Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - sgiombo

#3016
CitazioneVito Ceravolo:
Mentre il nulla non è definibile, se anche il tutto non lo fosse allora nulla sarebbe definibile, neppure le parole che ci scambiamo; oltre al fatto che ciò contraddirebbe l'indefinibilità del nulla e la perfetta determinazione del tutto che in quanto tutto è la determinazione di ogni cosa.

Sgiombo:
Il "nulla" è definito (la definizione la puoi trovare su qualsiasi vocabolario).
 


Vito Ceravolo:
In questo senso il nulla non può avere alcun tipo di esistenza perché se l'avesse il tutto non sarebbe tale; deve cioè negarsi all'esistenza all'infinito, implicandola negativamente.

Sgiombo:
Il nulla può in teoria, nell' ambito del mero pensiero (altra cosa essendo la realtà, che sia inoltre anche pensata o meno), esistere; cioè è pensabilissimo senza alcuna contraddizione o non-senso.



Vito Ceravolo:
Invece "Nulla c'è" come "c'è nulla", se da una parte colloquiale sono qualcosa di utilizzato, dall'altra scientifico-filosofica sono qualcosa di concettualmente contraddittorio A≠A. 

Sgiombo:
"Nulla c' è" e "c'è nulla" sono frasi perfettamente logiche, coerenti, non contraddittorie (anche se palesemente false).
Sarebbe contraddittorio casomai dire "nulla è qualcosa (di esistente)" o qualcosa (di esistente) è nulla".



Vito Ceravolo:
In sostanza la frase, con l'inversione verbo soggetto, cambia significato solo se si invertono fra loro anche i significati di "chi" fa e "cosa" fa; ma in questo caso si ha una frase completamente diversa, mentre io ho parlato solo di una inversione predicato-soggetto, e non di un'inversione dei significati e valori [piuttosto delle funzioni sintattiche, N.d.R.] delle parole utilizzate. 

Sgiombo:
Con questo chiarimento concordo (la tua primitiva formulazione si prestava invece a fraintendimenti e obiezioni).
 


Vito Ceravolo:
La frase "non esiste nulla" non è data da una doppia negazione ma da una sola negazione che si applica su un oggetto. Esattamente "non esiste A" non è una doppia negazione, indipendentemente se l'oggetto A sia una pera, una mela, tutto, nulla, la pragmatica ecc.

Sgiombo:
Nulla = negazione di qualsiasi cosa.
Dunque "non esiste nulla" è una doppia negazione ammessa in lingua italiana in deroga (eccezione) a un principio logico: letteralmente dovrebbe significare "esiste (per lo meno) qualcosa), esattamente al contrario di quanto invece  di fatto significa.
Infatti lingue più coerentemente logiche dell' italiano, come ad esempio il latino, non cadono in questa "inappropriatezza" o "eccezione alla regola" logica: nihil est = non esiste nulla; nihil non est (la traduzione letterale dell' italiano "non c'é nulla"!) = non (é vero che) non esiste nulla = esiste (almeno) qualcosa" (l' esatto contrario della traduzione letterale o "pedissequa" in italiano).

Vorrei cogliere l' occasione di questa discussione per accennare nuovamente a ciò che penso per parte mia di questo problema del "perché c' è qualcosa (in generale; e in particolare "questo" determinato qualcosa che c' è) anziché (il) nulla?".
 Tuttavia, poiché l' ho già fatto in altre discussioni, evito un fastidioso copia-incolla e invito te e chiunque non l' avesse già fatto e trovasse interessante la questione a leggere quel che ne penso nella mia recente risposta #28 del 14 Gennaio c.a. nella discussione "Cos' è un ente? Perché è diverso da un niente?".
Grazie per l' attenzione.
#3017
Citazione di: donquixote il 30 Gennaio 2017, 21:41:00 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Gennaio 2017, 20:54:12 PMDissento in toto. Sia "tutto" che "nulla" hanno un senso (denotazione) stabilita per definizione, come tutti gli altri vocaboli (simboli verbali). Essi sono reciprocamente contrari (dunque hanno ciascuno un contrario, rappresentato dall' altro di essi). Se -per ipotesi- il nulla fosse o esistesse (non esistesse alcunché), allora il tutto (esistente) sarebbe costituito dal nulla, ovvero non sarebbe costituito da alcunché; e nulla vi sarebbe fuori di (od oltre ad) esso: dunque continuerebbe tranquillamente ad essere il tutto (esistente), ovvero il nulla che esisterebbe costituendo la totalità dell' esistente (nell' ipotesi considerata). L' esistenza di qualcosa può essere un fatto reale (negarlo significherebbe che non può esistere alcunché, ovvero che deve necessariamente essere il nulla: il nichilismo più "sfrenato"!), anche se é sensatamente predicabile (affermativamente oppure negativamente) solo di un qualche soggetto.  

Invece di fare delle ipotesi e dei giochi di parole che servono solo a confondere  dovresti spiegare cosa ho scritto di sbagliato. Se ogni parola è connotata dalla sua definizione la parola "tutto" (o "totalità") se affermata così com'è senza attribuzioni particolari (la totalità degli uomini, o delle stelle, o delle automobili) che la limiterebbero contiene qualsiasi ente, materiale o spirituale, visibile o non visibile, conoscibile o non conoscibile, manifesto o immanifesto. Nella parola "tutto" sono comprese tutte queste "cose" e se qualcosa rimanesse fuori significa che il tutto non è più tutto, ma solo una parte da cui manca ciò che si trova al di fuori, e dunque non si potrebbe chiamare "tutto" in quanto contraddittorio rispetto alla sua "definizione". E se tutto è contenuto nel tutto da cosa sarebbe costituito il "nulla"? Cosa conterrebbe?

CitazioneBeh, innanzitutto giochi di parole (innocenti; e mi pare anche un po' arguti, almeno per chi segua il motociclismo sportivo, cosa non vietata ai filosofi) mi sembra di averne fatti solo nella mia prima risposta a Vito Ceravolo.

Inoltre se, come é perfettamente pensabile (non: possibile nella realtà, dal momento che "pensare" é un evento, dunque "qualcosa e non "nulla") non esistesse o non accadesse realmente alcunché, ovvero esistesse, accadesse (il) nulla, allora "tutto ciò che esisterebbe - accadrebbe" sarebbe "nulla", la "totalità del reale", il "tutto reale" (non "la totalità del pensabile",  non "il tutto pensabile") sarebbe (il) "nulla".
Questo non mi sembra un gioco di parole ma un onesto ragionamento corretto (fino a prova contraria, se qualcuno me ne proponesse una).

Dunque, come sostenevo in quel primo intervento di cui sopra per intenderci (ed evitare reazioni stizzite -almeno così, francamente, mi pare la tua- ma fuori luogo) bisogna innanzitutto distinguere fra realtà (pensata o meno) e pensiero (circa la realtà o meno): nel concetto di "tutto il pensabile (indipendentemente dal fatto che sia anche reale o meno)" é compreso "di tutto e di più" (tutto ciò che non sia autocontraddittorio cioé insensato) , quindi (fra l' altro) anche tutto quanto da te elencato. Ma é pensabile (ipotizzabile) in maniera perfettamente corretta una realtà costituita da nulla, e in questo ipotetico caso "tutto il reale" sarebbe per l' appunto "nulla (di reale)".

Il nulla (assoluto; non la negazione di qualcosa di determinato, non il nulla relativo) ovviamente, non comprendendo alcunché che potesse contenere qualcosa (o che potesse contenerlo), non conterrebbe né sarebbe contenuto da alcunché, non sarebbe costituito da alcunché: concetti perfettamente logici, sensatissimi, sebbene (ma questo é un altro discorso) il predicarli realmente accadere sarebbe con tutta evidenza falso contraddicendo la realtà (implicante, nell' ipotesi considerata, per lo meno questa predicazione, e dunque "qualcosa" e non "nulla").

Il nulla non può essere (di fatto) saputo (predicato) essere reale. Ma può benissimo essere pensato (ipotizzato, magari negato essere reale se si vuole predicarne veracemente, se si vuole avere una conoscenza vera su di esso).

