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Messaggi - sgiombo

#3031
Citazione di: Apeiron il 13 Gennaio 2017, 14:40:42 PM



In ogni caso secondo me tempo e spazio restano diversi e separati anche se concordo sul fatto che tra di loro fenomenologicamente ci sia una relazione. Posso ad esempio immaginarmi uno spazio magari riempito di materia dove non accade nulla. E ci si può chiedere se niente accade allora c'è il tempo? Viceversa i pensieri e le ideo non vivono nello spazio eppure sono temporali.

CitazioneSono completamente d' accordo.

Non si dà tempo senza spazio nella materia ("res extensa", oltre che "mutans"); non così nel pensiero ("res cogitanns", pure "mutans" ma solo nel tempo e non nello spazio).
#3032
Citazione di: maral il 12 Gennaio 2017, 10:20:03 AM
Citazione di: sgiombo il 10 Gennaio 2017, 11:31:59 AM


In barba all' eventuale ignoranza dell' albero e dello stambecco (che infatti "scende a balzi da essa", e non "dal nulla"!) la montagna c' é (e c' era anche prima e dopo dell' albero e dello stambecco).
Nell' essere umano, eventualmente, c' é in più il pensiero, la conoscenza (dell' esistenza) della montagna.
A mia volta non ho mai detto che lo stambecco scenda dal nulla o che per lui la montagna sia nulla (cosa anche questa che potrebbe essere solo per un essere umano). Ho detto solo che la montagna appare tale (montagna) solo nel significato che ad essa (qualsiasi cosa sia), in quanto esseri umani, le diamo e in cui le specificazioni che siamo in grado di attribuirle sono il risultato di un modo di sentire e di dare significato a questo sentire e non di una natura in sé della cosa. Posso anche immaginare che per lo stambecco la montagna sia proprio quello scendere e salire a balzi, lo faccio per analogia (e dunque secondo metafora), perché mi sembra che quello che accade mentre accade è la prima sensazione che anche noi umani abbiamo delle cose, prima di renderci conto, secondo il nostro intendimento umano, di cosa sono e quindi di identificarle con questo o quel significato e prima di attribuire a quel significato la valenza di una cosa.

P.S. noto Sgiombo che da utente anziano, ormai sei diventato storico! Diamine, come ci si sente a essere ormai passati alla storia?  :)


CitazioneCaspita, non me n' ero accorto!

Soprattutto di solito si passa alla storia post mortem (sarà che dal momento che all' attimo della morte non ne seguono altri, per il defunto ovviamente, come da te sostenuto e da me negato nella discussione su "cose che non si dovrebbero leggere", mi sembra di essere tutt' ora vivo?).

(Resta, come penso immaginavi, il mio totale dissenso su realtà - pensiero della realtà - significato dei pensieri - conoscenza della realtà.
#3033
Citazione di: Duc in altum! il 10 Gennaio 2017, 20:37:53 PM
**  scritto da sgiombo:
CitazioneMa la questione che affrontavo con Maral non era se la vita sia eterna o meno (so già cosa pensi tu in proposito e non credo che riuscirei a convincerti che sbagli, anche se lo deisderassi con tutto il cuore), bensì se l' istante della morte sia eterno o meno.
Se l'istante della morte fosse come quello dell'attimo in cui ci si addormenta, e poi non ci sarebbe più risveglio, penso, secondo me che sì è eterno. Mi addormento e resto addormentato per sempre. Buio e assenza di coscienza per sempre.
Se invece si dovessero aprire nuovamente gli occhi, o qualcosa di simile percezione, bisognerebbe esserci per sperimentare la probabile possibilità che sia eterno o meno.


P.S. = non potresti convincermi del fatto che sto sbagliando perché l'unica arma a tua disposizione è la tua fede nella fortuna, e io che "forse" sono più fortunato di te non ho mai creduto in essa.  ;D  ;D ;D

CitazioneIo e Maral discutevamo di altre cose.

No, credo che non riuscirei a convincerti per i tuoi pregiudizi acritici che non sei disposto a mettere in discussione (so già che attribuirai, come al solito, pregiudizi acrirtici del tutto analoghi anche a me;  ma in realtà io credo per fede a molte meno tesi indimostrabili né mostrabili che te, solo a quelle che chiunque sia comunemente ritenuto sano di mente per lo meno si comporta come se vi credesse: questa é già una risposta anticipata probabibilmente esauriente alle tue prevedibili obiezioni, che commentei solo nell' improbabile caso contenessero qualche nuovo argomento non da te di gà avanzato e da me di già criticato numerosissime altre volte).
#3034
Citazione di: Duc in altum! il 10 Gennaio 2017, 16:42:46 PM
**  scritto da sgiombo:
CitazioneE' logicamente ovvio che immediatamente dopo l'ultimo istante, per chi lo vive, non c' è più nulla di reale, ovvero c' é "il nulla"; dunque non il prolungamento eterno dell' ultimo istante che precede il nulla, che sarebbe qualcosa di reale.
E no, chi lo vive non sappiamo che cosa è quel che sta sperimentando dopo che diverrà assente in questo pianeta, lo vediamo da testimoni esterni e ci può apparire come se stesse vivendo il nulla (e forse davvero non ci sarà niente di reale, ma non lo possiamo sapere, possiamo solo affidarci alla speranza che sia così), infatti non c'è più nulla del defunto se non il corpo in fase di decomposizione biologica e da ciò posso dedurre che di quell'individuo non c'è più nulla, ma non è ovvio, e men che meno logico in virtù della speranza di chi invece pensa che quel soggetto stia continuando a esistere, questo è ovvio e più che logico.

Risposta di Sgiombo:
Ma la questione che affrontavo con Maral non era se la vita sia eterna o meno (so già cosa pensi tu in proposito e non credo che riuscirei a convincerti che sbagli, anche se lo deisderassi con tutto il cuore), bensì se l' istante della morte sia eterno o meno.

(Sono molto contento per tuo zio; non che sia morto, ovviamente, anche se prima o poi tocca a tutti, ma che sia morto serenamente; e spero che lo abbia letto anche Maral).
#3035
Citazione di: baylham il 10 Gennaio 2017, 15:25:27 PM
Citazione di: bluemax il 10 Gennaio 2017, 12:27:47 PM
si pone un problema di natura "logico".
La mente, questa, non ha nulla a che fare con la materia. La mente ubbidisce alle regole causali (stato mentale successivo dipende da quello precedente e via all'infinito nel continum mentale) la mente non puo' nascere dalla materia (cervello) in quanto seguono leggi causali differenti (materia con materia, mente con mente).

