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Messaggi - sgiombo

#3001
Citazione di: Sariputra il 11 Febbraio 2017, 15:30:45 PM
Che bisogno ho di "dimostrare" quando  ho assoluta certezza di un'esperienza? Posso dimostrare che sono vivo? Sono però certo che sono vivo e questo indipendentemente se sono vivo nella realtà, in un sogno o in un ologramma. Il dubbio riguarda le cause del perché sono vivo, non l'esperienza di esserlo. La conoscenza del reale è, a mio parere, vera ma limitata. Non posso dimostrare che una mela più un'altra fa sempre logicamente due , ma so per esperienza che, se anche passo la vita a mettere una mela accanto all'altra , mai ne vedrò tre. Similmente se anche un altro uomo passa la vita a mettere queste due mele una accanto all'altra ne vedrà sempre due e non tre. Questo fatto esperienziale crea un assoluto relativo alla condizione umana. La mia mente dispone di una certa struttura logica e semantica che mi permette di formulare un linguaggio con una certa metodologia. Questa struttura è un assoluto relativo alla condizione umana che mi permette di formulare teorie logiche  e semantiche che però non possono essere assolute. Ciò che è assoluto è relativo alla sottostante struttura che rende possibile qualunque teoria su di essa. Chi presenta una nuova teoria logica o semantica si serve della logica e della semantica per poterlo fare. Egli presuppone ciò di cui desidera presentare una teoria. E' la struttura della mente che mette in grado qualunque teoria, anche una della struttura della mente, di fare ciò che tenta di fare. Anche chi parla in nome del relativismo presuppone la validità della logica in questione. La coscienza umana ha una sorta di "centratezza", o autoconsapevolezza che sembra una sorta di quid che ci impedisce di perderci nel torrente infinito delle esperienze relative. Questa centratezza serve a dare quel senso di continuità alla nostra esperienza di vita che sperimentiamo e che ci fa dire "Io sono" ( che questo 'io sono' sia permanente o impermanente e un altro discorso che investe altri fattori esperienziali). Abbiamo molti assoluti relativi alla condizione umana. Ciò che non abbiamo è una conoscenza assoluta che è una impossibilità. Ma la mancanza di una conoscenza assoluta implicva che la conoscenza (relativa alla condizione umana) è falsa? Possiamo definirla limitata, ma non falsa, a mio avviso. La mente dispone pure della capacità di annullare la distinzione soggetto-oggetto tipica del pensiero, e questo avviene a livello delle sensazioni dove si manifesta un'unità materiale in ogni impressione sensoriale. Se vedo, per es. il colore giallo non lo posso negare nemmeno se si tratta di un sogno o di una allucinazione. La sua causa è aperta al dubbio, ma l'esperienza in sé è certa e immediata. Ciò che vedo non è più il mio oggetto: esso è in me e io sono in esso.
E' qualcosa di assoluto relativo all'atto conoscitivo. In ogni atto conoscitivo è presente un'interdipendenza di soggetto e oggetto. In ogni domanda che ci poniamo è già presente qualcosa dell'oggetto su cui ci interroghiamo, altrimenti non potremmo nemmeno porre la domanda. Avere e non avere è la natura stessa degli interrogativi e chi interroga conferma questa struttura interdipendente della coscienza come un assoluto relativo agli uomini in quanto uomini.

CitazionePerò, Sari assoluta certezza c'é solo del fluire delle ("proprie") sensazioni (esteriori e interiori) che immediatamente accadono (se e quando accadono), immediatamente esperite: la realtà potrebbe anche esaurirsi in esse, non eccederle, senza che nulla possa dimostrare il contrario di ciò (né dimostrare ciò).
Un soggetto (oltre che oggetti) delle sensazioni, in aggiunta ad esse, potrebbe benissimo non esserci (come pure esserci).
Come tutte le altre persone comunemente ritenute sane di mente, personalmente credo di esistere come soggetto e che esistano anche oggetti delle (mie) sensazioni (e che nel caso di quelle esterne materiali siano gli stessi delle sensazioni di altri soggetti, costituenti altre esperienze fenomeniche coscienti i cui "contenuti" esterni materiali sono reciprocamente corrispondenti -"poliunivocamente"- fra tutte le esperienze fenomeniche coscienti stesse, compresa ovviamente la mia).
Però (forse da "occidentale razionalista che cerca sempre il pelo nell' uovo"?) per me é -del tutto soggettivamente- importante questo fatto di rendermi conto che queste credenze non sono logicamente dimostrabili né tantomeno empiricamente constatabili ma solo fideisticamente, infondatamente, irrazionalmente credibili (e di fatto credute).
#3002
Citazione@ Apeiron

Sono perfettamente d' accordo che l' introspezione (le sensazioni  empiriche della res cogitans) é anch' essa empiria (esattamente come l' "extrospezione", o meglio le diverse  "extrosensazioni", della res extensa); e dunque qualsiasi giudizio circa la realtà interiore o mentale, esattamente come qualsiasi giudizio circa la realtà esteriore o materiale (essendo l' una altrettanto empirica dell' altra), è un giudizio sintetico a posteriori.
Tuttavia dissento da Quine (forse contrariamente a te) nel ritenere che i giudizi analitici a priori siano riducibili a giudizi sintetici a posteriori e ritengo che le nozioni e i predicati espressi (significati) dai pensieri empiricamente avvertiti mentalmente (le verità logiche) siano ben altra cosa delle percezioni mentali che costituiscono i pensieri stessi (gli eventi psicologici; i quali, contrariamente alle verità logiche, possono solo essere reali o meno -accadere o meno- e non anche essere veri o falsi, in questo esattamente come quegli altri tipi di eventi psicologici che sono le emozioni e i sentimenti).
 
Se -per assurdo; ammesso e non concesso- avvenisse un miracolo "tipo moltiplicazione dei pani e dei pesci" credo che allora le leggi fisiche (per lo meno una o più determinate leggi fisiche; le quali peraltro, essendo fondate sull' induzione, non sono comunque logicamente dimostrabili con certezza essere vere: Hume!) sarebbero contravvenute, cioé falsificate (non credo che abbia senso ma sia autocontraddittorio il concetto di "sospensione" momentanea od occasionale delle leggi di natura, o di "eccezione alla regola" del divenire naturale in quanto per definizione -e senza che sia possibile dimostrarne la verità: a-ri-Hume!- le leggi del divenire naturale sono letteralmente universali e costanti, id est: non ammettono deroghe, sospensioni o eccezioni di sorta).
La logica non credo sarebbe facilmente applicabile: se accadesse che 5 pani e 2 pesci a un certo punto diventassero, da 7 che erano, 14 o 21 vivande penso che l' unico modo sensato (possibile) di applicare alla realtà l' astrazione matematica sarebbe quello di considerare "7 x 2" o rispettivamente "7 x 3", oppure "7 + 7" o "7 + 7 + 7" o "7 + 14", ecc.; mentre "7 + 5 = 14 = 24" semplicemente non avrebbe senso. Sarebbe come dire "un cerchio è quadrato": non una proposizione, un predicato ma una mera sequela casuale, insignificante di caratteri tipografici.
E così dicasi di "1 + 0 = 0" e di "1 + 1 = 0"; il caso miracoloso da te proposto sarebbe matematicamente formalizzabile (sensatamente) come "0 + 1 + 1 – 2 = 0" o in altri modi equivalenti come "- 1 - 1" anziché "- 2".
 
I giudizi sintetici a posteriori sono (nozioni significate da) pensieri che riguardano dati di fatto (empirici) reali e, se vogliono essere veri, sono vincolati alle caratteristiche reali dei dati di fatto; per questo non possiamo sostituirli con giudizi analitici a priori, i quali invece son "completamente interni alla teoria, al -alle nozioni significate dal-  pensiero", sono connessioni e inferenze logiche fra concetti definiti arbitrariamente e assiomi arbitrariamente assunti del tutto indipendentemente dalla realtà (empirica): questa è precisamente la ragione che ci impone di non pretendere che i giudizi circa la realtà possano essere analitici a priori: potrebbero esserlo solo se, per assurdo, si desse il caso che::
"pensabile (correttamente, coerentemente, logicamente)" = reale".
 
Ma invece (torniamo sempre su questo "fondamentalissimo principio filosofico! L' autentico "nocciolo della questione"!) il reale può essere, ma non è necessariamente, (anche) pensato (oggetto di pensiero) e il pensato  (l' oggetto di pensiero) può essere, ma non è necessariamente, (anche) reale.
 
Ma allora la realtà è accidentale"?
Rispondo:
La realtà non è necessariamente "pensanda"; cioè si può pensare essere reale ciò che è reale ma anche ciò che non è reale e si può pensare non essere reale ciò che non è reale ma anche ciò che è reale.
Se per "accidentale" intendiamo questo ("non necessariamente pensanda essere così com' è; pensabile non essere anziché essere, ovvero essere diversa da ciò che è, da com' è") allora sì, la realtà è accidentale.
Ma inoltre la realtà è realmente (per definizione) necessariamente ciò che è (così com' è), sebbene sia pensabile diversamente): può essere pensata essere ma non realmente essere diversa da come è, da ciò che é.
E allora se per "accidentale" intendiamo quest' altro ("non necessariamente accadente  realmente - così come accade", ma anche altrimenti" ma casomai solo non necessariamente pensabile accadere realmente -così come accade, ma anche altrimenti- allora no, la realtà non è accidentale.
 