#3018
Citazione di: donquixote il 30 Gennaio 2017, 20:04:58 PM


Il vocabolo nulla così come il vocabolo Tutto hanno una connotazione particolare e non hanno un opposto; non trattandosi di vocaboli sottoposti a "definizione", quindi a limitazione, non c'è niente che gli si possa opporre poichè l'opposizione dovrebbe situarsi al di fuori del loro limite, della loro definizione, che non esiste. Il Tutto comprende tutto ciò che è (quindi da esso niente può essere escluso) e dunque il nulla è solo un opposto in senso grammaticale che non ha e non può avere alcun tipo di esistenza. È solo una parola senza alcun significato e senza alcun nesso con la realtà, per quanto ampia la si possa considerare. Se il nulla  fosse o esistesse (sotto qualunque forma) allora il Tutto non sarebbe più tale poichè vi sarebbe qualcosa al di fuori di esso e dunque non sarebbe più il Tutto. L'esistenza non può sussistere di per sé perchè l'esistenza è un predicato, un attributo, una condizione secondaria che per sussistere necessita di una condizione primaria: l'essenza; la frase "il nulla esiste" è doppiamente contraddittoria poichè non è possibile attribuire una qualità (l'esistenza) a qualcosa che non ha essenza. "Non c'è nulla" o "nulla c'è" sono solo modi di dire colloquiali e semplicistici che non hanno alcuna valenza filosofica, come se ne sentono tanti tutti i giorni.

CitazioneDissento in toto.

Sia "tutto" che "nulla" hanno un senso (denotazione) stabilita per definizione, come tutti gli altri vocaboli (simboli verbali). 

Essi sono reciprocamente contrari (dunque hanno ciascuno un contrario, rappresentato dall' altro di essi).

Se -per ipotesi- il nulla fosse o esistesse (non esistesse alcunché), allora il tutto (esistente) sarebbe costituito dal nulla, ovvero non sarebbe costituito da alcunché; e nulla vi sarebbe fuori di (od oltre ad) esso: dunque continuerebbe tranquillamente ad essere il tutto (esistente), ovvero il nulla che esisterebbe costituendo la totalità dell' esistente (nell' ipotesi considerata).

L' esistenza di qualcosa può essere un fatto reale (negarlo significherebbe che non può esistere alcunché, ovvero che deve necessariamente essere il nulla: il nichilismo più "sfrenato"!), anche se é sensatamente predicabile (affermativamente oppure negativamente) solo di un qualche soggetto.

#3019
CitazioneVolendo cercare il pelo nell' uovo, mi sembra che invertendo soggetto e verbo in italiano (a volte) può cambiare il senso delle frasi.
Per esempio la frase "l' uomo mangia (il cinghiale)" è ben diversa da "mangia l' uomo (il cinghiale )" o "Marc Marquez batte Valentino Rossi" è ben diversa da "Batte Marc Marquez Valentino Rossi" (e anche da "Abbatte Marc Marquez Valentino Rossi" da "Marc Marquez abbatte Valentino Rossi").
E se vogliamo considerare frasi in cui compaiono solo soggetto e predicato, senza complementi, allora l' imperativo "Giovanni, uccidi!" è ben diverso dall' altro imperativo "uccidi Giovanni!" (la virgola, ben visibile nella frase scritta, può sfuggire del tutto nella frase pronunciata).

In italiano inoltre crea una certa confusione il fatto che (illogicamente, in senso letterale) due negazioni a volte negano (anziché affermare, secondo logica). Per esempio "non esiste nulla" non significa (come sarebbe logico) che esiste qualcosa, ma che esiste il nulla ovvero che non esiste alcunché.

Secondo me per considerare correttamente il problema (almeno per come lo intendo io; ma non so se fraintendendo te) bisogna iniziare dalla distinzione fra realtà e pensiero. Cioè, per cercare di essere il più chiaro possibile, dalla differenza fra realtà (in sé, in quanto tale, relativamente al suo essere reale) e pensiero (non in sé, non in quanto tale: pensiero, non relativamente al suo essere reale, bensì) relativamente al suo "oggetto" o "contenuto": la realtà che denota, se denota qualcosa di reale (per esempio il concetto di un cavallo, un "cavallo pensato", oltre che -e a prescindere dal fatto che- è il concetto di un cavallo reale, se è il pensiero di un cavallo reale); oppure la non-realtà che connota, se non denota alcunché di reale (per esempio il concetto di un ippogrifo, un "ippogrifo pensato", che non è il pensiero di un ippogrifo reale).
Il pensiero del nulla assoluto, cioè che non esista alcunché, è possibile (in quanto tale: pensiero; cioè è logicamente corretto, sensato, lo si può benissimo pensare senza che alcunché lo vieti). Ma il (reale) predicarlo affermativamente, l' affermare che realmente si dà, che realmente accade il nulla assoluto (se realmente questa affermazione accade) è falso, dal momento che (per l' ipotesi qui considerata) tale affermazione accade ed è qualcosa (di reale) e non nulla (di reale).
#3020
Tematiche Filosofiche / Re:l'uno inteso letteralmente.
30 Gennaio 2017, 10:41:05 AM
Citazione di: pepe98 il 29 Gennaio 2017, 20:24:25 PM
Citazione di: sgiombo il 29 Gennaio 2017, 19:20:28 PM
Citazione di: pepe98 il 29 Gennaio 2017, 10:36:44 AM
Sgiombo: la memoria non ci testimonia il passato(fenomeni non piú esistenti associati ad un'identità sempre esistente(l'essere)): essa ci presenta un insieme di fenomeni ordinati secondo una sistemazione a priori(non a posteriori, poiché si tratta di una sistemazione già data e necessaria per percepire il fenomeno) sulla coordinata temporale. Ma l'intuizione di questa coordinata temporale è un a priori, ossia fa parte della natura stessa del fenomeno presentarsi cosí, e come hai detto possiamo interpretarla fallacemente(si cade effettivamente nello scetticismo).
CitazionePepe98:

"Ció che ricordo è accaduto in passato": affermazione dogmatica, che presuppone l'esistenza di un passato pur avendo a che fare con fenomeni del presente(i ricordi); intuizione sensibile.
CitazioneSgiombo:
Ma quale dogmatismo!

Ma per favore!

Ciò di cui può esservi assoluta certezza é il presente. Ma questo include la memoria, i ricordi; e questi si può certo dubitare che siano veri, ma non affatto che siano quel che sono (fossero pure illusori e falsi), e cioé (ricordi di) fatti passati e non futuri (che ci siano stati o che ingannevolmente ci sembri, che siano veri o che siano falsi sono passati e non futuri).
Per esempio mi ricordo che ieri ho fatto un bel giro in bicicletta, ma forse é un ricordo erroneo e ieri sono stato in casa; comunque sia é un ricordo di ieri, cioé del passato; mentre non ho alcun ricordo, vero o falso che sia, che domani farò un bel giro in bici o meno (casomai ne ho l' immaginazione e la speranza, che sono ben altro che ricordi).


Sgiombo:
Dunque la memoria (veracemente o falsamente che sia) ci testimonia empiricamente a posteriori il (presunto; fallibilmente) passato e non il (presunto; fallibilmente) futuro,
un insieme di fenomeni ordinati secondo una sistemazione a priori.

La percezione (dei contenuti de-) la memoria non è una conoscenza deducibile a priori (per via logica), bensì acquisibile a posteriori (empiricamente), come tutte le percezioni (interiori "cogitantes" ed esteriori "extensae").


Peoe98:
Però il punto è che si puó ammettere che esistano altri presenti suggeriti dalla memoria(anch'io mi limito ad ammetterlo), ma poiché il passato è un'intuizione del presente, non c'è nessun tempo esterno che realmente connetta questi presenti, che quindi esisterebbero contemporaneamente.

CitazioneSgiombo:
Questa sì che é un' affermazione dogmatica (oltre che autocontraddittoria)!
Citazione
Che i ricordi del passato siano percepiti (interiormente) al presente e che possano essere falsi non dimostra affatto:

a) che non siano veramente accaduti (dubbio =/= negazione certa; dubbio == né affermazione certa, né negazione certa);

b) che i successivi istanti de tempo (quelli passati, quello presente e quelli futuri -se reali, cosa indubitabile solo del presente- siano tutti presenti e non successivi (che é una palese contraddizione senza senso).


CitazioneSgiombo:
Contemporaneamente (presentemente) esistono il presente e (ivi compresa) la (presente) memoria, pensiero, ricordo, eventualmente la conoscenza (vera) del passato, e non il passato (se realmente accaduto) eventualmente ricordato, pensato, conosciuto.                                                  


Pepe98:
È sempre un'affermazione dogmatica: come puoi dire che il passato non esiste piú? Non è contraddittorio pensare di poter percepire separatamente due cose nello stesso momento. Se ben ci pensi è solo contro -intuitivo, ma nessun principio logico lo vieta.