L'istante prima del primo stato mentale DEVE essere per forza di natura mentale e non materiale, l'istante successivo alla cessazione del corpo deve per forza di cose essere di tipo mentale e non materiale. Questa REGOLA UNIVERSALE non puo' essere violata (ed è su questa che si basa la dottrina buddista per quanto riguarda la rinascita, il bardo e successive fasi). Tutto l'universo è governato da tale legge (karma) quindi, per "induzione" è ovvio che la mente non puo' "finire" con la cessazione della "materia".

Del resto l'universo intero insegna. E' regolato da infiniti CICLI. Anche quando si va a "dormire" si sperimenta una piccola morte. ogni giorno è una piccola vita... ed una vita è un piccolo "eone" e cosi' via. :)

il libro tibetano dei morti è "annessi" (dove per annessi vi sono miriadi di libri di "studio" di tal materia) è interessantissimo.


In certe situazioni di meditazione è possibile "isolare" la mente dalla materia e "notare" in cosa consiste la "corretta visione". :)
Del resto... l'errore comune che viene fatto è quello di associare il karma di cio' che non è materiale (la mente) a cio' che invece è materiale (il corpo o mezzo).
Ambedue si influenzano ma viaggiano su binari decisamente differenti.

ciao :)

Tesi incomprensibili, contraddittorie logicamente: se rileggi attentamente sostieni che la mente e la materia sono su piani paralleli che però si intersecano reciprocamente.
Quali sono i piani paralleli della mente e della materia? Che cosa significa stato mentale? Come si influenzano la materia e la mente?
Una domanda: la parola, la scrittura, il mio commento, sono  materiali o mentali?





MI SCUSO PER LA GRAFiCA INCASINATA (quel che segue é un' unico intervento che non sono riuscito a evitare venisse spezzettato in tante diverse citazioni)

Citazione
CitazioneTrovo ineccepibile l' affermazione che mente e materia divengono parallelamente su piani diversi, per la chiusura causale del mondo fisico che non ammette effetti non naturali materiali (per esempio non mentali) sul divenire naturale - materiale.

CitazioneTanto la materia quanto il pensiero (enti ed eventi materiali ed enti ed eventi mentali) di cui abbiamo esperienza cosciente sono insiemi-successioni di sensazioni fenomeniche.

CitazioneI cervelli umani sono enti materiali di cui abbiamo esperienza cosciente; come tali essi sono insiemi-successioni di sensazioni fenomeniche di tipo materiale; essi si trovano nelle esperienze fenomeniche coscienti (di coloro che li percepiscono, osservano); e non (contrariamente a un diffuso luogo comune): le esperienze fenomeniche coscienti sono nei cervelli.

CitazioneLe moderne neuroscienze dimostrano sempre più convincentemente che necessariamente ogni certo determinato evento di coscienza (materiale o mentale) nell' ambito di una certa determinata esperienza fenomenica cosciente necessariamente corrisponde biunivocamente con un certo determinato stato funzionale "di un certo tipo" (ve ne sono infatti anche "di altri tipi" che non sono accompagnati da -corrispondenti a- coscienza) di un certo determinato cervello (e viceversa); e non (contrariamente a un diffuso luogo comune): che ogni certo determinato stato di coscienza si identifica con o é causato da un certo determinato stato funzionale di un certo determinato cervello.

Citazione(Ri-) Propongo (un' altra volta; e mi scuso per le numerose ripetizioni) un' ipotesi per spiegare tutto ciò:
CitazioneOltre alle esperienze fenomeniche coscienti accade realmente (esiste, diviene) una realtà in sé o noumeno tale che nel suo ambito certi determinati enti-eventi (che si possono chiamare "soggetti di esperienza cosciente") corrispondono biunivocamente ciascuno a una certa determinata esperienza fenomenica cosciente; il divenire di ciascuna cosa in sé "soggetto" è separato (incomunicante) da quello della rispettiva esperienza fenomenica, attuandosi essi "parallelamente su piani incomunicanti, reciprocamente trascendenti ma correlati.
Citazione1) Oltre alle esperienze fenomeniche coscienti accade realmente (esiste, diviene) una realtà in sé o noumeno tale che nel suo ambito certi determinati enti-eventi (che si possono chiamare "soggetti di esperienza cosciente") corrispondono biunivocamente ciascuno a una certa determinata esperienza fenomenica cosciente; il divenire di ciascuna cosa in sé "soggetto" è separato (incomunicante) da quello della rispettiva esperienza fenomenica, attuandosi essi "parallelamente su piani incomunicanti, reciprocamente trascendenti ma correlati.
Citazione2) Allorché una cosa in sé soggetto di esperienza (nell' ambito del noumeno) si trova in certi determinati rapporti con certi determinati enti e/o eventi in sé da esso stesso diversi che si possono chiamare "oggetti" della sua esperienza fenomenica cosciente, accadono nell' ambito di quest' ultima certe determinate sensazioni fenomeniche materiali (necessariamente e solo quelle, non altre).
Citazione3) Allorché una cosa in sé soggetto di esperienza (nell' ambito del noumeno) si trova in certi determinati rapporti con se stesso, accadono nell' ambito della sua esperienza fenomenica cosciente certe determinate sensazioni fenomeniche mentali (necessariamente e solo quelle e non altre): si ha in questi casi coincidenza, identità, nell' ambito del noumeno, di soggetto e oggetto di esperienza fenomenica cosciente.
Citazione4) Le sensazioni materiali (contrariamente a quelle mentali) sono intersoggettive perché nell' ambito delle diverse esperienze fenomeniche coscienti di ciascun soggetto corrispondono biunivocamente agli stessi oggetti in sé (diversi dai soggetti; purché ciascun soggetto si trovi nelle stesse relazioni degli altri con gli oggetti), e dunque transitivamente sono reciprocamente corrispondenti fra loro.
Citazione5) Gli stessi eventi in sé (nell' ambito del noumeno) corrispondono (purché si diano determinate relazioni nell' ambito del noumeno stesso) a un certo determinato stato di una certa determinata esperienza fenomenica cosciente (quella di un soggetto che ne è anche oggetto: si tratta quindi di esperienza fenomenica mentale) e a un certo determinato stato fisiologico di un certo determinato cervello (almeno potenzialmente e di solito di fatto indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico) nell' ambito di determinate altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti di altri soggetti (di esse), il cui oggetto è da esse diverso (si tratta quindi di esperienze fenomeniche materiali): quando io penso certe determinate cose, ho certi determinate esperienze mentali (sono in certi determinati rapporti con me stesso), allora chiunque può in linea di principio constatare (nell' ambito materiale della propria esperienza cosciente) che necessariamente il mio cervello si trova in certi determinati stati funzionali e solo in quelli; e quando io ho certe determinate sensazioni materiali (sono in certi determinati rapporti con altri enti/eventi in sé da me diversi), allora chiunque può in linea di principio constatare (nell' ambito materiale della propria esperienza cosciente) che necessariamente il mio cervello si trova in certi determinati altri stati funzionali e solo in quelli.
Citazione6) Grazie per l' infinita pazienza (ai prodi che l' avessero avuta nel seguirmi ancora una volta fin qui).
#3036
CitazioneA DucinAltum:

Invece é proprio che io, come Epicuro e tanti altri, posso "fare a meno di credere, nell'eternità dell'esistenza e della vita" (e inoltre si può vivere bene e morire serenamente), tan' é vero che ne faccio a meno.