Concordo che l'etica non sia dimostrabile (benché -secondo me- di fatto in parte universalmente diffusa nell' umanità e immutabile in tempi biologici per motivi contingenti, di fatto, rilevabili analiticamente a posteriori, ben compresi dalla teoria scientifica naturale dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale, correttamente intesa "a la Gould" e non indebitamente, falsamente assolutizzata "a la Dawkins"; e in altra parte mutevole da ambiente sociale –latamente inteso– ad ambiente sociale, transeunte per motivi contingenti, di fatto, rilevabili analiticamente a posteriori, ben compresi dalla teoria scientifica umana del materialismo storico; non posso pretendere che quest' ultimo sia da tutti condiviso per la sua natura di scienza in senso lato o umana, mentre pretendo che -fino all' eventuale improbabile verificarsi di future rivoluzioni scientifiche- la teoria dell' evoluzione biologica sia condivisa da tutti i miei interlocutori per la sua natura di scienza in senso stretto o naturale e per il mio soggettivo, arbitrario, insindacabile non essere disposto a colloquiare di scienza e di filosofia con irrazionalisti antiscientifici).
#3003
Citazione di: Apeiron il 10 Febbraio 2017, 23:18:01 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Febbraio 2017, 22:05:39 PMNon so se ho capito tutto, non sono addentro nella logica formale, voglio solo provare ad esprimere ciò che mi sembra di aver capito, in modo da provare ad imparare qualcosa. A quanto sembra, il problema della contraddizione del nulla consisterebbe in questo: il nulla non è altro che il non essere. Dunque, se diciamo che il nulla è, stiamo dicendo che il non essere è. Dire che il non essere è significa introdurre nel nostro pensare un'indifferenza totale di ogni significato; ultimamente significa non poter pensare, è una specie di suicidio del pensare, un buttarsi la zappa sui piedi. Mi sembra che tutto ciò abbia a che fare con l'origine del nostro linguaggio, nato per gestire piccole quantità e poi dalla filosofia stirato a più non posso per fargli gestire quantità smisurate, quali sono i concetti di tutto, nulla e simili. Infatti, se ci limitiamo a piccole quantità, è possibilissimo parlare del nulla, poiché esso è sempre relazionato a pochi altri esseri: possiamo benissimo dire "in questa stanza non c'è nulla di quanto tu hai detto"; in questo senso è possibile parlare anche di esistenza della mancanza: c'è mancanza di denaro, mancanza di risorse. Questo mi fa pensare al fatto che in matematica è possibile sommare numeri negativi: 5 + (-3) = 2. Come dicevo, le cose si complicano se questo linguaggio viene stirato per esprimere quantità smisurate. In questo senso già il concetto di "tutto" è problematico: com'è possibile pensare di aver pensato il concetto di "tutto", una volta che nessuno di noi l'ha mai visto? In matematica il concetto di "tutto" è riferito alle possibilità future: per esempio, possiamo dire che, se ad un numero qualsiasi sottraiamo se stesso, il risultato sarà sempre zero. Come facciamo a sapere che ciò vale per tutti i numeri? Siamo noi ad aver deciso che ciò è vero, sulla base delle verifiche e delle corrispondenze che finora abbiamo trovato; tuttavia potrebbe sempre succedere in futuro di scoprire qualche tipo di calcolo che smentisca che x-x fa sempre zero. Questo mi sembra un problema fondamentale dei concetti totalizzanti, quali "tutto", "nulla" e simili: sono scommesse sul futuro, di cui è impossibile avere prove definitive, perché è umanamente impossibile verificare tutti i casi possibili. Siamo, insomma, nel problema del tacchino induttivista. Da ciò consegue che un difetto fondamentale di ogni matematica e di ogni logica è quello di trascurare la loro impotenza riguardo a ciò che si potrà scoprire in futuro. Anzi, direi piuttosto, che una vera matematica o una vera logica contengono già quest'umiltà, anche se per semplicità non la esprimono; chi dimentica quest'umiltà siamo noi, nel momento in cui utilizziamo questi strumenti dimenticando che esistiamo nel tempo e non abbiamo potere sul futuro. Ciò non vieta di fare matematica o logica; basta che lo si faccia con consapevolezza dei loro limiti. Oltre a quello del tempo, un altro limite della logica mi sembra essere quello dei paradossi che si verificano quando si vogliono creare affermazioni totali che includano la negazione di se stessi: è il caso del catalogo che voglia contenere la lista di tutti i cataloghi che non includono se stessi; ne consegue che un paradosso simile sarà quello del concetto di "tutto", che in quanto tale dovrebbe includere ogni negazione di stesso, teorica o reale, quindi dovrebbe includere anche il nulla, con i conseguenti problemi che finora avete evidenziato. Ma anche lasciando da parte i problemi specifici creati dai paradossi, mi sembra che già l'ipotesi teorica di pensare il "tutto" in modo filosofico e non semplicemente matematico crei dei problemi. Infatti, se voglio pensare il tutto, è ovvio che in questo concetto dovrò includere anche me stesso che sto pensando il tutto. A questo punto però ho creato una nuova entità: il concetto di me stesso che sto pensando il tutto. Cioè, io mi sono creato dentro il mio cervello un'idea di me come di uno che sta pensando il tutto. Ma quell'uno che sta pensando il tutto, che si trova nel mio cervello sotto forma di concetto, sta davvero pensando tutto? Credo di no, altrimenti significa che sarei riuscito a creare nel mio cervello non un concetto, ma una vera persona che è in grado di pensare a me. Da questa difficoltà mi sembra dover dedurre che il tutto è pensabile solo in contesti matematici, che come tali includono esclusivamente enti matematici, e quindi non si tratta davvero del tutto, o in contesti logici che, occupandosi esclusivamente di funzionalità formali, neppure essi si occupano davvero di tutto. Non è pensabile in filosofia poiché implicherebbe il trattare il concetto di me stesso come se fosse non un concetto, ma un essere reale in grado di pensare a me che sto pensando ad esso.

Aggiungo solo che matematica e logica in generale non si applicano all'Esperienza. Non si può dimostrare che la probabilità che il lancio del dado dia 6 perchè non possiamo avere infinite prove, ma soprattutto - mi ero scordato di dirlo - anche se avessimo a disposizione infinite prove la generalizzazione potrebbe ugualmente essere accidentale.
Ad esempio per la logica:
La validità generale logica potrebbe chiamarsi essenziale, in contrapposizione alla accidentale, come quella della proposizione: "Tutti gli uomini sono mortali". (Wittgenstein)

La logica non si può applicare alla natura perchè dall'esperienza possiamo solo desumere generalizzazioni accidentali, non essenziali. Perfino applicare i concetti della fisica alla natura è "improprio" nel senso che nulla nell'esperienza ci garantisce che tra i fatti ci sia un legame. Causalità, regolarità della natura... sono tutti concetti che noi imponiamo sulla natura in modo errato. Infatti non vengono dall'esperienza.


"Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è in esso alcun valore - né, se vi fosse, avrebbe un valore.

Se un valore che ha valore v'è, dev'esser fuori d'ogni avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è accidentale.

Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale.

Dev'essere fuori dal mondo.  
...
Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è" (Wittgenstein)

non rimane quindi che rinunciare a filosofare a riguardo di domande che non possono avere una risposta. Non possiamo desumere in alcun modo una "spiegazione" che qualcosa è. Possiamo fare una teoria su "perchè" il periodo di rivoluzione della Terra è circa 365 giorni e non 1244 (numero a caso  ;D ) ma non possiamo dare una spiegazione su "perchè" esistiamo. Alcune - ma non tutte - le religioni cercano proprio di dare una spiegazione a ciò ma la spiegazione è infalsificabile, inverificabile, non deducibile dall'esperienza e non fondata logicamente da alcun assioma che possa essere considerato dato di fatto (non a caso è rischiesta la fede (che può essere ragionevole ma non razionale) in tale spiegazione). Ma le spiegazioni che noi facciamo su particolari fenomeni naturali sono appunto testabili e per questo motivo sono soggette ad errore. Dove non c'è possibilità di verifica/falsificazione/test non vi è possibilità d'errore e quindi propriamente non si tratta nemmeno di una spiegazione scientifica. Dove non v'è possibilità d'errore non si può nemmeno propriamente parlare di "aumento della conoscenza". Motivo per cui le spiegazioni "sul senso delle cose" non sono nemmeno "vere" spiegazioni. Ma qui trattiamo di argomenti su cui la razionalità non può avere nulla a che fare. Le spiegazioni filosofiche che si fanno sono speculazioni oppure sono rielaborazioni ossia tentativi di capire meglio le "spiegazioni religiose". Ma qui chiaramente ormai la filosofia è sparita - in quanto la filosofia si ferma prima.

P.S. Angelo Cannata non sono di certo un esperto di logica simbolica e infatti moltissime cose del Tractatus di Wittgenstein non le ho capite, ma mi pare d'aver afferrato ciò che penso sia l'essenziale per me. Ti consiglio, se non lo hai già fatto, di leggere le sue opere sia del primo periodo sia del secondo. E inoltre anche le opere non prettamente filosofiche  ;) Comunque il senso del discorso mi pare che tu l'abbia capito.

5+(-3)=2 non si applica alla realtà. Infatti che (5+(-3))*mele=2mele è una generalizzazione accidentale che faccio da un numero finito di prove. Non posso dimostrare che se da un sacchetto di 5 mele ne tiro via 3 ne rimangono sempre 2. Realizzata questa cosa, si realizza tutto questo discorso (che il mondo segua leggi "matematiche" è un "atto di fede" per quanto sia molto più "plausibile" - ossia "ragionevole" - rispetto ad altri...).

CitazioneConcordo che la logica non si può applicare all' esperienza,
La logica (e la matematica pura) propone giudizi analitici a priori, mentre la natura si conosce (se si conosce) attraverso giudizi sintetici a posteriori.
E (a proposito di conoscenza sintetica a posteriori della natura) concordo anche sull' indimostrabilità dell' induzione (Hume!).
 
 

Inoltre sono d' accordo che razionalmente, filosoficamente non si possa trovare una senso (una ragione, una risposta alla domanda "perché?") del fatto che accade realmente ciò che accade.
Ma già chiedersi (e rispondere alla domanda) se questo sia un problemi razionalmente risolvibile è filosofia.
Per parte mia ribadisco (e mi sembra di concordare) che sono domande  senza senso (per quanto insopprimibili per chi cerchi di vivere con senso critico e non di vivere a casaccio essendo acriticamente eterodiretto) per il significato stesso dei termini della questione, perché per definizione si può pensare, può essere pensato anche ciò che non è reale (che non accade realmente: basta che non sia autocontraddittorio), mentre può essere reale solo e unicamente ciò che è reale (solo ciò che accade realmente) e nient' altro: la possibilità esiste solo nel pensiero e non nella realtà; e questo indipendentemente dall' eventuale determinismo nella realtà, che soltanto imporrebbe la necessità ed eliminerebbe la possibilità anche al pensiero della realtà, oltre che alla realtà (ovviamentenel caso si abbia una conoscenza sufficientemente completa e precisa delle leggi  universali e costanti -cioè deterministiche - generali astratte del divenire nonché delle condizioni particolari concrete, in un -qualsiasi- determinato istante, della realtà stessa: in queste condizioni "ideali" -in linea di principio, non di fatto!- sarebbe possibile pensare in modo corretto, non autocontraddittorio, unicamente -ovvero sarebbe necessario anche il pensare, oltre che l' accadere realmente di- ciò che realmente accade in qualsiasi altro istante di tempo).
In caso di possibilità (ergo: nel pensiero e non nella realtà) si pone la questione di un senso, una ragione, una risposta alla domanda "perché?": "perché, fra tutte le alternative possibili a ciò che di fatto si dà, si dà proprio quella che di fatto si dà e non alcun altra?".
Ma invece in caso di necessità (ergo nella realtà e non nel *pensiero) non si pone la questione di un senso, una ragione, una risposta alla domanda "perché?": non essendoci alternative a ciò che di fatto si dà, non ha senso chiedersi "perché si dà proprio ciò che si dà anziché alcun altra alternativa", la quale, per l' appunto non c'é, non si pone; non ponendosi alcuna alternativa sarebbe evidentemente autocontraddittorio, senza senso chiedersi perché (cercare una ragione o un senso del fatto che) si dà è proprio una certa determinata alternativa anziché qualsiasi altra (possibile), che per l' appunto non si dà.
E per l' appunto per definizione (analiticamente a priori) si dà possibilità solo nel pensiero e non nella realtà.
 
