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Messaggi - niko

#3016
Tematiche Spirituali / Re:Agnostici e Agnosticismo
07 Aprile 2020, 21:16:15 PM


Io non ho parlato di viaggi nel tempo, però sono d'accordo a "ridurre" il pensiero alla percezione, nel senso che sono un determinista materialista, per me il pensiero deriva dai rapporti materiali (tra corpo e ambiente)  quindi è "passivo" rispetto all'automovimento della materia, si limita a registrarlo.


Non esiste il pensiero come spazio ulteriore, terzo incomodo, tra involontarietà della percezione e istinto, il pensiero è organizzazione, della percezione e dell'istinto. Di questa organizzazione fanno parte il senso della libertà, dell'unicità eccetera, ma sono artifici necessari alla vita, non realtà.


Un po' come gli atomisti, che pensavano che il pensiero fosse determinato dagli urti tra gli atomi.
La coscienza è fenomeno aggregato, emersione di qualcosa di apparentemente immateriale dalla complessità, quindi quanto è dominio e struttura è molto più reale, nella coscienza, di quanto è sentito come unicità e libertà.

La mente è l'idea del corpo, e dunque la mente è anche l'idea del corpo e dell'ambiente nella misura in cui il corpo è modificato dall'ambiente e lo modifica; il corpo è mondo, luogo abitato, ma solo entro certi limiti, appunto perché esistono micro variazioni del corpo che non riverberano nella mente (che non la modificano), e perché, oltre una certa distanza, l'ambiente non modifica più il corpo in maniera rilevante.


Il rapporto corpo-ambiente è ripetibile nel tempo e nello spazio per quello che mi concerne, cioè per l'emersione della mia coscienza da una certa complessità data, statisticamente possibile come macro stato di un sistema a prescindere da micro stati irrilevanti, evento non-singolo che risulterà  dal ricorrere di una certa struttura: l'infinita varietà del cosmo si può consumare oltre i miei limiti, di pensiero e percettivi, ma entro i miei limiti ricorre una serie di simili scambiata per uguale, come se io fossi il centro di comando di innumerevoli gemelli del mio corpo sparsi per l'infinito, agenti secondo una certa armonia prestabilita, che è appunto la mia coscienza ridotta a percezione. La libertà è libertà di ignorare.


Quindi tutto ciò che non è da me percepito, non esiste per me; forse per te questo è solipsismo, ma pazienza.


Tu hai voluto dimostrare l'impossibilità dei viaggi nel tempo, io ho voluto dimostrare che c'è e ci sarà sempre al mondo un qualcosa di equivalente ai viaggi nel tempo (e al teletrasporto), finché esisterà un meccanismo operante nel mondo per cui cause diverse, per luogo e per tempo, producono effetti uguali (lo stesso identico, e quindi intemporale, effetto).


Chiamo questo strano meccanismo "vita". Che fa fare il viaggio nel tempo a chi vive, con altri mezzi.
#3017
Tematiche Spirituali / Re:Agnostici e Agnosticismo
06 Aprile 2020, 23:00:43 PM
Citazione di: viator il 06 Aprile 2020, 21:26:49 PM
Salve niko. Citandoti : "................Anche da un punto di vista atomistico, se la vita è combinazione casuale di materia, la combinazione è ripetibile nel tempo al ricorrere dello stesso caso in circostanze diverse, anche senza bisogno di ripetizione dell'intero universo".



Assolutamente  no. Nessun evento particolare può venir riprodotto perfettamente isolandolo dal contesto universale che l'ha - non importa quanto direttamente o remotamente - espresso.


Non sto ad affannarmi in laboriose giustificazioni. Se vorrai, potrai documentarti sia attraverso il "principio di indeterminazione" che la "teoria delle catastrofi". Saluti.




Tu assumi il mondo della vita come il mondo degli oggetti, ma solo alcuni oggetti (nello specifico microscopici) sono sensibili a cose come quelle che indichi tu: a micro variazioni infinitesimali.


Se consideri un uomo come un oggetto dotato di una memoria neurale e biologica, e al netto di queste due caratteristiche identico a tutti gli altri oggetti, interfacciato con gli altri oggetti, ecco che tutte le variazioni subliminali ed esterne a quelle che su tali supporti (neurale e biologico) si possono "registrare", non esistono per l'uomo, per quanto esistano "oggettivamente" come variazioni.


Anzi si può dire che l'attività della coscienza sia raggruppare (accorpare) tutti questi innumerevoli eventi simili subliminali ed ulteriori a quello che per somma (catastrofica) di micro eventi simili determinerebbe un cambio discreto di percezione (come un pixel di un colore o di un altro su un computer), e catalogarli come uguali. Determinando quel senso di unicità e continuità che pertiene alla vita nella sua soggettività, ma che non pertiene realmente al corpo e all'ambiente prossimo che lo determina, che mentre la vita va avanti, subisce miliardi e miliardi di variazioni non percepite e eventi irrilevanti.



Un computer non è fatto per registrare tutto. E' fatto per registrare quello che lo cambia almeno di un bit, di un interruttore su uno o su zero. E' penso che la mente, e la biologia, siano memoria computazionale, infinitamente più complessa, ma sempre di quello stesso tipo. Sono materialista, e determinista. La vita è l'effetto che ci fa il fatto di vivere, non ha una locazione o una datazione al di là delle locazioni e datazioni che conosce, e che hanno qualche effetto per lei.


Sei tu in grado di percepire una qualche conseguenza reale (macroscopica) del principio di indeterminazione? Sei tu in grado di percepire i virus? sei tu in grado di percepire un topo che passa fuori dal tuo campo visivo e non fa rumore? Penso proprio di no.


Dunque tutte queste cose non esistono per te, non perché non abbiano conseguenze reali, soprattutto nel tempo (se prendi il raffreddore ti ammali, e se cambi punto di osservazione e guardi nel buco, puoi anche vedere il topo), ma perché non esistono ai fini dell'autopercezione del tuo corpo e del tuo ambiente in un dato istante. Punto.