Per quanto storicamente documentato non risulta che nessuno prima di Epicuro abbia fatto notare (con grande logica e grande razionalità) l' importantissimo fatto che fin che si vive non si ha esperienza della propria morte e da quando la propria morte accade non si é più vivi: si può temere -da vivi- l' avvicinarsi della morte, ma é assurdo temere la morte in sé (apprezzo comunque che, citando "tossici" e "terroristi" stavolta hai per lo meno lasciato in pace Fidel, ora che é morto; spero e confido serenamente).

Alla tua pretesa che non vi sia differenza fra il credere infondatamente, irrazionalmente (per fede) a quel minimo indispensabile che é poprio di chiunque sia comunemente considerato sano di mente e il credere infondatamete (per fede) al "chi pù ne ha più ne metta" delle religioni "rivelate" ho già replicato infinite volte e non lo faccio più: la logica non va affatto a farsi friggere!

Ed é perfettamente inutile che insinui che a non cerdere a una religione si può sbagliare: ovviamente da uomini ci si può sempre sbagliare, sia che si creda (in una delle tante religioni "rivelate") sia che non si creda (in nessuna).
Sta di fatto (i fatti dimostrano; anche per Maral) che si può benissimo (vivere bene e) perire serenamente senza credere alla vita eterna.


A Maral:

E' logicamente ovvio che immediatamente dopo l'ultimo istante, per chi lo vive, non c' è più nulla di reale, ovvero c' é "il nulla"; dunque non il prolungamento eterno dell' ultimo istante che precede il nulla, che sarebbe qualcosa di reale.

Che la morte di ciascuno siano sempre gli altri a raccontarla non significa che chi testimonia di tante morti serene di non credenti sia un mentitore (in buona o mala fede).

Ciò che mi é sempre premuto di sostenere in questa discussione é che si può benissimo (vivere bene e) accettare serenamente la morte come fine inemendabile, senza alcuna necessaria illusione circa un presunto prolungamento eterno della vita stessa.
E questo mi sembra ampiamente provato dai fatti (anche se si può sempre mettere in dubbio qualsiasi testimonianza).
#3037
Citazione di: maral il 10 Gennaio 2017, 10:18:45 AM

Infatti non ho detto che astrarre significhi costruire metafore, ma che a partire dalle metafore che mostrano delle analogie tra casi concreti, è possibile "astrarre" quelle analogie. In altre parole dico che il pensiero astratto si basa sul pensiero metaforico, non che è il pensiero metaforico.
CitazioneL' astrazione é distinzione di caratteristiche comuni a più casi particolari concreti, la metafora é l' impiego di uno o più casi particolari concreti, solitamente a scopo esplicatoivo al posto di uno o più altri, diversi casi (comunque sempre) particolari concreti.
Esporre metafore é una cosa, operare astrazioni un' altra. La metafora non esce dai particolari concreti, mentre l' atrazione attinge al generale.
Se intendi dire questo sono d' accordo.



CitazioneQui al solito mi è impossibile comprendere (...non c' è metafora che tenga!) la tua solita pretesa, che trovo del tutto infondata e assurda, di attribuire "significati" alle "cose" o agli "oggetti" in generale, mentre le "cose", gli "oggetti" in generale unicamente esistono (se esistono; o accadono se si tratta di eventi), e solo ed unicamente quelle particolarissime "cose" od "oggetti" che sono i "simboli" (verbali o di altro genere) significano qualcosa, ovvero sono dotati di un significato (o più di uno): il Monte Cervino (quello reale, la montagna; non una sua riproduzione, la quale a seconda dei casi può significare ad esempio, una famosa marca svizzera di pastelli colorati, o qualche marca di cioccolato svizzero, o le Alpi svizzere in generale) è e basta; mentre un cerchio blu contornato di rosso e con una barra obliqua rossa posto sul ciglio di una strada o presso un passo carraio, oltre ad essere (esattamente come il Cervino) inoltre anche ha un significato: significa che lì è vietato far sostare veicoli.
Lo so, questa polemica è vecchia tra noi, ma magari un giorno riusciremo a capirci, chissà. Non c'è nessun "Monte Cervino" e nemmeno nessuna "montagna" se non nei significati che questi termini riflettono nell'ambito di una conoscenza solo umana. Per un albero che cresce sulla montagna, per uno stambecco che scende a balzi da essa, non c'è proprio nessuna montagna reale in oggetto, c'è solo nell'essere umano che interpreta il significato delle sue prassi, interpreta quello che vede e quello che fa e dice questa è una montagna e quest'altra una pianura. E non è che per questo un essere umano che vede come da fuori una montagna abbia più ragione dello stambecco che solo vive sulla montagna e la sente solo nel vivere. Certo che c'è qualcosa, questo qualcosa che accade noi la sogniamo come una montagna, lo stambecco la sogna (nel nostro sogno umano del sogno di uno stambecco), come un puro vivere accadendo; è il nostro vivere accadendo (ma non il suo) che produce sogni significanti montagne e significanti stambecchi, sogni che non possiamo scegliere nel loro significare, poiché noi stessi siamo in questi sogni, non sopra di essi a poter vedere come stanno le cose in realtà.  
Ed è per questo che nulla di definitivo potrà mai essere detto riguardo al mondo, al reale, perché pure essendo sempre in esso significa sempre altro, come in un eterno inseguimento il cui scopo è dire l'assolutamente indicibile, perché il dire stesso, nel momento in cui è detto, è già altro, ogni detto sfugge nel dirlo.
Ed è chiaro che questo è una pena per chi vorrebbe definire una volta per tutte come stanno le cose, mentre è una gioia per chi sente l'immensa potenza vitale di questo gioco che non finisce mai, il gioco della conoscenza di cui anche la nostra diatriba infinita, in un certo senso, fa parte.

CitazioneIn barba all' eventuale ignoranza dell' albero e dello stambecco (che infatti "scende a balzi da essa", e non "dal nulla"!) la montagna c' é (e c' era anche prima e dopo dell' albero e dello stambecco).
Nell' essere umano, eventualmente, c' é in più il pensiero, la conoscenza (dell' esistenza) della montagna.