(Con tutte queste evidenziazioni in grassetto spero di aver dato l' idea dell' importanza a mio parere "fondamentalissima" in filosofia della distinzione fra -eventuale accadere reale del ed eventuale accadere reale del pensiero del- pensiero (circa la realtà) e -eventuale accadere reale ed eventuale accadere reale del pensiero della- realtà).
 
 
 
Non concordo invece che  che (5+(-3))*mele=2mele è una generalizzazione accidentale che faccio da un numero finito di prove. Non posso dimostrare che se da un sacchetto di 5 mele ne tiro via 3 ne rimangono sempre 2. Realizzata questa cosa, si realizza tutto questo discorso (che il mondo segua leggi "matematiche" è un "atto di fede" per quanto sia molto più "plausibile" - ossia "ragionevole" - rispetto ad altri...
Per me quelli della logica e della matematica pura sono giudizi analitici a priori e non sintetici a posteriori: è per le definizioni di "5", "3", "2", "+", "-", "=" che sempre e comunque, indipendentemente da come che sia il mondo reale, 5 - 3 = 2.
Posso poi applicare le astrazioni matematiche alle mele e a qualsiasi altro oggetto concreto eventualmente rilevato sinteticamente a posteriori.
 
 

Per Angelo Cannata (scusandomi) per la pignoleria e la non essenzialità per la questione in esame):
il concetto di me stesso che sto pensando il tutto, l'idea di me come di uno che sta pensando il tutto non accade, non me lo sono cerato dentro il mio cervello: dentro il mio cervello (il quale è, accade, almeno potenzialmente e di fatto sempre attualmente qualora di diano determinate condizioni, "dentro", nell' ambito de-, le esperienze fenomeniche coscienti di chi lo osserva, diverse dalla mia) accadono, si osservano unicamente neuroni e altre cellule, fasci di assoni con impulsi nervosi che li percorrono, eccitazioni e inibizioni trans – sinaptiche, eccetera: tutt' altre cose che concetti, anche se necessariamente coesistenti e biunivocamente corrispondenti al mio pensare i concetti che penso (che invece accade "dentro", nell' ambito de-, la mia di esperienza fenomenica cosciente, ben diversa, altra da quelle degli osservatori del mio cervello).
#3004
Citazione di: maral il 10 Febbraio 2017, 14:19:11 PM
Sgiombo, capisco e condivido pure la tua esigenza di non confondere il reale con il pensato, ma ribadisco che il reale e il pensato non sono separabili, non sono cose che appartengono a mondi diversi e l'uno "il reale" al mondo duro e puro, mentre il "pensato" solo alle fantasie più o meno realistiche e arbitrarie che stanno dentro a una testa (reale? pensata? mah!).
Il reale è sempre e solo qui e ora e in questo qui e ora c'è pure l'accadere di pensare, in questo qui e ora c'è pure l'ieri che è pensato come "ieri" solo adesso, poiché l'ieri (che non c'è e non può esserci) accade di pensarlo e solo perché accade ora in un modo che è del tutto evidente, l'ieri è reale.
La storia che collega ieri a oggi e poi a domani, in realtà è solo oggi, adesso, che c'è ed è perché adesso c'è e appare nel suo essere pensata che è reale.
Il problema che tu temi e per cui ti vuoi premunire, affinché giustamente non ci siano inganni, il problema di non confondere i cavalli con gli ippogrifi, non è per nulla messo in discussione da questa, a tuo avviso, indebita e confusionaria sovrapposizione tra realtà e immaginazione. Realtà e immaginazione restano distinti dal modo in cui adesso si presenta (ci appare) qualcosa, nel suo esserci in quanto venir pensata e viceversa. E' il modo dell'esserci e contemporaneamente il pensarlo che ci permette, nei modi e non nelle essenze, di distinguere cavalli e ippogrifi, di credere alla realtà dei primi e alla non realtà e solo "immaginabilità" dei secondi. E questi modi non siamo noi a sceglierli arbitrariamente da fuori, perché questi modi siamo noi stessi, siamo noi che accadiamo proprio qui e ora, in questo preciso istante e in questi modi con cui sperimentiamo e facciamo le cose esistendo.
Il mondo è reale, per questo è pensabile in modi diversi e solo poiché è pensato esso si presenta (agli umani, agli altri non so) in modo reale, sempre oltre il nostro pensarlo e quindi sempre ancora ripensabile, senza fine, ossia senza che mai sia nulla.
CitazioneDistinguere (concettualmente, nel pensiero) =/= separare (nella realtà: siamo sempre lì).
Anche il pensiero, se accade realmente, fa parte della realtà, ma ne è una "parte decisamente peculiare" ben diversa dal resto per sue proprie importantissime caratteristiche: gli "oggetti" o "contenuti" del pensiero che sono tali unicamente in quanto tali (la loro realtà consiste nell' essere pensati e non sono inoltre, come può ben darsi, anche "oggetti" o "contenuti" della realtà indipendentemente dal fatto che questa sia inoltre pensata o meno, come può altrettanto ben darsi) sono "di natura", presentano una "valenza o qualità ontologica" ben diversa dai fatti reali (in quanto tali, e non unicamente in quanto pensati, in quanto oggetti o contenuti di pensiero, come può peraltro ben darsi che pure siano, o meno).
La confusione (cioè la mancata distinzione teorica; e non certo una pretesa separazione reale di fatto: riecco "il problema dei problemi" che si riaffaccia inevitabilmente di continuo!) fra questi due diversi (anche se passibili di coesistere tanto quanto di non coesistere a seconda dei casi) significati di "essere" è come "la notte in cui tutte le vacche sembrano nere" (mi scuso con il da me tutt' altro che apprezzato Hegel, che per quel poco che ne ho capito doveva essere un habitué di questa confusione).
E da questa confusione, come ho ampiamente argomentato nei precedenti interventi e non sto a ripetere, nasce la pretesa negazione del divenire: dalla confusione fra il pensarsi qualcosa, il qualcosa pensato che, astraendo, prescindendo dalla sua (eventuale) realtà (dalla realtà di tale "qualcosa" in quanto tale e non solo in quanto contenuto di pensiero, del suo accadere e non del suo essere pensato), se e quando accade, è ciò che è e non può essere altro da una parte; e dall' altra parte l' accadere realmente qualcosa che può benissimo prima non darsi, adesso darsi, poi di nuovo non darsi (magari trasformandosi da - in qualcos' altro secondo proporzioni universali e costanti, come a quanto pare di fatto accade del mondo fisico materiale).

Secondo me le fantasie, come il resto della coscienza (anche le sensazioni di cose reali), non stanno nelle teste (e in particolare nei cervelli), ma al contrario le teste (e in particolare i cervelli) stanno nelle coscienze (di chi le pensa nel caso di teste e cervelli fantastici, o di chi le esperisce come teste e cervelli reali nel caso delle sensazioni di enti ed eventi reali reali).

Non obietto al resto di queste affermazioni perché già fatto più volte.
#3005
CitazioneSgiombo:
"Essere1" = esistere (accadere) realmente: predicato verbale.

"Essere2" = intendersi (pensarsi): copula.

Maral:
Si può vederla così e distinguere l'uso esistenziale da quello copulativo del verbo essere, ma non è necessario: "essere" afferma sempre ciò che è, quindi si può partire dal valore esistenziale. L'essere da "intendersi come ...", ossia "l'essere da intendersi come se fosse", ovviamente non è, altrimenti non sarebbe da intendersi come. In quanto è qualsiasi cosa è quello che è, non è un "da intendersi come".

Sgiombo:
Se si vogliono evitare fraintendimenti ed errori è necessario fare questa distinzione; altrimenti si confondono due ben diversi casi: quello degli enti ed eventi reali (le cose realmente esistenti/accadenti: i cavalli reali) e quello degli enti ed eventi pensati ma non realmente esistenti (le cose che sono oggetto di pensiero ma non esistono/accadono realmente: gli immaginari ippogrifi).

Gli ippogrifi sono da intendersi come se esistessero realmente ma non esistono realmente; ciò che eventualmente accade realmente è solo il pensiero degli ippogrifi.
I cavalli invece sono da intendersi come animali realmente esistenti, sia che inoltre accada anche realmente il pensiero dei cavalli, sia che realmente non accada.
Se non si fa questa distinzione fondamentale si rischia di pretendere di andare da qualche parte in groppa a un ippogrifo e dunque non andare realmente da nessuna parte.








Citazione
CitazioneSgiombo:
Ieri c' era1 (=esisteva realmente) un pezzo di legno; dire che non c' era1 (non esisteva realmente) è sensato e falso; (pretendere di) dire che era2 (da intendersi come) un mucchietto di cenere è contraddittorio, insensato.

Maral:
Qui sorge un primo dubbio. Va bene "ieri c'era un pezzo di legno" non è certo autocontraddittorio, ma il punto è, se ieri significa quella giornata di ieri, che ora non c'è più, quindi non c'è, come possiamo dire che c'era un "ieri" (ove si trovava un pezzo di legno) che non c'è? Possiamo vederla in due modi, o pensare che quell'ieri che c'era, ma non c'è è diventato oggi, ma qui il mistero si infittisce (come fa un ieri che non è oggi in nulla a diventare, ossia a venire a essere, oggi?) o possiamo dire che c'è oggi e non c'è ieri, ma che quell'oggi che solo c'è contiene una traccia che sembra essere un ieri reale a sé stante, ma in effetti è solo qualcosa che fa parte dell'oggi che è. Ogni ieri (proprio come ogni domani) è sempre e solo nell'oggi che si presenta e sempre e solo nell'oggi si presenta pure quel pezzo di legno che ci appare un contenuto della giornata di ieri.

Sgiombo:
Solita confusione fra reale e pensato: i misteri li crea e li infittisce unicamente questo fraintendimento!

Che "fa parte dell' oggi", che accade realmente ("è1") oggi non é la realtà ("essere1") di ieri (contraddizione!!!), ma solo il pensiero (il ricordo, la memoria, "la traccia". l' "essere2") di ieri.

