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Messaggi - sgiombo

#3076
Tematiche Filosofiche / Re:Coscienza
12 Dicembre 2016, 20:00:33 PM
Citazione di: pepe98 il 12 Dicembre 2016, 13:43:15 PM
Allora avrei dovuto formulate meglio: i cosiddetti egoisti sono egoisti in quanto favoriscono se stessi senza pensare agli altri. I cosiddetti altruisti sono in realtà anche egoisti in quanto favorendo gli altri favoriscono in realtà sé stessi. L'altruista vero(che nella mia filosofia è il saggio, se gli "altri" sono maggioranza rispetto al singolo) è tutt'altra cosa: favorisce gli altri anche a costo di andare contro la propria coscienza individuale.
CitazioneChiunque, egoista o altruista, cerca di soddisfare le proprie esigenze, e se le soddisfa é contento, se non le soddisfa scontento (questo per le semplici definizioni di "esigenza" o "aspirazione", "soddisfazione" o "insoddisfazione", "contentezza" o "scontentezza").

Ma quel che conta é che l' altruista ha l' esigenza di fare del bene agli altri (se ci riesce ovviamente é contento -e non: egoista!- altrimenti no), mentre l' egoista ha l' esigenza di fare solo il bene proprio anche attraverso il male altrui (e idem circa la soddisfazione o meno delle sue esigenze, opposte rispetto a quelle dell' altruista)

egoismo/altruismo =/= soddisfazione/insoddisfazione.
#3077
Tematiche Filosofiche / Re:Coscienza
12 Dicembre 2016, 09:09:40 AM
Citazione di: pepe98 il 11 Dicembre 2016, 19:57:19 PM
Ció che a noi interessa non è il bene o il male, ma l'essere in pace con la propria coscienza individuale, e questa è la più grande forma di egoismo, che soltanto un saggio (disumano) puó essere disposto ad abbandonare, per il bene a costo della propria piace interiore.


CitazioneBeh dipende.

Se si é egoisti essere in pace con la propria coscienza vuol dire comportarsi egoisticamente, se si é altruisti comportarsi altruisticamente.

Soddisfazione (essere in pace con la propria coscienza) =/= essere egoisti.

Insoddisfazione (non essere in pace con la propria coscienza) =/= essere altruisti.

Sia l' egoista che l' altruista é soffisfatto, felice nella misura in cui le rispettive apsirazioni sono appagate, é insofddisfatto, infelice nella  misura in cui non lo sono.

Ma le aspirazioni (soddisfatte o meno) egoistiche sono tutt' altra contraria cosa che le aspirazioni (soddisfatte o meno) altruistiche, e per soddisfare le une bisogna comportarsi ben diversamente, contrariamente che per soddisfare le altre.
#3078
Citazione di: bluemax il 09 Dicembre 2016, 12:39:33 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Dicembre 2016, 10:37:23 AM
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PM
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PME' evidente che c' è stato un fraintendimento da parte mia.
Infatti avevo inteso la tesi buddista da te accennata in apertura di questa discussione ("Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo") nel senso che, se questo vale anche (e dunque non solo) per la mente, allora vale anche, esattamente allo stesso modo per il mondo materiale, cervello compreso (cioé per tutti i fenomeni, per quelli materiali esattamente come per quelli mentali).
Da quanto scrivi ora evidentemente non è così, dal momento che tu (e con te il buddismo?) ritieni (secondo me erroneamente) i cervelli (e credo, e se segui fino in fondo la Churchland è certamente così, la materia in generale) non affatto "vacui", ovvero privi "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
E' evidente, se segui la Churchland, che per te solo la mente, e non il cervello é "vacua" in questo senso, mentre la materia (che comprende i cervelli) non è affatto priva "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
Mi dispiace per il fraintendimento: " come non detto" ciò che affermavo nel precedente mio intervento.

no... forse siamo andati fuori percorso :) colpa mia... ti spiego cosa intendevo dire in poche parole.
Il buddismo asserisce (e secondo me giustamente avendo fatto studi scientifici è del tutto logico ed evidente) che ogni fenomeno "composto" è per sua natura impermanente, (1° sigillo), ogni fenomeno è privo di un sè (4° sigillo).
Ovviamente sia la materia (il cervello) che gli stati mentali (pensieri) sono per loro natura impermanenti e privi di un sè intrinseco ed indipendente ma sono semplici manifestazioni.
E questo è (almeno per me) un caposaldo sia a livello spirituale che a livello scientifico.

Da qui poi il dubbio...

avendo capito che questo corrisponde al vero (almeno per me) ed avendo intuito che quel sè che pensiamo esistere in modo intrinseco ed indipendente dal resto dell'universo mi ha portato a studiare la cosa da un punto di vista neuroscientifico e mi sono accorto che le neuroscienze confermano il tutto. Sia con deduzioni logiche sia con esperimenti su pazienti che avevano perso la sensazione del "sè" (in alcuni casi, persone avevano paura delle loro stesse mani perchè non sapevano di chi fossero. Ma questa è altra storia).

Da qui la domanda...

Mi chiedevo se il concetto di "rinascita" o "reincarnazione" (per non parlare della creazione mentale di una divinità o paradisi ecc... ecc... ) sia frutto del fatto che il cervello non ha possibilità di funzionamento senza la creazione di questo "sè" illusorio dato che nel buddismo si da molta enfasi al concetto di "rinascita" (diverso da reincarnazione).
Il cervello infatti, non potendo fare a meno del "sè", non puo' pensare ad uno stato dove questa illusione non esista. E quando pensa al nulla, o all'infinito o alla sua "fine", dato che non puo' fare a meno di se stesso, per non andare in "corto-circuito" trova una soluzione inventandosi una "rinascita" o una divinità per "tranquillizzarsi".

Ovvio che per me sia il cervello (materia) che un suo prodotto (mente) risponde pienamente al concetto di vacuità ma, siccome ho percepito in meditazioni molto profonde, l'illusione dell' IO mi sono chiesto e chiedo a sariputra se il concetto di rinascita sia ancora valido. Anche perchè dopo aver compreso il concetto di vacuità del se, la rinascita o reincarnazione o altro... perde di ogni significato... nel senso che è tutto perfetto cosi' :) tutto va come deve andare :)


ciao e grazie del tuo intervento... ci sono delle osservazioni molto acute :)

CitazioneCiao; ricambio i complimenti per le osservazioni interessanti anche da parte tua.

Non so se a questo punto sia conveniente continuare la discussione (forse a me interessano tutt' altre questioni che a te). Nel dubbio accenno a ciò che credo di comprendere e che non mi convince delle tue credenze.

 Se "sia la materia (il cervello) che gli stati mentali (pensieri) sono per loro natura impermanenti e privi di un sè intrinseco ed indipendente ma sono semplici manifestazioni", allora il materialismo eliminativista dei Churchland (e anche le convinzioni -quelle filosofiche, sia chiaro- di moltissimi neuroscienziati e di non pochi filosofi della mente, cognitivisti, ecc.) é errato e falso. Infatti afferma la realtà in sé e non in quanto semplice manifestazione fenomenica della materia (in generale; e del cervello in particolare), al contrario del pensiero (in generale e dell' autocoscienza, del pensiero di "sé" in particolare).

Le neuroscienze possono solo conoscere il funzionamento del cervello e le correlazioni fra esso e la coscienza (descrivere queste correlazioni così come di fatto nelle varie circostanze accadono) ma non risolvere il problema della natura di questa correlazione; fra l' altro di fatto molti neuroscienziati (in questo facendo della filosofia) e non pochi filosofi come i Churchland del tutto erroneamente (a mio parere, ovviamente) identificano la natura di questa correlazione con l' identità.