Circa il mondo, il reale, che pure essendo sempre in esso significerebbe sempre altro, come in un eterno inseguimento il cui scopo è dire l'assolutamente indicibile, perché il dire stesso, nel momento in cui è detto, è già altro, ogni detto sfugge nel dirl, qiesto per me é arabo.
Ma non mi procura alcuna pena, anche se ho ben viva dentro me (relativamente appagata; come tutto é limitato e relativo in noi esseri umani) l' apirazione a comprendere quanto meglio possibile (senza alcun delirio di onniscenza) come stanno le cose.
#3038
Citazione di: Duc in altum! il 09 Gennaio 2017, 22:28:14 PM
**  scritto da Sgiombo:
CitazionePer mia fortuna sono fra i moltissimi che credono nell' esistenza di sé (la res cogitans), per niente affatto illusorio ma altrettanto reale della materia (la res extensa), né più né meno, e inoltre anche fra i meno numerosi che non si illudono in un Dio.
Più che esserne certo (il credere) hai fiducia che non sia un'illusione l'esistenza in sé, giacché la sperimenti anche senza avere nessuna prova della sua vera origine: io esisto, quindi me la godo, approfitto di questa opportunità.
Pertanto, siccome non sappiamo se è un'opportunità accidentale o determinata o voluta, se è davvero fortuna non lo possiamo sapere, possiamo però affidarci alla speranza che sia così.

CitazioneOvviamente si può sempre sperare e talora può far bene, talaltra no a seconda dei casi.
Ma ciò non toglie che, come ho obiettato a Maral, si possa anche fare a meno di credere (e ora aggiungo: anche solo di sperare) nell' eternità di se stessi e vivere felicemente e morire serenamente.

CitazioneComunque sia, come ci ha insegnato Epicuro e come molti, oltre a lui, di fatto hanno provato praticamente, si può ben accettare serenamente la morte senza bisogno di inventarsi un Dio che risorga e la sconfigga dandoci (illusoriamente!) una vita eterna.
Non c'è bisogno di conoscere Epicuro per assimilare come morire: si muore e basta; la scelta di come affrontare quell'inevitabile esperienza è personale, in virtù del libero arbitrio. Forse, secondo me, è più essenziale sforzarsi di ragionare sul come vivere appieno questa opportunità di cui beneficiamo, per poi non giungere, in punto di morte, a doversi scontrare con illusioni che non sono da meno di quella della vita eterna promessa da Dio.
CitazioneNon "si muore e basta" ma si muore in modi molto diversi; ed Epicuro e tanti altri hanno dimostrato col proprio esempio, oltre che con l' argomentazione razionale, che si può benissimo accettare serenamente la morte senza illudersi che sia apparente.
Saper morire serenamente non implica certo non aver vissuto la vita degnamente e proficuamente (per sé e per gli altri).
#3039
Citazione di: maral il 09 Gennaio 2017, 22:08:37 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Gennaio 2017, 17:32:43 PM
L' ultimo istante non mi pare possa essere considerato eterno, ma casomai di durata infinitamente breve.
In generale non capisco questa frase (é ironica? E in che senso?).
In senso logico.
Visto dall'esterno (da chi non lo vive e vede morire un altro) l'ultimo istante dell'altro è breve quanto ogni altro istante, ma per chi lo vive, non essendoci altro istante dopo di esso (se è vero che non c'è nulla dopo di esso) per logica non può finire, dunque è eterno.

CitazioneBeh, questa non é logica, é una brillante boutade paradossale.

Letteralmente l' ultimo istante dura per chiunque un tempo infinitamente breve, anche per chi lo vive e non può constatarne la fine e il successivo non essere più reale, che comunque accade immediatamente.
Sarebbe eterno se durasse all' infinito senza cessare, cioè se fossimo congelati per sempre nell' istante della morte prolungantesi senza limite temporale (cosa che non accade), non per il fatto di non constatarne e ricordarne il dopo.

CitazioneComunque sia, come ci ha insegnato Epicuro e come molti, oltre a lui, di fatto hanno provato praticamente, si può ben accettare serenamente la morte senza bisogno di inventarsi un Dio che risorga e la sconfigga dandoci (illusoriamente!) una vita eterna.
Non lo so, solo Epicuro potrebbe saperlo cosa praticamente ha provato in punto di morte, purtroppo non possiamo più chiederglielo.
CitazioneEsiste un racconto dei suoi discepoli, sia pure sospetto di agiografia (comunque molto credibile, stando a quanto -putroppo ben poco- di documentato ci resta di lui, del suo pensiero della sua vita), che lascia ben pochi dubbi.
Inoltre la morte serena di tantissimi altri é ben documentata storicamente (io stesso ho assistito alla morte tranquillamente accettata di un mio collega anni fa e ne posspo dare testimonianza).

#3040
Citazione di: bluemax il 09 Gennaio 2017, 18:08:29 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Gennaio 2017, 17:32:43 PM
Citazione di: maral il 09 Gennaio 2017, 13:17:13 PM
CitazioneComunque sia, come ci ha insegnato Epicuro e come molti, oltre a lui, di fatto hanno provato praticamente, si può ben accettare serenamente la morte senza bisogno di inventarsi un Dio che risorga e la sconfigga dandoci (illusoriamente!) una vita eterna.

Certo... la si puo' accettare o meglio... solo sconfiggendo l'illusione dell' sè la si puo' interamente accettare e, per molti versi, condividerla.

Ma questo avviene per cosi' poche persone, avviene cosi' raramente, e sopratutto è cosi' difficile comprendere l'illusione del "sè" che, tutto sommato, la maggioranza delle persone credo venga comodo illudersi di un Dio. :)
Del resto... ogni religione (o per lo meno quelle TEISTICHE)  tende a carezzare quell' EGO promettendo cose che poi, tanto, non potranno essere recriminate da nessuno.

ciao :)
CitazioneNon mi risulta che Epicuro (né tanti altri che hanno accettato serenamente la morte) avesse "sconfitto la (pretesa, N. d. R.) illusione del sè": parlava e scriveva (anche) in prima persona.

Per mia fortuna sono fra i moltissimi che credono nell' esistenza di sé (la res cogitans), per niente affatto illusorio ma altrettanto reale della materia (la res extensa), né più né meno, e inoltre anche fra i meno numerosi che non si illudono in un Dio.
#3041
Maral:

CitazioneMaral:
Appunto perché nel concetto astratto consiste in "una astrazione di caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti", sostengo che esso ha alla base una serie di metafore che evidenziano proprio quegli aspetti comuni che poi il pensiero astratto separa considerandolo in sé. Questo significa che si parte dalle metafore dei significati, non dagli oggetti in sé esperiti, ma dagli oggetti che, esperiti come significati, presentano nel loro modo di significare qualcosa di comune che li rende l'uno metafora dell'altro, ossia il significato dell'uno allude a quello dell'altro. Le metafore sono fondamentali perché stanno alla base di ogni conoscenza possibile che sempre articola tra loro dei significati, non delle cose. 

