo che sorga l'attaccamento e l'avversione alle forme materiali (rupa), alle sensazioni (vedana), alle percezioni (sanna), alle costruzioni mentali (sankhara) e infine alla cognizione (vinnana). Il processo è mantenuto in vita dalla brama, dall'identificarsi con questi aspetti della nostra esperienza.
Le rinascite non sono dovute all'esistenza di un "Sé" bensì sono dovute all'esistenza della brama. Ma qual è il problema?
Il problema è che secondo il Buddhismo vale la legge universale del Paticcasamuppada ("originazione dipendente") che afferma che ogni esperienza che possiamo avere è impermanente. Perchè è impermanente? Per il fatto che nasce (originazione) ed è mantenuta in essere da determinate condizioni (dipendente) e non appena le condizioni favorevoli cessano anche l'esperienza cessa. E siccome ogni rinascita è dovuta a questo processo di "originazione dipendente" allora ogni rinascita è impermanente. Un esempio lampante sono le malattie del nostro corpo: per restare in salute in fin dei conti dobbiamo stare molto attenti, dobbiamo mangiare in un certo modo, coprirci quando c'è freddo e così via, tuttavia per quanto possiamo stare attenti prima o poi il declino prende il sopravvento. Possiamo infatti stare attenti quanto vogliamo ma prima o poi purtroppo dobbiamo rassegnarci all'inevitabilità. La realtà è che siamo molto fragili. Senza andare a parare al "declino" possiamo pensare alle malattie, a quanti progetti possono fallire a causa di una inevitabile malattia. Questa realtà è inaccettabile per chi è attaccato al proprio corpo. Infatti noi vogliamo che il nostro corpo sia sempre sano, vogliamo non invecchiare, vogliamo stare bene e così via. E l'attaccamento conduce a dire "questo corpo è mio" o "questo corpo sono io". Ma se ciò fosse vero il nostro corpo dovrebbe sottostare alla nostra volontà. Non lo fa.
Ma finché ci identifichiamo con gli elementi della nostra esperienza e/o pensiamo che siano "nostri" non possiamo liberarci dalla sofferenza perchè rimane sempre un po' di "sete" o brama (tanha). E la nostra esperienza secondo il Buddhismo è composta dalle suguenti "parti": occhi e sensazioni visive, orecchie e sensazioni uditive, corpo e sensazioni tattili, naso e sensazioni olfattive, gusto e sensazioni gustative e infine mente e contenuti mentali. Da notare che per il Buddhismo (e credo anche per altre filosofie indiane)   ci sono sei organi di senso con le relative sensazioni: il sesto organo di senso è la mente. Tuttavia anche la mente come il corpo è tutt'altro che permanente. Se pensiamo alla nostra esperienza quotidiana ci accorgiamo di come continua a mutare: pensiamo a quello o a questo, ragioniamo, ce la prendiamo contro il computer quando si blocca, ci arrabbiamo, siamo stanchi, siamo felici... e dunque anche i contenuti mentali causano attaccamento. Alcuni pensieri sono piacevoli, altri no. Altri sono neutri. Proviamo avversione per quelli che non ci piacciono. E finiamo per dire "questo pensiero è mio". Secondo il Buddhismo anche l'attaccamento alle idee ci porta ad una felicità illusoria. Non possiamo "trattenere" i contenuti piacevoli. La legge della originazione dipendente non ce lo permette. E la legge dell'originazione dipendente vale oggi, valeva nel passato e sarà valida nel futuro. Come puoi leggere qui https://www.canonepali.net/2016/09/sn-12-20-paccaya-sutta-condizioni-2/ (qui si parla del Dhamma ovvero della verità dell'insegnamento che rimane vera indipendentemente dalla presenza o meno di un Buddha. Un aspetto centrale (o forse l'aspetto centrale) del Dhamma è la legge dell'originazione dipendente...)

