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Messaggi - Jacopus

#3076
CitazioneHo citato quel brano di Jung perché l'idea da te accennata secondo cui la morale sarebbe una sorta di sedimentazione dei sensi di colpa indotti dall'educazione (è un'idea di Freud?) mi ha fatto rabbrividire. Un'etica fondata sulla colpa è l'opposto di un'etica, poiché si sovrappone e schiaccia - invece di assecondare e coltivare - i naturali sentimenti di moralità, producendo così, non solo rigidità e intolleranza, ma molto spesso addirittura ribellione e tendenze delinquenziali, cioè, il contrario di ciò che l'educazione si prefigge.
Non direi. Posso citarti molti autori che la pensano al contrario ma credo che possa bastare questa voce di wikipedia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Disturbo_antisociale_di_personalit%C3%A0.
E' proprio la mancanza del senso di colpa uno dei criteri per diagnosticare il disturbo antisociale che non è altro che la classificazione psichiatrica del delinquente (più o meno). Per non parlare del cristianesimo che è una religione ma anche un'etica ed è fondata in via principale sul senso di colpa e sul sacrificio. Credo che l'assecondare e il coltivare siano importanti ma non sono sufficienti perché il mondo e l'umanità non è mai così armoniosa e accadono gli incidenti, le violenze, le guerre, gli stupri, gli omicidi degli innocenti, i furti, le truffe. Potremmo dire che il senso di colpa non ci servirà più quando tutti vivremo armoniosamente come nei giornaletti dei testimoni di Geova.

Citazione.Che cose terribili mi racconti.....!!  ..."Adolescenti immorali", ..."fattori fisici, sociali e genetici", ..."formule misticheggianti di Jung"!!!
Posso sapere - ma puoi anche non rispondere - che studi hai fatto e quanti anni hai?
Posso sapere - ma puoi anche non rispondere - a che ti serve sapere quanti anni ho e che studi ho fatto?
#3077
Dire che la morale è una funzione dell'anima non spiega nulla, Carlo.
Phineas Gage fu un operaio che nel 1848 fu trapassato all'altezza dello zigomo da un tubo che trapassò la parte della corteccia centrale prefrontale del cervello, quella stessa parte che si sviluppa definitivamente attorno ai 20 anni (ed è per questo che gli adolescenti sono così immorali). Prima dell'incidente era un uomo irreprensibile, perfettamente integrato nella sua società. In seguito all'incidente pur conservando le sue capacità cognitive e neuromotorie di base, iniziò a bestemmiare, bere, rubacchiare e non riuscì più a mantenersi dignitosamente. Divenne una persona immorale. Phineas Gage proveniva da un ambiente povero, era un immigrato in USA dal Libano e non aveva risorse sociali protettive.
C'è un altro caso, chiamato PGS (phineas Gage spagnolo). Fatto avvenuto nel corso della guerra civile spagnola. Per scappare dalla guardia repubblicana PGS cadde con la testa su un cancello e subì la stessa lesione di Phineas Gage alla corteccia prefrontale. A differenza di Phineas Gage, PGS proveniva da una famiglia agiata, proprietaria di una grande ditta manifatturiera ed aveva una fidanzata che non l'abbandonò dopo l'incidente ma che lo sposò. PGS potè così continuare una vita "normale", essere adibito a compiti semplici nell'azienda di famiglia e nonostante qualche intemperanza dovuta al danno biologico, continuò la sua vita più o meno moralmente e felicemente.
Questo esempio per dire come il discorso sulla morale umana sia estremamente complesso e mi pare  riduttivo trovare la soluzione attraverso le formule misticheggianti di Jung che non conosco così bene ma che non credo riduca il problema della morale a questa semplice descrizione.
Onde evitare equivoci, con questo esempio non parteggio per una visione fisica della "morale", ma di una visione, per dirla tutta, multifunzionale, dove convergono fattori fisici, sociali, genetici e connessi anche al libero arbitrio di ognuno di noi.