Se ti fotografi in un istante della tua vita, ad esempio adesso mentre sei al computer, tu in quell'istante sei lo stesso con un virus in più o in meno, con un topo non visto in più o in meno e con tutto ciò che non cambia la tua configurazione neurale e biologica in quell'istante. Non hai bisogno di sapere dove stanno tutti i positroni e tutti i quark dell'universo, o della tua stanza, per vivere questo istante, e di fatto non lo sai. Tu, anche cambiando i positroni, vedresti sempre la stessa foto. Dio, che sa dove sono i positroni, vedrebbe miliardi di foto diverse, a seconda dei positroni. Questo vuol dire che esistono miliardi (fantamiliardi) di versioni di te stesso, del tuo ambiente e del tuo corpo in questo attimo simili, che la tua coscienza scambierebbe, in buona o in cattiva fede, per uguali.

Le versioni dell'universo che riproducono questo attimo come vissuto sono infinitamente di più di quelle che lo riproducono come oggetto e configurazione di oggetti. Perché le configurazioni di oggetti possono essere sensibili al principio di indeterminazione e all'effetto catastrofe, (ma soprattutto non hanno limiti arbitrari di dettaglio ed estensione nella descrizione possibile) il tuo ricordo e la tua percezione di questo attimo no (e hanno limiti arbitrari, quelli della tua coscienza, che ad esempio non vede attraverso i muri).


Se in un pianeta o in un ciclo cosmico lontano la materia assumesse configurazioni anche solo approssimativamente simili, questo tuo attimo rinascerebbe al netto dei positroni e dei virus. E al netto di cosa fa il tuo vicino al di là del muro. Di cui non te ne importa niente adesso, e non te ne importerà niente fra un fantamiliardo di anni luce, fra due, fra tre eccetera. Collezioni di simili scambiati per uguali. Attività della coscienza. Non rinascerebbe certo l'attimo per Dio, che conosce la differenza, e direbbe: "oh tò, due attimi simili, ma coi positroni diversi". Ma tu non la conosci. E diresti "oh tò, lo stesso attimo".


La vita, sfocando gli oggetti, mettendo delle soglie arbitrarie di percezione a ciò che non ne ha, prescindendo dalle differenze infinitesimali, è un immenso sistema di ubiquità e di rinascita. Che serializza i corpi. Che conquista l'infinito come territorio. Che si trova mondi abitabili, nicchie di simili/uguali.  Funziona per sottrazione, di conoscenza, non per accumulo. Gli importa solo di esistere. Ancora, ancora e ancora. Non gli importa di me e di te.


PS


Mi scuso per essere andato fuori tema per rispondere a questa obiezione.
#3018
Tematiche Spirituali / Re:Agnostici e Agnosticismo
06 Aprile 2020, 19:16:01 PM

Alcune considerazioni su ateismo e agnosticismo, e poi una mia divagazione sul credo di Odifreddi...




L'agnosticismo si dispiega come un medio tra i due estremi del teismo e dell'ateismo, e in questo senso siamo tutti un po' agnostici: per essere completamente atei bisognerebbe non avere in generale il minimo dubbio sull'inesistenza di dio, e per essere completamente credenti pure, sull'esistenza,  ma non avere il minimo dubbio non è umano, e prescindere dal problema non è certo ateismo, semmai è anche quello una forma di agnosticismo.


Si possono fare ipotesi teiste e ipotesi atee, ma il vero teismo e il vero ateismo corrispondono alla scelta di prendere queste ipotesi come certezze, quindi sono più che altro stati mentali, esistenziali, che si possono assumere davanti all'indimostrabile; mentre l'agnostico resta agnostico se preferisce l'ipotesi teista o l'ipotesi atea su un piano di plausibilità o di desiderabilità pur considerandola sempre ipotesi (posizioni come: è più desiderabile che dio esista, ma non so se esiste; oppure è un'entità indesiderabile perché limita la libertà, ma non so se esiste, eccetera, sono posizioni agnostiche!). Per contro desiderare dio da una posizione atea è ateismo, e odiarlo da una posizione teista è teismo (non credo in dio, ma sarebbe bello se esistesse: posizione atea... credo in dio e lo odio: posizione teista).


La differenza tra la credenza personale e la religione rivelata anche non è una questione di ateismo teismo o agnosticismo, io posso credere in dio, ma pensare che il mio dio non è quello di nessuna religione rivelata: pensare che dio debba essere incorporeo, onnipotente, buono, unico eccetera, spesso lo diamo per scontato, ma non è una condizione necessaria in generale per credere in qualsivoglia dio, è semmai una condizione necessaria per credere specificamente nel dio delle principali religioni monoteiste per come esso risulta dalla loro tradizione teologica e di interpretazione scritturale.
L'esistenza stessa dell'ente dio è fuorviante anche da un punto di vista teologico, perché il dio delle principali religioni monoteiste è la causa dell'essere, e la causa dell'essere non è essente, e quindi non è neanche ente: l'identificazione di dio con il nulla è compatibile con un'ipotesi o una credenza teista (misticamente vissuta o teologicamente fondata), è per contro il vero ateo, o la vera ipotesi atea presa in considerazione da un agnostico, non tende a dire che dio è nulla, ma che dio non esiste.


Anche il nichilismo della morte come fine di tutto (ad esempio Odifreddi nel suo credo ateo vuole credere nella "dissoluzione" della morte), che si tende ad attribuire all'ateo, è solo espressione di un ateismo filosoficamente frequente e politicamente polemico contro una certa tradizione, ma non è un presupposto universale dell'ateismo: un ateo può pensare che ci sia vita dopo la morte, semplicemente questa vita in un'ipotesi atea non deriverà dal sovrannaturale, ma dalla natura stessa e dalla tecnologia; ipotesi più banale di tutte: se la natura è non solo ciclica, ma anche periodica, allora c'è vita dopo la morte, perché la vita stessa è eterna nella periodicità della natura, e questa eternità non le deriva dal sovrannaturale, ma dal funzionamento della natura stessa; ma anche, per fare altre ipotesi, qualunque alieno tecnologicamente evoluto può resuscitare un morto, e se una determinata vita è o sarà simulata al computer, la morte di quella determinata vita è o sarà da considerarsi reversibile come tipo di evento, e questo secondo l'ordine naturale delle cose, senza intervento di esseri sovrannaturali. Anche da un punto di vista atomistico, se la vita è combinazione casuale di materia, la combinazione è ripetibile nel tempo al ricorrere dello stesso caso in circostanze diverse, anche senza bisogno di ripetizione dell'intero universo.