IL cervello nel suo funzionamento fa del tutto a meno, senza affatto andare "in cortocircuito" e senza inventarsi alcunché, dell' autocoscienza (che a certi suoi stati funzionali corrisponde biunivocamente e viceversa): si limita a regolare il comportamento degli animali che lo posseggono (azionare fasci muscolari più o meno "a proposito"; produrre secrezioni ghiandolari et similia) dipendentemente dalle situazioni ambientali in cui gli animali (uomo compreso) vengono a trovarsi: nient' altro.

Che l' "io" (soggetto di esperienza) non sia identificabile con i pensieri, l' autocoscienza, la "res cogitans" in generale, non toglie che sia illusione: i pensieri, esattamente come gli enti ed eventi materiali, sono manifestazioni fenomeniche e non cose in sé, ma non per questo:

essi (pensieri ed enti ed eventi materiali esattamente allo stesso identico modo) non sono reali: sono realmente meri insiemi di sensazioni; 

 e inoltre ciò non significa necessariamente con non debbano esistere realmente come cose in sé non sensibili ma solo congetturabili (dal greco e a la Kant: noumena) l' "io", soggetto delle sensazioni (tutte: materiali e mentali o di pensiero; oltre che oggetto di queste ultime) e gli oggetti delle sensazioni materiali (compresi i cervelli nelle esperienze fenomeniche coscienti diverse da quelle biunivocamente corrispondenti a ciascuno di essi).

Ti ringrazio per l' attenzione (comunque, sia che ritenga di tuo interesse seguirmi e obiettarmi su questo problema, sia che non lo ritenga di tuo interesse di seguace del buddismo).
#3079
Citazione di: bluemax il 09 Dicembre 2016, 09:24:06 AM
Citazione di: Duc in altum! il 08 Dicembre 2016, 21:56:39 PM
**  scritto da bluemax:
CitazioneSpiega molto bene la mancanza del libero arbitrio o meglio... come il cervello si illude di avere la possibilità di compiere una scelta.
Dunque se il cervello s'illude, di chi è il merito (giacché la soddisfazione si percepisce, ...eccome!) di aver compiuto una scelta piuttosto che un'altra?
beh... io per libero arbitrio intendo la possibilità di compiere una scelta differente nelle medesime circostanze spazio-temporali.
La risposta è unanime. Ed è che non vi è alcuna possibilità di fare una scelta differente da quella fatta.

Praticamente, ogni volta che il nostro cervello sceglie (da notare come il nostro "io" illusorio si riferisce al cervello come "a quello" mentre in realtà è proprio il cervello che stà formulando questo ragionamento :) ) non fa altro che "pescare" dalle precedenti esperienze una situazione simile che ha avuto un esito "registrato" come positivo e dopo aver scelto la comunica al proprio "io" vestendola come scelta. Il libero arbitrio è una sorta di "illusione necessaria" per poter migliorare le scelte future. In sostanza, se siamo davanti una scelta es il nostro illusorio io ci suggerisce di prendere la pillola blu anzichè la rossa, in realtà il cervello ha già pescato qualche istante (ma proprio istante) di tempo prima la risposta più adatta basandosi sul subconscio (insieme di ricordi, scelte e risultati effettuati in passato ecc... ecc... ) che ovviamente non è da "noi" controllabile. Soltanto in un secondo momento la decisione (che non è una nostra decisione) ci arriva alla coscienza travestita da libera scelta :)
CitazioneA parte tutti gli altri (ben più importanti) motivi di dissenso da parte mia già illustrati, che "necessità" vi sarebbe mai per il cervello che nasca (comunque non nel cervello, ma nella coscienza al cervello corrispondente, N. di R), onde "migliorare le scelte future", l' illusione del libero arbitrio?

Non c é proprio alcuna necessità di illudersi che le proprie scelte non siano deterministicamente necessarie per compiere le scelte "giuste" (atte a sopravvivere e riprodursi) anziché quelle "sbagliate (o viceversa), nè per "migliorare le scelte future"!




#3080
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PM

ciao :)
c'è un bellissimo libro uscito da poco si intitola "il cervello come IO" e raccoglie le ultime scoperte in ambito neuroscientifico riguardante lo studio del cervello. E' un libro a dir poco "illuminante".
Spiega molto bene la mancanza del libero arbitrio o meglio... come il cervello si illude di avere la possibilità di compiere una scelta. Parla di come funzione la coscienza... come mai quando dormiamo questa sensazione di coscienza svanisce... e sopratutto affronta quello strano fenomeno che si crea in determinate situazioni (perchè non sempre la coscienza del sè è presente, ad esempio quando dormiamo svanisce totalmente) che ci fa credere di essere "qualcuno".

Vi sono esempi molto calzanti...
la spiegazione è anch'essa di una semplicità estrema.
Il compito del cervello tra le varie cose (quali regolare il battito cardiaco, la temperatura corporea, il respiro ecc... ecc... ) è unicamente quella di favorire le cellule del nostro corpo che lo hanno "eletto" come "governante" (scusami l'esempio poco calzante ma questa cosa viene trattata in diversi capitoli).

Quando il cervello viene INVASO da miriadi di luci e colori (la retina viene sollecitata dai fotoni) durante l'evoluzione si è creato un problema. E' il mondo esterno a "muoversi" (le luci esterne si muovono) oppure è l'occhio o il collo o le gambe che stanno compiendo un movimento quindi siamo "noi" a spostarci ? (praticamente la sensazione che si prova in treno quando vediamo il treno a fianco a noi muoversi. Solo dopo capiamo se siamo noi a muoverci o il treno accanto).

Bene... questo problema evolutivo è stato risolto con la creazione da parte del cervello di un illusorio "IO" da mettere in relazione con il mondo circostante. Se la retina è invasa dalle luci e la sensazione tattile del movimento degli organi non c'è il cervello deduce che è il mondo esterno a muoversi. In caso contrario sono "io" (notare le virgolette) :)

Quando dormiamo ad esempio l' IO scompare... non esiste... ma il cervello continua ugualmente a compiere le sue azioni.
La sensazione di coscienza invece è un po' piu' complessa in quanto è (in poche parole) l'interesezione delle mappe mentali che il cervello usa per svolgere le proprie funzioni. :)
ogni suono, ogni colore che genera una forma, ogni sensazione tattile, ogni gusto usa una MAPPATURA.

beh... ora non voglio farla lunga anche perchè leggo solo libri di neuroscienze, non sono un neuroscenziato (anche se la cosa mi piacerebbe molto :D ) ed in questi libri ci trovo moltissimo degli insegnamenti buddisti.

Unica cosa che non capisco... appunto... è la cosidetta "rinascita" che per quanto mi riguarda non è ne necessaria ne tanto meno logica. e per questo chiedevo a sariputra se questa "voglia" di esistere che ha il proprio IO (che il cervello per funzionare non puo' farne a meno) sia la risposta a questo concetto di "rinascita".

Che per altro, studiando da ormai 12 anni buddismo mahayana, non mi pare che buddah ne abbia mai parlato... :)

ciao :)
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PMCiao.
 
E' evidente che c' è stato un fraintendimento da parte mia.
Infatti avevo inteso la tesi buddista da te accennata in apertura di questa discussione ("Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo") nel senso che, se questo vale anche (e dunque non solo) per la mente, allora vale anche, esattamente allo stesso modo per il mondo materiale, cervello compreso (cioé per tutti i fenomeni, per quelli materiali esattamente come per quelli mentali).
Da quanto scrivi ora evidentemente non è così, dal momento che tu (e con te il buddismo?) ritieni (secondo me erroneamente) i cervelli (e credo, e se segui fino in fondo la Churchland è certamente così, la materia in generale) non affatto "vacui", ovvero privi "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
E' evidente, se segui la Churchland, che per te solo la mente, e non il cervello é "vacua" in questo senso, mentre la materia (che comprende i cervelli) non è affatto priva "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
Mi dispiace per il fraintendimento: " come non detto" ciò che affermavo nel precedente mio intervento.
 