#3078
Non voglio assolutamente la "liberazione dalla patriarcalità". Ritengo che alcune intuizioni freudiane siano assolutamente valide sulla base dell'esperienza di lavoro e non tanto teoricamente. Adeguarsi alle differenze gerarchiche è inevitabile ed anche necessario perché risponde al principio di realtà.  Rispetto al fatto che ci sono vie di mezzo invece sono sicuro che ci sono. Anzi molti mali dell'umanità dipendono dal fatto di credere e concettualizzare un mondo manicheo, dove o sei bianco o sei nero, o fascista o comunista, o cattolico o mussulmano, o milanista o interista. Le vie di mezzo sono le vie umane, quelle del compromesso con sè stessi e con la propria debolezza, con la propria capacità di perdonare e di perdonarsi.
Ma anche qui il gioco dialettico si ripropone. BIsognerebbe mantenere vivo il desiderio della via di mezzo, per accettare l'alterità, affinchè gli altri non diventino l'inferno, ma nello stesso tempo difendere la propria identità è quindi realmente essere nero e sentirsi nero ( o bianco).
E' qui che sta la difficoltà. E' come voler conciliare qualcosa che è inconciliabile. Come predicare il liberalismo in un regime comunista. Eppure sento che in questa necessità di conciliazione dialettica vi è qualcosa di importante che non riesco a focalizzare bene.
#3079
Tra l'altro il concetto di verità è ben diverso da cultura a cultura. L'episteme greca è fondata sull'idea che la verità per essere tale deve essere dimostrata: è in qualche modo l'antesignana del metodo scientifico moderno. L'episteme ha bisogno di essere provata. La veritas latina invece è più connessa alla parola indoeuropea vir, che fa riferimento al significato di fede e che nel linguaggio comune ha il suo reperto archeologico nella parola fede e vera che indicano entrambe l'anello nuziale, simbolo principe della fedeltà.
#3080
Buonasera di nuovo Lou. Non sei così ignorante di questi modelli come vorresti far credere ma se vuoi ti indico alcuni libri imprescindibili. A parte questo rispondo alla tua domanda. Credo che il rapporto maestro-alunno sia inevitabilmente segnato dalla differenza, gerarchica, di ruolo, generazionale. Fingere che non vi sia porta a perversioni e/o disagio sociale e psicologico, esattamente come accade in famiglia. Il padre deve fare il padre, non l'amico dei figli.
Però premere sull'acceleratore della differenza crea dei sudditi, crea la sottomissione, crea l'alienazione che si trasmette dalla famiglia alla società. Considerare invece come buona solo la dimensione della reciprocità e del "buon selvaggio" produce una società narcisistica, incapace di reggere le frustrazioni, fusionale e dedita al divertimento spicciolo.
Orbene, a me sembra che per opposte esigenze funzionali agli interessi di dominio sul mondo ma disfuzionali rispetto ad una sana psiche individuale, si stia contemporaneamente promuovendo un ritorno alla società del dominio e della sottomissione, quasi per opposizione ad una società vista come eccessivamente permissiva, ed anche una società indifferenziata e apparentemente egualitaria, dove il narcisismo viene elevato a massima virtù, in relazione alle sue propensioni al consumo di beni e servizi.
Ovviamente credo che salvo situazioni molto limitate nel tempo e nello spazio, le istituzioni sociali abbiano avuto e continuano ad avere  tutto l'interesse a creare psicologie distorte e disfunzionali, proprio perché fondate nel 99 per cento dei casi su rapporti di dominio e sottomissione.
Ed allora mi chiedo se quella democrazia vagheggiata e idealizzata nel corso degli ultimi duemilacinquencento anni invece che sostenersi nel dibattito politico e nella storia delle idee, non debba essere fondata su un ripensamento dei rapporti umani a partire dalla famiglia e dei rapporti genitori-figli o nel rapporto uomo-donna.
E mi domando ancora se per far questo non sia necessario equilibrare come dei funanboli il lato della differenza gerarchica che è inevitabile con il lato della reciprocità intersoggettiva. Ma soprattutto mi domando come fare questo nella "vita pratica", poichè queste sono belle parole ma come si mettono in pratica?
Il principio di base dovrebbe essere quello di "mettersi nei panni degli altri" ed aspettarsi contemporaneamente che anche gli altri si mettano nei nostri. Nello stesso tempo la storia non passa invano. Il respiro lungo della storia, secondo Braudel, ancora si fa sentire attraverso i confini dell'impero romano, che ancora segnano le identità e i percorsi sociali dell'Europa.