Il pensiero (l' essere2) e non la realtà (l' essere1) di ogni ieri (proprio come di ogni domani) é1 (accade realmente) sempre e solo nell' oggi; oggi che non "si presenta2 (al pensiero? Cioè é2, é pensato?)" affatto, bensì é1 (accade realmente). E infatti solo nell' oggi "si presenta" (=é2, é pensato; e non affatto é1 =esiste realmente) anche quel pezzo di legno che nel frattempo é bruciato.


Infatti per "ieri" valgono esattamente le stesso considerazioni che per il "pezzo di legno" (e se si confonde reale con penato si continua ad autocontraddirsi)
:
Ora quel giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017) è passato e ora dire che non c' è1 (non esiste realmente) "ieri" (il 9 Febbraio 2017) e che c' è1 (esiste realmente) "oggi" (il 10 Febbraio) ésensato e vero.
Invece (pretendere di) dire che il giorno "oggi" (il 10 Febbraio) che c' è1 (esiste, sta trascorrendo realmente) adesso è2 (da intendersi come) il giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017)  è contraddittorio, insensato; dire che il giorno "oggi" (il 10 Febbraio) che c' è1 (esiste, sta trascorrendo realmente) adesso é2 (da intendersi come il giorno "oggi", il 10 Febbraio, che c' è1 (esiste, sta trascorrendo realmente) adesso è sensato e tautologico; dire che ora c' é1 (esiste realmente) il giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017; che c' era1 -esis,teva, trascorreva realmente- ieri e dal cui trascorrere compiutamente, dal cui finire si è passati all' oggi, 10 Febbraio) é sensato e falso; (pretendere di) dire che il giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017; che c' era1 -esisteva, trascorreva realmente- ieri e dal compimento del trascorre del quale, dalla fine del quale si passati al' "oggi", 10 Febbraio) è2 (da intendersi come) il giorno "oggi", il 10 Febbraio, che c' è1 (esiste, sta trascorrendo realmente) ora è contraddittorio, insensato.

Contraddittorio, insensato sarebbe (pretendere di) dire che ieri c' era1 (esisteva, trascorreva realmente) il giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017) e inoltre non c' era1 (non esisteva realmente) quellto stesso giorno "ieri", il 9 Febbraio 2017 (perché invece c' era 1 -esisteva, trascorreva realmente- o perché esso era2 -da intendersi come- il giorno "oggi" (il 10 Febbraio) che c' é1 -esiste, trascorre realmente- ora); oppure che ora c'é1 (esiste, trascorre realmente) il giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017) e inoltre ora non c'é1 (non esiste, non trascorre realmente) questo stesso giorno "ieri", il 9 Febbraio 2017 (perché c' é1 -esiste realmente- o perché esso  é2 -da intendersi come- il giorno "oggi" (il 10 Febbraio) che c' é1 -esiste, trascorre realmente- ora.







Maral:
Se tutto quello che accade (realmente) accade solo oggi (che è la sola cosa che c'è) e fa parte solo di oggi, cosa intendiamo dire davvero quando diciamo che quel pezzo di legno di ieri oggi è bruciato per diventare oggi cenere, quel mucchietto di cenere che c'è qui davanti a me? cosa è davvero bruciato tra ieri e oggi, dato che ieri non c'è? Quello che sembra essere bruciata è solo la mia idea di oggi di un pezzo di legno che, sempre nella mia idea attuale, proprio e solo di oggi, lo faccio pre esistere all'oggi in cui solo realmente si trova. Questa idea è quello che è diventato cenere, ma come può questa idea attuale di un pezzo di legna di un ieri che non c'è, diventare quella cenere che ho qui davanti? Se tutto quello che accade è solo oggi che accade (e non vedo come possa essere altrimenti) è chiaro che questo è impossibile, un'idea non diventa cenere, ma è vero che un'idea può presentarsi (può apparire) come idea di una storia: c'era una volta un pezzo di legno, poi quel pezzo di legno diventa cenere e tutti vivranno felici e contenti accanto al caminetto, mentre fuori infurierà la tempesta. Una bella storia che sembra avere un tempo di svolgimento tra passato e futuro che non sono, ma in realtà accade tutta in un solo istante, proprio adesso.

Sgiombo:
Quando oggi (realmente) diciamo che quel pezzo di legno di ieri oggi é bruciato per diventare oggi cenere, quel mucchietto di cenere che c'è qui davanti a me, come capisce chiunque non sia un filosofo severiniano, cioé chiunque sappia distinguere fra reale e pensato, intendiamo dire proprio quel che diciamo, che quel pezzo di legno di ieri oggi é bruciato per diventare oggi cenere, quel mucchietto di cenere che c'è qui davanti a me.

Non é realmente bruciata la tua idea del pezzo di legno, bensì il pezzo di legno reale, che oggi non fai affatto realmente pre-esistere ma invece oggi pensi realmente preesistente all' oggi (ieri), in cui non affatto realmente si trova, bensì é solo pensato.

Non é affatto diventata realmente cenere l' dea del pezzo di legno (magari fosse possibile! Incenerirei immediatamente Renzi, Gentiloni, Draghi, Monti, la Fornero, la Lagarde, Sheuble e tanti altri per fare giustizia di mio figlio Michele di Tarcento da loro assassinato! Credo che chiunque abbia un minimo di sensibilità umana non possa non sentirlo e non piangerlo come un figlio suo!), bensì il pezzo di legno reale (fatto possibilissimo, contrariamente all' incenerimento attraverso il pensiero dei nemici del popolo, purtroppo!).

Sì, è vero che un'idea può presentarsi (può apparire) come idea di una storia: c'era una volta un pezzo di legno, poi quel pezzo di legno diventa cenere e tutti vivranno felici e contenti accanto al caminetto, mentre fuori infurierà la tempesta: una storia che può benissimo essere vera e di fatto spesso é vera, cioé una successione di pensieri conforme alla realtà, da non confondersi con la realtà stessa, alla quale altri pensieri (falsi) possono invece benissimo non essere affatto conformi... Una bella storia che non sembra avere bensì ha realmente un tempo di svolgimento -reale- tra passato e futuro che non sono (infatti rispettivamente era e sarà), e in realtà non accade realmente affatto, bensì realmente é soltanto pensata tutta in un solo breve lasso di tempo, proprio adesso.

Comunque il caso é disperato.
Non tenterò ulteriormente di farti comprendere ciò che non sono riuscito a farti comprendere con sforzi "titanici" fimo ad ora (solita clausola che chi tace non acconsente al tuo eventuale ripetere le stesse affermazioni senza argomenti realmente nuovi).
#3006
Tematiche Spirituali / Re:Dio e il senso del dovere
07 Febbraio 2017, 21:46:28 PM
Citazione di: Jacopus il 07 Febbraio 2017, 18:06:40 PM
CitazioneDunque, non devi rispondere a me come cattolico, ma devi immaginarti di dover confutare, a chi crede nello stile di vita di personaggi già deceduti senza aver pagato pena socialmente per le loro azioni come per esempio il Padrino, che quello non è uno stile vincente, facendo proselitismo senza usare termini come coscienza, dignità e religione, giacché abbiamo stabilito, per convenienza dello sviluppo della riflessione, di non esserci niente di metafisico o trascendentale al di là di questa realtà.

Scusa per il ritardo ma, appunto il senso del dovere mi impone di scrivere su internet per questioni private solo al di fuori dell'orario di lavoro 8).
Penso che chi sceglie il padrino come modello da emulare lo faccia nel corso di anni e non posso confutarlo e fare proselitismo con una predica anche senza la presenza di termini come coscienza....dignità....religione. Chi sceglie il padrino lo ha probabilmente fatto perché gli altri modelli non erano spendibili.
Tu sei originario di Napoli a quanto ho capito. Una bellissima città che mi affascina ma dove è difficile vivere. Si nasce in un quartiere popolare e si inizia ad assistere ai soprusi della malavita, della borghesia che affianca la malavita, delle istituzioni dello Stato, che talvolta affiancano la malavita. In questo mondo la "giustizia vera" è su uno sfondo appanato, come le parole del sacerdote durante il sermone. Il sentimento generale può essere riassunto dalla frase del boss che rispondeva a Falcone: "Belle parole...ma il lavoro ai ragazzi del quartiere glielo diamo noi!".
Senza parlare dell'importanza generale che si da al successo nel mondo occidentale attuale, senza badare al modo attraverso il quale si ottiene il successo. Anche in questo caso è la strumentalizzazione dell'agire, l'agire orientato allo scopo, che ci ha insegnato la scienza a prevalere, sopra ogni altro insegnamento morale (non necessariamente religioso).
O pensa ancora ad un padre autoritario, truffatore, parassita, che gestisce i rapporti con gli altri secondo modalità autoritarie, truffatrici e parassite. I risultati sui figli possono essere di vario genere ma uno sicuramente è quello di creare un altra persona violenta, arrogante o sfruttatrice.
Quindi confutare, come tu dici, è impossibile o velleitario come sbattere i pugni sul tavolo. Si può tentare di modificare quella immagine introiettata ma ci vogliono anni di sforzi collettivi, di aspirazione ad una società più onesta, dove venga premiato il merito, dove il potere sia gestito nell'interesse della maggioranza, dove tutti si facciano carico responsabilmente degli altri. In questo modo l'immagine del padrino sbiadirà e sarà surrogata da altre immagini ideali. Anni di sforzi educativi verso modelli che invece in tanti si sforzano ad abbattere, nel nome di una cultura del no-limits, del consumo, del divertimento a tutti i costi, della felicità come diritto, dell'individualismo sopra ogni altra istanza e a spese di ogni altra istanza.
ciao Duc.
CitazioneConcordo in sostanza con queste considerazioni, a parte la descrizione caricaturale di Napoli e la mia convinzione (di italiano settentrionale; per la mera cronaca, nel senso che ritengo l' origine e l' ubicazione dei miei interlocutori e mia del tutto irrilevante) che oggi (e non solo; ma oggi più di ieri, molto più di prima del 1989, per riferirmi a una data "epocale", come si suol dire) c'è un mucchio di ingiustizie dovunque, anche dove la malavita organizzata é meno potente (per motivi non certamente razziali ma economico-sociali) e prepotenze ed arbitri avvengono per lo più ammantati da coltri più o meno spesse di ipocrisia.
Aggiungo però da parte mia che per progredire verso un mondo migliore occorre lottare, anche duramente.
E che in questa lotta ferocissima, dal momento che i potenti e privilegiati si oppongono violentissimamente, con ogni mezzo, senza scrupolo morale alcuno al cambiamento del pessimo stato di cose presenti, si può avanzare solo "sporcandosi le mani", cioé agendo anche con durezza e con "machiavellica malizia".
Nella lotta per un modio migliore é in qualche misura di fatto inevitabile, se si vuole che sia efficace, compiere errori, che talora si configurano anche come crimini, mentre il pretendere di "conservare una coscienza personale formalmente immacolata" può di fatto tradursi in una passività di fronte all' ingiustizia o addirittura in un, sia pure involontario, rafforzamento della stessa.