 
Non posso però non esimermi dal criticare la Churchland, come anche suo marito, che conosco da altre precedenti letture, poiché ritengo che con il loro monismo materialistico "eliminativista" non abbiano capito nulla del rapporto coscienza/cervello (fra l' altro non essendo neurologi ma filosofi -a mio modesto parere pessimi filosofi- non credo possano raccontarci in maniera particolarmente competente le ultime scoperte ottenutesi in ambito neuroscientifico).
 
Il cervello è un organo (una "cosa" materiale appartenente a un organismo animale) di circa un chilo e mezzo di peso cui afferiscono segnali elettrici generati negli organi di senso, che tali segnali elabora e in conseguenza di tali afferenze ed elaborazioni di afferenze determina il comportamento dell' animale cui appartiene (è il cervello ad essere in relazione con il mondo -il mondo materiale- circostante, non la coscienza; la quale in linea di principio potrebbe anche non accompagnare affatto il cervello -essendo altra cosa- e ciononostante tutto nel mondo materiale – naturale continuerebbe ad accadere esattamente così come accade, essendo invece -e salvo questo-  inoltre "accompagnato", ma al di fuori di esso, da coscienza).
E' in ultima analisi un meccanismo appartenete al mondo fisico che segue nel suo divenire o "funzionare" le leggi della fisica.
Non "decide" nulla, semplicemente funziona in sostanza allo stesso modo in cui funziona -senza prendere mai decisioni- un orologio, o magari un apparato per la guida automatica di un' auto o un pilota automatico di un aereo (il quale ultimo può funzionale in diversi modi, facendo accelerare oppure frenare, girare a Dx oppure a Sn, salire oppure scendere la macchina a seconda di ciò che i suoi sensori rilevano, ma assolutamente non "decide" proprio nulla: è chi l' ha costruito che ha deciso cosa deve fare in conseguenza dei diversi rilievi dei sensori; di diverso dall' orologio ha solo una maggiore complessità e variabilità, di funzionamento, il quale è comunque allo stesso identico modo puramente meccanico; così il cervello, anche umano).
 
Le "decisioni" (libero-arbitrarie o meno; e per la cronaca personalmente credo che non lo siano) accadono unicamente nell' ambito del pensiero (umano e in qualche misura animale); il quale fa parte dell' esperienza cosciente, della quale fanno parte anche i cervelli osservabili; si può ipotizzare (non dimostrare; in perfetto accordo con le neuroscienze, comprese le loro ultime scoperte) che ad ogni determinato stato di una certa parte degli stati funzionali di determinato un cervello corrisponda un certo determinato stato di un' esperienza cosciente (di regola diversa da quelle che includono tale determinato cervello, per lo più di fatto osservabile solo indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico funzionale: osservarlo direttamente è possibile, senza il pericolo di danneggiarlo, solo circostanze molto particolari: il grande neurochirurgo canadese Penfield lo fece più volte, molto proficuamente per le neuroscenze, già negli anni '50 del secolo scorso).
Ma il fatto che (in perfetto accordo con le neuroscienze) si possa ipotizzare che ogni determinato stato di una determinata coscienza necessariamente corrisponda biunivocamente a un determinato stato funzionale di un determinato cervello e viceversa é tutt' altra cosa dall' identificare le due ben diverse cose, come indebitamente, erroneamente fanno i monisti materialisti "a la Churchland".
 
E così pure, allo stesso modo, oltre alle decisioni anche le illusioni e le deduzioni fanno parte del pensiero (la parte mentale) nell' ambito della coscienza e non del funzionamento dei cervelli; il funzionamento dei quali alle illusioni (e decisioni, e deduzioni, sentimenti, ragionamenti, ecc.) biunivocamente corrisponde nell' ambito della parte materiale della coscienza (generalmente di altre coscienze di osservatori, e non a quelle corrispondenti ai cervelli osservati).
 
I pochi cenni che riferisci delle tesi della Curchland mi confermano questo suo grave fraintendimento di cui già ero al corrente, la confusione da parte sua fra coscienza e cervello; i quali (lo credo anche se mi rendo conto che non è dimostrabile né mostrabile; infatti contrariamente alla Churchland sono filosoficamente ben consapevole dei limiti delle conoscenze possibili, anche scientifiche, degli aspetti non dimostrabili né mostrabili di esse) si corrispondono biunivocamente e per così dire biunivocamente "si coimplicano" (non può darsi l' una cosa senza l' altra e viceversa), ma sono ben diverse cose; esattamente come non può darsi polo positivo senza polo negativo di un magnete e viceversa, il che non significa affatto che -contraddittoriamente!- siano la stessa cosa).
 
L' autocoscienza e la coscienza degli eventi del mondo materiale (fenomenico!) in cui vive l' organismo, che accompagnano certe fasi del funzionamento del cervello, non sono tale funzionamento (il quale ultimo del tutto ovviamente deve aver superato il vaglio della selezione naturale dal momento che gli animali che possiedono cervelli non si siano estinti; cosa ovvia, che per la sua ovvietà non dà alcuna spiegazione interessante degli eventi: non c' era nessun "problema evolutivo" da risolvere poiché -fatta salva l' ovvia loro maggiore semplicità iniziale- i cervelli "da che mondo è mondo" -cioè da che si sono sviluppati nei primi vertebrati- inevitabilmente si comportano così).


Ciao.


#3081
Citazione di: bluemax il 07 Dicembre 2016, 16:45:14 PM


CitazioneSto cercando di seguire questa discussione per cercare in qualche modo di conoscere qualcosa di "buddismo", dato che purtroppo sono del tutto digiuno di filosofia (e in generale di cultura) orientale (o per meglio dire: "non-occidentale"); in questo stimolato, grazie a questo forum, dalla conoscenza, sia pure meramente "virtuale" e comunque limitatissima, di una persona che mi fa un' ottima impressione di intelligenza, modestia, "leggerezza interiore" (nel senso del "non prendersi troppo sul serio") ma allo stesso tempo profondità di interessi e di pensiero: il "nostro" Sariputra (scrivo questo senza tema di passare per un viscido adulatore per il semplice fatto che i miei interventi nel forum di filosofia, spesso duramente polemici e del tutto privi di zuccherosa diplomazia, per chi li abbia letti o volesse farlo testimoniano il mio essere in proposito al di sopra di ogni sospetto; mi aspetto una tirata di orecchi dal buon Sari, che potrei senza volerlo aver messo un po' in imbarazzo con questa sviolinata, ma non so che farci: mi é proprio venuta "dal cuore". Spero anche di non contravvenire una qualche regola del forum; confesso di non averle lette interamente).

Fra l' altro trovo le tue (di Bulemax) considerazioni in questa discussione sulla mera apparenza fenomenica e non "realtà in sé, indipendentemente dall' accadere del suo essere sentito" di tutto ciò che può essere percepito, sensibilmente constatato o rilevato, "avvertito", sia di esteriore-materiale ("mondo" esterno", "non-io"), sia di "interiore-mentale" ("mondo interno", "io"), cioé  (se ben ti intendo) sulla "vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni [...]  Questo vale anche per la mente)", che costituisce, secondo le tue parole, un "capisaldo del buddismo".

Se ben ti intendo, queste affermazioni concordano pienamente con quanto credo per parte mia, essendo convinto di seguire in questo soprattutto gli insegnamenti del grande filosofo scozzese David Hume (e anche limitatamente, solo per certi aspetti e non per punti fondamentali delle loro rispettive filosofie, Berkeley, Kant e soprattutto Spinoza).