#3019

"Ma più interessante è un'altra questione: la virulenza con cui il coronavirus ha impattato sulla nostra vita attualizza un dibattito ricorrente nel meta-evoluzionismo su chi, tra noi e i virus, sia il vero vincitore al vertice della catena alimentare e di dominio del pianeta."



Piccola nota pignola tanto per sdrammatizzare: non possiamo essere in lotta contro i virus per conquistare i vertici della catena alimentare perché noi ne facciamo parte e loro no, quindi difficilmente gli interesserebbe conquistarli e ce li cedono volentieri (non hanno metabolismo e non si nutrono, proprio per questo sono un caso limite del vivente).
#3020

Ciao Holdowing,


io volevo dire che l'istinto è la fonte, la causa, dell'apparire (e non certo dell'essere) della libertà, apparire che avviene quando l'istinto è represso da un'opposizione più forte di esso, e la libertà (di cui prima dell'opposizione/repressione neanche ci preoccupavamo) improvvisamente ci manca, appare proprio perché ci manca (ecco la situazione che sto vivendo in questi giorni, ma penso che sia paradigmatica della dinamica tra istinto e libertà in generale).


E così la repressione -impossibile- a meglio vedere è solo una deviazione dell'istinto: quello che prima ci faceva agire nel solito modo nella quotidianità, ora ci fa contemplare la libertà, che contempliamo perché non l'abbiamo più: l'apparire della libertà alla coscienza è comunque la conseguenza di un istinto attivo, che non si è spento, perché ha trovato un altro modo, di manifestarsi. Istinto che in precedenza ci guidava verso una varietà di oggetti del desiderio perduti, che ora la libertà perduta sintetizza, cercando vie traverse per riconquistarli: sia come fantasia di ripristino dello stato precedente, che come progetto alternativo di avvicinamento agli stessi oggetti del desiderio, che però tenga conto dell'ostacolo, per aggirarlo in qualche modo (simbolicamente eh, sennò infettiamo tutti e ci fanno la multa).




Ciao Ipazia


Disperarsi perché si hanno sei mesi di vita è umano e universale, ma è mancanza di saggezza, il problema non sono i sei mesi di vita, il problema è che non si è fatto o detto tutto quello che c'era da fare e da dire nella vita, perché un individuo ideale che avesse fatto o detto tutto ciò che c'era da fare e da dire nella vita, potrebbe morire anche subito.


Non è il vuoto tempo che ci manca se ci dicono che abbiamo sei mesi di vita, ma il tempo come risorsa, il tempo per fare cose, per amare, per godere della vita eccetera; ma se il tempo è risorsa, vuol dire che è concepito in un progetto, e se è concepito in un progetto, vuol dire che la vita lo sta valutando ai suoi, seppur stravolti dalla situazione, criteri, e non prendendo a criterio se stessa, che è sempre impossibile.


L'irreversibilità dei percorsi e delle azioni intraprese, l'abisso delle infinite possibilità scartate perché una sola si realizzi, determina l'impossibilità del giudizio e della valutazione sulla vita, la caduta nello stato di soggettività. La morte non ci toglie l'angoscia, e non ci toglie la libertà. Anzi ce le dà.


E quello che soggettivamente ti viene a mancare se ti annunciano che ti fucilano domani è la sopravvivenza, non la vita. Altrimenti non ne soffriresti. La sopravvivenza è un valore nella vita, ma non è l'unico, per questo puoi avere delle priorità anche se hai sei mesi, o un giorno, di vita.


#3021
Citazione di: Ipazia il 24 Marzo 2020, 16:50:16 PM
Il distanziamento ipertrofizza la metafisica dell'epidemia laddove il sistema è così arretrato da non saper sfruttare la tecnoscienza che renderebbe il distanziamento razionale, non paranoico. Altra grande lezione orientale che qui è andata persa: "non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci" (Matteo, VII, 6)

Ma resterà comunque una utile esercitazione totalitaria per i detentori del potere su cui far lavorare i loro sociologi operanti nella parte metafisica nascosta del "mondo libero". Da incorporare anche questo nel corollario simbolico della metafisica del coronavirus.

Invece per quanto riguarda la qualità della vita degli anziani un conto è la dolce morte consapevolmente scelta e un conto è la brutta morte con un tubo in gola. Sovrapporre le due cose mi pare, metafisicamente ed eticamente, un tantino inumano.

La partita è sempre giocata sulla carne viva delle persone. Tocca a ciascuno farsi carico della sua quotaparte di oppressione con i mezzi di lotta che sa maneggiare, incluso il logos, la metafisica. Che talvolta mobilita energie più vigorose delle gesta degli shaid. Anche questa è una lezione, sottovalutata, di maggio.
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Per quanto riguarda:
"Il distanziamento ipertrofizza la metafisica dell'epidemia laddove il sistema è così arretrato da non saper sfruttare la tecnoscienza che renderebbe il distanziamento razionale, non paranoico. Altra grande lezione orientale che qui è andata persa: "non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci" (Matteo, VII, 6)"                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               
Non ho capito quasi nulla di questa parte del tuo intervento. Non ho capito cosa c'entra Matteo e la sua citazione, ne perché distanziamento compare prima in corsivo e poi no. Per quel poco che ho capito, mi pare difficile rendere "razionale", con l'uso della "tecnoscienza" a lungo termine un distanziamento che implica il metro di distanza nei luoghi pubblici e il divieto assoluto di libertà di riunione nei luoghi privati, per i motivi che ho spiegato. Dalla libertà di riunione dipendono la libertà di aggregazione politica e sessuale. Se salta l'una, saltano le altre. E qui parlano di protrarre l'emergenza per due anni (lo ha detto ad esempio la Merkel), i due anni che serviranno a trovare il vaccino.