Questo lo dico perché connettere un discorso psicologico individuale o familiare a un discorso sociale è estremamente complesso è implica infinite varianti.
Eppure ora noi abbiamo gli strumenti culturali per pensare a questo cambiamento, così come siamo in grado di vedere le forze contrarie a questo possibile cambiamento, che sono quelle cui fa comodo mantenere questo tipo di dominio, ancora più potente e radicato nel momento in cui viene fissato nelle dinamiche originarie dei rapporti familiari.
#3081
Buonasera Lou. Penso che descriviamo una concettualizzazione abbastanza simile che fa riferimento alla psicoanalisi relazionale, che dal riscoperto padre putativo Ferenczi giunge fino a Bromberg. Quello che volevo esprimere non era tanto la bontà della visione relazionale contro la cattiveria della visione gerarchica implicita nel complesso di Edipo, nè vagheggiare un apollineo mondo privo di conflitti. Si tratta di concepire a livello mentale la copresenza di un modello edipico che conserva la sua validità, al quale va innestato in modo piuttosto paradossale o meglio aporetico un modello relazionale.
Il modello edipico struttura la nostra identità e ci permette di non frammentarci nel sentimento oceanico, nel perturbante. Associarlo all'unico metodo di interpretazione dello sviluppo e della maturazione psichica dell'uomo conduce però all'oggettivazione del mondo secondo il modello espresso da Adorno e Horkheimer in Dialettica dell'Illuminismo, da Ulisse in poi. D'altro canto, essere condotti esclusivamente dal modello relazionale non ci permette l'identificazione e non avrebbe permesso la storia umana così come la conosciamo con i suoi orrori e i suoi splendori.
Allora mi domando se concettualmente sia possibile immaginare una modello di sviluppo della psiche umana che possa tener conto di entrambe le visioni per garantirsi l'autonomia e l'identità ma preservare anche la relazionalità affinchè la strumentalità non diventi l'unico principio, poichè a me sembra che per quanto la psicoanalisi sia in crisi, il modello freudiano, scientifico, gerarchico, neutrale, osservativo, tassonomico sia quello che ancora domina a livello di processi culturali e di spiegazioni della mente, a meno di non voler abbracciare teorie strettamente fisicaliste o spiritualiste. Insomma quello che mi gira nella "mente" in questi caldi giorni di agosto è come buttare l'acqua sporca e tenere il bambino, o meglio ancora come fare a mettere il bambino in una nuova tinozza con un nuovo tipo di acqua per produrre un mutamento che si sviluppi dal rapporto diadico o triadico familiare a quello più estesamente sociale.
Il tutto non è chiaro neppure a me e quindi immagino che non sia facile seguirmi.
#3082
Come argomentazione mi sembra un po' povera. Potrei rispondere dicendo "un filosofo che predica qualsiasi cosa senza argomentarlo dovrebbe dedicarsi a qualcos'altro.
#3083
E' un discorso complesso. Parte dai rapporti di famiglia, da come un discorso di potere gerarchico venga avviato nel rapporto genitori-figli. E' del resto inevitabile. A meno che non si vogliano allevare dei piccoli despoti, i figli devono comprendere il senso del limite sessuale e generazionale, quello insomma predicato da Freud con il suo famoso complesso di Edipo. Quella visione però insistendo sulla separazione dell'individuo, tenuta ferma dal Padre-super-Io, dimentica o comunque pone in secondo piano la relazionalità fra gli individui. L'individuo per affermarsi deve essere autonomo, rispondere a sè stesso, diventare una sorta di monade dotata di un ampio senso morale, scaturito dal senso di colpa. Nel momento in cui affermandosi come singolo, estromette il mondo da sè stesso, afferma la possibilità di oggettivare il mondo, ovvero di gestirlo a suo uso e consumo. In questo senso vedo un forte nesso fra la psicoanalisi classica e l'approccio della scienza nei confronti della realtà.