Tuttavia mi chiedo come si fa a d affermare che:


Effettivamente le neuroscienze hanno ormai confermato che la coscienza e la sensazione di "io" sono mere illusioni del cervello... questo significa che quell' io a cui siamo tanto attaccati è illusione necessaria per compiere le funzioni basilari biologiche e preservare la salute delle "cellule" che compongono i nostri "AGGREGATI" psico-fisici.


Citazionele neuroscienze studiano il cervello comprese le sue necessarie correlazioni con i fatti di coscienza.

Ma questi ultimi in linea di principio potrebbero anche non accadere affatto e il funzionamento del cervello, così come tutto il resto della natura materiale di cui esso fa parte e che le scienze naturali -in particolare le neuroscienze- studiano accadrebbe esattamente così come accade (essendo inoltre di fatto, ma non necessariamente in linea di principio, accompagnato, in talune sue determinate evenienze, dalla coscienza): come ha notato il filosofo australiano David Chalmers, qualcuno o anche tutti gli altri uomini con cui abbiamo a che fare potrebbero in linea teorica, di principio, essere dei meri zombi privi di coscienza, e non potremmo accorgercene in alcun modo, nulla di nulla cambierebbe per le neuroscienze.

Qui "finiscono le neuroscienze" (non é poco, ma le loro "competenze" di scienze naturali volte alla conoscenza scientifica dei dati empirici del mondo fisico, non si estendono a eventuali -e sempre più che lecite, ovviamente- "elucubrazioni ulteriori" di natura metafisica).
La filosofia ci può fare ipotizzare (ed eventualmente credere; ci può indurre a considerare, non dimostrare) che le sensazioni interiori o mentali siano manifestazioni fenomeniche a un soggetto in sé delle sensazioni in generale -l' "io"- di un oggetto a sua volta costituito dal, o coincidente con il, soggetto stesso; e che le sensazioni esteriori o materiali siano manifestazioni fenomeniche al soggetto in sé delle sensazioni in generale -sempre l' "io"- di oggetti in sé dal soggetto stesso diversi, distinti, altri.
Ma le sensazioni interiori o mentali (le manifestazioni fenomeniche dell' oggetto in sé "io") sono comunque 
altrettanto reali (nè più, né meno) di quelle esteriori o materiali, delle quali fanno parte i cervelli (le manifestazioni fenomeniche di oggetti in sé "diversi, altri dall' io"). Cioé esattamente allo stesso modo sono reali unicamente come insiemi e successioni di enti ed eventi fenomenici reali unicamente in quanto tali, cioé unicamente se e quando e fintanto che accadono in quanto insiemi e successioni di sensazioni.

Il cervello (il quale é reale nelle esperienze coscienti di chi -direttamente o indirettamente- lo esperisce empiricamente; e non viceversa: le esperienze coscienti non sono reali nei cervelli, contrariamente a neuroni, assoni, potenziali d' azioni, eccitazioni e inibizioni trans.-sinaptiche, ecc.: ben altre cose!) é "illusione fenomenica, apparenza sensibile esattamente come (né più né meno de-) i pensieri, i sentimenti, desideri, appagamenti e non appagamenti di desideri, ecc.

E la coscienza e l' autocoscienza che accompagna il funzionamento dei cervelli (unicamente di quelli umani, secondo me, per quanto riguarda l' autocoscienza) non ha alcuna funzione biologica evolutivamente spiegabile, contrariamente ai fatti meramente materiali della neurofisiologia (del funzionamento dei cervelli) che ad essa necessariamente si accompagnano e biunivocamente corrispondono (ma anche viceversa).

#3082
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
28 Novembre 2016, 10:42:49 AM
Risposta @ CVC:

Citazione da: cvc - Sat Nov 26 2016 23:32:23 GMT+0100 (ora solare Europa occidentale)


Ma  esistono anche cose non empiricamente dimostrabili, anzi esistono cose di cui non posiamo avere esperienza. Ad esempio parliamo spesso della nostra vita intesa nel suo complesso, ma non abbiamo mai esperienza della vita nel suo complesso.  Ma non credo si possa dubitare che esista una vita nel suo complesso (la mia, la tua) pur non avendone esperienza.

   Risposta Sgiombo:

   L' esistenza della nostra vita complessivamente intesa, del nostro passato e del nostro probabile (e limitato) futuro é credibile per fede ma non dimostrabile in quanto sarebbe a tal fine necessario dimostrare la veridicità della memoria, cosa impossibile (ogni ricordo, per recente che sia, é passibile di dubbio).

   Peraltro al nostro passato si crede (indimostrabilmente) avendone avuto esperienza, secondo quanto ci dice la memoria; e al futuro per immaginazione-induzione.




Citazione CVC:

Certo il problema del dualismo è trovare il modo di far coincidere spazio-temporalmente materia e pensiero. Certo dividere res cogitans e res extensa semplifica le cose, ma poi rimane il problema di due realtà distinte che si trovano nello stesso "qui e ora". Diversamente il monismo finisce col ridurre il pensiero alla materia o, eventualmente, viceversa. Il miglior compromesso mi sembra quello di Eraclito, il fuoco come specchio della ragione, che permane nel tempo mutando continuamente forma e assimilando a se ciò che incontra (il fuoco assimila il combustibile, la ragione assimila conoscenza)

 Risposta Sgiombo:

   Non credo si possa parlare di coincidenza spazio-temporale di materia e pensiero.
   Infatti la prima ("res extensa") occupa uno spazio, ma il secondo ("res cogitans") ha estensione unicamente temporale; dunque essi si trovano (accadono) nello stesso "ora" ma non nello stesso "qui".
   Però entrambi sono, per così dire, "ubicati" nella, cioé fanno parte della, esperienza fenomenica cosciente ("esse est percipi").

   Penso sia possibile, in alternativa all' impossibile riduzione monistica del pensiero alla materia e viceversa, considerarli entrambi enti ed eventi fenomenici, diverse manifestazioni sensibili di un' unica realtà in sé o noumeno (dualismo dei fenomeni, monismo del noumeno).
   Un po' come Spinoza li considerava diversi "attributi" della medesima, unica "Sostanza" (applicherei però il rasoio di Ockam a tutti gli altri infiniti attributi considerati da Spinoza oltre i due effettivamente constatati empiricamete; e inoltre non ne accoglierei il carattere "divino" attrubuito alla Sostanza naturale).

   Conosco ben poco Eraclito, ma il suo fuoco come arché che periodicamente si "scompone e differenzia" negli enti ed eventi particolari che poi in esso "riconfluiscono" (spero di non aver detto una sciocchezza) mi sembra sia applicabile unicamente alla materia e non anche al pensiero (quella con pensiero e conoscenza mi sembra solo un' analogia o una metafora).





   Citazione Sgiombo:

   Uso sempre le virgolette per i termini "interiore ed "esteriore" riferendoli ad "oggetti" (enti e/o eventi) che sono comunque sempre irriducibilmente interni all' esperienza fenomenica cosciente (anche nel caso di quelli intersoggettivi), e dunque in ultima analisi propriamente soggettivi.
   E mi sembra che il punto difficile da comprendere ed accettare sia proprio il "mio punto di partenza filosofico", cioé l' "esse est percipi", il rendersi conto che gli "oggetti" (cosiddetti) di esperienza (in generale; ed in particolare quelli "esterni" o materiali) non sono che insiemi e successioni di mere sensazioni in quanto tali, e dunque non (più e/o non ancora) reali allorché non accadono presentemente in atto (in quanto tali): il solito maestoso cedro del Libano, o il monte Bianco o quant' altro di materiale, allorché non li vediamo non esistono per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esiteranno enti ed eventi in sé (non costituiti da sensazioni) ad essi biunivocamente corrispondenti; e lo stesso dicasi delle sensazioni fenomeniche coscienti "interiori" o mentali: allorché non accadono noi in quanto insiemi e/o successioni di esse, noi intesi in quanto "i nostri pensieri" non esistiamo per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esitereremo in quanto (intesi come) enti ed eventi in sé (cioé non in quanto ci percepiamo "interiormente)".