La tecnoscienza dovrebbe servire a mettere i malati gravi in ospedale, i positivi e i malati leggeri a casa e i sani in libertà: se per farci uscire di casa devono fare sessanta milioni di tamponi li facessero, e comprassero meno aerei da guerra. Non per dire che necessariamente la soluzione sia questa, per dire che tra isolare e distanziare le persone da una parte, e individuare tecnologicamente e biologicamente gli infetti dall'altra, molto meglio la seconda come male minore, come strategia fino al vaccino o alla soluzione definitiva.





Per quanto riguarda:
"Invece per quanto riguarda la qualità della vita degli anziani un conto è la dolce morte consapevolmente scelta e un conto è la brutta morte con un tubo in gola. Sovrapporre le due cose mi pare, metafisicamente ed eticamente, un tantino inumano.
La partita è sempre giocata sulla carne viva delle persone. Tocca a ciascuno farsi carico della sua quotaparte di oppressione con i mezzi di lotta che sa maneggiare, incluso il logos, la metafisica. Che talvolta mobilita energie più vigorose delle gesta degli shaid. Anche questa è una lezione, sottovalutata, di maggio."                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     


Se voleva essere una risposta a me, non si tratta di morte ne dolce ne brutta, e se ti ho dato l'impressione di voler fare lo shaid o di essere insensibile verso gli anziani non so che farci...

il problema è che non scegliamo niente, non abbiamo scelto di nascere e non sceglieremo mai veramente come e quando morire: questa scelta, questa opzione, non c'è, non è reale, neanche per il suicida o per chi scelga l'eutanasia; io in questo periodo di carcere esteso alla metropoli (forse chi vive isolato o in campagna lo "sente" di meno) volevo ribadire il valore della libertà, anche se non c'è effetto senza causa, anche se penso che essa sia un'illusione: è reale l'istinto che sta alla base di quella illusione, e tanto mi basta. Tale istinto, che ci illude di essere liberi, e ci fa soffrire quando quello che chiamiamo "libertà" (vuota parola...) ci manca, penso si possa contrapporre al "mercato" come meta del divenire storico, non il presunto "valore della vita", che per me è tautologico e teologico, crea più problemi di quanti ne risolva.


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#3022

La mia riflessione è che solo la libertà vale e non la vita (che è invalutabile), e non meritiamo di essere sepolti vivi e carcerati per un protocollo sanitario assurdo in quanto insostenibile nel tempo: sono andati agli arresti domiciliari milioni di innocenti per questa storia e per come è stata gestita, e ci sono andati a tempo indefinito, dunque io non guardo la rinnovata bellezza e maestosità della natura in un paese militarizzato e (forzatamente) deserto e nemmeno la splendida occasione di stare con me stesso e recuperare i veri valori della vita non facendo un cazzo tutto il giorno e ritrovandomi da un giorno all'altro senza una lira; se permettete sono incazzato come una biscia. Più incazzato che spaventato. Di morire non ho paura. Ho paura di un'altra cosa.


L'isolamento (arresto arbitrario) domiciliare non è sostenibile per più di alcuni mesi perché poi si inizia a morire di fame, quindi è chiaro che non sarà questa la conseguenza a lungo termine di questa storia: prima o poi di casa ci faranno uscire, e riapriranno i negozi, e i principali luoghi di produzione e di consumo, perché un paese di solo telelavoro non campa, e se non ci fanno uscire prima o poi inizieranno le rivolte nelle strade, la guerra civile vera.



Ma che dire del distanziamento sociale? Ecco quello che mi fa paura al posto della morte. Questa misura è più sostenibile nel tempo rispetto allo stare a casa.


A un metro di distanza in tutti i luoghi pubblici e aperti al pubblico tranne la propria abitazione e con divieto di riunione nelle abitazioni altrui si può campare per quanti anni?  Due? Tre? Finché non inventano un vaccino? Non è una misura che ha come ovvia conseguenza la morte per fame dopo qualche mese o la rivoluzione, in questo il distanziamento sociale è assolutamente differente dal comando semplicemente ineseguibile di stare a casa.


Io non ci voglio campare un anno in un mondo così. Principalmente per le ripercussioni di una simile limitazione sul comportamento affettivo e sessuale. E stiamo parlando di divieti sanzionati penalmente, non di multe.


Domanda: che cosa vuol dire all'atto pratico che le persone non conviventi non possono riunirsi in luogo privato e devono stare a un metro di distanza l'una dall'altra?


Risposta: che è vietato l'adulterio, prematrimoniale ed extramatrimoniale.


Se questa cosa dura due anni, per due anni siamo tornati allo stato pontificio, alla Gerusalemme di Gesù, o a un bello stato isis, per quanto riguarda i costumi sessuali legalmente accettati nell'Italia del 2020. Il semplice fatto che due persone non conviventi facciano sesso o si diano un semplice bacio, sarà criminalizzato legalmente e stigmatizzato socialmente come comportamento a rischio, che per l'egoismo di sfogare una pulsione sessuale temporanea o comunque non corrispondente a una convivenza, mette in pericolo se stessi e gli altri. Come nei millenni fu criminalizzato l'adulterio, che metteva in pericolo la certezza della paternità e l'ordine sociale. E' una cosa grossa, veramente grossa.



Ora, è vero come dice Ipazia che "il grande fratello tende a darci la caramella il prima possibile", tradotto, che il potere neoliberista moderno in condizioni normali non è ne disciplinare ne sessualmente repressivo, quindi sembrerebbe nell'interesse del potere abolire al più presto anche il distanziamento sociale, oltre all'obbligo di stare a casa...
ma qui siamo in presenza della più grande sperimentazione di massa e occasione di diffusione di surrogati elettronici e telematici alla normale e biologicamente animale socialità e produttività, diffusione enorme di lavoro online e scuola online, si parla di shut in economy, cioè di come rendere sostenibile l'isolamento domiciliare e il distanziamento sociale a lungo termine con dispositivi elettronici che surroghino la prossimità sociale.
E su questo punto il filosofo, il metafisico, dovrebbe allarmarsi veramente, come già Platone ai suoi tempi sosteneva l'insurrogabilità del dialogo con la scrittura ai fini del progresso filosofico e spirituale: oggi altroché scrittura, la surrogazione più avveniristica e distopica della prossimità sociale viene proposta a un popolo terrorizzato e rinchiuso in casa, a un popolo distanziato di un metro, e il capitalismo più postmoderno e permissivista si riscopre familista e disciplinare nel distanziare i corpi e vietare l'adulterio in un meccanismo perverso (slanciato verso l'infinito) in cui la repressione della sessualità edonista e adulterina, ma a lungo e lunghissimo termine anche di quella procreativa, fa crescere nei repressi il desiderio, la smania, di dispositivi di surrogazione di prossimità sempre più perfezionati e sofisticati. Già il miur esulta per la surrogazione della scuola a distanza, sostiene che la pandemia sia un'accelerazione per un avvento della scuola online comunque necessario. In tale surrogazione non vive l'eros, non vive lo spirito dell'uomo. E facendo le udienze di convalida degli arresti online un giudice manda un cittadino in galera senza guardarlo negli occhi. Quando il signor maestro non porta il culo in classe, e il signor giudice non porta il culo in aula, ma si pretende comunque di amministrare l'istruzione e la giustizia, si è passata la misura. La misura di necessaria prossimità del vivere umano. Questo mi fa più paura di qualsiasi virus.