La soluzione? Non pensarci più in relazione alla nostra esperienza. Cosa significa? Non identificarci più né con la nostra esperienza né con qualcosa di diverso. Non siamo né il nostro corpo né altro dal nostro corpo, né la nostra mente né altro dalla nostra mente e così via. Infatti dire anche di essere altro da ciò che è impermanente e causa di sofferenza in realtà è una forma molto sottile di brama. Ci costruiamo un concetto di "Io" e cerchiamo di trattenerlo. No, secondo il Buddhismo la strada è diversa: smettere di dire "io sono questo". Mentre l'Advaita dice "non (sono) questo, non (sono) quello" (neti, neti) presupponendo che ci sia un Sé, il Buddhismo dice solo "non sono questo, non sono quello, questo non è mio, quello non è mio, non sono diverso da questo, non sono diverso da quello...". Eliminare dunque la tendenza all'identificazione con i componenti della nostra esperienza. Questo porta al distacco (viraga) e infine all'estinzione (nibbana). E l'estinzione, la cessazione dell'attività di costruire esperienze condizionate (e quindi impermanenti e quindi causa di sofferenza) è la cessazione della sofferenza e quindi la cessazione del ciclo del samsara. Ma il Nibbana non è mai spiegato come l'unione dell'Io con la Realtà come fanno alcune scuole induiste. No perchè anche pensarsi come identici alla Realtà probabilmente nasconde ancora brama. E quindi non conduce alla cessazione della brama. Solo l'estinzione della brama e della produzione di condizionamenti conduce alla cessazione della sofferenza. D'altronde la metafora che viene usata per dare l'idea del Nibbana è l'estinzione di una fiamma.

Ma se non c'è un Sé come è possibile che Buddha parlava di "vite precedenti"? Secondo il Buddhismo le nostre menti sono come dei fiumi. Così come i fiumi pur non avendo "stabilità" possono essere chiaramente distinti l'uno dall'altro allo stesso modo possono essere distinte le menti individuali. Il Buddhismo non nega la soggettività, anzi unita al processo di dis-identificazione c'è allo stesso tempo un esercizio di disciplina mentale, di costruire un "io empirico" molto ben sviluppato, pronto a lasciare andare gli attaccamenti. E questo "io empirico" saldo è dato dalla pratica spirituale e parte di essa è una dura disciplina etica. Il Buddhismo è molto etico. L'etica e la meditazione servono per "allegerire" la mente dal "peso" dovuto all'incomprensione (avijja o avidya), all'attaccamento e all'avversione. Il livello di "purezza" della mente è ciò che porta uno ad avere rinascite felici o infelici. Qui sta, volendo, l'"oggettivazione" dell'etica delle filosofie indiane e non solo del buddhismo. Più una persona ha una mente libera dagli influssi "maligni" più uno tende ad avere un "destino" migliore. Più uno ha una mente "schiava" degli influssi "maligni" (incomprensione, attaccamento e avversione) più tende ad avere un "destino" peggiore. Tuttavia se l'incomprensione non viene rimossa (che è alla base di ogni tipo di identificazione - "io sono questo" ,"io sono diverso da questo"...) la "purezza" della mente non viene mantenuta e quindi prima o poi uno ritorna "schiavo" di sé stesso, per così dire.  Ma a differenza dell'induismo la liberazione non è la conoscenza di un "vero Io" bensì la cessazione dell'identificazione.

Ah un'altra cosa. Molto spesso il "buddhismo secolare" tende ad eliminare la parte "sovrannaturale" del buddhismo. Per esempio si negano le rinascite, il kamma, i Buddha passati e futuri, l'aspetto rinunciante, l'aspetto di "negazione del mondo" (per dirla alla Nietzsche).  Tuttavia nessuna scrittura antica Theravada o Mahayana o di altre scuole porta a dire che Buddha non parlava di queste cose "controverse". Anzi queste scritture pullulano di elementi "sovrannaturali" e disturbanti. Si mette molto in luce la miseria dovuta alla sofferenza e al "ciclo".  Per esempio: " E tutto ciò che qui è ancora formabile, sensibile, percettibile, concepibile, conoscibile, egli riguarda tali cose come cose impermanenti, dolorose, inferme, malate, tormentose....." (MN 64 https://www.canonepali.net/2015/05/mn-64-maha-malunkyovada-sutta-il-figlio-della-malunkya-2/). Di certo non è un messaggio molto "consolatorio" o "affermatrice della storia" (come è invece la filosofie di Nietzsche)  ;) in realtà l'obbiettivo è proprio il distacco dalle cose impermanenti...