CitazioneSgiombo:
No, non é affatto un' affermazione dogmatica, bensì un logicissimo giudizio analitico a priori: "che non esiste più (presentemente)" fa parte del significato del termine "passato".

Che ci possano essere percezioni di due (o anche tre e più) cose nello stesso istante non dimostra affatto che non ci possono essere anche percezioni di due (o anche tre e più) cose in istanti successivi.
Se ben ci pensi é intuitivissimo e nessun principio logico lo vieta per niente affatto!


Pepe98:
Qualunque sia il verso della freccia del tempo esterno(ammesso che esista il tempo esterno, affermazione che mi sembra erronea poiché quello che percepiamo è sempre in un singolo presente)
CitazioneSgiombo:
Affermazione casomai dubbia: il passato (e dunque il divenire) potrebbe tanto essere reale quanto non esserlo; dunque non è affatto detto con certezza che si tratti di un' affermazione erronea o falsa.



Pepe98:
noi continueremo a percepire ció che ci suggerisce il tempo interno: se all'istante A lascio cadere un bicchiere senza ricordare l'istante B(che al massimo potrei immaginare, ma sempre in base ad esperienza del passato contenuto nel presente A), e nell'istante B il bicchiere si rompe e qui mi ricordo l'istante A, il mio flusso di esperienze appare del tutto regolare. Ammettiamo che il tempo scorra da B ad A, ossia si verifichi prima B, poi A. Nell'istante B io ricordo A(che continua ad essere passato dal punto di vista del tempo interno a B, pur non essendolo nel supposto tempo esterno), poi accade l'istante A, in cui io non ricordo B(per definizione della sistemazione dei fenomeni nel tempo interno ad A), quindi è effettivamente come se nella mia coscienza B non sia "ancora accaduto"(posso perfino, in quell'istante immaginare che accadrà, non sapendo che è giá accaduto). Dovremmo essere scettici anche sullo scorrere del tempo esterno. Perché dovrebbe esistere qualcosa che non influisce sulla mia esperienza cosciente, e per tanto è indimostrabile? Il tempo esterno influirebbe sull'esistenza e scomparsa dell'esistenza degli istanti(o presenti), senza potersi però manifestare alla coscienza. Ecco perché io trovo ora piú ragionevole(e piú elegante esteticamente) negare l'esistenza del tempo esterno: ció significa però accettare qualcosa di sconvolgente: tutti gli istanti(cioè i presenti, come A e B) esistono contemporaneamente, sono "sempre"(parola che ormai non ha piú significato) esistiti, ed esisteranno sempre!
CitazioneSgiombo:
Noi continueremo a percepire quel che percepiamo (tautologia).

Se il "tempo interno" (?) é la memoria, questa può anche essere erronea e falsa (ma altrettanto può essere corretta e vera); ma in ogni caso (veracemente o meno) ci dice che qualcosa é accaduto prima di adesso (nel passato e non che é accadrà nel futuro (questo ce lo può dire l' immaginazione o magari la speranza, non la memoria, se le parole in lingua italiana hanno un senso).
E che il passato sia stato (e non: sia!) presente é perfettamente ovvio e non nega minimamente il divenire, anzi lo afferma!

(Per fare ulteriormente confusione ci mancava solo che, in modo alquanto originale, usassi la lettera "A" per indicare il dopo e la "B" per indicare il prima).
Comunque la tua affermazione "Nell'istante B io ricordo A (omissis) poi accade l'istante A" é una patente contraddizione senza senso non può accadere "poi" quello che "ricordo" successivamente, ma casomai quello che "prevedo", spero, immagino" precedentemente.

Scettico sul tempo mi pare di essere io che ne dubito, non tu, che invece lo neghi con (pretesa) certezza!

E
Perché non dovrebbe esistere qualcosa che non influisce sulla mia esperienza cosciente, e per tanto è indimostrabile (né accadere realmente né non accadere realmente)?

Veracemente o falsamente che sia, il tempo passato si manifesta alla coscienza, eccome: il ricordo del bel giro in bici di ieri, vero o falso che sia, é un contenuto della mia coscienza nella quale si manifesta (veracemente o meno)!

Che "
tutti gli istanti [successivi, N.d.R] (cioè i [quelli che sono stati, uno per volta, i successivi, N.d.R] presenti, come A e B) esistono contemporaneamente, sono "sempre"(parola che ormai non ha piú significato) esistiti, ed esisteranno sempre!" non é affatto sconvolgente ma semplicemente autocontraddittorio, senza senso.
CitazioneSgiombo:
In questo guazzabuglio di "tempi A" e "tempi B", di "passati e futuri ricordati o dimenticati", di "tempi interni" (?) e "tempi esterni" (?) non si capisce nulla.


L' unico tempo di cui possa sensatamente parlarsi è quello esperito coscientemente ("interno"?); e ripeto che, poiché certezza indubitabile può darsi solo del presente in atto, la memoria potendo (e non: dovendo) essere fallace (potrebbe -e non: dovrebbe- confondere fatti immaginari con fatti reali), il passato e dunque il divenire è dubitabile, cioè né affermabile, né negabile con certezza (in linea teorica, di principio, come è giusto considerare da parte nostra di filosofi che "cercano anche il pelo teorico, di principio nell' uovo pratico").


Pepe98:
Il tempo interno non è altro che una sistemazione dei fenomeni in un istante del supposto tempo esterno. Quello che si suppone scorrere è il tempo esterno. L'errore è individuare il supposto tempo esterno nel tempo interno(che penso ORA, in un solo istante del tempo esterno).

CitazioneSgiombo:
Peggio che andar di notte!

Al passato (e al futuro) penso presentemente; ma ciò non dimostra l' assurda contraddizione per cui il passato e il futuro sarebbero il presente!




CitazioneSgiombo:
Non vedo che cosa di strano o di indebito ci sarebbe mai nel considerare separatamente parti arbitrariamente stabilite di esperienza cosciente.


Pepe98:
Non è strano(almeno dal punto di vista della sensibilità umana), ma è superfluo.


CitazioneSgiombo:
Superfluo a quale fine?
Se voglio agire efficacemente e vivere bene devo poter distinguere, e dunque considerare separatamente, chi mi vuole bene e mi aiuta da chi mi vuole male e cerca di fregarmi!




Sgiombo:
Come faccio a essere
<<contemporaneamente piú istanti di "me">> (contraddizione)?
E per di più come potrebbe accadere (sensatamente) che << ma questi istanti non hanno connessione esterna, perché non potrei essere anche i "tuoi" istanti o quelli di qualcun "altro"?>>.

Pepe98:
Perché appunto l' identità non esiste tutti gli istanti(cioè i presenti, come A e B) esistono contemporaneamente, sono "sempre"(parola che ormai non ha piú significato) esistiti, ed esisteranno sempre
Citazione
CitazioneSgiombo:
Che l' identità (di chi? Di che?) non esiste é tutto da dimostrare.
Inoltre (ammesso e non concesso) non ne seguirebbe affatto logicamente la contraddizione per la quale tutti i successivi istanti del tempo sarebbero contemporaneamente presenti!




Sgiombo:
"L'
essere piú istanti contemporaneamente" non può "influire sui contenuti di coscienza" semplicemente perché si tratta di una contraddizione senza senso, che non può essere e dunque a maggior ragione non può influire in alcun modo su alcunché.

Pepe98:
Non è contraddittorio dire "sono A e B in C"(dove C è una posizione su una coordinata, ad esempio temporale), a meno che: B sia "non A"; C possa ospitare o solo A, o (aut) solo B.
CitazioneSgiombo:
Infatti l' istante "A" che precede l' istante "B" é "non B" e l' istante presente non può "ospitare" (essere contemporaneo a) alcun istante passato né futuro per definizione.

L'esser [-ci] piú persone contemporaneamente non cambia nulla dal punto di vista dei contenuti della coscienza  di ciascuna (rispetto all' esistere singolarmente, unicamente di una qualsiasi di esse), ma cambia moltissimo nella realtà complessiva (oggetto dell' ontologia), cosciente e non cosciente che sia, di questa o di quella coscienza che sia.

Che tu sia "tutti" e "tutto" (tutto ciò che esiste realmente: solipsismo) lo puoi ipotizzare ma non certo dimostrare.
N.B.: non sto pretendendo che sia dimostrabile il contrario, ma che sia confutabile, dimostrabile essere falsa (oltre che dimostrabile essere vera) la tua affermazione.
#3021
Tematiche Filosofiche / Re:l'uno inteso letteralmente.
29 Gennaio 2017, 19:48:50 PM
CitazioneCommenti miei alla tua discussione con Phil:
 
Da qualsiasi insieme di postulati (ammesso che siano logicamente coerenti) indimostrabili si possono logicamente dedurre correttamente varie affermazioni; ma conditio sine qua non della verità di tutte le deduzioni (ammesso che siano logicamente corrette) é la (indimostrata) verità dei postulati di partenza.
 