La profilassi è il controllo. Per l'aids ci siamo dovuti mettere il preservativo, la riflessione filosofica è cosa ci dovremo mettere per questa roba, che passa con i baci, con le carezze eccetera. Dispositivi di controllo ci diranno di chi possiamo fidarci e di chi no? Chi o cosa gestirà gli spazi di incontro sanificati, se ce ne saranno? O possiamo rinunciare, e avere contatti tra conviventi e basta? Tornare all'età vittoriana come costumi di contatto fisico e il sesso ricreativo farlo virtualmente? Metterci anima e corpo in una realtà virtuale che ci immunizzi dalle malattie? Chi vive in un computer non si ammala, ma vale la pena, vivere in un computer per non ammalarsi?


Queste domande hanno senso soprattutto perché il sistema immunitario risente, dell'isolamento e dell'omogeneità dei gruppi di contatto. Se vivessimo distanziati di un metro per abbastanza anni, quando torneremmo alle vecchie abitudini di prossimità anche un comune raffreddore ci sterminerebbe, perché ormai non ne avremmo più memoria immunitaria. Per legge universale di natura, un essere che vive sotto una campana di vetro ha un sistema immunitario di merda. Un essere che vive solo tra simili o peggio tra consanguinei, ha un sistema immunitario mediamente peggiore di un essere aperto al mondo, che ha contatti con estranei. Così gli europei colonizzando il sud America hanno sterminato anche involontariamente gli indios: portando le loro malattie. Anche questa è una legge di natura. E ci diranno che non possiamo più tornare alle vecchie abitudini. Perché ormai siamo al punto di non ritorno in cui anche un raffreddore ci stermina. Perché ormai abbiamo così pochi contatti con gli svizzeri che qualsiasi raffreddore abbia una svizzero, per noi italiani quel raffreddore è la peste. E poi, dopo gli svizzeri, quelli della regine vicina. E poi quelli dell'altro pianerottolo. Il sistema della campana di vetro si sarà autoalimentato e chiuso in sé stesso.


Quindi l'isolamento e il distanziamento sociale presentano due tipi di irreversibilità:


Irreversibilità mentale: perché porta a diffidare della presenza dell'altro e a desiderare in sostituzione di essa i dispositivi telematici, virtuali, protetici e di surrogazione della prossimità sociale che evitino il contatto fisico con l'altro, o quantomeno i dispositivi di controllo e autocontrollo che identifichino l'altro come non infetto, deviando il normale interesse erotico, collaborativo e amicale tra gli uomini per come questo è sempre stato e si è sempre manifestato. Una volta rientrato l'allarme contingente del coronavirus, questi dispositivi tamponeranno comunque la paura irrazionale residua nella mente della gente, che è più lenta da superare di quella razionale, e varranno comunque come dispositivi contro qualunque malattia, quindi contro malattie future.


Irreversibilità fisica: perché indebolisce il sistema immunitario, quindi più tempo passi come una pedina incasellata in caselle di un metro o come un topo in trappola, e più tendi ad ammalarti.


Dunque irreversibilità fisica e irreversibilità mentale di questo stato di cose si alimenteranno tra di loro. La vera cosa di cui aver paura è che le strette liberticide non si allenteranno tanto facilmente, perché sono funzionali al marketing, alla canalizzazione di desiderio verso determinati dispositivi e alla mutazione antropologica conseguente a questo stato i cose. E naturalmente perché togliere la libertà di riunione e di movimento impedirà le proteste sociali nello stato di fame e di dissesto economico che seguirà alla pandemia. Non poter fare assemblea, sit in e corteo impedirà le proteste di piazza, e le proteste virtuali su internet che tenderanno a sostituire queste modalità sono ridicole, perché impotenti per definizione. La libertà di associazione e di manifestazione del pensiero potrà mantenere e avere un senso apparentemente molto più di quella di riunione se esercitata tramite dispositivi telematici, ma appunto perché esercitata su dispositivi telematici, sarà interamente intercettabile, e controllabile.


Più ingenerale peggiorerà lo scambio tra quantità e qualità della vita, tra vita e sopravvivenza, in favore della parte meno desiderabile per l'uomo, cioè la quantità e la sopravvivenza: ci diranno che per vivere fino a novantanove anni dobbiamo vivere in modo indecente come schiavi e sotto una campana di vetro, e noi tenderemo a crederci. Non ci passerà neanche per la mente che forse vale la pena vivere fino a cinquant'anni bene. Non siamo mai pronti a morire perché non viviamo in modo significativo. Ma questa è la cosa che più di ogni altra si autoalimenterà, il peggior circolo vizioso: sotto le strette liberticide d oggi che rischiano di non allentarsi per anni, vivremo in modo ancora meno significativo, e quindi novantanove anni ci sembreranno pochi, e vorremo fare centoventi. E poi centocinquanta. E per farlo sempre più campana di vetro. Sempre più strette liberticide. Sempre più raffreddori che diventano pesti. Sempre più libertà sacrificata a un malinteso concetto di salute.








#3023
Citazione di: altamarea il 08 Marzo 2020, 19:26:16 PM
Si, va bene Niko il tuo post filosofico - apocalittico, ma il nick "Dubbioso" ha chiesto se "Il mite Gesù è lo stesso Dio dell'Antico Testamento".