Comunque è anche vero che molti buddhisti mirano ad una migliore rinascita e non all'estinzione e quindi coltivano la virtù (sila) e il dono (dana). Inoltre c'è un aspetto molto importante che non ho sottolineato. Una parte molto importante nella purificazione della mente è l'esercizio della compassione, dell'amore (karuna, metta) ecc. E anche se la pratica della virtù secondo il Buddhismo non conduce alla liberazione/estinzione la facilita. Infatti secondo il Buddhismo compassione e saggezza (karuna e prajna) sono elementi che si rafforzano l'un l'altro. Un altro post molto interessante lo puoi trovare qui https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/msg16481/#msg16481

Addendum: ovviamente il Buddhismo non nega che ci siano piaceri nella vita. Anzi. Tuttavia ciò che nega è che questi piaceri portino ad una soddisfazione completa e che ci riparano dal "pericolo" del "declino". Inoltre come dicevo sembra anche abbastanza evidente la consapevolezza che il Nibbana non è cercato da tutti ma per molte persone l'obiettivo è un altro (tuttavia visto dai Buddhisti come "inferiore", per così dire).
Detto questo prima parlavo anche del "Buddhismo secolare" che tende ad eliminare il "sovrannaturale" e gli aspetti più "disturbanti". Questo movimento è nato per una proprietà molto attraente del Buddhismo per l'uomo moderno. Ovvero il non accettare "per fede cieca" i dogmi ma testarli nella propria esperienza. Effettivamente non è necessario credere nel Nibbana o nelle rinascite per praticare la moralità e la meditazione ;)

Ah, nel link che hai postato @Loris c'è scritto che chi dice che non c'è reincarnazione (o meglio: rinascita) dice che il Buddha è un bugiardo. Ciò è sbagliato per vari motivi per esempio:  1) il Buddha potrebbe essersi semplicemente sbagliato e aver interpretato male alcune sue esperienze 2) potrebbe essere stata una aggiunta successiva. Nella parola "bugiardo" inoltre c'è una connotazione di intenzionalità "maligna" che non è per niente necessaria. Ad ogni modo concordo che è ovvio che il Buddha dei "Nikaya/Agama"* (del Canone Pali e di altri scritti delle prime scuole buddhiste) parlava di rinascita e che sono i testi più vicini alla posizione del "Buddha storico". Tuttavia ciò non toglie che uno che non crede nelle rinascite, nel sovrannaturale o nel Nibbana possa trarre beneficio dalla pratica e che non possa vedere testando con la propria esperienza la veridicità (o meno) degli insegnamenti e delle dottrine esposte dalle varie scuole buddhiste.      

*Agama o Nikaya sono le collezioni dei "discorsi" relativi al "primo Buddhismo"
#312
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
17 Marzo 2018, 21:56:15 PM
@Iano, mi riferivo ad una parte del tuo post.

Mi sembrava che tu dicevi che c'era l'evoluzione ma al tempo stesso una parte del tuo post mi sembrava che implicasse il contrario. Quindi ho frainteso, chiedo scusa. 
Su quanto hai scritto adesso direi di essere d'accordo  :) 

@Angelo,

ci stiamo arenando di nuovo nel solito dibattito - che ancora penso sia dovuto in parte ad un equivoco  :) direi però di non continuarlo, almeno in questo topic. Semmai facciamo un'altra volta!
#313
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
17 Marzo 2018, 18:50:33 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 16:20:40 PM
Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 16:02:06 PMRipeto ancora: "Ragionevole" non implica "certo". "Convinto" non implica "certezza che non può essere mutata da nuove evidenze". E così via...
Se precisi questo, allora siamo d'accordo. Il problema è che su questo non si fa mai chiarezza. Si confonde in continuazione il senso che le parole hanno in filosofia e il senso che hanno nella scienza. Se in filosofia si parla dell'essere, non si può intendere che si stia parlando di un essere che potrebbe anche non essere. Parmenide su questo è stato chiaro: l'essere è, non ci sono discussioni. Dire con Parmenide che l'essere è significa che esso non può essere soggetto ad evidenza alcuna, perché qualsiasi evidenza è sempre soggetta a mille critiche, mille discussioni. Invece l'affermazione filosofica di base di Parmenide "l'essere è" non ammette alcuna critica, nessuna discussione: se è è, non sono ammessi discorsi di sorta secondo i quali l'essere potrebbe anche non essere. Se è è. In questo senso la filosofia dell'essere è più radicale, più fanatica, di qualsiasi religione, di qualsiasi fanatismo. Ciò avviene perché la filosofia, quanto a radicalità delle questioni, non ammette di essere seconda a nessuno. Appena si scopre una questione che risulta essere più radicale di un'altra, la filosofia se ne assume immediatamente l'incarico, direi perfino il monopolio, perché questo è il compito della filosofia: andare in continuazione al massimo di radicalità. In questo senso la convinzione, se intesa in senso filosofico, è una presa di posizione radicale. Naturalmente il filosofo non fa questo per pretese di potere, per superbia o per fanatismo personale; lo fa perché vuole vedere dove conduce questo metodo, cioè il metodo di andare in continuazione al massimo della radicalità che ci è possibile mettere in pratica col nostro riflettere. Dire che uno scienziato è convinto che quel batterio esiste è in questo senso di un'ambiguità micidiale, che porta un mare di confusione. Anch'io, se vedo una pietra che mi sta cadendo sulla testa sono convintissimo che essa mi ucciderà se non mi tolgo di mezzo. Ma si tratta di una convinzione che non raggiunge la radicalità della filosofia. La filosofia è ancora più radicale dell'impulso a togliermi di mezzo, perché la filosofia è riflessione e la riflessione consente di indagare sull'essere oltre le sue conseguenze sul nostro corpo. La filosofia indaga sull'essere in merito alle sue implicazioni sulla riflessione stessa, sull'indagare stesso, per cui è in grado di oltrepassare i significati pratici dell'essere convinti, del ritenere un assunto qualsiasi in senso meramente pratico.