Questo discorso potrebbe essere definito come il prototipo arcaico del rapporto servo-padrone, dove il rovesciamento non avviene tanto nell'ambito della proprietà dei luoghi, quanto nella proprietà del tempo, ovvero nella dimensione generazionale: il figlio, una volta diventato padre, perpetuerà lo stesso rapporto servo-padrone e così via. Si tratta della introiezione profonda nell'intimità delle dinamiche familiari dei ruoli gerarchici e dei rapporti di dominio.
A questa prospettiva se ne potrebbe affiancare un'altra più democratica, fondata sulla relazione fra soggetti che si pensano alla pari, perchè intersoggettivamente comuni. Una prospettiva del genere renderebbe però vano tutto il discorso dell'autonomia e dell'affermazione dell'homo occidentalis, con quanto di positivo esso ha apportato alla cultura dell'uomo. Una prospettiva che sarebbe materna, a differenza della prima prospettiva tipicamente paterna.
Entrambe le visioni mi appaiono contemporaneamente portatrici di valori positivi e negativi e la risoluzione verso una nuova dimensione emancipatoria dovrebbe in qualche modo rendere possibile la coesistenza, l'equilibrio fra queste due visioni, quello dell'autonomia e dell'identità (che ho inserito attraverso il mito freudiano di Edipo), e quello della intersoggettività, del rispecchiamento fra individui eguali, realizzata attraverso la comunicazione e la relazione.
#3084
CitazioneE' molto importante in cosa ci identifichiamo, in che cosa è "io" e "noi". Più questo campo è ristretto ad una tradizione, una nazione, una cultura, una tribù, più in nome di essa le persone sono capaci delle più efferate nefandezze. E nessuno nega che quando la nostra sopravvivenza era al vaglio, questo fosse necessario. E non come effetto collaterale di qualche scoperta, ma come voluto risultato e anelito più profondo del proprio io. Se qualcuno che ha studiato un po di storia ha da spendere un nome, non due ma uno, per una persona che abbia calcato questa terra  e senza identificarsi in una singola tradizione e avvocandosi come "suo difensore\propagatore" si è macchiato di atti riprovevoli  ed è rimasto impresso sui libri di storia per ciò, lo citi, lo sfido. Si dirà "la morale era diversa, non si può giudicare gli antichi attraverso la "teologia dei diritti umani" moderna".
Si dica pure, e intanto sia oggi che ieri, quelli che abbiamo considerato "i buoni e i grandi" sono sempre stati quelli che hanno cercato di unire, di mettere in relazione, anzichè dividere, magari anche "portando la spada" ma in un ottica di un unione futura superiore a tutte le altre. Nessuno vuole le persone che portano problemi, tutti cercano persone che portano soluzioni, relazioni. Io non so che cosa tu intenda per "politeismo", ma se intendi mettere in relazione le diverse culture, senza tentare di distruggerle nel processo comprimendole (e perdendo perciò la relazione), io sono con te, e in questo penso che sopratutto gli altri cristiani dovrebbero esserlo, avendo una trinità, una relazione, come loro "padre". Purtroppo si sta buttando via il bambino e l'acqua sporca, e io onestamente me ne dispiaccio,  ma se per salvare il bambino bisogna giungere ad affermare che "prima l'acqua era pulita" beh non fa sopresa che nessuno ci creda quando ha ancora la bocca che puzza di lercio dopo averla bevuta, e corra ai ripari con metodi più drastici.
Sull'universalismo dei valori non ci credo più molto. Sarebbe già notevole tutelare i nostri valori italiani ma non in un senso aggressivo, semplicemente, ancora una volta, diffondendo cultura. Se gli italiani mediamente fossero più colti si accorgerebbero ad esempio di vivere su una immensa miniera d'oro: il nostro patrimonio artistico e culturale. Invece sull'ignoranza prosperano infinite rendite che sottraggono risorse agli sfortunati e alle generazioni future. Vivo in Liguria, regione fatta scempio dai palazzinari trenta anni fa. Eppure ancora oggi si vedono proliferare costruzioni antiestetiche, brutte, prive di ogni riferimento con il territorio, che rozzi lombardi acquistano a cuor leggero.