Faccio un esempio politicamente scorrettissimo (secondo la mia natura e le mie convinzioni):

Dal 1961 al 1989 al muro di Berlino sono morte alcune decine di persone (secondo il pensiero unico politicamente corretto "nella ricerca della libertà" ...come quei giocatori di calcio ungheresi di altissimo livello che dopo la sconfitta della rivolta del '56 cercarono la "libertà" nella Spagna franchista -sic!- e contribuirono a fare grande il Real Madrid di allora; secondo me perchè non si accontentavano dei limitati privilegi che in patria potevano ottenere dalle loro professioni -erano medici, ingegneri, avvocati, artisti, scrittori, sportivi di successo, ecc.- che avevano conseguito a spese dello stato e probabilmente in occidente non avrebbero raggiunto se non molto più faticosamente e probabilmente in molti casi non avrebbero raggiunto affatto, a meno che non facessero parte delle minoranze privilegiate); essi venivano uccisi perché non si fermavano all' intimazione delle forze dell' ordine a un confine di stato che cercavano illegalmente di superare e quelle, secondo quanto io stesso quando ero militare di leva sul confine yugoslavo avrei dovuto fare in circostanze analoghe e se non l' avessi fatto sarei stato severissimamente punito, sparavano contro di loro).

Dopo l' abbattimento del muro di Berlino non credo sia possibile contare le decine se non centinaia di migliaia di persone, o probabilmente più, uccise dalle guardie di frontiera di dozzine di paesi, o annegate nel mediterraneo, o morte di freddo nelle barche o nei camion in cui si erano nascoste per poter fuggire alla miseria nera (fame! O al limite "occupazioni camorristiche") alla quale erano condannate in patria, anche e soprattutto in conseguenza degli sconvolgimenti politici ed economici internazionali dei quali la caduta del muro di Berlino è stata una non irrilevante concausa ed é diventata l' emblema (o l' icona, per dirlo "più modernamente").

Io rimpiango il muro di Berlino perché limitava moltissimo le ingiustizie e le stragi di innocenti, perché era un (realistico e dunque limitato e imperfetto) baluardo di (relativa) giustizia e umanità, abbattuto il quale (posto che non ci sono "bacchette magiche" in grado di portare il paradiso sulla terra) il male morale é dilagato e sta dilagando sempre più con forsennata brutalità, violenza, barbarie.


#3007
Citazione"Essere1" = esistere (accadere) realmente: predicato verbale.
"Essere2" = intendersi (pensarsi): copula.

Esempi:


Ieri c' era1 (=esisteva realmente) un pezzo di legno; dire che non c' era1 (non esisteva realmente) è sensato e falso; (pretendere di) dire che era2 (da intendersi come) un mucchietto di cenere è contraddittorio, insensato.


Oggi quel pezzo di legno è bruciato e ora dire che non c' è1 (non esiste realmente) quel pezzo di legno e che c' è1 (esiste realmente) un mucchietto di cenere é sensato e vero.
Invece (pretendere di) dire che il mucchietto di cenere che c' è1 (esiste realmente) adesso è2 (da intendersi come) quel pezzo di legno dalla cui combustione si è formato è contraddittorio, insensato; dire che il mucchietto di cenere che c' è1 (esiste realmente) adesso é2 (da intendersi come) il mucchietto di cenere che c' è1 (esiste realmente) adesso è sensato e tautologico; dire che ora c' é1 (esiste realmente) il pezzo di legno (che c' era1 -esisteva realmente- ieri e dalla cui combustione si è formato il mucchietto di cenere) é sensato e falso; (pretendere di) dire che il pezzo di legno (che c' era1 -esisteva realmente- ieri e dalla cui combustione si è formato il mucchietto di cenere) è2 (da intendersi come) il mucchietto di cenere (che dalla sua combustione si è formato e) che c' è1 (esiste realmente) ora è contraddittorio, insensato.

Contraddittorio, insensato sarebbe (pretendere di) dire che ieri c' era1 (esisteva realmente) il pezzo di legno e inoltre non c' era1 (non esisteva realmente) quello stesso pezzo di legno (perché invece c' era 1 -esisteva realmente- o perché esso era2 -da intendersi come- il mucchietto di cenere che c' é1 -esiste realmente- ora); oppure che ora c'é1 (esiste realmente) il mucchietto di cenere e inoltre non c'é1 (non esiste realmente) questo stesso mucchietto di cenere (perché c' é1 -esiste realmente- o perché esso  é2 -da intendersi come- il pezzo di legno che c' era1 -esisteva realmente ieri).
#3008
Citazione di: Phil il 04 Febbraio 2017, 21:15:34 PM
E se fosse vero che "nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" (intendendo "nulla" come semplice pronome indefinito, e non come sostantivo "il nulla")?
CitazioneAggiungerei: "secondo proporzioni (rapporti quantitativi fra le diverse qualità delle cose) universali e costanti".

Ma secondo me questo é predicabile limitatamente alla "res extensa", mentre -sempre a mio parere- é reale, sia pure fenomenicamente ("esse est percipi"), ma in questo esattamente come la "res extensa, pure la "res cogitans", la quale non é misurabile (e comunque anch' essa diviene, trasformandosi in un certo senso tutto in essa in "altro da sé").

Inoltre secondo le mie personali convinzioni, essendo fenomeni (insiemi e successioni di sensazioni "e basta"), sia la materia che il pensiero di cui abbiamo consapevolezza (che constatiamo), in realtà essi sono reali (accadono realmente) soltanto allorché accadono (sono presentemente in atto) le sensazioni ("esteriori" ed "interiori"rispettivamente) dalle quali unicamente sono costituiti.
E questo (stando alla memoria) non é accaduto prima di un certo momento (maldefinibile, e anzi indefinibile  nei ricordi), inoltre (stando alla scienza e anche solo al senso comune) non accadrà più dopo un certo altro successivo momento, e accade per lassi di tempo finiti intervallati dal nulla (per lo meno di constatabile): il sonno profondo.
Il principio scientifico (indimostrabile: Hume!) che nulla si crea, nulla si annichila, tutto si trasforma secondo determinate proporzioni universali e costanti a mio parere va inteso nel senso che "se vi fosse la possibilità di compiere osservazioni ininterrottamente nel tempo della materia -la "res extensa"- (se vi fosse un "osservatore di tutto l' osservabile materiale" allora (si) rileverebbe che ...".
E secondo me ciò é comprensibile solo ammettendo (indimostrabilmente) la realtà (esistente-diveniente indefinitamente nel tempo e senza discontinuità) di una cosa in sé o noumeno (non sensibile, non osservabile ma solo congetturabile) a determinate condizioni del quale corrispondono biunivocamente determinate condizioni dei fatti fenomenici di coscienza (delle diverse esperienze fenomeniche coscienti).
#3009
Citazione di: maral il 04 Febbraio 2017, 19:31:41 PM
Certo Sgiombo, il nulla non accade, ma si può sempre dire che il nulla accade proprio in quanto non accade, proprio in quanto è tautologicamente per definizione nulla,
CitazioneNon capisco il "ma": che se si può correttamente pensare "il nulla è (esiste)", allora è (esiste, o meglio: accade) per lo meno questo pensiero e dunque si tratta di un pensiero falso è proprio quanto ho sempre sostenuto anch' io in  questa discussione.


E' per questo che il nulla è positivamente proprio quello che è, nulla. Nell'essere del nulla c'è una contraddizione che si presenta come tautologia assolutamente non contraddittoria.  Il nulla è veramente e tautologicamente ciò che non è.
CitazioneQui c' è la solita confusione fra "essere" nel senso di  "essere oggetto di considerazione teorica", essere pensato (in qualche modo), significare (qualcosa), essere inteso come o in quanto (qualcosa)" ed "essere" nel senso di "esistere o -meglio!- accadere realmente" ("è" come copula, che deve reggere un qualche predicato nominale, se si vuole dire realmente qualcosa, se si vuole che si tratti di un' autentica proposizione, dotata di senso -vera o falsa che sia- e non di un' insignificante sequela di caratteri tipografici, ed "è" come predicato verbale; per la cronaca intransitivo).
Il nulla è inteso, si intende, è da intendersi, da pensarsi (è nel pensiero) (tautologicamente e non affatto contraddittoriamente) come "il non esistere (di alcunché o di qualcosa a seconda che si tratti di nulla assoluto o nulla relativo)"; e inoltre (invece) il nulla di fatto (veracemente; e lo dimostra anche proprio il semplice -fatto del- pensarlo) non esiste, non accade realmente (nella realtà): quest' ultima è una proposizione vera (non tautologicamente ma sinteticamente a posteriori); e dunque è un' autentica proposizione (sensata, non autocontraddittoria, altrimenti sarebbe una mera sequela insignificante di caratteri tipografici e dunque non potrebbe essere né vera né falsa, né analiticamente a priori né sinteticamente a posteriori).