Punti condivisibili  :) come ho cercato dire, io sono sempre pronto a cambiare le mie idee se trovo qualcosa che mi sembra migliore. Ma se non trovo nulla di migliore e le obiezioni che mi vengono rivolte non mi sembrano sufficienti per farmi abbandonare le mie idee non le cambio ;)  
La metafisica non è un male per me.  Non credo che porti a niente di male. Uno può credere nell'esistenza delle forme platoniche. Ciò non significa che sia un dogmatico e non voglia assolutamente mettersi in discussione.  

A proposito di Parmenide... in realtà vorrei spezzare una lancia a suo favore se mi è concesso. Parmenide scoprì che da un lato c'è la realtà mutevole e dall'altro ci sono i concetti - che ci piaccia o no anche per parlare adesso stiamo utilizzando concetti. Detto questo Parmenide ha scoperto che i nostri concetti sono dopotutto "fissi" e il concetto più "semplice" è in fin dei conti quello di essere. "L'essere è" appunto. Tuttavia Parmenide fu il primo a rendersi conto che la nostra capacità di comprendere è in fin dei conti basata su concetti che per loro natura sono fissi anche quando si devono riferire a qualcosa di mutevole. Dunque Parmenide enunciò il suo famosissimo aforisma: "l'essere è e non può non è essere. Il non essere non è e non può essere". Dal mio punto di vista questa è un'intuizione geniale: visto che l'esperienza sensibile non è fissa allora non ha nemmeno senso prendersi la briga di stabilire dividere la realtà in "cose" e mantenere tale divisione in modo dogmatico.

Se ci pensiamo siamo molto bravi a dividere la realtà. Questo è il "monte Bianco", quello è il "monte Rosa". E siamo talmente bravi a farlo che finiamo per credere che queste divisioni siano nella realtà sensibile. E invece se analizziamo il monte Bianco e il monte Rosa vediamo che mutano, variano ecc. A ben vedere il "monte Bianco" di ieri non è il "monte Bianco" di oggi. Ma si somigliano molto. Anche io somiglio molto a "me" di ieri. Tuttavia qualcosa è cambiato, quindi non sono esattamente "me" di ieri. E dunque Parmenide, se non erro, arrivò a dire che possiamo solo avere opinioni sulla realtà. Opinioni e non conoscenza certa. Ma secondo me nell'antichità probabilmente i filosofi erano poco interessati ad una conoscenza sterile, volevano arrivare ad un altro obbiettivo. Quale? Forse la pace interiore... Sì, così si spiega la "fuga" di Parmenide. Dogmatismo? No, non c'è il dogmatismo secondo me. Anzi dice precisamente quello che direbbe un Sesto Empirico o un Pirrone: è impossibile comprendere con concetti immutabili il mutevole... Parmenide comprese che possiamo solo aver conoscenza certa di ciò che è stabile e immutabile, ovvero "l'essere" - non certo di qualcosa di ambiguo come il nostro mondo.Vedo un'analogia con la filosofia indiana*. Solo chi trema (e ha buonissime ragioni per farlo) davanti alla violenza, al flusso, a un mondo che come scrive Eraclito sembra dato alla guerra, può cercare un rifugio stabile. L'Essere, la pace dell'essere. La fissità. Eraclito invece guardò allo stesso divenire e non si rifugiò nell'essere: vide conflitto e guerra. E arrivò a dire che i poeti erano folli proprio perchè si lamentavano della guerra, del flusso. Non a caso Nietzsche ebbe un altissimo rispetto per Eraclito e poco per Parmenide. Per quanto mi riguarda, mi sento più vicino a Parmenide.