Sgiombo:

Astrarre caratteristiche generali da particolari casi concreti non significa proporre metafore: una metafora può essere la sostituzione di un singolo caso concreto a un' altro singolo caso concreto che presenta analogie (e magari dai due singoli casi  concreti è astraibile una caratteristica generale), mentre l' astrazione passa dai particolari concreti al generale ad essi comune.
 
Qui al solito mi è impossibile comprendere (...non c' è metafora che tenga!) la tua solita pretesa, che trovo del tutto infondata e assurda, di attribuire "significati" alle "cose" o agli "oggetti" in generale, mentre le "cose", gli "oggetti" in generale unicamente esistono (se esistono; o accadono se si tratta di eventi), e solo ed unicamente quelle particolarissime "cose" od "oggetti" che sono i "simboli" (verbali o di altro genere) significano qualcosa, ovvero sono dotati di un significato (o più di uno): il Monte Cervino (quello reale, la montagna; non una sua riproduzione, la quale a seconda dei casi può significare ad esempio, una famosa marca svizzera di pastelli colorati, o qualche marca di cioccolato svizzero, o le Alpi svizzere in generale) è e basta; mentre un cerchio blu contornato di rosso e con una barra obliqua rossa posto sul ciglio di una strada o presso un passo carraio, oltre ad essere (esattamente come il Cervino) inoltre anche ha un significato: significa che lì è vietato far sostare veicoli.
 
 
 

Sgiombo:
Sull' autoconoscenza (conoscenza di se stesso -come oggetto di essa-  da parte del soggetto stesso della conoscenza) concordo con quanto scritto, se non erro, da Davintro circa il fatto che la conoscenza non deve necessariamente essere conoscenza integrale della totalità del reale, né conoscenza "in toto" di qualcosa di parziale (in quanto distinto dal resto della realtà in toto, e non della realtà in toto nel suo complesso che sarebbe possibile unicamente a Dio, in quanto "onnisciente" per definizione).

Maral:
Non deve esserlo perché non può esserlo, ma non essendolo (non essendo noi onniscienti e non potendo collocarci fuori da noi stessi) la conoscenza umana, sempre parziale, è infinitamente problematica (e proprio per questo non potrà mai essere definitiva in merito a nulla). Il problema è che se è parziale essa non conosce cosa sta oltre il parziale che conosce e quindi non può nemmeno sapere quanto ciò che sta fuori da quello che conosce determina ciò che conosce (e neppure se lo determina o no). La conoscenza parziale è in quanto tale sempre errata, l'unico modo per correggerla è delimitarla entro quello che si presume sia il suo ambito, ossia contestualizzarla in un contesto che si definisce per via provvisoria, poiché ovviamente anche questo contesto, per quanto lo si voglia formalmente chiudere, è sempre solo parzialmente chiuso. La conoscenza umana è un'opera infinita, dobbiamo rassegnarci a questo.

Sgiombo:
Tutto ciò che è umano è problematico, ma niente di ciò che è umano è infinito, nemmeno la problematicità del suo sapere.
La conoscenza comunque non può mai essere certa, il dubbio scettico non è mai superabile razionalmente.
 
Se una conoscenza è parziale per definizione non è conoscenza di tutto (il reale; né di tutto lo scibile). Ma non per questo non è conoscenza.
 
Che la conoscenza umana sia sempre inevitabilmente limitata e in linea di principio ulteriormente estendibile non mi sembra una cosa a cui "rassegnarsi", ma casomai di cui essere contenti (per mia fortuna sono ottimista).
 
Poi non vedo alcunché di problematico o imbarazzante nell' ovvio possibile (ma non necessario) regresso all' infinito circa la limitatezza delle conoscenze di fatto, la quale è possibile oggetto di ulteriore conoscenza, la quale è possibile oggetto di ulteriore conoscenza, ecc.
 
 


Sgiombo:
Per quel che riguarda l' autocoscienza in quanto sensazione fenomenica, la distinguerei dalla visione (inevitabilmente indiretta, su questo concordo) del mio corpo da parte mia, e la intenderei come il sentire me stesso interiormente come oggetto di questa autosensazione o autosensazioni interiori (dei miei pensieri, sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans) che ne è anche il soggetto.Tutte le sensazioni fenomeniche costituenti l' esperienza cosciente (o coscienza) sono tali (sono fenomeni: "esse est percipi") sia nel caso di quelle materiali che nel caso di quelle mentali; invece i loro "oggetti" e i loro "soggetti" da esse (sensazioni fenomeniche) distinti (e persistenti, o per lo meno che possono persistere anche allorché esse non accadono, indipendentemente da esse: se ci sono, ci sono anche allorché non sono sentiti fenomenicamente, indipendentemente dall' eventuale essere inoltre soggetti e/o oggetti di sensazioni fenomeniche) non possono che essere cose in sé o noumeno.E allora (se c'è) l' oggetto di sensazione può benissimo (essere ipotizzato. Non dimostrato; né tantomeno mostrato, per definizione) essere la stessa cosa de- (identificarsi con) il soggetto (questo è il caso delle sensazioni mentali o interiori: quando penso sento* me che pensa, quando provo dolore sento* me sofferente, quando provo piacere sento* me gaudente); oltre che essere diverso da esso (questo è il caso delle sensazioni materiali o esteriori): non vedo in questa ipotesi alcuna contraddizione, ovvero impossibilità in linea di principio, né alcuna impossibilità di fatto.Secondo la mia personale concezione ontologica "dualistica dei fenomeni, monistica del noumeno" il mio cervello posso vederlo indirettamente (per esempio in uno specchio), perché in questo caso è l' oggetto di sensazione fenomenica cosciente che si identifica con il soggetto (me stesso) ma in quanto percepito "dall' esterno", nella maniera in cui si percepiscono oggetti diversi dal soggetto (dunque "res extensa", i cui elementi o parti per definizione possono darsi sotto diverse prospettive nello spazio percepito), mentre posso sentire "immediatamente" me stesso "dall' interno" in quanto sensazioni fenomeniche costituenti la mia mente, i miei sentimenti, pensieri, ecc. (la "res cogitans").La res cogitans è autosensazione fenomenica immediata, diretta; la res extensa è eterosensazione fenomenica o, nel caso particolare del proprio cervello, autosensazione fenomenica indiretta, "dall' esterno" (e dunque inevitabilmente indiretta e prospettica per esempio attraverso uno secchio o attraverso l' imaging neurologico funzionale), cioè autosensazione nella maniera in cui si danno le eterosensazioni.