RIsposta CVC:

Si ma se esamini le percezioni è difficile trovare due percezioni identiche. La scienza mostra invece che alcuni fenomeni sotto le stesse condizioni si comportano sempre allo stesso modo. Quindi non credo potrebbe esserci scienza sulla base delle sole percezioni. Occorrono la logica e la matematica che si fondano sull'astrazione. E spiegare l'astrazione partendo dalla percezione non saprei proprio

 Risposta Sgiombo:

   Nei limti di un' ineliminable approssimazione delle misure due o più enti o eventi materiali uguali possono spesso essere rilevati in natura (nella "res extensa").

   La scienza rileva che che alcuni fenomeni sotto le stesse condizioni si sono finora comportati allo stesso modo tutte le volte che sono stati osservati; e non che si comportano sempre, universalmente e constantemente allo stesso modo (anche in futuro; anche altrove); essa non può dimostrare ma deve assumere come un postuato (teoricamente passibile di dubbio) l' uniformità del divenire naturale secondo leggi universali e costanti.

   Concordo che non potrebbe esserci scienza sulla base delle sole percezioni ma occorrono anche la logica e la matematica che si fondano sull'astrazione.
   Peraltro non trovo problematico spiegare l' astrazione come la facoltà di distinguere nelle concrete esperienze sensibili ciò che é comune a più enti o eventi nel loro ambito da ciò che li differenzia e di generalizzare illimitatamente (anche ad eventuali esperienze future) ciò che é comune a quelle esperite in passato.
#3083
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
26 Novembre 2016, 15:31:02 PM
Citazione di: cvc il 26 Novembre 2016, 11:25:08 AM
Citazione di: sgiombo il 26 Novembre 2016, 10:56:40 AM
Citazione di: cvc il 23 Novembre 2016, 15:51:35 PM
Citazione
Credo che il tuo discorso ruoti molto intorno al concetto di percezione, che però mi pare che tu veda come un qualcosa di fondante, come una sorta di monade di verità, dove io invece trovo che la percezione sia un fenomeno strutturato al cui interno agiscono la coscienza, i sensi, la realtà fisica, l'intelligenza. Le convinzioni di fondo di un soggetto possono cambiare la sua percezione di un dato fenomeno. Ad esempio percepisco X come una gran bella persona, poi vengo a sapere che ha commesso azioni immorali, allora la mia percezione di X cambia. Per me questo basta per dire che la percezione è si un fenomeno importantissimo, ma non una monade di significato con cui sovvertire la conoscenza tradizionale che parte dalla coscienza, come mi pare abbia fatto Hume. E quindi non credo che la realtà possa esaurirsi nelle percezioni fenomeniche, perchè manca un elemento fondamentale: la psiche che sa di avere un ruolo attivo sulle stesse. La percezione è un fenomeno passivo, l'intelligenza è attiva. Se la realtà si esaurisse con le percezioni fenomeniche, noi saremmo solo degli esseri passivi, ma l'intelligenza e il sentimento ci portano spesso ad agire contro le nostre percezioni, come nel caso dell'autocontrollo.


CitazioneSu tantissime fondamentali questioni sono in totale accordo con il (per me "sommo") David Hume.

Come lui (e te; e tutte le persone comunemente ritenute sene di mente) nemmeno io credo che la realtà non si esaurisca nelle sensazioni fenomeniche della (costituenti la; "questa mia propria" immediatamente avvertita) esperienza cosciente (Hume non usava il temine "fenomeno", almeno in questo senso, almeno se mi ricordo bene dalle ripetute ma non recenti letture delle sue opere); ma come lui sottopongo a critica razionale serrata (il più possibile conseguente) le mie convinzioni e giungo alla conclusione che questa credenza é infondata, non dimostrabile né tantomeno mostrabile, empiricamente constatabile.

In questo senso secondo me "la sensazione  é fondante" ogni possibile conoscenza critica, é una sorta di fondamentale, indubitabile "monade di verità" ("esse est percipi").
(In questo presuntuosamente cercando di andare probabilmente almeno in parte oltre -ma non contro- Hume) Credo inoltre -ma rendendomi ben conto dell' infondatezza razionale di questa credenza- che essa (la sensazione) sia in un certo senso "qualcosa di strutturato" il cui reale accadere implica la coscienza, i sensi, la realtà fisica, l'intelligenza; credo cioé che esista oltre all' esperienza fenomenica cosciente fatta di mere percezioni (esteriori" o materiali o res extensa ed "interiori o mentali o res cogitans, intese non come cose in sé a la Cartesio" ma come meri eventi percettivi a la Hume; e in parte a la Berkeley) una realtà oggettiva in sé (non costituita di sensazioni) comprendente i soggetti (me stesso e altri) e gli oggetti di essa. E che la parte materiale di ciascuna delle molteplici esperienze fenomeniche coscienti sia biunivocamente corrispondente alla medesima realtà in sè o (a la Kant) noumeno; e conseguentemente per proprietà transitiva, che ciascuna di esse sia "poliunivocamente corrispondente" alle altre, indipendentemente dai loro rispettivi soggetti (cioé, in questo senso, intersoggettiva).

Credo che le convinzioni di ogni soggetto possano cambiare (le sensazioni interiori o mentali di considerazioni, valutazioni, giudizi, credenze; più o meno vere) circa (le sue sensazioni fenomeniche costituenti) gli svariati enti e/o eventi fenomenici da lui percepiti; e non tali enti e/o eventi fenomenici stessi (intersoggettivi nel caso di quelli "esteriori" o materiali).

Ovviamente tutto ciò é perfettamente compatibile con la passività delle sensazioni "esteriori" o materiali e con l' attività di (sensazioni "interiori" o mentali costituenti) valutazioni, pensieri, conoscenze circa di esse e di decisioni pratiche. E con il fatto che l'intelligenza e il sentimento (e la forza di volontà) ci portano spesso ad agire contro le nostre spontanee inclinazioni avvertite ("interiormente", mentalmente) come immediate pulsioni ad agire, come nei casi di autocontrollo.

Uso sempre le virgolette per i termini "interiore ed "esteriore" riferendoli ad "oggetti" (enti e/o eventi) che sono comunque sempre irriducibilmente interni all' esperienza fenomenica cosciente (anche nel caso di quelli intersoggettivi), e dunque in ultima analisi propriamente soggettivi.
E mi sembra che il punto difficile da comprendere ed accettare sia proprio il "mio punto di partenza filosofico", cioé l' "esse est percipi", il rendersi conto che gli "oggetti" (cosiddetti) di esperienza (in generale; ed in particolare quelli "esterni" o materiali) non sono che insiemi e successioni di mere sensazioni in quanto tali, e dunque non (più e/o non ancora) reali allorché non accadono presentemente in atto (in quanto tali): il solito maestoso cedro del Libano, o il monte Bianco o quant' altro di materiale, allorché non li vediamo non esistono per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esiteranno enti ed eventi in sé (non costituiti da sensazioni) ad essi biunivocamente corrispondenti; e lo stesso dicasi delle sensazioni fenomeniche coscienti "interiori" o mentali: allorché non accadono noi in quanto insiemi e/o successioni di esse, noi intesi in quanto "i nostri pensieri" non esistiamo per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esitereremo in quanto (intesi come) 
enti ed eventi in sé (cioé non in quanto ci percepiamo "interiormente)".
#3084
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
26 Novembre 2016, 10:56:40 AM
Citazione di: cvc il 23 Novembre 2016, 15:51:35 PM
Citazioni da sgiombo
Citazione La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.
Ma ciò che si manifesta a noi lo fa per mezzo delle nostre rappresentazioni. Si possono dare diverse rappresentazioni del medesimo oggetto, ma dovrà pur esistere anche l'oggetto che si manifesta in quanto percepibile. Può essere che ci siano percezioni e nulla di percepibile?
Citazione
Secondo me si, per il semplice fatto che ciò é pensabile in maniera non autocontraddittoria, sensata:  potrebbe anche darsi che la la realtà si esaurisca nelle percezioni fenomeniche e nulla più.
Che inoltre esistano realmente oggetti e io come soggetto delle percezioni -gli uni e l' altro essendo evidentemente cose in sé congetturabili (noumeno) e non insiemi di apparenze sensibili (fenomeni)- lo credo senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare (e ciò vale in particolare per il fatto che  pure che fra gli altri oggetti fenomenici delle (mie) sensazioni esistano pure altri soggetti di esperienza fenomenica cosciente oltre a me).
 