E' un esempio banale, circoscritto ma serve proprio per spiegare che l'unione, le relazioni nascono dalla comprensione e la comprensione dalla cultura e la cultura ci fa necessariamente relativisti, perché dopo aver letto il libro dei libri abbiamo letto molti altri libri ed abbiamo scoperto quello che Amleto dice ad Orazio. Il politeismo è questo, una sorta di politeismo sociale, saper accettare le idee, i modi di fare degli altri, accettare anche l'ibridazione, perché la vita è continuo rimescolamento. Chi crede nelle divisioni etniche è un illuso che non ha studiato bene la storia dell'uomo. Le uniche idee che vanno combattute sono quelle che usano la violenza fisica o culturale o psicologica, o la propaganda per avere il predominio e queste idee si diffondono assai meglio laddove la cultura è assente.
#3085
Citazione"Ci sono più cose in cielo e in terra Orazio di quante ne sogni la tua filosofia" diceva Amleto. Limitare arbitrariamente la propria "conoscenza" del mondo (come quella del professore del film) escludendo tutto ciò che sta al di fuori di essa perchè non lo si riconosce, o non lo si comprende, o lo si ritiene irrilevante significa di conseguenza condannarsi alla sua incomprensione. Inoltre, come diceva Nietzsche, "Tutte le cose sono incatenate, intrecciate, innamorate", dunque tutte concorrono come concause al verificarsi dei fenomeni. La metafisica è la scienza del "tutto" e dunque ogni visione particolare deve essere inserita nella visione universale in maniera da mantenere l'equilibrio complessivo, e siccome quella della scienza è una visione particolare la sua assolutizzazione conduce alla formazione di uno squilibrio nella conoscenza che avrà conseguenze devastanti. Non vi può essere paragone fra metafisica (o, in un ambito più ristretto, religione) e scienza perchè è come paragonare la medicina intesa come scienza della salute del corpo umano con la pneumologia che si occupa della salute di una sola parte. Se si mette queste ultime sul medesimo piano e si considera "legittimamente opinabile" la prevalenza di una rispetto all'altra andrà a finire che avremo un morto con i polmoni sanissimi (ma siccome il funzionamento di questi ultimi dipende dal resto del corpo anch'essi ovviamente moriranno). Se condividi la visione organica del mondo ti dovrebbe essere facile anche dedurre le medesime considerazioni, e i "valori etici" di cui parli sono comunque deduzioni tratte dalla conoscenza metafisica ma, essendo elaborati da umani, saranno diversi fra loro e a volte anche "sbagliati", come nel caso di una civiltà che considera l'essere umano "moralmente superiore" a qualsiasi altro ente e dunque pone come "imperativo morale" la salvaguardia del medesimo (e addirittura della sua mera "vita biologica") a prescindere da qualsiasi altra considerazione, gettando in tal modo le basi della costituzione di uno squilibrio nel "funzionamento" del mondo dalle conseguenze necessariamente negative.

Buonasera di nuova Don. Scusa il ritardo delle risposte ma ho una vita movimentata. Capisco il tuo discorso ma, "secondo me", è facilmente attaccabile perché fondato su una visione teorica che non tiene conto della storia. Nella storia invece le religioni monoteistiche non sono state così olistiche come ritieni. Il Dio degli eserciti distingueva bene i suoi dai nemici che faceva di solito friggere nella genna, dopo averli affidati al braccio secolare, eventualmente. Nella mia ormai sclerotizzata visione del mondo non vedo facilmente il male, anzi spesso cerco di vederlo su di me piuttosto che sugli altri, ma se dovessi scegliere un "male", allora lo applicherei ad ogni forma di assolutismo e il monoteismo è una forma di assolutismo piuttosto pervasiva. Non sono contrario al senso religioso e alla spiritualità che può manifestarsi in mille forme ma credo che il monoteismo abbia molto a che fare anche con lo spirito scientista, ne è in qualche modo l'antesignano, così come con lo spirito che H. Arendt ha definito totalitarismo. Per lo stesso motivo ripudio il comunismo, che sulla carta potrebbe essere considerato il migliore dei mondi possibili, ma che nella realtà ha creato un universo concentrazionario e la riduzione degli uomini ad automi. Ed anche il neoliberismo spesso ormai acquista gli stessi connotati di verità, di unidimensionalità che impoverisce il pensiero e la critica.