 Chi ha detto che "la filosofia è un superamento dell'intuizione sensibile in favore della ricerca di un'unità razionale col tutto [?]"?
 Per me la filosofia è (fra l' altro) critica razionale (anche) delle intuizioni sensibili e non aprioristica (arbitraria, non argomentata, irrazionale) negazione o preteso "superamento" di esse.
 
Si può lecitamente (con David Hume) dubitare dell' esistenza sia di oggetti che di un soggetto "in sé" delle sensazioni (sia esteriori-materiali, come quelle della mela di cui parlate, sia interiori-mentali, come quelle dei pensieri).
Che ci sia (-no le sensazioni esteriori-materiali costituenti) la mela non dimostra che vi sia altro (di in sé o noumeno) che sia oggetto di tali sensazioni reale anche allorché non si vede la mela; ma nemmeno che vi sia (pure di in sé o noumeno) un "io" soggetto delle sensazioni stesse; e così pure che ci siano (le sensazioni interiori-mentali costituenti) i propri pensieri non dimostra che vi sia altro (di in sé o noumeno) reale anche allorché non si sentono i propri pensieri, che sia tanto oggetto quanto soggetto di esse (non alla lettera, David Hume).
#3022
Tematiche Filosofiche / Re:l'uno inteso letteralmente.
29 Gennaio 2017, 19:20:28 PM
Citazione di: pepe98 il 29 Gennaio 2017, 10:36:44 AM
Sgiombo: la memoria non ci testimonia il passato(fenomeni non piú esistenti associati ad un'identità sempre esistente(l'essere)): essa ci presenta un insieme di fenomeni ordinati secondo una sistemazione a priori(non a posteriori, poiché si tratta di una sistemazione già data e necessaria per percepire il fenomeno) sulla coordinata temporale. Ma l'intuizione di questa coordinata temporale è un a priori, ossia fa parte della natura stessa del fenomeno presentarsi cosí, e come hai detto possiamo interpretarla fallacemente(si cade effettivamente nello scetticismo).
Citazione(I contenuti de-) La memoria (i ricordi) la sentiamo interiormente e ne possiamo predicare l' esistenza (= la conosciamo; se la predichiamo veracemente) "a posteriori", come tutto ciò che è empiricamente sentito, coscientemente percepito; e non a priori come tutto ciò che è analiticamente dedotto da assiomi, definizioni e postulati per via logica e non empirica.

E la sistemazione mnemonica degli eventi ricordati va dal passato al presente e non dal futuro al presente: posso sbagliarmi, ma ciò che ricordo è ciò che ho fatto o è accaduto in passato (se non mi sbaglio) e non ciò che farò o accadrà nel futuro (sia pure eventualmente in maniera erronea o falsa).
Dunque la memoria (veracemente o falsamente che sia) ci testimonia empiricamente a posteriori il (presunto; fallibilmente) passato e non il (presunto; fallibilmente) futuro, un insieme di fenomeni ordinati secondo una sistemazione a priori.
 
La percezione (dei contenuti de-) la memoria non è una conoscenza deducibile a priori (per via logica), bensì acquisibile a posteriori (empiricamente), come tutte le percezioni (interiori "cogitantes" ed esteriori "extensae").
 




Però il punto è che si puó ammettere che esistano altri presenti suggeriti dalla memoria(anch'io mi limito ad ammetterlo), ma poiché il passato è un'intuizione del presente, non c'è nessun tempo esterno che realmente connetta questi presenti, che quindi esisterebbero contemporaneamente.
CitazioneContemporaneamente (presentemente) esistono il presente e (ivi compresa) la (presente) memoria, pensiero, ricordo, eventualmente la conoscenza (vera) del passato, e non il passato (se realmente accaduto) eventualmente ricordato, pensato, conosciuto.                                                   




Qualunque sia il verso della freccia del tempo esterno(ammesso che esista il tempo esterno, affermazione che mi sembra erronea poiché quello che percepiamo è sempre in un singolo presente)
CitazioneAffermazione casomai dubbia: il passato (e dunque il divenire) potrebbe tanto essere reale quanto non esserlo; dunque non è affatto detto con certezza che si tratti di un' affermazione erronea o falsa. 




noi continueremo a percepire ció che ci suggerisce il tempo interno: se all'istante A lascio cadere un bicchiere senza ricordare l'istante B(che al massimo potrei immaginare, ma sempre in base ad esperienza del passato contenuto nel presente A), e nell'istante B il bicchiere si rompe e qui mi ricordo l'istante A, il mio flusso di esperienze appare del tutto regolare. Ammettiamo che il tempo scorra da B ad A, ossia si verifichi prima B, poi A. Nell'istante B io ricordo A(che continua ad essere passato dal punto di vista del tempo interno a B, pur non essendolo nel supposto tempo esterno), poi accade l'istante A, in cui io non ricordo B(per definizione della sistemazione dei fenomeni nel tempo interno ad A), quindi è effettivamente come se nella mia coscienza B non sia "ancora accaduto"(posso perfino, in quell'istante immaginare che accadrà, non sapendo che è giá accaduto). Dovremmo essere scettici anche sullo scorrere del tempo esterno. Perché dovrebbe esistere qualcosa che non influisce sulla mia esperienza cosciente, e per tanto è indimostrabile? Il tempo esterno influirebbe sull'esistenza e scomparsa dell'esistenza degli istanti(o presenti), senza potersi però manifestare alla coscienza. Ecco perché io trovo ora piú ragionevole(e piú elegante esteticamente) negare l'esistenza del tempo esterno: ció significa però accettare qualcosa di sconvolgente: tutti gli istanti(cioè i presenti, come A e B) esistono contemporaneamente, sono "sempre"(parola che ormai non ha piú significato) esistiti, ed esisteranno sempre!
CitazioneIn questo guazzabuglio di "tempi A" e "tempi B", di "passati e futuri ricordati o dimenticati", di "tempi interni" (?) e "tempi esterni" (?) non si capisce nulla.
 
L' unico tempo di cui possa sensatamente parlarsi è quello esperito coscientemente ("interno"?); e ripeto che, poiché certezza indubitabile può darsi solo del presente in atto, la memoria potendo (e non: dovendo) essere fallace (potrebbe -e non: dovrebbe- confondere fatti immaginari con fatti reali), il passato e dunque il divenire è dubitabile, cioè né affermabile, né negabile con certezza (in linea teorica, di principio, come è giusto considerare da parte nostra di filosofi che "cercano anche il pelo teorico, di principio nell' uovo pratico").
 




Una volta eliminato il tempo viene naturale eliminare la persona:anch'essa sarebbe qualcosa che influirebbe sull'esistenza separandola in blocchi di coscienza sconnessi, senza tuttavia influire sui contenuti della coscienza stessa: se io sono contemporaneamente piú istanti di "me", ma questi istanti non hanno connessione esterna, perché non potrei essere anche i "tuoi" istanti o quelli di qualcun "altro"? Abbiamo visto che l'essere piú istanti contemporaneamente non influisce sui contenuti di coscienza. L'essere piú persone contemporaneamente significa:non cambiare nulla dal punto di vista dei contenuti di coscienza; eliminare separazioni di identità in favore di un unico io; io sono tutti.

Si puó poi eliminare il mondo esterno, anch'esso separazione inutile, e ammettere che io sono l'insieme dei fenomeni: io sono tutto.




CitazioneAnche questo mi é incomprensibile.

Non vedo che cosa di strano o di indebito ci sarebbe mai nel considerare separatamente parti arbitrariamente stabilite di esperienza cosciente.

 
Come faccio a essere <<contemporaneamente piú istanti di "me">> (contraddizione)?
E per di più come potrebbe accadere (sensatamente) che << ma questi istanti non hanno connessione esterna, perché non potrei essere anche i "tuoi" istanti o quelli di qualcun "altro"?>>.
 
"L' essere piú istanti contemporaneamente" non può "influire sui contenuti di coscienza" semplicemente perché si tratta di una contraddizione senza senso, che non può essere e dunque a maggior ragione non può influire in alcun modo su alcunché.
 