Sugli enti reali abbiamo già ampiamente discusso in passato, resta probabilmente inconciliabile il nostro modo di definire il reale. Tutto ciò che accade è reale, poiché accade. Poi possiamo vedere in che modo accade (in un sogno, in una speculazione razionale, in un paradosso, accade come pura sensazione, come emozione e via dicendo). Per me non è essenziale il modo di accadere per stabilirne la realtà, è invece essenziale per poterci convivere.
Il divenire è un provenire assoluto di qualcosa dal nulla per finire nel nulla, ma se il nulla assolutamente e tautologicamente non è, come può esserci qualcosa che viene da quel nulla e ci torna? Come potrà mai esserci un inizio e una fine di quel qualcosa? Certo si potrebbe dire che il nulla qui è inteso solo in senso relativo a quel qualcosa, non vale per tutti gli altri essenti, anche se alla fine vale, vale proprio per tutti, in generale ogni essente va dal nulla al nulla. Tutto quindi va dal nulla al nulla ed è questo che non si riesce proprio a spiegare: perché mai dunque un qualsiasi ente dovrebbe esserci se il fondamento e destino del suo esserci è proprio essere nulla?
CitazioneChe "Il divenire è un provenire assoluto di qualcosa dal nulla per finire nel nulla, l' esserci qualcosa che viene da quel nulla e ci torna, l' esserci un inizio e una fine di quel qualcosa" sono modi (forse un po' "poetici", cioè implicanti qualche suggestione emotiva, ma certamente corretti) di descrivere il mutamento (purché siano chiari i ben diversi significati in cui si impiega il termine "essere").
Ed (il divenire, il mutamento; anche così descritto) è sensatissimo, possibilissimo (pensabilissimo accadere o meno analiticamente a priori; o meglio: come ipotesi), oltre che realmente accadente (dunque il pensarlo è vero; sinteticamente a posteriori).
Infatti il nulla assolutamente e tautologicamente significa, è da intendersi come "il non esserci -o meglio accadere- (di alcunché o di qualcosa a seconda che sia assoluto o relativo)".
Ed allora è sensatissimo, logicamente correttissimo, coerentissimo, "non contraddittorissimo" (licenza poetica) del "nulla di qualcosa" -così inteso come "il non essere -di- tale cosa (da pensarsi tale indipendentemente dal tempo: tanto prima, quanto ora e altrettanto dopo)"- che prima "era" intendendosi in questo caso con "essere", significando stavolta "essere" l' accadere realmente" (e non affatto contraddittoriamente l' "intendersi", il "significare", l' "essere da considerarsi o pensarsi come"), che ora è (idem) e che dopo nuovamente non sarà (idem).
Ovvero che (un certo) qualcosa (esempio: cenere; e non un  qualcosaltro, ad esempio legno, che tautologicamente e non contraddittoriamente non può essere inteso -pensato- come l' essere (tale certo) qualcosa: il legno non può essere inteso essere cenere: copula + predicato nominale) ...un (certo) qualcosa non affatto contraddittoriamente prima non era realmente (predicato verbale: non accadeva realmente), ora é realmente (predicato verbale: accade realmente; e non, contraddittoriamente, è inteso, è da intendersi come, significa -il non essere tale cosa bensì qualcos' altro, ad esempio legno), e dopo nuovamente non sarà realmente (predicato verbale: non accadrà realmente; e non contraddittoriamente non potrà essere inteso -pensato- come l' essere tale qualcosa: la cenere non essere cenere -copula + predicato nominale- ma casomai qualcos' altro, ad esempio legno di un atro albero, cosa magari che sarà realmente diventata).
Quindi è vero che alla fine vale, vale proprio per tutti, in generale il fatto che ogni cosa (ente, "cosa reale"; personalmente non uso il termine "essente" perché in dubbio sul suo significato), per così dire (un po' "poeticamente"), va dal nulla al nulla. Tutto quindi va dal nulla al nulla e questo si comprende benissimo se non si confonde "essere" nel senso di "essere reale, accadere realmente" (predicato verbale; intransitivo) con "essere" nel senso di "essere inteso, da intendersi (essere pensato, da pensarsi) come, significare" (copula; che necessariamente richiede un qualche predicato nominale per comporre una proposizione sensata): un qualsiasi ente c' è (accade realmente) per un certo lasso di tempo  anche se, per così dire, il "fondamento e destino" (il prima e il dopo di tale lasso di tempo) del suo esserci (accadere realmente) è proprio non essere (non accadere realmente; e non contraddittoriamente: il proprio essere da intendersi, essere pensato come nulla).

#3010
Citazione di: maral il 04 Febbraio 2017, 11:21:25 AM
Come sappiamo la domanda "perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla?" fu formulata da Leibniz, Heidegger la riprende nella forma modificata (e quindi a ben vedere di senso diverso) "Perché in generale l'ente piuttosto che niente?" e la indica come la domanda fondamentale e più radicale della metafisica, da cui si sviluppa il e in cui si conclude, senza che sia dato risolverla, tutto il pensiero metafisico ontologico, giacché il pensiero metafisico in Occidente non nasce dal pensare l'ente, ma dal pensare il niente (proprio nel senso di nulla assoluto) che costituisce il presupposto generale per il venire a essere di ogni ente.
Il nulla assoluto da un punto di vista logico formale è evidentemente una contraddizione assoluta, poiché è in quanto non è e non è in quanto è, ma è al contempo una tautologia la cui verità è del tutto corretta; il nulla dice infatti di se stesso proprio di essere nulla, ossia di essere proprio ciò che è e ciò che è è un assoluto non essere, in perfetta coerenza autoreferente. Quindi il nulla significa positivamente e si presenta come la negazione più radicale e primigenia del principium firmissimum aristotelico su cui si basa la logica formale, quindi non c'è logica formale che possa porre il nulla in discussione. Il punto che andrebbe invece considerato è invece da dove viene questo poter concepire il nulla assoluto e primigenio nella storia del pensiero dell'Occidente. C'è qualcosa di ancor più originario? Il sospetto è che questo qualcosa stia nell'assunzione a evidenza incontestabile del divenire (nel senso di venire da e venire a) nulla di ogni ente, quindi fondamentalmente ogni ente (in generale appunto) è niente e lo è da sempre e per sempre. Dunque, dato che tutto è fondamentalmente niente (per origine e destino), perché c'è l'ente? Come fa a esserci qualsiasi ente e la totalità degli enti?
Risulta chiaro allora che nella matrice fondamentalmente nichilista di tutto il pensiero dell'Occidente il problema non è il nulla, essendo il nulla ciò che vi è di originariamente evidente, ma è proprio l'essente, l'essente si presenta in tutta la sua irrisolvibile problematicità a fronte della quale continuamente torna a ripetersi che l'essente in generale è niente, nell'eternità del provenire e del finire.
In tal senso dire che il nulla non è sulla base della logica formale non risolve la questione, poiché tutto, logica formale formale compresa in quanto ente, ha origine e termine nel nulla primigenio, banale ed elementare che sta in principio a tutto e a cui tutto torna senza che sia dato in alcun modo capire perché, senza che vi sia alcun perché.

Citazione

Francamente non capisco come "una contraddizione assoluta" possa essere "al contempo una tautologia": concetti reciprocamente contrari, pretendere di considerare i quali congiuntamente, come un solo concetto mi sembra ovviamente e indubitabilmente contraddittorio e dunque insensato.

Attribuire (predicare) a un concetto (non definito autocontraddittoriamente) l' "essere" (sia in senso concettuale sia in senso reale) mi sembra sempre perfettamente logico (e non: sempre vero; ovviamente) in generale; in particolare anche nel caso in cui tale concetto del quale lo si predichi sia il "nulla assoluto", esattamente come nel caso del "nulla relativo".
Predicare il nulla di "X", il non essere "X" (il "nulla relativo" del -o: al- particolare ente o evento "X") non è predicare di "X" che è in quanto non è e non è in quanto è, bensì soltanto il predicare di "X" che non è (e basta; e in quanto tale non è, e non: é).
Ed esattamente allo stesso modo predicare il nulla del "tutto" (il "nulla assoluto") non è predicare di "tutto" (tutti gli enti ed eventi considerabili, possibili oggetti di predicazione in generale) che è in quanto non è e non è in quanto è, bensì soltanto il predicare che non è (e basta: e in quanto tale -tutto, totalità degli enti ed eventi considerabili, possibili oggetti predicazione in generale- non è, e non: é).

Che la memoria sia solitamente veritiera e in linea teorica, di principio "smascherabile", correggibile quando fallace é indimostrabile; ma senza ammettere questo postulato indimostrabile non è possibile ragionare su nulla, ma casomai, al massimo, solo limitarsi a constatare sic et simpliciter il presente (constatazione "muta", non pensata, non vagliata criticamente, non fatta oggetto di considerazione teorica alcuna), dal momento che anche il ragionare, il pensare, se accade (come la memoria ci suggerisce accada), si svolge nel tempo: per esempio queste stesse semplicissime argomentazioni, se sono effettivamente accadute (come credo), hanno avuto uno svolgimento durato alcuni secondi o frazioni di secondo e non sono qualcosa di istantaneo, né nello scriverle, né nel leggerle, né nel pensarle.
E se ammettiamo la generale o "fisiologica" veridicità della memoria (con "eccezioni" o "patologie" che "confermano la regola" e inoltre sono in linea di principio riconoscibili e correggibili), allora la memoria stessa ci dice che in realtà si danno eventi e non enti, se non nel senso di astrazioni operabili da parte del pensiero dal (nell' ambito del) divenire reale (anche il metro campione depositato al Conservatoire des Arts et Métiersdi Parigi in condizioni il più possibile -sic!- stabili e costanti di temperatura, pressione, ecc., anche una montagna che esiste per centinaia di migliaia di anni, anche un continente che ha una durata ancor maggiore, anche un pianeta o una stella  o una galassia che esistono per ancor più tempo non sono che astrazioni del pensiero nell' ambito di eventi reali in continuo divenire: "enti" che prima non c' erano -non accadevano- poi hanno iniziato ad esserci -ad accadere- poi mentre ci sono -accadono- mutano continuamente, per quanto in misura scarsamente, difficilmente percettibile, poi finiscono di esserci -di accadere- poi di nuovo non ci sono -non accadono- più).
Dunque l' evidenza del divenire non è incontestabile; ma se la si contesta (nega), allora inevitabilmente ipso facto si smette di ragionare sensatamente, di "fare della filosofia" razionale, logicamente coerente: qualunque ragionamento si consideri, si pensi, si proponga contraddice tale negazione ammettendo implicitamente la veridicità in generale (con eccezioni limitate e in linea di principio riconoscibili) della memoria (e dunque la realtà dello scorrere del tempo nello svolgersi di pensieri, considerazioni teoriche, ragionamenti in particolare, e dello scorrere del tempo in generale).
Se si vuol ragionare (che lo si faccia, che ciò accada realmente o che sia solo un' illusione) si deve inevitabilmente ammettere il divenire.

Secondo me la domanda "perché c' è ciò che c' è (o meglio: accade ciò che accade)?" non ha senso per il fatto che poichè tutto ciò che realmente accade non può realmente darsi che non accada (autocontraddizione senza senso); può casomai soltanto essere pensato (falsamente ma in modo logicamente corretto) che non accada: non c' é alternativa possibile reale bensì solo e unicamente concettuale a ciò che accade; e dunque non c' bisogno di spiegazione alcuna per l' accadere reale di una alternativa che accade di fatto fra altre alternative realmente possibili, che invece per l' appunto non si danno).
E' solo concettualmente, come ipotesi del pensiero e non come fatti reali che si danno altre possibilità (per esempio di un diverso "qualcosa" di reale, o magari di alcunché -ossia del "nulla assoluto"- di reale): non c' é alternativa da spiegare (bisognosa di spiegazione, senso, ragione, "perché") nel reale, ma solo si dà alternativa nel concettuale, nel pensabile, la cui spiegazione sta nelle definizioni (arbitrarie) di "reale", "concettuale", "negazione" ("non reale", "non concettuale"), "necessario", "possibile", "impossibile", ecc., nel fatto che si può anche pensare (ma non può realmente accadere) ciò che non accade realmente (oltre a ciò che accade realmente; e che può accadere realmente anche ciò che non é pensato, oltre a ciò che é pensato).