Qualche tempo dopo arrivò Platone. Platone in fin dei conti era molto vicino a Parmenide: le cose in questo modo in continuo mutare non rimangono sé stesse ma nemmeno vengono completamente trasformate. "Essere" e "non Essere" non possono applicarsi alle cose in questo continuo flusso. Platone ebbe probabilmente un'intuizione: questo flusso in realtà è regolare. Le mele cadono dagli alberi, gli animali necessitano di acqua per vivere e non possono mangiare i sassi. Qualsiasi animale non può mangiare sassi. Ecco dunque che Platone ebbe questa intuizione: certo il divenire è qualcosa che non posso negare - non posso di certo ignorare che le mie concettualizzazioni non possono catturare una realtà in continuo fluire. Tuttavia... tuttavia i meli danno come frutto le mele e non le pere. Anche tra le più diverse mele c'è una fortissima somiglianza rispetto a ciascuna di esse e una pera. Ci deve essere qualcosa di comune. Cosa? ma certo, ciò che rende la mela una "mela". E cos'è? Cos'è? Cos'è che rende un cavallo un "cavallo"? Ebbene se tutti i cavalli si somigliano allora ci deve essere qualcosa che li renda tali. Ma il "cavallo" - ciò che rende un cavallo tale non può dipendere dall'esistenza di un cavallo particolare. Dove sono dunque le forme del cavallo, della mela? Ebbene non qui, quindi devono essere "là". Dopo di lui l'Accademia passò a Spesusippo il quale rifiutò la teoria delle Forme. E anzi nel "Parmenide" Platone sembra quasi a tratti rifiutare la sua teoria. Vediamo un dogmatico o un ricercatore qui? Anche lui vedeva la realtà in continuo fluire, una realtà di conflitto. Ma a differenza di Eraclito anche Platone voleva la stabilità. E trovò le idee. Nuovamente Nietzsche fu estremamente critico nei riguardi di Platone. Nuovamente mi sento più vicino a Platone rispetto ad Eraclito (ciò non è vero per la filosofia politica. Il Platone politico non mi piace per niente anche se effettivamente se lo contestualizziamo al suo tempo probabilmente era quasi un "riformista". Si può discutere di ciò, ma non qui...).

Millenni dopo arrivò Nietzsche e cercò di distruggere la metafisica. Eppure... eppure i problemi di Parmenide e Platone sono ancora qua.

Che rapporto c'è tra concetti e realtà?
Cosa rende un cavallo tale? Perchè una mela è simile ad una mela e diversa da un'arancia?
Perchè le mele cadono dagli alberi e non vediamo mai che volano in cielo?
Possiamo avere una conoscenza adeguata delle cose?
I nostri concetti si riferiscono a qualcosa o no?
Qual è la natura delle cose?
Esiste un modo per trovare la pace interiore?
Desideriamo veramente la pace interiore o no?
Cos'è la giustizia?
Cos'è la felicità?
Perchè le mele cadono dagli alberi?
Perchè la matematica funziona?
...

Platone e Parmenide hanno cercato di rispondere ad alcune di queste domande e molte altre domande. Oggi sappiamo che hanno dato delle risposte. Si tratta di volerle accettare liberamente o rifiutarle con la stessa libertà. Si può essere attaccati a tale risposte e non voler dialogare (Platone scrisse dialoghi...). Si può negare che quelle domande abbiano un valore. Si può negare che quelle domande portino da qualche parte. Si può negare le risposte che i filosofi hanno dato. Nessuno impone nulla.

L'imposizione è ciò che dobbiamo evitare, l'attaccamento alle opinioni è da evitare. Ma è da evitare - per quanto mi riguarda - anche la convinzione che non sia possibile riuscire a rispondere nel modo corretto a tali domande e così via...