CitazioneIn quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).
L'oggettività dipende dalla posizione dell'osservatore. Dallo stesso punto di osservazione una interpretazione di un fenomeno fisico, al netto della psicologia, dovrebbe, credo, valere per tutti
CitazioneFermo restando il fatto che si tratta di mere sensazioni fenomeniche e insiemi di sensazioni fenomeniche ("esse est percipi"), questo é ciò che chiamo "intersoggettività" della parte "esteriore" - materiale ) dell' esperienza fenomenica cosciente (la res extensa; ed anche questo non é dimostrabile ma solo credibile -e di fatto anche da me creduto, ovviamente- arbitrariamente, "per pura fede)": reciproca univoca corrispondenza fra ciascuna delle molteplici esperienze fenomeniche coscienti (la cui anche sola esistenza stessa é credibile e non dimostrabile esistere), ovvero corrispondenza "poliunivoca" fra esse.

Non si tratta comunque propriamente di "oggettività stiamo parlando pur sempre di enti ed eventi accadenti nella ("appartenenti alla") coscienza di di ciascun soggetto, enti ed eventi fenomenici reali unicamente in quanto tali: "esse est percipi"
Per oggetti propriamente tali, se esistono (come credo, ancora una volta, senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare), non si può che intendere cose in sé che a quanto di "esterno" o materiale fenomenicamente (e dunque pur sempre soggettivamente, per quanto intersoggettivamente) accade si possono non certo identificare, ma casomai postulare essere biunivocamente corrispondenti.



CitazioneLa componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).
Ogni dimostrazione parte da assiomi non dimostrabili, quindi ogni dimostrazione è preceduta da un prender per vero. Su questo, se è questo che intendi, siamo daccordo
CitazioneIn particolare che esistano (anche) cose in sé, "oggetti" in senso proprio delle sensazioni (fenomeniche) "esteriori o materiali, a queste ultime biunivocamente corrispondenti "intersoggettivamente", cioé allo stesso modo in ogni esperienza fenomenica cosciente di ciascun soggetto di sensazioni (in particolare materiali: res extensa) non può essere in alcun modo dimostrato: non c' é argomentazione cogente che possa convincere che necessariamente così stiano le cose in realtà.



Citazione Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.
Certo è una delle tesi scettiche che non percepiamo tutti in modo identico. Però esistono delle convenzioni. Se si stabilisce che una determinata barra di metallo è un metro, e con essa si misura l'altezza o la larghezza del tuo cedro in modo corretto, tale misura è da considerarsi oggettiva. Ovviamente non tutto è misurabile (anche se qualcuno non  è d'accordo) e così facilmente oggettivabile. Azzardo a dire che secondo me, stringi stringi, la realtà oggettivabile non è che una parte minore del reale, benchè in taluni ambiti la si reputi la sola
CitazioneConcordo: le misure (i rapporti quantitativi esprimibile mediante numeri) nell' ambito materiale (la rese extensa) di ciascuna esperienza fenomenica cosciente (se queste esistono e sono poliunivocamente corrispondenti) sono le stesse (proprio per la corrispondenza biunivoca di ciascuna di esse con la realtà in sé o noumeno e transitivamente fra tutte esse (= "poliunivoca").

Per esempio qualsiasi cosa sia nella tua esperienza fenomenica cosciente ciò che con me chiami "(visione di) questo cedro", il rapporto fra (ciò che chiamiamo) la sua altezza e (ciò che chiamiamo) il metro campione conservato a Parigi é -poniamo- ciò che tu nella tua esperienza cosciente chiami "40" ed anch' io nella ia chiamo "40".



CitazioneConcordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
Faccio un pò fatica ad assimilare il concetto "poliunivocamente corrispondente" ma forse è lo stesso che penso io.
CitazioneSpero di averlo chiarito nelle risposte alle tue precedenti considerazioni e obiezioni.



CitazioneInfine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Si però se tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso, da qualche parte dovrà pure iniziare l'intelligenza. La quale è, secondo me, un'assimilazione progressiva di conoscenze. Ma perchè si assimili dovranno già esserci nell'intelletto delle regole di coerenza interne, così come a livello biologico un organismo tende ad adattarsi all'ambiente con comportamenti innati. Vedi gli animali e l'istinto
CitazioneConcordo.Però preciserei che per me si tratta solo di "potenzialità comportamentali" che si attuano in seguito a esperienze e non di vere e proprie "nozioni" o conoscenza di già presenti (innate) in noi: di innato c'è la capacità di ragionare secondo certe regole , l' "intelligenza", se vogliamo, cioè la capacità di sapere non qualche nozione o conoscenza "già pronta a priori" indipendentemente dall' esperienza: se si muore in tenera età non si fa a tempo a tradurre in atto tali potenzialità" e ad avere conoscenze, che dunque non sono, propriamente parlando, "innate".
#3085
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
23 Novembre 2016, 19:26:05 PM
a CVC

Grazie per le stimolanti obiezioni.
Essendo via da casa e "precariamente connesso" a Internet, rispondero' fra qualche giorno.
#3086
Citazione di: davintro il 23 Novembre 2016, 00:11:15 AM

Tra "forza d'animo" e "fatica" non c'è un rapporto diretto e necessario. La forza d'animo è quella spinta interiore che ci porta a desiderare con ardore il raggiungimento di un obiettivo e ad essere disponibili a passare momenti di sofferenza e a faticare per raggiungerlo. Ma essere disposti alla sofferenza ed alla fatica non vuol dire cercare la sofferenza e la fatica più del necessario sufficiente a raggiungere l'obiettivo che ci si prefigge. In linea teorica si può essere dotati di una grande fermezza, forza d'animo e poi trovarsi a realizzare con relativa facilità un certo risultato. Si sarebbe stati pronti a fare sacrifici, fatica, ma se ciò non è necessario meglio così. La fatica può però essere un'importante segno rivelatore della forza d'animo di una persona. Osservando la fatica e le sofferenze di una persona nello svolgere un'azione posso rendermi conto della sua tenacia ed apprezzarla per questo. Ma non si deve confondere l'idea che la fatica sia un segno rivelatore della forza d'animo con l'idea che quanto più sia desideri fortemente qualcosa tanto più si debba fare effettivamente fatica. La fatica cioè non rende direttamente moralmente migliore un'azione ma può essere un segno di riconoscimento esteriore a-posteriori per un giudizio morale sulla disposizione interiore. Può apparire una distinzione troppo sottile ma per me è fondamentale.

CitazioneNon credo di averla mai ignorata nella discussione.
Non ho mai sostenuto che si debba faticare "per il gusto di faticare": questo sì che sarebbe masochismo!
A posteriori va riconosciuto più merito a chi ha faticato di più che a chi ha faticato di meno per raggiungere uno scopo onesto (che non é certo la fatica fine a se stessa).

Ma fin qui mi sembra di concordare, per lo meno nella "sostanza" della questione.