Preferisco un mondo imperfetto, dove si possa lottare liberamente, dove ci sia spazio per la dignità di ognuno, ma senza voli pindarici perché il meglio è nemico del bene, di questo sono più che certo. E' un pò come pensare ad uno spazio democratico, realmente democratico, in cui ci si possa confrontare liberamente, come nel suo piccolo in questo forum. Il "bene", "l'armonia", "l'equilibrio", chi decide in cosa consistono? Scusami ma ho molte difficoltà a credere che lo spirito religioso nelle sue interpretazioni storiche possa essere di aiuto. Se invece pensiamo ad una forma di metafisica ancora da realizzare entriamo nel campo dell'utopia e allora nulla mi vieta di credere che anche il nazionalsocialismo, quello vero mai sperimentato, non quello storico, sia un toccasana per l'intera umanità.
Un discorso simile si può fare sui "valori etici". Mi rendo conto che sono valori relativi, fondati sul qui e ora, ma la mia visione del mondo ormai rigidina mi dice che questa è l'unica strada. I valori etici si costruiscono insieme attraverso mille discussioni, forum, lezioni universitarie, fogli di giornale, attraverso i mille mezzi comunicativi che abbiamo. Ma per fare questo in modo serio, circostanziato, argomentato, occorre una cosa di cui si sente sempre di più la mancanza: la cultura. Pensavo proprio oggi alla disparità di numeri fra questo piccolo forum, dove saremo un centinaio di persone a scambiarci pareri e opinioni serie, documentate mentre milioni di persone vomitano insulti e idee violente su altri social forum ben più famosi. Bisognerebbe invertire le proporzioni per costruire un'etica che possa condurre responsabilmente le nostre azioni, senza dover riferirci ad esseri sopranaturali, che sono, detto per inciso, le nostre proiezioni dell'infanzia felice, quando i nostri genitori erano, a nostri occhi, delle divinità.
#3086
Buonasera Don. Non capisco davvero. Se vuoi porre la metafisica sopra la scienza è una tua scelta legittima e puoi definire bestemmiatore chi non segue questa linea, ma è proprio questo pensiero assolutistico che mi è estraneo. Non sono certo io a voler santificare la scienza e spero che si sia capito, come credo che un essere umano dipende molto dal suo corpo e da come lo cura ma anche da altre cose, che indirettamente influenzano il suo corpo. Basti pensare che i nostri pensieri influenzano la stessa struttura organica plastica del cervello, per non parlare delle azioni.
Spero che il mio pensiero sia legittimo come il tuo, che non qualifico come bestemmia ma semplicemente come opinione passibile di critica come ogni discorso umano, anche eventualmente inerente il sovraumano.
Che la metafisica debba controllare e dirigere la scienza, sono d'accordo anche su questo, anche se più che di metafisica parlerei di valori etici costruiti attraverso la storia umana. Non credo ci convenga dimenticare quando la "metafisica" zittiva gli scienziati mostrando loro gli strumenti di tortura se non avessero ripudiato le loro teorie blasfeme ma scientificamente "vere" (fatto realmente accaduto a un certo Galileo Galilei).
Sul resto del discorso sono completamente d'accordo. Dovremmo pensarci di più come un organismo unico, umanità, natura, pianeta terra.
P.S.: a proposito di Kieslowski: è abbastanza chiaro che parteggia per la metafisica, ma il rovesciamento di ruoli, Il Dio-macchina, lascia ampio spazio ad una valutazione ambigua, tipica di ogni grande opera d'arte.
#3087
Ho seguito il tuo consiglio e visto il film che non fa che rafforzare il mio principio politeista. Che sia scienza o religione quando la fede ti toglie la capacita' di vedere si diventa disumani e a farne le spese siamo noi stessi.
#3088
Che la verità scientifica sia tale lo dimostra l'evoluzione delle scoperte scientifiche degli ultimi 400 anni. La capacità di descrivere il mondo fisico, sia pure attraverso una mappa, è innegabilmente attendibile. In questo contesto l'uomo di scienza si pone all'esterno dell'oggetto e come un entomologo può vivisezionare il campo della sua ricerca, attraverso la misurazione, la verifica sperimentale e quant'altro.