Mi sono permesso il mio piccolo off topic sull'apocalisse e la fine della storia, perché altri intervenuti prima di me ne avevano parlato. comunque d'ora in poi se mai parlerò ancora in questa discussione, parlerò solo restando in tema.
#3024
Tematiche Filosofiche / Re:Libri di filosofia
09 Marzo 2020, 13:29:18 PM
Althusser, Filosofia per non filosofi.


Un po' datato e un po' di parte, ma molto interessante. Bizzarra l'idea che troverai se lo leggi, che all'origine della filosofia vi sia il recupero delle geometria e della matematica nel discorso del potere e delle classi dominanti, ma questo deve farti capire che i filosofi dicono la loro, e non importa tanto che quello che dicono sia vero, ma come quello che dicono riveli il loro carattere.
#3025

In questi tempi apocalittici, una piccola digressione sull'apocalisse e sulle possibilità del suo pensiero:


Il mondo ha avuto a disposizione infinito tempo, in passato, per giungere ad uno stato definitivo, ad uno stato di stasi, e non vi è mai giunto, tanto che tutt'ora in questo attimo diviene, e diviene dopo già infinito divenire.. perciò, perché dovrebbe giungervi in futuro, ad uno stato finale o di stasi?


In un mondo eterno, ingenerato e imperituro come lo immaginavano i Greci, la somiglianza della natura con sé stessa, il limite intrinseco a quanto le cose possano differire tra di loro, ci fa pensare che se non c'è mai stato eskaton, fine della storia e redenzione della natura nell'infinito passato, tanto che noi stessi siamo qui, "emergenti dall'infinito", in uno stato ancora provvisorio e diveniente, non ci sarà niente di simile neanche nell'infinito futuro.


Il divenire, che è ininterrotto dall'infinito, sarà eterno anche nel futuro: la fine del tempo, che ha già avuto infinite possibilità di accadere, infinito tempo per accadere, non è accaduta, nessuna configurazione possibile del mondo la fa accadere, nessuna configurazione del mondo è l'ultima, tutte le configurazioni possibili hanno già dimostrato in passato di averne una successiva, altrimenti noi non saremmo qui. Quindi l'unico eskaton che la ragione può accettare se il mondo non ha inizio, è il non eskaton: se il mondo non ha inizio, non ha neanche fine.


Perciò si può comprendere come il pensiero di una apocalisse, sia legato a doppio filo a quello di una creazione, di un inizio del tempo: solo un tempo che inizia, può finire.



#3026

Dio ci ha creato liberi dal peccato originale, poi noi abbiamo peccato e la nostra natura è stata corrotta.



Da Gesù in poi, gli uomini si possono redimere grazie all'insegnamento di Gesù stesso e al battesimo, Maria no, perché è una generazione prima di Gesù (non poteva certo battezzarsi!), quindi per "redimere" lei è stato necessario un intervento speciale, appunto l'immacolata concezione. Il suo peccato non poteva essere tolto nel modo "tipico" istituito da Gesù, ma era necessario comunque che fosse tolto.


Quindi, riassumendo, abbiamo avuto tutti una possibilità di non peccare con Adamo, ce la siamo giocata, Dio da a tutti, almeno da un certo punto della storia in poi, una seconda possibilità con Gesù, la "seconda possibilità" di Maria però doveva essere qualcosa di miracoloso e di diverso, perché Maria è in linea temporale prima di Gesù, ma allo stesso tempo era necessario che fosse immacolata per concepire Gesù.


L'immacolata concezione è tardo come dogma, ma era già implicito da molto più tempo (dal 431) nel fatto che Maria è stata proclamata mater dei e non mater christi, intendendo con questo che ha messo al mondo Dio in senso proprio, e non solo il corpo fisico di Gesù. [/size]


#3027
  E' perché il nulla non è che ogni cosa, secondo l'ordine del tempo e la distanza nello spazio, degenera eventualmente nell'altro da sé e nel suo opposto... ma non sparisce mai nel nulla. Il fatto che non ci sia il nulla, significa che non c'è un termine ultimo ne un inizio delle cose, che non c'è alcun "posto" o "momento" spazialmente, concettualmente e temporalmente separato da cui le cose possano iniziare, o andare a finire quando non sono più.
Questa constatazione, che sembra ovvia, è importante in filosofia, perchè implica una conseguenza più sottile e meno ovvia: se il nulla non è, allora la molteplicità, l'opposizione e le differenza tra gli enti è reale almeno quanto gli enti stessi, perchè in assenza del nulla l'essere è realmente, e non illusivamente o metaforicamente, limitato e negato da altro essere, ovvero da altre parti di se stesso.


Se non c'è nulla a limitare l'essere, la differenza tra enti,  tra parti costitutive dell'essere (banalmente possiamo dire per esempio, tra acqua e fuoco), è interna all'essere stesso e ha la stessa inviolabilità, unità, eternità e necessità dell'essere in quanto totalità escludente il nulla.
L'essere non esprime solo la collezione degli enti, ma la realtà della loro differenza; e se questa differenza è reale, anche il pensiero, che la pone e sostanzialmente si esaurisce in essa, è reale: come esseri pensanti non pensiamo direttamente ne noi stessi ne il mondo, pensiamo la differenza, tra noi stessi e il mondo. Il pensiero è limitato dall'impossibilità del totale autoriferimento e del totale eteroriferimento e si muove tra questi due estremi, come pensiero delle differenza, innanzitutto della differenza da se stesso, della distanza del singolo pensiero attuale (che non è il pensiero, ma un pensiero) dal polo del totale autoriferimento.