Tra l'altro neanche la "forza d'animo" per me è di per sè una virtù, ma una sorta di "accrescitivo moralmente neutro". La forza interiore la si può applicare ad un'azione rivolta ad un fine negativo o positivo, e in base a tale differenza essa aumenta o diminuisce la moralità dell'azione: quanto più la forza d'animo si esprime in una buona azione tanto più l'azione la giudico buona, quanto più la si mette in un fine malvagio tanto più l'azione diventa cattiva, in questo caso si deve parlare di un'ostinazione verso il male, il male viene preseguito con più intensità, dunque la volontà è più malvagia. Il valore morale da mio punto di vista è dato soprattutto dall'intenzione soggettiva che progetta il fine

CitazioneMa anche quando impiegata a fin di male la forza d' animo di per sé resta un pregio in chi la possiede (un pregio maggiore o minore a seconda che la si possieda in maggiore o minor misura.
Anche una grande conoscenza teorica e abilità di applicarla tecnologicamente può essere usata bene o male, ma non é -per esempio- che poiché un elicottero può essere usato per bombardare dei combattenti per la propria sovranità, allora dovremmo distruggere tutti gli elicotteri privandoci della possibilità di prestare tempestivamente cure urgenti  anche ne  ha bisogno.
Come l' elicottero in sé é qualcosa di utile e positivo (un "bene" materiale) anche se usato efficacemente pure per conseguire fini malvagi potenziando la malvagità delle azioni in cui ci si serve di esso, così la forza d' animo di per sé é una qualità morale positiva, anche se in chi é per altri versi malvagio ne potenzia la malvagità.



p.s. breve nota assolutamente non filosofica ma fatta come tifoso (per pigrizia non praticante) di ciclismo: nel secondo tour di Bartali, quello del 1948, quello celebre che secondo molti evitò la guerra civile in Italia dopo l'attentato a Togliatti calmando gli animi, Coppi non c'era. Tra i rivali principali di Bartali in quell'edizione c'erano Robic e Bobet! Condivido il giudizio sulla canzone di Ruggieri

CitazioneMannaggia, sei al corrente di quelle vicende sportive almeno quanto me!

E devo confessare che (deplorevolmente; ma credo che le suore della mia infanzia l' avrebbero classificato come "peccato veniale") lo sapevo anch' io che al tour del '48 non c' era Coppi e lo sconfitto principale fu l' astro nascente francese Louison Bobet (e proprio nel fatto che il "deuteragonista" fosse francese sta una delle chiavi che hanno reso tale impresa leggendaria in quella temperie politica postbellica "e i francesi ci rispettano"; "e le palle ancor gli girano", altra bella canzone, di Paolo Conte); ho "forzato la cosa a fin di bene" onde spiegarmi meglio, contando sulla probabile scarsa conoscenza di quei fatti tua e di altri del forum.

Comunque é stato deplorevole da parte mia: lo confesso e chiedo venia.

(E se é per questo, anche all' ultimo giro di Gimondi il sommo Eddy Mrckx era in fase decisamente calante, non era più il "cannibale"; e infatti l' anno dopo "appese la bici al chiodo", come si diceva allora).
A suo merito va ascritto il fatto che poteva ritirarsi e prese in considerazione l' ipotesi di farlo, ma resistette (con una certa fatica...) fino alla fine perché per il suo avversario-amico, da lui molto stimato, Gimondi un conto sarebbe stato vincere un giro davanti a chichessia, un altro conto vincerlo davanti al più grande di tutti i tempi (ovviamente non pretendo che altri condividano questa mia valutazione, legata anche ai miei ricordi e alla mie personali vicende di quegli anni, quelli della mia adolescenza). 

#3087
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
22 Novembre 2016, 18:37:57 PM
Citazione di: cvc il 22 Novembre 2016, 13:05:41 PM
Stando a Kant, la rappresentazione è indefinibile, perché non si può definire una rappresentazione se non con un'altra rappresentazione. La realtà fenomenica è - mi azzardo a dire - l'oggettivazione delle nostre rappresentazioni, in quanto prima avvertiamo che qualcosa è, poi cerchiamo di dire che cos'è quel qualcosa, oggettivandolo (mi azzardo anche a dire che il solipsismo deve essere un tentativo di oggettivazione di un proprio sentire interiore, non credo che un solipsista aspiri realmente a non essere compreso da nessuno). La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile in quanto alla natura evanescente della rappresentazione. Se tutta la realtà mentale consistesse solo di rappresentazioni, sarebbe assai difficile o impossibile per noi avere delle salde fondamenta che ci permettano di imbastire dei ragionamenti. Perché qualsiasi rappresentazione, persino le più chiare ed evidenti, in quanto astrazioni tendono a svanire. Dunque l'esistenza di conoscenze a priori non mi pare cosa balzana.

CitazioneEspongo i mie motivi di dissenso:

La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.
In quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).
La componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).

Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.


Concordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
 
Infine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
#3088
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
21 Novembre 2016, 12:39:46 PM
Risposta a GreenDemetr

Francamente ti trovo scarsissimamente comprensibile (commento solo quel poco che credo di aver -forse!- capito)
 
Che qualcuno abbia accomunato Marx a Freud e a Nietzche come "maestri del sospetto" non mi sembra autorizzi in alcun modo a parlare di una presunta "scuola del sospetto" (a meno che con questa espressione non intenda qualcos' altro: altri autori fra loro collaboranti, reciprocamente approvantisi, o per lo meno conciliabili).
A mio parere il primo dei tre, del quale ho una certa conoscenza, è assolutamente inconciliabile in alcun modo con gli altri due, ad essi del tutto antitetico; questi li conosco pochissimo o nulla, specialmente il terzo, e probabilmente sono fra loro accomunabili per lo meno in quanto entrambi irrazionalisti, almeno a mio modesto avviso, e del tutto contrariamente a Marx).
 
 
Citazione (GreenDemetr):
"Non esiste certezza di un "IO". Ragazzi il punto è quello! sebbene dubito che abbiate capito qualcosa della mia argomentazione".


Esatto: non ho capito per lo meno quasi nulla della tua argomentazione; ma con la sua conclusione (cui non so come né perché giungi) concordo in pieno!
Nel senso che non c' é certezza razionalmente fondabile (logicamente o empiricamente), ma comunque abbracciabile irrazionalisticamente ("per fede").
 

Ma perché mai qualcosa di concreto non dovrebbe poter anche essere cangiante, senza alcunché de "schizoide" (?): sono casomai i concetti astratti ad essere "fissati" di regola "una volta per tutte", per quanto convenzionalmente, per definizione, e quindi non "cangianti" (se non alquanto eccezionalmente, e sempre per convenzione).
#3089
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
20 Novembre 2016, 14:43:47 PM
Citazione di: Donalduck il 20 Novembre 2016, 12:07:14 PM
Sgiombo ha scritto
CitazioneA me solipsista sembra Donalduk "ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso".
questa la definizione di solipsismo nell'enciclopedia Treccani online:
CitazioneTermine filosofico con cui si indica l'orientamento di chi considera il soggetto come l'unica autentica realtà, sia dal punto di vista pratico, ponendo l'interesse individuale a fondamento determinante dell'azione, sia da quello gnoseologico-metafisico, intendendo la realtà esterna come semplice rappresentazione della coscienza soggettiva.
La mia posizione non ha nulla a che vedere, se non forse in apparenza, con il solipsismo. Questo si può già desumere dalla frase riportata in cui evidenzio che per me non solo non ha senso parlare di realtà senza coscienza, ma neppure di coscienza senza realtà.
Si tratta di due facce indivisibili della stessa moneta, di due aspetti o componenti della realtà, entrambi necessari, che si presuppongono a vicenda.
Inoltre il solipsismo, comunemente inteso, mette l'accento sul soggetto singolo, mentre io mi riferisco al soggetto in generale, come entità concettuale, come ruolo, alla coscienza in generale e non a uno qualunque degli innumerevoli centri di coscienza (forme viventi). Ritengo che la coscienza non sia né mia né di nessun altro, ma dell'esistenza in generale, e noi, in quanto centri, o nodi di una rete, ne siamo semplicemente partecipi. Allo stesso modo in cui la forza di gravità non appartiene a nessun corpo in particolare o a nessun punto dello spazio (o spaziotempo) in particolare, ma all'universo in generale.
Una posizione agli antipodi di quella di chi considera la coscienza un "epifenomeno", la vita come un fatto accidentale e l'uomo come una bizzarra anomalia dell'universo. E anche, naturalmente, in contrasto con quella di chiunque fantastichi di un mondo "oggettivo" in senso assoluto, ossia esistente "di per sé" senza nessuna presenza cosciente che lo osservi. Uso il termine "fantasticare" perché, al di là del valore di "verità" che si posso o voglia attribuire a questo presunto mondo "oggettivo", si tratta di qualcosa al di fuori di ogni nostra possibile esperienza e al di fuori di qualunque inferenza logica basata su dati disponibili, quindi un prodotto dell'immaginazione.