(Mannaggia, più agli antipodi di così non potemmo essere!).
#3011
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 01 Febbraio 2017, 21:46:11 PM
Mi spiace doverlo ripetere ma la tua posizione e formalmente una contraddizione logica. Nel dire che il "nulla è" affermi che l'essere è nulla e ciò sta alla base per eccellenza del nichilismo; oltre che di altro.
"Nulla è" non equivale a "nulla =" ma a "nulla = è". In questo tuo passaggio confondi la copula con la predicazione.
Comunque esistono tanti centri logici (o libri) dove puoi presentare (o confrontare) la tua teoria e così verificare quanto sia vera la mia affermazione: ciò che scrivi è formalmente una contraddizione logica e tu stai basando la tua teoria su A≠A.
Capisco che il tuo intento sia altro, ma comunque questo è il risultato.
Se tu vuoi continuare a pensare che quello che hai scritto è logica formale, fai pure, ma io ti consiglieri un confronto con qualche gruppo logico.

Nota che io non ho mai parlato di indifferenza fra fisicità e immaginazione: infatti so bene che una cosa può esistere solo nell'immaginazione e non nella realtà fisica. Questo fa cadere le tue parole di apertura del tuo ultimo post: "confondere questi due aspetti ben diversi".
No, non ho confuso proprio nulla e non capisco da dove tu abbia pensato a questa confusione (non ho confuso né il soggetto col predicato, né la copula con la predicazione, né la realtà fisica con l'immaginazione) . Ho solo ricalcato quanto il nulla non sia possibile né fisicamente né concettualmente, sia attraverso esempi fisici sia attraverso esempi formali.
La tua idea di pensare il nulla assoluto è solo un'illusione. Qualunque definizione tua immaginifica o di pensiero non è altro che, per definizione, una determinazione di un qualche valore, al massimo di un qualche nulla relativo, mentre il nulla assoluto è privo d'ogni tipo di valorizzazione, anche immaginifica.
Io non sono mai riuscito a pensare al nulla, neanche ad immaginarlo. Tutti i pensieri e le immagini mentali sul nulla si sono sempre dimostrate definitorie di un qualche valore, come il "vuoto nero" ... un'attrazione ecc. Ogni pensiero è una determinazione e ciò esclude da esso qualunque cosa sia priva di qualunque determinazione. Appunto il nulla assoluto.
Ma comunque questa tua posizione è chiaramente derivata dal tuo convincimento che "nulla è" è un'espressione vera.
Non so se ti può essere utile, ma anche il nichilismo e altri similari basano la propria teoria su "nulla è", benché loro siano consapevoli che questa è una contraddizione logica-formale, ed è anche per questo che hanno bandito la logica formale a fronte di una dialettica priva della stessa logica-formale.

CitazioneDispiace anche a me dovermi ripetere, ma resta il fatto che la proposizione "nulla è" è ben diversa da (é tutt' altro che) "nulla è uguale a è ["è" chi? "è" che cosa?, N.d.R]", ovvero da "nulla significa  è ["è" chi? "è" che cosa?, N.d.R]".
Invece "nulla è" può solo significare "non esiste realmente alcunché" (attribuendo ad "essere" il significato di "esistere, accadere realmente", cioè intendendo "è" come predicato verbale; intransitivo, per la cronaca): frase perfettamente logica, non affatto autocontraddittoria.
Infatti l' unica interpretazione alternativa possibile, attribuendo invece ad "essere" il significato di "essere inteso come", "significare", "essere costituito da", "essere caratterizzato dalle seguenti qualità o caratteristiche o aspetti", cioè intendendo "è" come copula, sarebbe una frase incompleta (in particolare nel predicato!) e dunque senza senso compiuto (letteralmente, per definizione): una pretesa proposizione costituita da un soggetto e una copula ma senza alcun predicato (nominale)!
Ergo: non baso affatto le mie considerazioni sull' assurda autocontraddizione "A" =/="A".
Rinvio pertanto al mittente l' invito a ripassarsi la logica formale.
 
Se tu affermi -come infatti affermi- che io Nel dire che il "nulla è" affermerei che l'essere è nulla (e ciò sta alla base per eccellenza del nichilismo; oltre che di altro -?-) e dunque che mi contraddirei, allora confondi l' esistenza reale del nulla (= di alcunché) nella frase "nulla è" di cui sostengo la perfetta correttezza logica e sensatezza (non la verità, ovviamente) con l' identità concettuale fra "essere" e "non essere (alcunchè)" nella frase "l' essere è nulla".
Dunque almeno in questo caso hai proprio confuso questi due ben diversi concetti dell' "essere reale" ("esistere, accadere realmente") e dell' "essere oggetto di considerazione teorica, di pensiero" (essere reale unicamente come concetto, se e quando il pensiero di tale concetto realmente accade); ovviamente i due casi, oltre a non coimplicarsi necessariamente, nemmeno si escludono necessariamente a vicenda: una cosa (ente o eveneto) reale può anche essere pensata (oltre a non essere pensata) e può anche darsi che una cosa pensata sia anche reale (oltre a potersi dare che una -altra, diversa dalla precedente- cosa pensata non sia reale).
Hai proprio confuso la parola "è" come predicato verbale ("esiste o accade realmente") con la parola "è" come copula.
 
(La mia idea di) Pensare il nulla assoluto  è un' illusione nel senso che si tratta di un pensiero che non denota qualcosa* di reale (come ho sempre chiaramente sostenuto), ma è un' autentico, logicamente correttissimo pensiero (ad ulteriore conferma dell' importanza di non confondere pensiero e realtà: il nulla assoluto pensato non è realtà, ma il pensarlo è "perfettamente", logicissimamente, correttissimamente pensiero).
Che poi il nulla assoluto non sia immaginabile (per definizione si può "immaginare" solo "qualcosa") è semplicemente ovvio ma irrilevante: "pensare" =/= "immaginare".
 
"Omnis determinatio est negatio" (Spinoza"), certo! Infatti "nulla" e "(almeno) qualcosa" si negano-determinano reciprocamente.
 
Scusami, ma non posso non rilevare che scrivendo <<Ma comunque questa tua posizione è chiaramente derivata dal tuo convincimento che "nulla è" è un' espressione vera>> dimostri di non aver letto oppure di non aver capito affatto quello che ho scritto: non sto a contare le volte che ho scritto esattamente il contrario e cioè "nulla è" è [un predicato, N. d.R] falso": ti invito a farlo tu stesso!
 
Non conosco bene i vari nichilismi per valutare l' esattezza o meno della tua affermazione secondo la quale essi riconoscerebbero che "nulla è" sarebbe una contraddizione (anche se non vedo come, sostenendo che sia una contraddizione, dunque senza senso, possano affermare che sia vera).
In ogni caso, poiché ho sempre negato (contrariamente a quanto del tutto indebitamente e falsamente mi attribuisci!) la verità dell' affermazione "nulla è" (affermando invece la sua sensatezza: ennesima dimostrazione delle incomprensioni derivanti dalla confusione fra realtà e pensiero!), col nichilismo non ho nulla (alcunché, volendo evitare la doppia negazione che in italiano, poco o punto logicamente, nega) a che fare.

______________ 

* Ma si potrebbe anche dire "alcunché", e in italiano, per il carattere non perfettamente conforme alla logica formale della nostra lingua, pure "nulla".
#3012
Tematiche Filosofiche / Re:l'uno inteso letteralmente.
01 Febbraio 2017, 10:17:10 AM
Citazione di: pepe98 il 31 Gennaio 2017, 19:36:02 PM
(ho scritto una lunga risposta, ma il sistema non me la ha fatta inviare).
CitazioneE' capitato anche a me.
Prova a dividerla in due, mandando le due risposte in successione.
#3013
Citazione di: pepe98 il 31 Gennaio 2017, 18:20:52 PM
Perché il nulla è per definizione ció che non è. Sarebbe contraddittorio dire "(c') è il nulla".
CitazioneIl nulla é per definizione il non esistere di alcunché.
Quindi non é affatto contraddittorio (ma solo falso) dire "(c') è il nulla" (significa -falsamente ma non assurdamente- che non esiste alcunché).
Tant' é vero che si può ben dire la frase (vera) "é falso dire che c' é il nulla": una frase per poter essere vera (e anche per poter essere falsa) deve necessariamente essere sensata, cioé logicamente coerente, non contraddittoria.
#3014
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 31 Gennaio 2017, 18:17:54 PM
Del nulla non si può dire altro che non esiste e quindi che non ha alcun valore per cui essere definito. E tanto non esiste fisicamente quanto non esiste concettualmente.
Tutte le descrizione del nulla che vadano oltre l'affermazione della sua impossibilità definitoria (affermo che non esiste perché per principio non posso affermarne l'esistenza) non sono altro che descrizioni di un nulla relativo, come uno spazio vuoto con la sua precisa struttura metrica finita o infinita, come il vuoto quantistico con le sue profonde leggi matematiche ecc.
Nessuno è in grado di immaginare il nulla o pensarlo, anche nel silenzio dei propri pensieri permane un ronzio di fondo come nella radiazione cosmica universale. E questo non è solo un concetto fisico che impedisce di principio la costituzione del nulla, ma è anche concetto logico-formale, perché qualunque pensiero o immaginazione si riferiscono sempre ad un oggetto, mentre il nulla assoluto non è qualcosa.

Il nulla non è tanto pensabile-creabile fisicamente quanto concettualmente. Ogni pensiero che s'illude di pensare  il nulla, o qualunque fisicità che s'illude di creare il nulla, a nient'altro si approssima che ad un oggetto e al suo valore. Al più si approssima ad un nulla relativo (come il sopraddetto spazio vuoto, il vuoto quantistico ecc).

Nella logica formale il nulla non è, mentre dire "nulla è" è semplicemente una contraddizione logica A≠A. Questa non è una opinione ma un fatto formale.
La logica di cui parli tu ("nulla è") è prettamente dialettica e non formale. E so bene che esistono "filosofie" che basano il loro presupposti sulla contraddizione formale A≠A  a favore di dialettiche che tutto possono dire. Ma io non sono di queste ultime correnti e nel libro cerco di mostrarne il superamento.

Poi è vero (come vediamo nel passo successivo) che dire "nulla è nulla" altro non significa dire "nulla non è". Ma ciò non toglie che dire "nulla è" rimane pur sempre una contraddizione fin quando non viene negata attraverso il predicato "nulla": perché nel "nulla è" il verbo essere assume una predicazione esistenziale, cosa in contraddizione col non-valore del nulla.