L'esser [-ci] piú persone contemporaneamente non cambia nulla dal punto di vista dei contenuti della coscienza  di ciascuna (rispetto all' esistere singolarmente, unicamente di una qualsiasi di esse), ma cambia moltissimo nella realtà complessiva (oggetto dell' ontologia), cosciente e non cosciente che sia, di questa o di quella coscienza che sia.
 
Che tu sia "tutti" e "tutto" (tutto ciò che esiste realmente: solipsismo) lo puoi ipotizzare ma non certo dimostrare.
N.B.: non sto pretendendo che sia dimostrabile il contrario, ma che sia confutabile, dimostrabile essere falsa (oltre che dimostrabile essere vera) la tua affermazione.
 
#3023
Tematiche Filosofiche / Re:l'uno inteso letteralmente.
28 Gennaio 2017, 19:53:51 PM
Citazione di: pepe98 il 28 Gennaio 2017, 16:34:15 PM
Espongo ora tre principi che mi sembrano in grado di creare un'unità perfetta con il tutto: 1)IL MUTAMENTO NON ESISTE. 2)L'UNICA PERSONA SONO IO. 3)L'ESSERE È SOLO IO.
Essi non sono altro che proposizioni che analizzano intuitivamente l'unico principio di questa filosofia: ESISTE SOLO L'UNO.
Ponendo questi principi, ed adattando il nostro pensiero ad essi (giustificarli intuitivamente senza andare contro principi logici), può nascere la filosofia più perfetta.

CitazioneSono tre postulati indimostrabili (essere veri né essere falsi).

Il mutamento ci é testimoniato dalla memoria che potrebbe (lo si può pensare correttamente, non contraddittoriamente) tanto essere vera quanto essere falsa, dal momento che (se c' é mutamento) in ogni istante (dunque sempre) l' unica certezza é la constatazione del presente (compreso ciò che ci dice al presente la memoria circa il passato, che potrebbe anche essere falso, e dunque il passato non esserci mai stato, non essere mai accaduto realmente; ma allo stesso modo la memoria potrebbe anche essere veritiera -non é contraddittorio il pensarlo- e il passato, e dunque il mutamento, potrebbero anche benissimo essere reali): del (-la realtà del) passato non c' é certezza; ma neanche dell' inesistenza reale (dell' irrealtà) del passato.


Che l' unica persona potrei essere io e che l' essere (ciò che è) è solo io (non ecceda me stesso: né in quanto realtà di altre persone né in quanto realtà di altre cose genericamente intese) può essere pensato correttamente, non contraddittoriamente: gli altri, le altre persone e le altre cose in senso generico, di cui ho coscienza potrebbero benissimo essere unicamente "contenuti" di, enti o eventi nell' ambito (elementi o aspetti) di questa, "mia" coscienza e basta; esattamente come altrettanto correttamente può essere pensato il contrario (che esistano realmente altre persone e/o genericamente cose, corrispondenti o meno ai contenuti di questa "mia" coscienza, l' unica constatabile con certezza.


Dunque la conclusione corretta delle tue considerazioni è lo scetticismo, la sospensione del giudizio, e non il giudizio inconfutabile ma altrettanto indimostrabile secondo cui esiste solo l' uno: potrebbe tanto esistere solo l' uno quanto potrebbero esistere tantissimi altri enti ed eventi in numero indefinito.
 

Effettivamente lo scetticismo (in realtà: e dunque non il solipsismo, né il nichilismo!) non è superabile razionalmente (confutabile logicamente o falsificabile empiricamente; ma nemmeno dimostrabile logicamente o verificabile empiricamente: uno scetticismo conseguente sospende il giudizio perfino su "se stesso"). In un certo senso potrebbe essere considerato "la filosofia più perfetta" (o più conseguentemente razionalistica).
 

Non essendo disposto a rassegnarmi alla passività o inattività totale, che sarebbe l' unica conseguenza pratica corretta dello scetticismo, cioè credendo indimostrabilmente, forse erroneamente, di avere desideri da -tentare di- soddisfare agendo in determinati, "appropriati" modi, per parte mia nego (credo di superare, forse errando) lo scetticismo irrazionalmente (in modo non conseguentemente razionalistico), attraverso atti di fede infondati e forse fallaci (falsi), nella piena consapevolezza (razionalistica, per quanto limitatamente: un razionalismo integrale e conseguente identificandosi con l' -accettazione de- lo scetticismo) di tale irrazionalità, indimostrabilità né constatabilità empirica, infondatezza di tali atti di fede.




#3024
Varie / Re:Un sontuoso banchetto
22 Gennaio 2017, 18:45:06 PM
Citazione di: Jean il 21 Gennaio 2017, 20:22:15 PM
C'è un posto in un piccolo paese del Veneto, che per loro è un centro abbastanza grande, che si chiama "Villa Sariputra".
E' di un italiano di Sotto il Monte che ha studiato una vita... per imparare a fare la polenta grigliata e la serve insieme a un'ottima soppressa (per i vegetariani c'è del formaggio fuso sopra la fetta...).

CitazioneBene, sembra fatta proprio per i "vegetariani come me" (scandalizzando una mia sorella vegetariana vera -chi non ha oggi in famiglia un vegetariano autentico?- mi definisco infatti un "vegetariano a salsicce e cotechini").

Grazie, Sariputra, era un po' che volevo conoscere  personalmente te e gli altri del forum (anche se mi devo accontentare di un incontro virtuale; comunque in occasione di un sontuoso banchetto: cosa potrebbe mai esserci di meglio?).

#3025
Con questo breve intervento vorrei interloquire con Phil e Davintro, poiché essendo purtroppo del tutto digiuno di filosofia orientale non sono in grado di confrontarmi con gli altri; fra l' altro lamento che il frequente uso da parte loro di termini in lingua originale (hindi?), dandone per scontato la conoscenza dei significati da parte dei lettori, non mi agevola (ma mi rendo conto che probabilmente in discussioni come queste del forum, pur con tutta la buona volontà di farsi capire, non sarebbe comunque possibile stare lì a spiegare per filo e per segno i significati dei concetti usati).

Secondo me per la "metafisica" può essere intesa sostanzialmente in due modi.

In senso letterale come "ciò che sta oltre la fisica", cioè oltre "il mondo materiale naturale" (e ciò che se ne può dire o pensare).
In questo senso chi é monista materialista (una corrente di pensiero che mi pare oggi -ma é sempre difficile dare valutazioni in proposito e potrei benissimo sbagliarmi- prevalente fra gli "intellettuali", in particolare filosofi e scienziati; mentre fra i "non addetti ai lavori teorici" mi sembra prevalgano credenze religiose e anche superstiziose per lo meno dualiste, se non addirittura spiritualiste) nega che possa esistere qualcosa che stia oltre la materia (che non sia materia o in qualche modo non sia riducibile alla, o non emerga dalla materia), e dunque che si possa sensatamente coltivare una qualsiasi metafisica (se non, al massimo, come oggetto di erudizione, o anche di autentica cultura viva, ma comunque in quanto mero modo di pensare non più attuale e insensato se considerato "in sé e per sé" e non unicamente per le considerazioni, magari anche interessanti e attuali, che se ne possono fare, per le conseguenze che ha avuto e magari ancora ha sulla cultura e sulla storia umana; un po' alla maniera del latino o di altre lingue, sia pure importanti ma morte, come ha osservato Phil).
Personalmente, come in tante altre questioni, anche su questa vado, con una certa soddisfazione che non celo, decisamente controcorrente: infatti sono dualista, per lo meno relativamente ai fenomeni (la realtà che ci si dà o "cui abbiamo accesso" nell' esperienza sensibile), ritenendo che il pensiero (e più in generale la coscienza) non sia in alcun modo identificabile con la, non sia in alcun senso riducibile alla, non emerga in alcun senso dalla materia (cerebrale); la quale anziché "contenere coscienza e pensiero", come creduto da molti, é contenuta, unitamente e del tutto parimenti al pensiero, nella coscienza: "esse est percipi" (Berkeley).
Ritengo inoltre che, anche se ciò é indimostrabile e men che meno mostrabile (per definizione), esista una realtà in sé o noumeno, che essendo "oltre" i fenomeni a noi accessibili, e dunque alla coscienza in toto, cioè sia al pensiero che alla materia, ha natura letteralmente "metafisica" (oltre che "metapsichica"); e questo perché é l' unico modo che ho trovato convincente per cercare di comprendere e per ammettere sensatamente l' intersoggettività dei fenomeni materiali, e dunque anche la verità della conoscenza scientifica che ha in tale intersoggettività una (indimostrabile) conditio sine qua non.