Maral:
E' che in realtà non vi è alcun interno o esterno, quindi non vi è una conoscenza immediata dell'interno o dell'esterno, perché questo presupporrebbe un io originario che separa interno ed esterno e che in realtà non è per nulla originario, ma è solo una costruzione fenomenologica più o meno unitaria, a posteriori. 
Tu dici, quello che sento internamente lo sento io e nessun altro, mentre quello che vedo fuori lo vediamo io e gli altri, quindi questo dimostra che quello che sento internamente sono proprio e solo io e sentendolo posso conoscermi e raffigurarmi per quello che sono. Ma questo vale solo quando quell'io c'è e si ritiene autore dei suoi pensieri, sentimenti, emozioni (che comunque non potrà mai comprendere per intero) come se accadessero dentro un involucro che lo nasconde al mondo di fuori. In realtà non c'è alcun involucro, quei pensieri, sentimenti, emozioni sono modi di accadere del mondo che è tutto quello che c'è e di cui ogni "io" è solo un nodo di una rete infinita di relazioni sempre accadenti, un nodo che continuamente si disfa e si rifà in modi diversi e che solo in particolari condizioni può mantenere e riconoscere una propria identità a cui riferire pensieri, sentimenti, emozioni come "miei", perché in realtà essi non sono affatto miei, sono della totalità relazionale per come in questo momento si realizza e per questo momento sembra poter durare. 
 

Sgiombo:
Infatti l' esistenza di un soggetto (e di oggetti) delle sensazioni fenomeniche coscienti non è dimostrabile; ciò che è indubitabile (se accade) è solo l' esperienza fenomenica cosciente.
Ma se esistono (cioè per chi arbitrariamente, indimostrabilmente decida di crederlo, rifiutando lo scetticismo radicale e anche il più limitato solipsismo, che altrimenti non avrebbe alcun senso stare qui a discutere sul nulla di conoscibile), allora tutte le persone considerate comunemente sane di mente per lo meno agiscono come se esistessero esse stesse in quanto soggetti di sensazioni fenomeniche coscienti e come se per lo meno in determinati casi (non quelli dei sogni e delle allucinazioni) esistessero anche oggetti di sensazioni fenomeniche coscienti, da loro come soggetti distinti nel caso di sensazioni esterne ovvero esteriori (materiali) oppure costituiti da loro stessi nel caso di sensazioni interne ovvero interiori (mentali).
 
Non comprendo che cosa possa significare l' affermazione che pensieri, sentimenti, emozioni che comunque non potranno mai comprendere per intero; e che sono modi di accadere del mondo che è tutto quello che c'è e di cui ogni "io" è solo un nodo di una rete infinita di relazioni sempre accadenti, un nodo che continuamente si disfa e si rifà in modi diversi e che solo in particolari condizioni può mantenere e riconoscere una propria identità a cui riferire pensieri, sentimenti, emozioni come "miei", perché in realtà essi non sono affatto miei, sono della totalità relazionale per come in questo momento si realizza e per questo momento sembra poter durare. 
Per me, se è vero un minimo di premesse indimostrabili né mostrabili ma credibili del tutto arbitrariamente, letteralmente per fede (e di fatto credute da tutti coloro che vengono comunemente ritenuti sani di mente; se, ecc.: vedi sopra), io esisto come soggetto di sensazioni di oggetti di esse esistenti come cose in sé, che nel caso siano cose in sé da me diverse mi si manifestano fenomenicamente "dall' esterno di me" come sensazioni materiali, nel caso con me (con miei modi di essere e divenire) si identifichino mi si manifestano fenomenicamente "dall' interno di me" come sensazioni mentali.
#3042
Citazione di: maral il 09 Gennaio 2017, 13:17:13 PM
CitazioneDi fronte alla morte l' uomo non si é limitato ad evocare un Dio che si faccia uomo per risorgere come Dio ma per esempio ha anche proposto con Epicuro la considerazione che finché siamo vivi la nostra morte non c' é, mentre allorché c' é la nostra morte non ci siamo più noi come soggetti coscienti e sue "vittime".
Già e poiché il nulla non potremo mai incontrarlo, l'ultimo istante, dopo il quale non vi è nulla di esperibile, coincide con l'eternità di noi stessi, il definitivo incontro glorioso ed eterno con ciò che siamo.

CitazioneL' ultimo istante non mi pare possa essere considerato eterno, ma casomai di durata infinitamente breve.
In generale non capisco questa frase (é ironica? E in che senso?).

Comunque sia, come ci ha insegnato Epicuro e come molti, oltre a lui, di fatto hanno provato praticamente, si può ben accettare serenamente la morte senza bisogno di inventarsi un Dio che risorga e la sconfigga dandoci (illusoriamente!) una vita eterna.
#3043
Citazione di: maral il 08 Gennaio 2017, 15:47:53 PM

Citazione di: Angelo Cannata il 09 Novembre 2016, 19:51:29 PM
Di per sé proprio l'acquisizione scientifica detta da bluemax potrebbe essere accusata di essere una pretesa di verità, quindi pretesa metafisica, realista, oggettivista, ma in realtà la scienza vera non ha pretese di verità intese in senso metafisico: la scienza fa ricerche e presenta i risultati, molto umilmente.
No, Angelo, te lo dico a te, ex prete, da ex ricercatore. La scienza, anche quella vera, non ha nessuna umiltà, ha la stessa eterna pretesa metafisica che tiene ben nascosta ai suoi stessi occhi: vedere le cose per come stanno per poterle usare, credere di avere in esterno una realtà in oggetto tutta da scoprire. E questa è la pretesa dell'uomo da quando nasce cosciente e la scienza è e resta umana, prodotta dalla coscienza umana che nell'eterno riproporsi del proprio limite vede l'oltre limite che non può mancare per vivere e ancora desiderare. La scienza non è umile perché l'uomo non è umile e non è umile perché, a differenza dell'animale quanto di Dio, l'uomo è sempre in bilico, sa, vivendo, di morire e non può crederci al punto da evocare un Dio che si faccia uomo per risorgere come Dio.

CitazioneMa come un conto é la religione (per come dovrebbe essere idealmente; che é umile, almeno credo, dai lontani ricordi del catechismo seguito da bambino) e un altro conto sono i preti (che, essendo peccatori né più né meno dei non-preti, possono anche essere superbi), non sono forse allo stesso modo i ricercatori e non la scienza (per come dovrebbe essere idealmente: la scienza "quella vera") a non avere di fatto in molti casi umiltà (e a cadere nello scientismo)?