Il problema che Carlo mi sembra abbia ben colto è la colonizzazione di questo metodo a tutto il resto, una colonizzazione ad esempio corroborata dalla credenza che la politica possa essere innalzata ad un livello più logico e razionale attraverso l'applicazione della scienza (infatti c'è un corso di laurea che si chiama "scienze politiche"), così come i rapporti umani più intimi o la stessa motivazione dell'agire umano.
In questo processo vi è un intento pericoloso, perché sottrae alla discussione pubblica la decisione, delegandola agli "specialisti". Specialisti che sono parte stessa dell'oggetto che vorrebbero studiare e per questo motivo sono portatori di interessi che inevitabilmente influenzano le loro decisioni. Si mette in atto così una mirabile opera di disumanizzazione, e la scienza da fattore emancipativo diventa uno "istrumentum regni" finalizzato al perpetuarsi di un processo capitalistico illogico e destinato all'autodistruzione.
Infatti solo una razionalità non scientifica può indirizzare la scienza, i suoi metodi, le risorse necessarie per le ricerche. Una razionalità che possiamo chiamare "etica" per distinguerla da quella scientifica e che rimanda alla necessaria distinzione fra conoscenze delle spirito e conoscenze della natura.
#3089
Quando si parla di scienze si dovrebbe distinguere fra scienze dello spirito e scienze della natura, o soft e hard sciences. Prendiamo l'esempio dell'albero di Apeiron. Da un punto di vista semantico il discorso su mappa e territorio è valido. L'albero sarà definibile in tanti modi diversi quanti sono gli osservatori, poichè ogni osservatore collega il proprio significato di albero ad una propria ed unica famiglia di altri nodi semantici. Ma dal punto di vista scientifico naturale, quell'albero è misurabile attraverso la tassonomia, la chimica e le scienze forestali (che non conosco ma che immagino possano misurarlo). Grazie a questa misurazione marco un nome all'albero e ne delineo le proprietà, genericamente ripetibili per ogni altro esemplare di quella specie, ne comprendo i processi di crescita e posso sfruttarlo meglio come risorsa economica.
E' questa la forza e la debolezza della scienza moderna. Il principio di misurabilità porta con sè quello della ripetibilità, della produzione in serie, della omologazione. In questo senso è illuminante ad esempio il libro di Benjamin sull'opera d'arte al tempo della sua riproducibilità.
La scienza ci ha aperto un campo di conoscenza inestimabile, ha reso le nostre civiltà più tolleranti, ha allungato la vita media e ha reso la nostra vita più confortevole. Ma abbiamo pagato un prezzo che con il passare del tempo diventa sempre più salato. Non c'è più un riserva di senso, che possa ridare vita alla parola "meraviglioso". Tutto è scoperto, tutto è spiegabile da una pletora infinita di saccenti e il mistero, l'oscurità, il fantastico di cui si nutre inevitabilmente la natura umana viene relegato ai primi anni di vita per poi scomparire.
Detto questo la scienza è un metodo, né più, nè meno. Può aver rafforzato indirettamente l'ideologia materialista ma va distinta da essa.  Tutto ciò che riguarda gli aspetti interiori dell'uomo, l'arte, la morte, l'amore, la mente, il  libero arbitrio, la religiosità, sono appannaggio di altri stili di comunicazione e la scienza dovrebbe considerarli esterni al suo campo d'azione, proprio per preservare quegli universi di senso che non sono stati colonizzati dal sapere razionalizzatore e che servono anche alla ragione per non cadere in un sistema assoluto e monoteistico.
#3090
Tematiche Filosofiche / Re:Vita
17 Agosto 2017, 12:27:30 PM
Secondo Freud il senso della vita si riassume in due scopi: lavoro e amore. Risposta straordinaria se si considera che e' stata pensata da un cocainomane.
Un altro mio maestro di gioventu' si limitava a dire che "bisogna coltivare il proprio giardino". Si narra che Tolkien amasse dire che per una vita felice fosse sufficiente una scorta di te e una biblioteca ben fornita. Per San Francesco occorreva invece donarsi agli altri.
Per me invece il senso della vita e' guardarsi indietro e giudicare senza sentimentalismi cio' che si e' fatto di positivo.