Le eccezioni non fanno parte della mia filosofia. La mia metafisica copre ogni caso senza alcuna eccezione. Le eccezioni sono casi che mostrano un difetto della regola, e questo è un fondamento della mia filosofia. E in questa mia filosofia la struttura linguistica è uguale per ogni cosa senza alcuna eccezione; sarà poi il contenuto della forma linguistica a decretare uno o l'altro valore o alcun valore.
"X (soggetto) è (copula) nulla (predicato)" significa che X non ha valore. Qualunque cosa sia X.
"X (soggetto) è (predicato)" significa che X ha valore. Qualunque cosa sia X.
ecc.
In sostanza bisogna sempre differenziare quando una cosa viene posta come soggetto o predicato. La mancanza di tale differenziazione è fonte di errori e paradossi irrisolvibili.

Con calma leggerò.
CitazioneNon esistere fisicamente (realmente) =/= non esistere concettualmente.
 
Siamo sempre qui: da Parmenide in poi, tramite Platone, Hegel e un' infinità di altri, confondere questi due concetti fondamentali ben diversi l' uno dall' altro porta a fraintendimenti inestricabili.
 
Il nulla è pensabilissimo.
Tant' è vero che per poter sostenere (giustamente, veracemente) che il nulla non si dà realmente (ovvero che realmente esiste qualcosa) bisogna pensare (sensatamente) il soggetto, oltre al verbo di questa frase; e il soggetto è per l' appunto "il nulla".
 
Secondo la logica formale dire "nulla è" si può benissimo, correttissimamente, senza alcuna contraddizione (che sia una affermazione vera oppure falsa -e di fatto è falsa- è tutt' altra questione dal suo essere una affermazione corretta, logicamente coerente oppure contraddittoria; e di fatto è corretta, logicamente corrente: non A =/= A, bensì "A" = "A"; non "nulla" =/= "nulla" ovvero "nulla = "-almeno- qualcosa", bensì "nulla" = "nulla").
 
Una predicazione esistenziale può essere attribuita correttamente, non affatto contraddittoriamente (casomai falsamente; ma quello sulla verità o falsità delle affermazioni è tutt' altro discorso di quello sulla loro correttezza logica o meno) di qualsiasi soggetto, ivi compreso il "nulla". Non può esserlo casomai unitamente alla predicazione della negazione di esistenza (ovvero alla negazione della predicazione esistenziale) di qualsiasi concetto: questa si sarebbe una contraddizione!
 
Infatti l' eccezione o contravvenzione alla regola logica che due negazioni affermano non l' ho attribuita alla tua filosofia, bensì alla lingua italiana.
 
"X (soggetto) è (copula) nulla (predicato)" significa che X è nulla, cioé non esiste nella realtà ma casomai solo nei pensieri, nella fantasia (e questo del tutto indipendentemente da come che sia la realtà: X potrebbe benissimo essere l' ippogrifo Pegaso, e la frase sarebbe correttissima, oltre che vera; ma potrebbe anche essere il monte Cervino e sarebbe ugualmente correttissima, benché falsa).
Invece "X (soggetto) è (copula) nulla di realmente esistente (predicato) significa che X realmente non esiste; malgrado questo può avere moltissimo valore (per esempio credo che siamo tutti d' accordo che l' antico dio semitico Baal non esiste; e tuttavia esso aveva grandissimo valore per tutti coloro che rischiavano di finire sue vittime sacrificali, anche se non era reale affatto nemmeno allora, quando si ammazzavano uomini a dozzine per ingraziarselo).
#3015
Citazione di: donquixote il 31 Gennaio 2017, 11:48:51 AM

Scusa Sgiombo, ma se rileggendo l'inizio del mio intervento posso comprendere che potesse essere interpretato come una reazione "stizzita", questa non era davvero la mia intenzione, e forse solo la fretta mi ha indotto a mantenere una forma colloquiale e non perfettamente asettica, quindi leggibile anche in termini di "toni". Chiarito ciò (spero), entrando nel merito e cercando di essere preciso e non confusionario devo innanzitutto rilevare che la tua frase  "pensare" é un evento, dunque "qualcosa e non "nulla" non ha senso perchè il pensare non è, come magari credeva anche Cartesio, qualcosa. Non si può "pensare" e basta, o "pensare un pensiero", perchè questa frase è solo una parola accanto ad un'altra che non ha alcun senso. Noi ci possiamo costruire un'idea, un pensiero, solo a partire da un evento che accade, da una nostra percezione interiore o esteriore: per pensare bisogna pensare "qualcosa", ovvero formarsi nella mente un'idea di qualcosa che è esterno alla mente stessa. Questa idea che si forma nella nostra mente (e della medesima percezione ognuno si farà magari un'idea diversa) in italiano diamo il nome convenzionale di pensiero ma il pensiero, come del resto tutti gli altri sostantivi del vocabolario, è solo un "contenitore" convenzionale che acquisisce senso (e realtà) solo se vi è anche il contenuto, che esiste indipendentemente dal fatto che questo venga "pensato" da qualcuno. Dunque anche "pensare il nulla" è una frase senza senso, un mero giro di parole perchè se il nulla è effettivamente tale non si può nemmeno pensarlo. Se dunque tutto ciò che è rientra nel "Tutto", si può pensare solo il "Tutto" o una parte di esso, ma non certo il nulla. Si può certo inventarsi un nulla a proprio comodo e ragionarci su, ma avrebbe lo stesso senso logico e la stessa aderenza alla realtà di una frase che dice: "albero per sublima noi che trattoria in andasse volere dunque tomba se immantinente con mangiarono".
Per quanto riguarda il concetto di realtà non so esattamente cosa tu intenda con questo, ma se intendi "reale" con "esistente" allora il "Tutto", essendo reale, è anche necessariamente esistente.

CitazioneInnanzitutto sono molto contento per il superamento del malinteso (mi era perfino venuto il dubbio che tu fossi uno dei tanti tifosi "fondamentalisti" di Valentino Rossi che si indispettiscono appena sentono criticare il loro "idolo", a mio parere degno di invece non poche e non tenere critiche).
 


Pensare (se realmente accade) è un evento, e dunque pensare che esiste (il) nulla, che non accada nulla, se realmente accade, è pensare il falso (e che di fatto, nella realtà, se si pensa si pensa per forza qualcosa, cosa che non ho mai negato, non cambi nulla di tutto ciò -sic!-).

Ma -a conferma di quanto fondamentale in filosofia sia sapere distinguere ed evitare di confondere fra "essere reale (che inoltre lo si pensi o meno)" ed "essere pensato (essere reale o meno)"- nell' ambito del pensiero si può benissimo considerare il "pensare" astrattamente, prescindendo dal "contenuto" dei pensieri considerati, da ciò che inevitabilmente nella realtà viene pensato allorché si pensa (e infatti i dizionari riportano la definizione del "pensare" -che dunque ha un senso- in astratto, prescindendo da ciò che di particolare, concretamente nella realtà inevitabilmente si pensa, se realmente si pensa).

Dunque se il nulla è effettivamente ciò che è reale, allora non si può nemmeno pensarlo (non può essere reale nemmeno il pensiero del nulla stesso, coincidente, secondo questa ipotesi, con tutto ciò che è reale).

Ma se invece il nulla non è reale, come a quanto pare di fatto accade, allora il "nulla" può benissimo essere pensato ("pensare il nulla" è una frase sensatissima); tant'è vero che può anche essere predicato essere reale (falsamente) o non essere reale (veracemente; e se si può veracemente pensare "il nulla non è reale" = esiste qualcosa, come mi pare indubitabile, allora a maggior ragione "il nulla" lo si può pensare sensatamente: non si può pensare veracemente -né falsamente- qualcosa che non si può pensare sensatamente).
 


Tu affermi che "in italiano diamo il nome convenzionale di pensiero ma il pensiero, come del resto tutti gli altri sostantivi del vocabolario, è solo un "contenitore" convenzionale che acquisisce senso (e realtà) solo se vi è anche il contenuto, che esiste indipendentemente dal fatto che questo venga "pensato" da qualcuno. Dunque anche "pensare il nulla" è una frase senza senso, un mero giro di parole perchè se il nulla è effettivamente tale non si può nemmeno pensarlo".

Qui bisognerebbe distinguere con Frege il significato di un concetto inteso come "senso" o "connotazione" arbitrariamente stabilita per definizione (che potrebbe anche non essere reale ma solo pensato, come nel caso del concetto di "ippogrifo") e inteso come denotazione reale (se e quando c' è, come nel caso del concetto di "cavallo" e non di quello di "ippogrifo").

Quest' ultima c' è (se c'è) anche se non viene pensata da nessuno (anche senza concetto, pensiero di essa), ovvero indipendentemente dall' essere eventualmente inoltre pensata (è il caso dei cavalli); invece il senso o connotazione di un concetto non reale (se non in quanto tale -concetto, oggetto o "contenuto" di pensiero- allorché lo si pensa) può benissimo esserci (realmente) anche in assenza di denotazione reale (come nel caso degli ippogrifi): basta pensarlo.

Il "nulla (assoluto)" fa parte di quei concetti (pensabilissimi, possibilissimi, sensatissimi oggetti di pensiero) che sono privi di denotazione reale: come si può benissimo, sensatissimamente pensare il concetto di "ippogrifo" (anche se non si dà realmente l' esistenza di alcun ippogrifo), così, esattamente allo stesso modo, si può benissimo, sensatissimamente pensare il concetto di "nulla" (anche se non si dà realmente l' esistenza del nulla ma invece di qualcosa: per lo meno il pensiero del "nulla").
La (pretesa) frase "albero per sublima noi che trattoria in andasse volere dunque tomba se immantinente con mangiarono" non ha alcun senso, non è nemmeno una frase ma una casuale successione di caratteri tipografici non significante alcunché (=significante nulla).
Invece "gli ippogrifi sono cavalli alati", "il nulla realmente non esiste" (che è vero) e perfino "il nulla esiste = non esiste alcunché" (che è falso) sono farsi ben dotate di senso: che siano vere o meno (e di fatto una di esse la è, le altre due non le sono) è tutt' altra questione da quella se siano (lo sono -eccome!- tutte e tre!) dotate di significato, cioè autentiche frasi e non mere successioni insignificanti di caratteri tipografici.
 


Non è reale "il tutto (astrattissimamente inteso in senso assoluto)", in quanto esso comprenderebbe per esempio anche gli ippogrifi, che non sono reali.
E' casomai reale "il tutto reale", che non comprende, fra le tante altre "cose" immaginarie, connotate da concetti senza alcuna denotazione reale, gli ippogrifi), ovvero "tutto ciò che è reale" (=/= "mero oggetto di -eventuale- pensiero").

Si cade sempre sulla questione "fondamentalissima" della distinzione
"essere reale (che anche lo si pensi o meno)" ed "essere pensato (essere reale o meno)".