Oppure la "metafisica" può essere intesa come sinonimo di "ontologia", cioé come la considerazione teorica, il discorso (più o meno) razionale circa la realtà (ciò che é/accade realmente) intesa nel senso più generale e astratto possibile, cioè non limitatamente ai suoi molteplici caratteri solo relativamente universali e costanti, solo limitatamente generali e astratti, quali quelli che studiano e conoscono le scienze (in quanto forme di conoscenza -in senso stretto limitate alla sola realtà materiale o "naturale"- comunque più generali delle semplici conoscenze "aneddottiche" o "episodiche", cioè riguardanti determinati enti ed eventi considerati nella loro mera singolarità).

In questo secondo senso la metafisica si occupa di questioni che un po' tutte le correnti filosofiche attuali (magari, nel caso di qualcuna di esse, dopo qualche decennio di disinteresse più o meno completo) ritengono attuali, come quella se la realtà (in generale; e in articolare la realtà da noi uomini conoscibile) sia o meno indipendente dal pensiero e dalla conoscenza (di essa), se sia monistica (materialistica, spiritualistica o "altro") o dualistica, o ancor più pluralistica, se sia necessaria o contingente o in parte necessaria in parte contingente, se sia deterministica o indeterministica (e dunque se esista o meno il libero arbitrio) o in parte deterministica in parte contingente, se implichi oggettivi valori morali e/o criteri estetici o se questi siano solo preferenze arbitrarie e soggettive, più o meno "ingiustificate, indimostrabili a preferirsi ad eventuali altre," ecc.
#3026
Citazione di: maral il 15 Gennaio 2017, 21:19:38 PM

CitazionePegaso é solo un concetto, con una connotazione arbitrariamente stabilita e basta, senza alcuna denotazione reale.
Non ci sono né concetti (significati) puri (tranne forse il "niente") né cose pure, ma solo significati e cose insieme. Vale anche per Bigio, che non è quella cosa, ma quella cosa che si può, a differenza di Pegaso, vedere e toccare e che significa: "Bigio, il cavallo di mio nonno", mentre Pegaso è il significato di qualcosa che, come tale, non si può né vedere né toccare, ma pensare e immaginare (ossia che produce pensieri e immagini con tutte le realissime conseguenze che da queste conseguono). Aggiungo che il nome-concetto-significato riassunti (che non è la cosa) prende il posto della cosa, se c'è il nome la cosa non c'è, essa appare solo nel suo nome, nel suo farsi concetto e significato che la evocano.
CitazioneIl senso (connotazione) del concetto di "ippogrifo Pegaso" é reale unicamente nei pensieri di chi lo pensa; invece nel caso del cavallo Bigio, oltre alla connotazione del concetto di "cavallo Bigio" nei pensieri di chi lo pensa, c'é realmente anche la sua denotazione, che é un quadrupede reale, che qualcuno ci pensi o meno.
C' é una bella differenza: anche se é vero che i pensieri di cose non reali (vedi gli dei delle religioni, soprattutto monoteiìste) o non ancora reali (vedi il comunismo) possono avere e hanno spesso di fatto conseguenze reali, Pegaso non potrà mai darmi un sonoro calcione, mentre Bigio sì, e quindo devo stare molto più attento a Bigio che a Pegaso).

Ed é del tutto ragionevole pensare che esistano o per lo meno siano esistiti realmente in passato tantissimi cavalli selvaggi mai visti da alcun uomo (contrariamente a Bigio) e dunque mai pensati, mai concettualizzati (non sono mai esistiti i relativi nomi-concetti-significati-riassunti): essi apparivano nell' esperienza di tanti altri animali non umani, fra cui sicuramente quella di predatori che ne hanno realissimamente divorati parecchi) o di più piccoli animali che ne hanno realissimamente ricevuto sonori calcioni, malgrado non fossero in grado di dare loro un nome, elaborarne un concetto, pensarli linguisticamente).
E contrariamente agli ipppogrifi i quali solo nella fantasia e non affatto realmente possono portare cavalieri sulla luna o altrove, dare calcioni, essere divorati, ecc..
#3027
Citazione di: maral il 14 Gennaio 2017, 23:52:12 PMCitazione Maral:
CitazioneCVC, come ho detto il principio su cui si basa tutto il ragionamento di Severino è la concreta (ossia completa) identità dell'ente con se stesso, se c'è questa identità (che Severino stesso riconosce che in linea di principio può anche essere messa in discussione, ma che se la mettiamo in discussione dobbiamo accettare che nulla più di coerente può essere detto), l'ente, ogni ente per come interamente è, non può che essere eterno, immutabile, dunque il Divenire non c'è, perché gli enti, ognuno di essi, qualunque cosa siano, sono sempre sé stessi e non può esistere alcun tempo in cui questo pezzo di legno che ora è un pezzo di legno sarà cenere, pur rimanendo in astratto il pezzo di legno che era (onde si possa dire che il legno è diventato cenere). Certo, tutto è presente un presente che non passa e non muta. Ogni attimo di questo presente è ente, ma in questo presente si svolge la scena sempre diversa dell'apparire dovuto al continuo richiamarsi reciproco degli enti attraverso la negazione che li lega, dunque il tempo che passa non è che l'illusione del gioco dell'apparire. Che tutto sia presente ci sembra assurdo, ma se ci riflettiamo un attimo non è così, non lo è nemmeno fenomenologicamente: noi viviamo sempre e solo il presente, tutto accade solo adesso, il passato non è più, il futuro non è ancora, entrambi non sono, solo il presente è.
Seguendo il filo di questo discorso non può esserci una sostanza (una essenza fissa) non meglio specificata, ma fondamentale, che non muta, mentre tutti i suoi attributi formali che la specificano di fatto mutano, tale così da rendere possibile il divenire,
appunto perché sono proprio e solo quegli attributi formali, nessuno escluso, che specificano l'ente a mezzo deli infiniti altri enti che quell'ente non è. Questa sostanza è una sorta di idea astratta dell'ente, e, in quanto tale, è qualcosa di diverso dall'ente stesso non l'essenza, se la prendiamo come se ne fosse l'essenza, dice Severino, la prendiamo in astratto, ossia pensiamo l'astratto in modo astratto e questo pensiero astratto dell'astratto è la radice stessa dell'errore.
Certamente il pensiero di Severino (che, ripeto, è assai diverso da quello di Parmenide, in quanto non riguarda l'Essere, ma tutti gli innumerevoli Enti) può sembrare assurdo e ci sono dei punti in cui mi resta oscuro (ad esempio cosa sono davvero gli enti), ma non si può negargli né profondità né rigore logico e filosofico, oltre a un enorme coraggio nel negare ciò che a tutti ci appare tanto ovvio, che le cose passano, che il fuoco (simbolo per eccellenza del divenire fin dai tempi di Eraclito) bruciando trasforma, divora, si trasforma.  

CitazioneRisposta di Sgiombo:

Obietto ben sapendo per esperienza che non ti convincerò.
Spero però di convincere gli altri frequentatori del forum; e a questo scopo basta che illustri i miei argomenti una volta sola, evitando di ricominciare un' altra volta ancora un interminabile botta e risposta; pertanto se ignorerò la tua prevedibile replica non contenente nuove argomentazioni da confutare non sarà certo perché mi avrai convinto (replicherei soltanto a eventuali nuove argomentazioni, cosa che per esperienza ritengo del tutto improbabile accada).



L' ente in quanto pensato, il concetto dell' ente stabilito definendolo arbitrariamente per convenzione "una volta per tutte" (salvo casi eccezionali nei quali per giustificati motivi di chiarezza comunicativa dovuti a fatti intervenuti, soprattutto la miglior conoscenza della realtà che con i concetti viene descritta, o novità culturali o nei rapporti sociali)  è per sempre quello che è e (pretendere di) dire che diviene altro è contraddittorio, senza senso.
Invece l' ente in quanto oggetto (cosa o accadimento reale) può benissimo mutare, anzi di fatto continuamente muta, sia pure talora lentissimamente, di fatto impercettibilmente nel tempo, diventando altro (da legno, cenere, ecc.) senza alcuna contraddizione e insensatezza.
Se le parole in lingua italiana (non in "severinese", che non conosco e non ho alcun interesse ad imparare) hanno un senso, allora, se dicessi che un pezzo di legno segato dal ramo di un albero ieri e bruciato nel camino oggi ieri era cenere e fumo mi contraddirei, ma se dico che oggi è diventato cenere e fumo non mi contraddico affatto (lo farei casomai se dicessi " a la Severino" che oltre a diventare cenere e fumo oggi, dopo la combustione, inoltre è -continua ad essere- anche un pezzo di legno).