Se provo a rispondere alla domanda "perchè la matematica funziona" chiaramente entro nella "meta-fisica" (vado oltre la "fisica"). Io sinceramente ci provo. Sbaglierò, ma preferisco sbagliare piuttosto di non provare  ;)

*avevo scritto che Nietzsche aveva trovato una somiglianza tra Parmenide e la filosofia indiana. In realtà mi sbagliavo.
#314
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
17 Marzo 2018, 16:02:06 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 15:51:38 PM
Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 15:36:36 PMPer esempio devo avere un minimo di fiducia che il microscopio non mi inganna se voglio parlare di batteri e così via.
Lo scienziato non ha bisogno di aver fiducia nel microscopio, perché egli non va in cerca di verità ultime, né le chiede al suo microscopio. La scienza non cerca verità, cerca sperimentabilità. Se uno scienziato scopre un batterio attraverso il suo microscopio, il suo compito non è concludere che quel batterio esiste in senso ultimo, irriducibile, assoluto. Il suo compito è prendere nota che i risultati dati dal microscopio inducono a ritenere opportuno trattare quel batterio come presente, attivo, vivo, ecc., con tutte le caratteristiche proprie di quel batterio. Ma da qui a concludere che quel batterio esiste in un senso fondamentale e assoluto ne corre. Lo scienziato cerca esperimenti, applicabilità, verificabilità, falsificabilità, insomma cerca il pratico. Qualcuno potrebbe chiedersi come si possono attribuire a quel batterio proprietà e capacità di alcun genere se si dubita della sua esistenza. Ma questo significa confondere filosofia e scienza. Esistere in senso scientifico non significa esistere in senso assoluto, significa semplicemente essere sperimentabile. Che poi questa sperimentabilità sia tutta un'illusione, non è affare della scienza; la scienza se ne può occupare solo se esistono ulteriori esperimenti in grado di introdurre chiarezze pratiche sulla questione. Ma niente che non sia sperimentabile. La scienza non dice, strettamente parlando, che i globuli rossi esistono; dice che gli esperimenti forniscono certi risultati. Se vogliamo dire che esistono in senso scientifico, significa dire che riteniamo opportuno trattarli come esistenti, secondo ciò che nella nostra rude vita pratica significa trattare le cose come esistenti. Ma trattare le cose come esistenti non significa aver stabilito che esistono in senso fondamentale e assoluto. Sono due cose diverse.

No, purtroppo questo è il punto dolente  ;D 

I filosofi della scienza dicono quanto tu dici. Il medico è ben convinto che esistono globuli rossi ed esistono batteri. Il fisico è convinto che la Terra è quasi sferica e che la nostra conoscenza delle cose è maggiore di quella che aveva l'umanità millenni fa. 

I medici sono convinti che ad esempio il nostro corpo è composto di cellule. In realtà sono proprio i filosofi della scienza a dire che la scienza non dimostra l'esistenza dei batteri. Il medico invece ne è ben convinto. Se non sei d'accordo, indicami una citazione di un medico che dice che i batteri non esistono o che non è necessario avere fiducia dei microscopi.

Presentami una citazione di un fisico che crede che oggi non possiamo dire ragionevolmente di comprendere meglio i fenomeni naturali di 3000 anni fa. Dopo ne riparliamo  ;)



Ripeto ancora: "Ragionevole" non implica "certo". "Convinto" non implica "certezza che non può essere mutata da nuove evidenze". E così via...
#315
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
17 Marzo 2018, 15:46:31 PM
Citazione di: iano il 17 Marzo 2018, 14:40:40 PMPer Iano
Possiamo stabilire ragionevolmente che una teoria è migliore di un'altra. Per esempio la relatività ci dà un'immagina migliore delle cose rispetto alla fisica newtoniana. Se non ammettiamo questo non ha nemmeno senso parlare di "evoluzione". Dunque la scienza ci permette di "uscire" in parte dalla gabbia della nostra "ignoranza". Uno scettico potrebbe dire che non posso dirlo con certezza. Io gli rispondo che lui è troppo pedante: ad un certo punto lo scetticismo deve essere abbandonato in parte. Ma tutti questi discorsi hanno come assioma di partenza che la realtà è per noi almeno parzialmente comprensibile. Se togliamo questo assioma non si può nemmeno parlare di "evouzione"