E' questa una delle chiavi per comprendere Eraclito: se neghi il nulla e affermi l'essere, hai necessariamente la danza degli opposti, perché ecco che il nulla dell'uno, non essendo più se stesso, è diventato l'essere dell'altro: il nulla dell'acqua è il fuoco, il nulla del ferro il legno, il nulla del tavolo è il non tavolo, il nulla del nulla è l'essere. La molteplicità non si è dissolta, si è aperta al flusso del pensiero, si è legata causalmente. Il dissidio è reale, perché ovunque un essere-altro ha preso il posto dell'impossibile nulla. La funzione astrattamente tolta del nulla è ancora esercitata, ma da altro, dall'altro. La vita, nel suo divenire e nelle sue contraddizioni, è sopravvissuta al vago pensiero di un monismo dell'essere. La contrapposizione tra essenti (tra due essenti qualsiasi) è reale, proprio perché la contrapposizione tra essere e nulla NON è reale: a essente si contrappone sempre altro essente, non mai mancanza o nulla. E' la legge della guerra, nulla è incontrastato o irresistito, nulla è assoluto, proprio perché non c'è nessun nulla-assoluto.


Si dice spesso: "accetto tranquillamente il nulla nel senso che una cosa non è un altra, ma non accetto il nulla assoluto".


Non si comprende che questo dissidio non è reale, che questa bisemia non è reale, perché il nulla assoluto è già, un caso quasi come gli altri di nulla relativo in cui si afferma che una cosa non è un'altra e non si afferma a ben vedere nulla di più di questo: il nulla del nulla è l'essere, sotto la spinta della contraddizione il nulla non si auto annulla, semmai si auto esserifica, passa nell'altro da se. Si può togliere il nulla e avere la danza degli opposti -la coppia conseguentemente sorgente di opposti- anche e soprattutto nel caso del nulla assoluto, della riflessione sul nulla assoluto. Ciò che è nulla non può eccedere il significato letterale e semantico di nulla relativo, il significato blando di nulla per cui semplicemente una cosa non è un'altra: per eccederlo, dovrebbe essere qualcosa, quando invece nel dire la parola "nulla", proprio come parola, si sta dicendo solo che: "la cosa che non è non è, quindi > tutte le altre cose sono". Come referente esterno, ci si sta riferendo ad altro. La parola stessa, vuole indicare altro. Tolta, l'opposizione tra essere e nulla, resta, l'opposizione tra sè ed altro. Essere e nulla si identificano, questo è l'unico caso in cui il conflitto, il dissidio implicito nel parlare e nel pensare, è illusorio, perché non è interno all'essere, ma è il conflitto sorgivo dell'essere, il confitto da cui l'essere sorge per esclusione; ma per esclusione-di-nulla, quindi come totalità.


Quindi non immagino il nulla come qualcosa di privo di conseguenze o di separato, il nulla genera l'opposizione nell'essere, perchè se è nulla, la sua funzione limitante e libertaria, la sua funzione imprevedibile (come di jolly) , è usurpata, è sostituita dall'essere. Il jolly sta davvero nel mazzo dell'essere, e, a scorrerlo tutto, rima o poi esce.


L'assenza del vuoto ha come conseguenza la contiguità di ogni cosa: se anche il vuoto è cosa > allora tutte le cose sono contigue, e sono limitate l'una dall'altra. Le cose apparentemente non limitate da nulla (le cose fluttuanti), sono limitate dall'aria, dal vuoto-cosa, dal vuoto assurto a cosa.  Così la definizione logica, secondo cui una cosa non è l'altra, ha un immediato corrispettivo nella disposizione spaziale delle cose, secondo cui una cosa è limitata da un'altra contigua. Di nuovo, non c'è il nulla a contrapporsi alle cose, ma l'alterità extra liminare secondo cui una cosa non è un'altra, e nella pienezza che ne consegue, non rimane spazio per il nulla, per cui si può dire che il nulla sia l'assenza di spazio.


Ma la conseguenza più incredibile del nulla è l'infinito. Se non c'è nulla a limitare l'essere, siamo autorizzati a fare congetture sulla struttura spaziale e temporale dell'essere, e a trovarla infinita.

Dove mai dovrebbe finire l'essere?


Se anche il limite dell'essere appartiene all'essere, ogni limitazione dell'essere è anche una cumulazione, un accumulo di molteplicità nella stessa sostanza.


Anche il mondo sferico, il modo quadrato, il mondo delle sfere concentriche, il mondo piatto, il mondo a forma di banana, qualunque mondo con una forma definita, è espresso dall'opposizione tra sé e altro e non da quella tra sé e nulla, ovvero la sua forma, qualunque essa sia, si può sempre immaginare iscritta, contenuta, in una forma più grande.


Parmenide aveva metaforizzato e proposto di immaginare l'essere come una sfera, perché la sfera era il simbolo dell'autolimitato, del finito ma illimitato, di ciò che aveva confine in sé stesso. Il confine curvo è il confine perfetto, che non ha irregolarità come facce o spigoli, che è uguale a sé stesso, ha le stessa caratteristiche, in ogni punto. La sfera è anche simbolo di immobilità, perché rimane uguale a sé stessa anche se ruota, muovendosi su se stessa in qualunque direzione e per qualunque tipo e durata del movimento, alla fine del movimento stesso non manifesta mai variazioni visibili. Ma si poteva obbiettare che anche una sfera ha spazio fuori di sé, ad esempio la si può immaginare perfettamente contenuta in un cubo, ed è ovvio che, a parità di massima estensione, il cubo ha molto più volume. Se l'essere è la sfera, Il volume residuale, del cubo ma non della sfera, è il nulla, che si voleva escludere.
Melisso attribuì all'essere parmenideo l'infinità di spazio e di tempo, abbandonando la sfera (e l'istantaneità) anche come metafora, e immaginando come spazio e tempo dell'essere (spazio e tempo in cui si desse l'essere come evento e come sostanza) uno spazio e un tempo immutabili e infiniti, quindi indefiniti anche come forma. Dalla sfera all'abisso, all'immenso spazio aperto, una metafora dell'essere meno geometrica, ma più efficace. L'essere è il contenuto mimino del tempo e dello spazio, ed è facile concordare con questo, anche al di là dell'estremizzazione antisensista e controintuitiva eleatica, per cui ne è il contenuto unico. Lo spazio e il tempo non possono finire, perché non possono esaurire il loro contenuto minimo, minimo per definizione. C'è sempre continuità nell'evento dell'essere, e c'è sempre "sostanza" nello spazio, quantomeno lo spazio stesso. L'abisso non ha nulla che lo limiti, neanche potenzialmente.
L'infinito è ciò che non ha confini, che ha come confine il nulla. Con-fine, questa è una parola strana: dove finisce l'uno, finisce l'altro (fine insieme) e insieme dove finisce l'uno, comincia l'altro (fine-con, fine nel con, conseguente all'avvento del con, destino di incompatibilità). Applicata ad essere e nulla, significa che l'essere non finisce mai, e dunque anche il nulla non finisce mai, di non essere, di essere sé stesso non essendo. Confina con l'essere, ma nel senso di sovrapporsi invisibilmente: la differenza non emerge. Dove finisse l'uno, comincerebbe definitivamente l'altro, e questo è sommamente impossibile. L'infinito, così pensato come abisso di spazio e di tempo implica l'unità: se ne esistesse un altro, si limiterebbero a vicenda e nessuno dei due sarebbe infinito. Ma non c'è un tempo e luogo dell'essere separato da un tempo e luogo del nulla. Non a caso anche al dio delle principali religioni monoteistiche, nelle riflessioni teologiche mature, influenzate dalla filosofia greca, saranno attribuite insieme sia l'infinità che l'unità. L'una non avrebbe senso senza l'altra.