Inoltre non vedo che male ci sia, da parte della scienza, nel cercare di conoscere la realtà naturale - materiale (che é oggetto delle sue ricerche) per come é (limitatamente, com' é ovvio, senza assurde pretese di onniscienza o di onnipotenza, che sono casomai dello scientismo e non della scienza) e non per come arbitrariamente (e dunque quasi di sicuro, almeno per molti aspetti, falsamente) si vorrebbe eventualmente che fosse.

Di fronte alla morte l' uomo non si é limitato ad
evocare un Dio che si faccia uomo per risorgere come Dio ma per esempio ha anche proposto con Epicuro la considerazione che finché siamo vivi la nostra morte non c' é, mentre allorché c' é la nostra morte non ci siamo più noi come soggetti coscienti e sue "vittime".


                                           Firmato: un ex-credente ed ex-molte altre cose; non ex-comunista, contrariamente a tanti miei coetanei, ma comunista tuttora
#3044
Citazione di: maral il 08 Gennaio 2017, 13:18:49 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2017, 10:26:58 AM
A me sembra che le spiegazioni non poggino necessariamente su delle metafore, anche se queste possono aiutare (in un certo senso possono spesso -non sempre necessariamente- svolgere un ruolo euristico nelle spiegazioni, cioè aiutare a raggiungere la comprensione del problema, che però da metafore non é costituita bensì da ragionamenti logici e constatazioni empiriche).
Per esempio per spiegare a un bambino che la terra gira intorno al sole (relativamente alle "stelle fisse") e su se stessa e che se si può cadere nell' errore di pensare il contrario è per l' intrinseca, "connaturata" relatività dei movimenti ci si può aiutare  con l' esempio dell' apparente movimento del proprio treno rispetto alla stazione mentre é quello del binario a fianco a partire (se il bimbo ha avuto questa esperienza), ma non é certo questa la spiegazione (non é il fatto che a partire rispetto alla stazione era l' altro treno che spiega che relativamente alle "stelle fisse" -fin da quando non esisteva alcun treno e per molto tempo anche quando non esisteranno più treni- é la terra che gira su se stessa e non il sole intorno ad essa): la spiegazione dell' una dell' altra apparenza e possibile errore é invece la relatività del moto (la metafora, o in questo caso l' esempio, non spiega ma aiuta a capire)
.
Ma la relatività del moto che regge la metafora dell'esempio, può essere mai pensata e compresa se non attraverso metafore? non è che il concetto astratto della relatività del moto non sia in fondo altro che ciò che lega e si pensa sottostare a tanti diversi accadere che appaiono metaforicamente legati l'uno all'altro e che alla fine, proprio per considerarli tutti insieme li leghiamo in quel solo principio di significare metaforico che è la relatività del moto?  


CitazioneLa relatività del moto è un concetto astratto.
E come tutti i concetti astratti non può essere pensata se non per l' appunto astraendo caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti (nella fattispecie ai moti relativi fra terra, sole, "stelle fisse", ai moti relativi fra treno sul primo binario, treno sul secondo binario, stazione e binari e a un' infinità di altri casi concreti).
Invece le metafore sono sostituzioni di termini proprio con termini figurati, in seguito a una trasposizione simbolica di immagini.
La sussunzione mediante astrazione sotto una legge generale di un caso particolare ne costituisce la spiegazione o comprensione, mentre una (o più) metafora, sostituendo i casi concreti da spiegare con casi figurati attraverso una trasposizione simbolica di immagini costituisce un possibile ausilio alla spiegazione - comprensione.

CitazioneSecondo me bisogna distinguere fra "spezzare realmente" o "separare fisicamente" da una parte e "distinguere mentalmente" o "discernere teoricamente" dall' altra.
Certe cose, come un soggetto autocosciente (soggetto di coscienza ed anche oggetto di coscienza) non si possono fisicamente separare, ma si possono benissimo teoricamente distinguere come funzioni, aspetti, caratteristiche di un' unica, medesima entità reale (o insieme-successione di eventi reali): connotazioni dello stesso denotato reale, come (esempio-metafora, non propriamente spiegazione!) il fatto di essere pensabile in quanto (attraverso il senso o connotazione del concetto di) "stella del mattino" e/o in quanto "stella della sera" dell' unica entità reale che entrambi i concetti significano o denotano: il pianeta Venere.
Dissento quindi dall' affermazione che
Citazionea ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce.
Secondo me a rigor di logica può benissimo esserlo in quanto unica, fisicamente inseparabile entità reale considerata teoricamente, pensata in due diversi modi, ponendo l' attenzione separatamente su ciascuno di due suoi diversi aspetti o caratteristiche che nella realtà sono inseparabili ma nel pensiero discernibili.
Il problema è che il soggetto che conosce non può conoscere, proprio per quanto si è detto, l' "intero" di se stesso, per questo il se stesso che vede in oggetto, nella propria prospettiva, non è lui che conosce determinando la prospettiva in cui si vede. Al massimo se lo immagina, lo vuole così per recuperare la sua unità che sente necessaria. Ciò che non può vedere è proprio il se stesso che sta vedendo, ossia il punto di partenza che lo determina. Può vederlo come riflesso di ciò che gli altri vedono e gli raccontano di lui, ma ciò che gli altri vedono è pur sempre lui che lo vede nella sua parzialità visiva, dunque l'immagine che ho di me, non sono io, proprio perché per vederla io non sono quell'immagine, quell'oggetto in cui mi identifico, anche se mi metto davanti a uno specchio che sembra dirmi questo sei proprio tu.
CitazioneVeramente parlavo di autocoscienza, cioè di coscienza del soggetto (in quanto oggetto di coscienza) da parte del soggetto stesso di coscienza (coscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso), e non di conoscenza del soggetto (in quanto oggetto di conoscenza) da parte del soggetto di conoscenza (conoscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso); ma mi sembra che ci sia un' evidente analogia fra i due casi.
Sull' autoconoscenza (conoscenza di se stesso -come oggetto di essa-  da parte del soggetto stesso della conoscenza) concordo con quanto scritto, se non erro, da Davintro circa il fatto che la conoscenza non deve necessariamente essere conoscenza integrale della totalità del reale, né conoscenza "in toto" di qualcosa di parziale (in quanto distinto dal resto della realtà in toto, e non della realtà in toto nel suo complesso che sarebbe possibile unicamente a Dio, in quanto "onnisciente" per definizione).
Qualcosa si può conoscere anche solo in parte, evitando (fra l' altro) di cadere nel regresso all' infinito per il quale la conoscenza di tale "qualcosa" non implica (e per essere "totale" dovrebbe implicare anche) tale "qualcosa in quanto conosciuto", ovvero la conoscenza di tale "qualcosa", nonché la conoscenza della conoscenza di tale "qualcosa", ecc.
 