Un' esempio di contraddizione logica "severiniana" é questa tua affermazione:

"in questo presente si svolge la scena sempre diversa dell'apparire": "svolgersi" è sinonimo di "divenire", "mutare", e come tale accade nel trascorrere del tempo e non in un "eterno presente".
Infatti "noi viviamo sempre e solo il presente, tutto accade solo adesso [= solo il presente é presente: tautologia! Infatti il passato lo vivemmo e il futuro -si spera!- lo vivremo, N.d.R.], il passato non è più [infatti era prima, N.d.R], il futuro non è ancora [infatti sarà dopo, N.d.R.], entrambi non sono [infatti rispettivamente era e sarà, N.d.R.], solo il presente è [presente; in fatti il passato é passato ed era presente e il futuro é futuro e sarà presente, N.d.R].

In conclusione, essendo uno politicamente scorretto che ama sempre dire pane al pane e vino al vino, ho (e rivendico vivacemente) la presunzione di negare a Severino profondità e rigore logico e filosofico (non l' enorme, ma a mio parere negativo, insano, "coraggio" nel negare ciò che è tanto ovvio).

Mi piace fare come il bambino della favola che dice: "il re è nudo!".

CitazionePer la definizione (arbitraria) di tali concetti, può darsi realtà in quanto tale (per esempio del cavallo Bigio) e realtà di (in quanto) concetto pensato (per esempio dell' ippogrifo Pegaso).
E può darsi realtà concettuale, realtà in quanto concetto pensato, inoltre "accompagnata da", coesistente con (dandosi anche) denotato reale di essa, del concetto pensato: Bigio; e può darsi realtà concettuale, realtà in quanto concetto pensato, non inoltre "accompagnata da", non coesistente con (non dandosi anche) denotato reale di essa: Pegaso.
Certamente Sgiombo, Bigio e Pegaso appartengono a due tipologie di enti diversi (anche l'enciclopedia cinese di Borges, che ho citato nel mio primo post in risposta a Sariputra, li classifica infatti sotto tipologie diverse), ma ciò non toglie che essi siano entrambi concetti, se togliamo il concetto che definisce (a mio avviso per nulla arbitrariamente, ossia non come diavolo vogliamo e ci pare) Bigio, cosa resta di Bigio? No, non dirmi un cavallo reale, perché un cavallo reale è ancora una definizione, forse una sensazione di qualcosa, ma anche questa è una definizione, qualcosa allora ... ma cosa? C'è poco da fare, ci vuole una definizione per dirlo, non la cosa, la cosa di per sé non appare. non si dice! Anche se la definizione non è qualsiasi definizione, una sua ragione ce l'ha e Bigio (qualunque cosa sia prima di essere definito come Bigio, il cavallo di tuo nonno) realmente non è Pegaso e certamente non solo per definizione.

CitazionePegaso é solo un concetto, con una connotazione arbitrariamente stabilita e basta, senza alcuna denotazione reale.
Invece Bigio é sia un concetto con una connotazione (più o meno correttamente, fedelmente, -in- -completamente applicabile alla denotazione reale), sia, inoltre una cosa reale che dal concetto é denotata; e che lo sarebbe anche se nessuno mai avesse pensato il concetto di "Bigio".
Infatti se, allorché era vivo, avessimo tolto il concetto di Bigio (più o meno correttamente stabilito), Bigio avrebbe tranquillamente continuato imperterrito a mangiare fieno, tirare il carro di mio nonno, nitrire, defecare, ecc.; invece se togliamo il concetto (nei racconti, poemi, romanzi, articoli filosofici, conversazioni, ecc. in cui é, compare, realmente accade; come tale: concetto, "roba meramente pensata" -o detta o scritta- e basta) di Pegaso non resta più nulla: non vola più, non nitrisce, non defeca, ecc..

Che poi per parlare di "Bigio", come di Pegaso, debba usare parole le quali (le loro connotazioni) sono altra cosa dal Bigio loro denotato reale (ma non da Pegaso rispettivamente) é ovvio e non equipara affatto la realtà del cavallo al' irrealtà dell' ippogrifo.

CitazioneMa in realtà ciò che é qualsiasi cosa sia potrebbe anche essere (e a quanto pare di fatto é) il mutamento, il divenire
Sì, ma non se quella definizione è un'autocontraddizione, poiché anche se l'autocontraddizione è comunque un'autocontraddizione e tale resta per sempre come ogni ente, essa dice di sé stessa ciò che non è, dicendosi si nega. Il mutamento si autocontraddice perché afferma che una cosa diventando altro da ciò che è (ossia diventando ciò che non è) resta tuttavia ciò che è. dice che esiste realmente un tempo (un reale luogo temporale) in cui questa legna qui, proprio questa legna qui, è cenere.

CitazioneInfatti quella definizione non é affatto autocontraddittoria.

La sarebbe quella "severiniana" che pretenderebbe che il pezzo di legno che ieri é bruciato e ora é cenere e fumo sia inoltre (sempre, e dunque anche ora; oltre che cenere e fumo) anche pezzo di legno incombusto.

Il "divenire" che afferma che una cosa diventando altro da ciò che è (ossia diventando ciò che non è) resta tuttavia ciò che è proprio la definizione autocontraddittoria di "divenire" di Severino; e non quella dei dizionari della lingua italiana, da tutti comunemente usata, che é perfettamente coerente, per la quale invece una cosa diventando (in futuro) altro da ciò che è -ora- (ossia diventando ciò che non è; ora) non resterà affatto tuttavia (in futuro) ciò che è (ora).
Dire che esiste (ora: tempo presente) realmente un tempo (un reale luogo temporale [?]) in cui questa legna qui, proprio questa legna qui, è cenere é la tipica illogicissima contraddizione severiniana, dal momento che invece logicamente si può (e di fatto si deve) dire che esisteva realmente un tempo (prima; mentre ora non esiste più) in cui questa cenere qui, proprio questa cenere qui (ora), era (allora) legna.
#3028
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 22:20:05 PM


P.S. Tra poco entrerò nella ristretta elite degli utenti "storici" del forum, dove mi sembra abbia trovato posto fin'ora, e da poco tempo, il solo Paul11 ( cha Allah lo preservi!). Per l'occasione ho intenzione di festeggiare con un sontuoso e poco buddhista banchetto tenuto nel salone della Villa. Naturalmente siete tutti virtualmente invitati. Potrete conoscere meglio la Vania e la Maddi... ;D

CitazioneScusa la vanità , ma anch' io posso fregiarmi della qualifica di utente "storico".

Anche se fra conoscenza "virtuale" e conoscenza "in senso biblico" ovviamente non c' é confronto (eh, sono il solito "materialista"; secondo l' uso comune del termine, non in senso letterale-metafisico, come ben sai), ti ringrazio di cuore dell' invito
#3029
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 21:44:12 PM
Parmenide ci dice che l'ente è l'essere di una cosa. Questo mi sembra prestarsi a parecchie complicazioni. Il greco era assolutamente convinto che, per il solo fatto di pensare, dobbiamo postulare che qualcosa "è". Ciò che non-è non è possibile nemmeno pensarlo; come può allora essere una parte della realtà? Non-essere, per Parmenide, è pertanto impossibile. Il corollario di questa affermazione è l'impossibilità del cambiamento, dato che il cambiamento comporta tanto l'essere che il non-essere. Per es. quando A cambia in B, A non esiste più. Come si può pensare una siffatta contraddizione? Una qualità non si può cambiare in un'altra qualità; affermare questo significa affermare, a parer mio, che qualcosa "è" e al contempo "non-è". Quindi  l'ente , per poter cambiare, è nel contempo non-ente ( ni-ente?..?.
Inoltre, se l'essere è diventato, deve pure esser venuto o da un essere o da un non-essere. Però se viene da un non-essere è impossibile. Come può un qualcosa venir fuori dal nulla? Se viene da un essere, allora è venuta da se stesso, che sarebbe come dire che è identico a se stesso, e così è sempre stato. Se è questo il caso, non è certo un caso di "divenire". Parmenide , da quel poco che ho letto, è costretto a concludere che da un essere può venire solo un essere, che nulla può diventare qualcos'altro, che qualsiasi cosa ( ente) è, è sempre stata e sempre sarà e che ogni cosa rimane ciò che è. Quindi, alla fine della fiera, può esistere solo un unico, eterno, indiviso e immutabile Essere.
Questo ragionamento, se non sbaglio, è alla base dell'Occidente ( con infinite variazioni ma partendo da..) e di svariate religioni, credi, ecc. ( Sono d'accordo con Apeiron che lo definisce un Errore, con la maiuscola...).


