ho sempre avuto il forte sospetto che l'idea per cui intelligenza e felicità siano tra loro in antitesi sia una sorta di autoconsolazione per le persone, che siccome conducono una vita dove nel complesso la sofferenza e la negatività prevalgono sulle soddisfazioni (preferisco non parlare di "infelicità" dato che considero la felicità una condizione mondanamente irraggiungibile, a cui al massimo possiamo avvicinarci ma mai realizzarla compiutamente, quindi in-felici, chi più, chi meno lo siamo tutti), cercano motivo di conforto nell'orgoglio di sentirsi più intelligenti, o più in generale "migliori" rispetto agli altri, il cui benessere viene svalutato in quanto frutto di immaturità, non davvero meritato. Insomma, un po' come la favola in cui la volpe si autoconvince di schifare l'uva solo perché non riesce a prenderla. Questo è un atteggiamento che non mi sento di demonizzare, se riesce davvero a consolare persone (senza arrivare a portarle a rancore distruttivo verso gli "stupidi felici"...)che ne sentono il bisogno ben venga, però è chiaramente una falsificazione, un autoinganno. Al contrario, penso che l'intelligenza sia proprio ciò che occorre potenziare al massimo per avvicinarsi il più possibile alla felicità, intendendo l'intelligenza come la capacità, nei suoi diversi campi di applicazione, (ci comprendo anche l'intelligenza emotiva a cui va fatta riferire l'empatia, che sarebbe da intendersi come coglimento teoretico dei vissuti degli alter ego, e non come un sentimento morale o di affetto, e dunque ho trovato del tutto opportuna e condivisibile la precisazione in merito di Jacopus, il sadico che gode della sofferenza delle sue vittime è necessariamente un empatico) di risolvere problemi ed eliminare gli ostacoli che ci separano dal raggiungere i nostri obiettivi esistenziali, cioè ciò da cui facciamo dipendere il nostro benessere. All'idea che l'intelligenza possa essere foriera di frustrazione perché ci porta alla consapevolezza dei difetti dell'umanità, come l'ipocrisia o il conformismo, si può opporre l'idea che essa porti anche alla consapevolezza dei pregi, al riconoscimento dei talenti e delle qualità positive delle persone spesso nascosti, che magari restando in un'ottica superficiale non potrebbero emergere. Tutto dipende dalla componente di ottimismo/pessimismo presente nelle nostre visioni personali del mondo. Quindi mi pare che la questione in questo senso debba spostarsi dal rapporto intelligenza-felicità a quello ottimismo vs pessimismo, se sia più ragionevole l'una o l'altra impostazione, questione che mi pare molto problematica nel tematizzarsi in modo razionale, considerando il peso dei condizionamenti delle nostre esperienze vissute e dei nostri stati d'animo contingenti che finiscono con l'essere inevitabilmente chiamati in causa