Per quel che riguarda l' autocoscienza in quanto sensazione fenomenica, la distinguerei dalla visione (inevitabilmente indiretta, su questo concordo) del mio corpo da parte mia, e la intenderei come il sentire me stesso interiormente come oggetto di questa autosensazione o autosensazioni interiori (dei miei pensieri, sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans) che ne è anche il soggetto.
Tutte le sensazioni fenomeniche costituenti l' esperienza cosciente (o coscienza) sono tali (sono fenomeni: "esse est percipi") sia nel caso di quelle materiali che nel caso di quelle mentali; invece i loro "oggetti" e i loro "soggetti" da esse (sensazioni fenomeniche) distinti (e persistenti, o per lo meno che possono persistere anche allorché esse non accadono, indipendentemente da esse: se ci sono, ci sono anche allorché non sono sentiti fenomenicamente, indipendentemente dall' eventuale essere inoltre soggetti e/o oggetti di sensazioni fenomeniche) non possono che essere cose in sé o noumeno.
E allora (se c'è) l' oggetto di sensazione può benissimo (essere ipotizzato. Non dimostrato; né tantomeno mostrato, per definizione) essere la stessa cosa de- (identificarsi con) il soggetto (questo è il caso delle sensazioni mentali o interiori: quando penso sento* me che pensa, quando provo dolore sento* me sofferente, quando provo piacere sento* me gaudente); oltre che essere diverso da esso (questo è il caso delle sensazioni materiali o esteriori): non vedo in questa ipotesi alcuna contraddizione, ovvero impossibilità in linea di principio, né alcuna impossibilità di fatto.
Secondo la mia personale concezione ontologica "dualistica dei fenomeni, monistica del noumeno" il mio cervello posso vederlo indirettamente (per esempio in uno specchio), perché in questo caso è l' oggetto di sensazione fenomenica cosciente che si identifica con il soggetto (me stesso) ma in quanto percepito "dall' esterno", nella maniera in cui si percepiscono oggetti diversi dal soggetto (dunque "res extensa", i cui elementi o parti per definizione possono darsi sotto diverse prospettive nello spazio percepito), mentre posso sentire "immediatamente" me stesso "dall' interno" in quanto sensazioni fenomeniche costituenti la mia mente, i miei sentimenti, pensieri, ecc. (la "res cogitans").
La res cogitans è autosensazione fenomenica immediata, diretta; la res extensa è eterosensazione fenomenica o, nel caso particolare del proprio cervello, autosensazione fenomenica indiretta, "dall' esterno" (e dunque inevitabilmente indiretta e prospettica per esempio attraverso uno secchio o attraverso l' imaging neurologico funzionale), cioè autosensazione nella maniera in cui si danno le eterosensazioni.

_________________
* Immediatamente, direttamente, "dall' interno". 

#3045
Citazione di: maral il 07 Gennaio 2017, 13:11:00 PM
Tutti tentativi di spiegazione poggiano inevitabilmente su delle metafore e certamente in primis, il fenomeno "coscienza", ma qui certamente il tentativo si rivela di impossibile soluzione, poiché si tratta di spiegare l'origine della coscienza a partire dalla coscienza stessa e un fenomeno non può avere la visione della propria origine, se non poendo l'oggetto di cui pretende di vedere l'origine come altro da ciò che è.
Certo "linguaggio" e "coscienza" hanno in comune lo spezzare l'unità del mondo, il primo lo divide tra segno e cosa, il secondo tra soggetto (individuale o collettivo, che gestisce il significato) e l'oggetto o l'accadimento, il segno in sé. Questo può far ritenere che solo con il prodursi del linguaggio si possa produrre coscienza e autocoscienza, quando anche il soggetto si duplica, così da apparire a sua volta in oggetto, come segno reale di se stesso che interpreta.
Poter dire "questo oggetto sono io" non credo possa essere spiegato semplicemente con il tramonto di un'ipotetica mente bicamerale, anche perché a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce. Paradossalmente si potrebbe sostenere che la mente bicamerale, per quanto meno funzionale, veda le cose più realisticamente di quella non più bicamerale.

CitazioneA me sembra che le spiegazioni non poggino necessariamente su delle metafore, anche se queste possono aiutare (in un certo senso possono spesso -non sempre necessariamente- svolgere un ruolo euristico nelle spiegazioni, cioè aiutare a raggiungere la comprensione del problema, che però da metafore non é costituita bensì da ragionamenti logici e constatazioni empiriche).
Per esempio per spiegare a un bambino che la terra gira intorno al sole (relativamente alle "stelle fisse") e su se stessa e che se si può cadere nell' errore di pensare il contrario è per l' intrinseca, "connaturata" relatività dei movimenti ci si può aiutare  con l' esempio dell' apparente movimento del proprio treno rispetto alla stazione mentre é quello del binario a fianco a partire (se il bimbo ha avuto questa esperienza), ma non é certo questa la spiegazione (non é il fatto che a partire rispetto alla stazione era l' altro treno che spiega che relativamente alle "stelle fisse" -fin da quando non esisteva alcun treno e per molto tempo anche quando non esisteranno più treni- é la terra che gira su se stessa e non il sole intorno ad essa): la spiegazione dell' una dell' altra apparenza e possibile errore é invece la relatività del moto (la metafora, o in questo caso l' esempio, non spiega ma aiuta a capire).

Secondo me bisogna distinguere fra "spezzare realmente" o "separare fisicamente" da una parte e "distinguere mentalmente" o "discernere teoricamente" dall' altra.
Certe cose, come un soggetto autocosciente (soggetto di coscienza ed anche oggetto di coscienza) non si possono fisicamente separare, ma si possono benissimo teoricamente distinguere come funzioni, aspetti, caratteristiche di un' unica, medesima entità reale (o insieme-successione di eventi reali): connotazioni dello stesso denotato reale, come (esempio-metafora, non propriamente spiegazione!) il fatto di essere pensabile in quanto (attraverso il senso o connotazione del concetto di) "stella del mattino" e/o in quanto "stella della sera" dell' unica entità reale che entrambi i concetti significano o denotano: il pianeta Venere.
Dissento quindi dall' affermazione che 
a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce.
Secondo me a rigor di logica può benissimo esserlo in quanto unica, fisicamente inseparabile entità reale considerata teoricamente, pensata in due diversi modi, ponendo l' attenzione separatamente su ciascuno di due suoi diversi aspetti o caratteristiche che nella realtà sono inseparabili ma nel pensiero discernibili.