#3028
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
27 Febbraio 2020, 17:14:00 PM
Lo si capisce bene dal doppio movimento allucinatorio di separazione che anima questa nascita: la separazione dell'attore dal coro e dello spettatore dall'attore.
#3029
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
27 Febbraio 2020, 16:31:24 PM
La nascita della tragedia è la tragedia della nascita.
#3030
Tematiche Spirituali / Re:Reincarnazione senza memoria?
27 Febbraio 2020, 13:37:22 PM

Io penso che ci reincarniamo in noi stessi, e anzi lo simo già, reincarnati in noi stessi.


La cosa può essere presa anche come un mito e una metafora, da un punto di vista metafisico il fatto che "ci reincarniamo in noi stessi", significa che solo la vita, intesa come evento, può cambiare "dall'interno" la vita, identificandosi con il suo continuo divenire, essendo questo stesso divenire; la morte, che si contrappone alla vita, significa l'uguaglianza della vita a sé stessa nello spazio e nel tempo, la fine dell'evento, la fine di quel quantum specifico di divenire che la vita è, la caduta completa delle ulteriori possibilità di cambiamento interveniente in una cosa che, a ben vedere, nella sua essenza è solo cambiamento: la vita non è niente, è puro divenire, e la fine del divenire di questo divenire, da un punto di vista cosmico, dal punto di vista di chi sopravvive, si può dare solo come essere, essere della fine del divenire, sopravvenire dello statico-conoscibile, e quindi dell'ormai divenuto.
I vivi divengono e si sentono divenire, i morti sono, sono gli enti entificati dalla coscienza che a questo divenire si offrono, che si offrono alla vita e alla (parziale) conoscenza dei vivi: la vita non è annullabile perché propriamente non ha e non ha mai avuto essenza, non degenera verso il nulla che già è, ma verso l'essere che ancora non è, nell'essere che in quanto tale è non-più-divenire. Il suo cambiare non è annullarsi, ma entificarsi, perché è dal nulla che essa come evento prende avvio, non dall' essere: e la morte è l'entificazione definitiva, la consegna agli altri del proprio ricordo e del proprio cadavere.


Quindi in conclusione, solo la vita cambia la vita, e non la morte, che viene a mettere la parola fine su ogni vita ormai interamente già cambiata, già auto-modificatasi secondo le sue interazioni col mondo e le sue intrinseche possibilità... cambiamo solo dall'interno! E non solo in senso psicologico, in senso proprio esistenziale, cambiamo secondo quello che in vita vediamo cambiare intorno a noi e dentro di noi stante la limitatezza esperienziale e prospettica della vita, non ci sono eventi extra-vitali che vengono a cambiare la vita come dei deus ex machina attribuendogli un nuovo stato o al limite un nuovo non stato immaginato come un annullamento sopravveniente: non c'è morte ed escatologia nel senso comune del termine. La morte non è un cambiamento di stato della vita, è semplicemente l'altro dalla vita che avviene quando la vita non può più cambiare, e quindi non può più continuare ad essere sé stessa secondo la sua propria essenza.
Il nulla assoluto, l'inferno, il paradiso, la ruota delle reincarnazioni, sono tutte illusioni di cambiamento dall'esterno, illusioni che qualcosa di esterno, di straordinario per definizione, pur se palesemente non viene da questa vita e non ne fa parte, non fa parte della sua dinamica interna per come attualmente la percepiamo o la potremo percepire in futuro, razionalmente o istintivamente che sia, cambierà lo stesso la vita, produrrà comunque effetti sulla vita; illusioni che si possa muovere foglia oltre la vita, che ci siano in serbo per noi altri eventi significativi, o quantomeno produttivi di effetti, oltre al vissuto, oltre all'insieme degli eventi del vissuto. Illusioni che voleremo in cielo, che smetteremo di essere quello che siamo, che ci ritroveremo nel corpo di un elefante eccetera. Perché anche la morte, per come essa è comunemente intesa, se anche solo si ammette che annulli qualcosa -la vita-, che sia la fine di una soggettività precedentemente in atto, produce effetti, per quanto per l'ateo che non crede nell'aldilà, essa non sia significativa, nella misura in cui tali effetti non saranno da lui percepiti. E invece la vita è fatta in modo tale che patisce solo gli effetti da essa stessa prodotti, non effetti esterni, di nessun tipo, neanche mortiferi, neanche la morte come effetto esterno. Quando non cambia più, non è più vita. Divenire è il suo unico destino. I cambiamenti della vita, i cambiamenti che saranno tali per noi, verranno dai sussulti, dai sogni e dalle percezioni della vita, volontari o involontari, consci o inconsci che siano, ma sempre vissuti, sempre interni e interiori alla vita, sempre in linea di principio ordinabili nell'insieme del vissuto.
Che la morte ci cambi, che il nulla assoluto in qualche modo ci cambi, che la volontà di Dio ci cambi, che il tempo ci cambi, che ritrovarci nel corpo di un elefante ci cambi, è assurdo. Se ci reincarniamo, ci reincarniamo in noi stessi.