CitazioneCredo in accordo con Apeiron (e probabilmente Donquixote e Phil e altri...; o almeno mi pare che così stiano le cose, ma se mi sbaglio chiedo anticipatamente scusa agli interessati), ribadisco che l' Errore di Parmenide (e di tanti altri occidentali) nasce dal confondere l' "essere realmente" e l' "essere concettualmente (in quanto mero oggetto di considerazione, di pensiero)":

Per definizione ciò che é non può non essere e viceversa; ma ciò vale per "ciò che é qualsiasi cosa sia" (ciò che é é e non può non essere -e viceversa- in assoluto, "per sempre", salvo arbitrarie e convenzionali modifiche dei concetti, che non cambiano la realtà ma -solo la realtà di- ciò che si pensa della realtà).
Ma in realtà ciò che é qualsiasi cosa sia potrebbe anche essere (e a quanto pare di fatto é) il mutamento, il divenire; e se così é, allora ciò che era prima può benissimo non essere adesso o dopo di adesso, e ciò che non era prima può benissimo essere adesso o dopo di adesso: la realtà, che può solo essere come é e non diversamente, può ben cambiare (essere "cangiante", divenire).
#3030
Citazione di: Phil il 13 Gennaio 2017, 18:02:05 PM

Il linguaggio si appropria degli enti (materiali o concettuali o altro) tramite definizioni, ovvero la possibilità di dirne qualcosa a riguardo, ma non bisogna confondere l'essere-parola con l'essere-esistente-empiricamente: finche restiamo aldiquà dei limiti del linguaggio, possiamo parlare di tutto ciò che ha una parola corrispondente (il niente. il silenzio, l'assenza, etc.), pur rispettando le differenze logiche, le negazioni, che distinguono i concetti connessi alle parole. Il parlare dell'ente o del niente non è indifferente: dell'ente possiamo specificare caratteristiche, localizzarlo, etc. del niente ce ne serviamo solo come contrappeso logico, come negazione dell'ente, ma senza confonderlo con esso. Entrambi sono predicabili, ma l'essenza della loro predicazione è proprio l'incolmabile "distanza" logica che li separa.
Mi auguro di essere stato almeno vagamente comprensibile  :)

CitazioneQuesto mi sembra il punto fondamentale per districarsi nel groviglio di significati dei concetti.

Secondo me al fondo della questione sta la differenza fra realtà e pensiero (circa la realtà o meno), fra "essere" (o divenire) ed "essere pensato" (o accadere di essere pensato).
L' essere pensato, se accade realmente, é un fatto reale, che realmente é o accade; ma inoltre é un "tipo molto peculiare" di evento reale, che "allude" a "qualcosa" (tante virgolette, tanta oscurità, lo so) che potrebbe essere reale (l' essere del cavallo Bigio di mio nonno; ovviamente quando era vivo, quando c' era come cavallo vivente; mi scuso ma non conosco altri cavalli presentemente vivi e sono troppo affezionato agli ippogrifi), oppure non essere reale (non del pensiero di esso, ma dell' oggetto di pensiero o di "allusione": il solito ippogrifo Pegaso tanto caro a me, e in fondo anche a Maral).

Per la definizione (arbitraria) di tali concetti, può darsi realtà in quanto tale (per esempio del cavallo Bigio) e realtà di (in quanto) concetto pensato (per esempio dell' ippogrifo Pegaso).
E può darsi realtà concettuale, realtà in quanto concetto pensato, inoltre "accompagnata da", coesistente con (dandosi anche) denotato reale di essa, del concetto pensato: Bigio; e può darsi realtà concettuale, realtà in quanto concetto pensato, non inoltre "accompagnata da", non coesistente con (non dandosi anche) denotato reale di essa: Pegaso.

Secondo me da Parmenide e da Platone in poi (con particolare risalto in Hegel e altri, fra cui Severino; di Heidegger non mi sento di dire per la mia personale ignoranza) il confondere questi due ben diversi concetti (di "realtà" e di "concettualità"), che non necessariamente si danno (accadono realmente) entrambe, é all' origine della gran confusione lamentata dall' ottimo Sariputra, sempre franco, chiaro, profondo: sarà pure un non-cultore ufficiale di filosofia occidentale, ma per me é un ottimo filosofo (e anche autoironico e simpaticissimo; coi tempi che corrono sarà bene che -senza alcuna omofobia, ci mancherebbe altro! Mica ho la vocazione del martire che vuole essere messo in croce!- non sono innamorato del Sari, anche perché sono eterosessuale "di stretta osservanza").

In linea concettuale, puramente logica, l' essere si può anche predicare del non essere (così complessivamente negando, come nel caso di ogni "prodotto" di un numero di affermazioni e un numero di negazioni fra loro uguali o, di di un numero dispari di negazioni; mentre nel caso del prodotto di un numero di negazioni e un numero di affermazioni diverso, se si ha un eccesso -una differenza positiva- di affermazioni si afferma, se si ha un eccesso -una differenza positiva di negazioni- si nega se questo eccesso é dispari, si afferma se é pari); tutto ciò per definizione (arbitraria) di affermazione (essere concettualmente) e negazione (non essere concettualmente).

Nella realtà invece (sempre per le definizioni arbitrarie dei termini qui usati) o si dà -necessariamente- essere (o divenire; realmente) oppure si dà -necessariamente- non essere (o non divenire; realmente): tertium (per esempio "possibile") non datur.


Conclusione a mio parere inevitabile, logicamente cogente: il "possibile" può darsi solo del pensiero (dell' essere o divenire concettualmente), mai della realtà (dell' essere o divenire realmente): si può pensare che Bigio e anche Pegaso esistono e si può parimenti pensare che Pegaso e anche Bigio non esistano.
Ma se nella realtà Bigio esiste (é esistito) e Pegaso non esiste (non é mai esistito) non può affatto darsi anche (lo si può bensì pensare, può darsi nel pensiero, nella realtà meramente concettuale) che Bigio non esista e che Pegaso esista.

Nella realtà: possibile = pensabile (alternativa meramente concettuale e non alternativa reale).

Corollari:

Falsità dell' "argomento ontologico" dell' esistenza di Dio: solo ciò che é - accade realmente necessariamente é - accade realmente, non può non essere - non accadere realmente, qualsiasi cosa sia (e non in quanto connotazione determinata di concetti, come può essere "Dio"; a meno che per "dio" non si intenda "ciò che è reale qualsiasi cosa sia": che sia più o meno  buono o cattivo, onnipotente o impotente, ecc.).

Insensatezza del problema avvertito come "fondamentalissimo" da chiunque sia dotato di "temperamento filosofico", quello del "perché" della realtà in generale e di se stessi in particolare: perché c' é qualcosa, e in articolare quel determinato "qualcosa" che c' é (e nel suo ambito perché ci sono io, così come sono) anziché esserci altro (per esempio un altro, diverso "qualcosa", una realtà che non mi includa) o addirittura nulla?
Risposta: perchè tutto ciò realmente accade, e realmente accadendo non può darsi ce non accada (non c' é alternativa reale possibile; e dunque non c' bisogno di spiegazione alcuna per il verificarsi reale di quella alternativa che si verifica di fatto fra altre possibili; che per l' appunto non si danno).
E' solo concettualmente, come ipotesi del pensiero e non come fatti reali. che si danno altre possibilità (per esempio di un diverso "qualcosa" di reale non includente me; o magari di alcunché di reale): non c' é alternativa da spiegare (bisognosa di spiegazione, senso, ragione, "perché") nel reale, ma solo si dà alternativa nel concettuale, nel pensabile, la cui spiegazione sta nelle definizioni (arbitrarie) di "reale", "concettuale", "negazione" ("non reale", "non concettuale"), "necessario", "possibile", "impossibile", ecc., nel fatto che si può anche pensare ciò che non accade realmente (Pegaso), oltre a ciò che accade realmente (Bigio), e che può accadere realmente anche ciò che non é pensato (un' "infinità" -insieme indefinito-  di cose), oltre a ciò che é pensato (Bigio e un' "infinità" di altre cose).

P.S. delle ore 15, 30: Non avendo ancora letto l' intervento di Apeiron di ieri alle 18:58:33 (col quale credo di sostanzialmente concordare, pur nella mia totale ignoranza della filosofia orientale) al momento di scrivere questo mio, mi scuso per non averlo citato (beh, paradossalmente l' ho citato; per quanto solo ora).