CitazioneTi ringrazio per la spiegazione (e ovviamente prendo atto delle tue convinzioni).
 
Noto per parte mia che l' ipotesi di un mondo oggettivo (contrariamente a te non uso le virgolette) in senso assoluto, ossia esistente "di per sé" (che sarebbe tale) anche indipendentemente dalla (e ulteriormente alla) presenza cosciente che lo osservi (o "alla quale si manifestasse fenomenicamente"; salvo ovviamente questa presenza, nella realtà complessivamente intesa), oltre ad essere non dimostrabile (essere vera; in quanto al di fuori di qualunque inferenza logica basata su dati disponibili, oltre che al di fuori di ogni nostra possibile esperienza: concordo), nemmeno è dimostrabile essere falsa.

Un po' come Dio

Personalmente la credo (ritenendo che, al contrario di Dio, spieghi quanto constato e/o dimostrato; a mio parere –mi rendo conto soggettivo- meglio di un' alternativa sorta di leibniziana "armonia prestabilita" fra le diverse componenti materiali delle esperienze coscienti, se si crede –come da parte mia- alla possibilità-verità della conoscenza scientifica di queste ultime).
#3090
Citazione di: davintro il 19 Novembre 2016, 01:23:55 AM
rispondo a Sgiombo e Maral

Io distinguo "impegno" e "fatica". Nel senso che certamente in ogni forma di impegno è presente una componente di fatica, ma quest'ultima non esaurisce in sè il complesso dell'impegno. Per "impegno" intendo genericamente qualunque forma di attività in cui vengono spese delle energie in vista di uno scopo, mentre la fatica è ciò che introduce nell'impegno una componente di sofferenza e negatività. Come è evidente, non sempre le nostre attività risultano spiacevoli. Dal mio punto di vista (chiaro che nel momento in cui le mie premesse non sono accettate il mio discorso apparirrà non valido, quindi mi limito a cercare di essere coerente con esse), il bene è il fine a cui tendono le inclinazioni naturali di ogni soggetto, ragion per cui per me dal punto di vista "materiale", del contenuto concreto con cui tale nozione si riempie, non esiste un solo "bene", ma tanti beni diversi quante sono le differenze qualitative dei soggetti. La fatica è un male, perchè è la condizione nella quale l'impegno presuppone uno sforzo innaturale, non corrispondente alla nostra personalità, alle nostre attitudini, e l'andare contro la nostra natura provoca sofferenza, mentre l'impegno pur avendo sempre presente tale aspetto, è anche in parte piacevole, lo è nella misura in cui avvertiamo che le nostre azioni esprimono la nostra autentica personalità, ed in questo senso l'impegno è un "bene", "bene perchè piacevole. Fermo restando che la fatica è sempre un male necessario, perchè l'utilizzo degli oggetti presuppone pur sempre da parte del soggetto un doversi adeguare, un fare violenza a se stessi per rendersi atti a vincere la resistenza degli oggetti, come nel caso in cui devo spostare un pesante masso e sono costretto ad utilizzare i miei muscoli in un modo innaturale, cioè spiacevole, lontano dalla mia idea di "bene" in cui rientra il normale movimento dei muscoli. Ciò che contesto è il passaggio arbitrario dal riconoscimento della necessità alla moralizzazione della fatica, al punto di cadere in una sorta di mentalità masochista per cui ciò che si ottiene con fatica dovrebbe avere un valore morale superiore rispetto a ciò che si ottiene alla luce dei nostri talenti naturali, dunque in modo facile e naturale.

Citazione
CitazioneRisposta di Sgiombo:

Concordo con tutto meno che con l' ultimo capoverso.

Non c' é alcun masochismo o compiacimento verso il dolore o la fatica nel provare "un di più di ammirazione" per chi ha conseguito uno scopo onesto a costo di grandi sforzi e fatica rispetto a chi l' ha ottenuto più facilmente perché dotato di maggior talento: semplicemente la forza d' animo é una delle tante virtù degne di ammirazione (intendo usare il termine come lo usavano gli stoici, non le suore che mi hanno rotto le p. nella mia infanzia, cosa che mie lo rende un po' antipatico).

Lo sport (quando non c' erano il doping e soprattutto l' "antidoping"-truffa-wrestling) era pieno di esempi: quando Learco Guerra vinse il suo unico giro d' Italia contro i cinque di Afredo Binda ottenne non a caso e secondo me giustamente una popolarità più o meno simile a quella del ben più titolato rivale.

E così Bartali quando vinse il suo secondo Tour de France contro il più giovane e talentuoso Coppi o Gimondi quando vinse il suo ultimo Giro contro L' immenso Eddy Merckx (c' una bellissima canzone di Enrico Ruggeri che esprime perfettamente -e poeticamente- questo concetto; si intitola per l' appunto "Gimondi e il Cannibale").

L'autonomia economica, come tutte le autonomie, è utile, ma io eviterei di parlare di "nobiltà". La nobiltà per me attiene al piano dei fini, nobile è qualcosa che possiede un valore intrinseco, mentre il denaro è uno strumento, indispensabile, ma pur sempre uno strumento, un mezzo, dunque ha un valore morale inferiore a ciò che è fine a se stesso. Il rischio di pensarla altrimenti è quello di cadere in un feticismo alienante alla ( chiedo scusa per la citazione non propriamente filosofico- accademica) Zio Paperone, che fà il bagno nei soldi venerando la ricchezza guadagnata come il fine della vita e poi per paura di non disperderla non si concede neanche una vacanza ogni tanto dal lavoro, preferendo restare chiuso nel deposito a contare il patrimonio ed a guadagnarne altro. Uno stile di vita e una mentalità che sinceramente non mi interessa e mi fà quasi orrore. Per me il valore del denaro sta solo ed esclusivamente negli oggetti che si possono comprare con esso. La quantità la rispetto solo al servizio della qualità. L'autonomia è un positivo fattore di libertà, essere autonomo rende meno condizionati dal mondo esterno gli individui. Tuttavia l'autonomia, intesa nel contesto in cui stiamo discutendo rientra anch'essa nel piano dei "mezzi", non dei fini, non della nobiltà morale. Nel piano dei fini rientra la "libertà", che va distinta dall' autonomia. Siamo esseri in relazione, legati sempre a dipendenza e l'affrancamento da tali dipendenze può portare a rinunce alla libertà molto maggiori rispetto a quelle che il restare legati alle dipendenze comporterebbero. Un esempio banale. Se i vestiti che indosso li cucissi io personalmente non avrei bisogno di sarti, e il mio livello di autonomia sociale sarebbe più alto di quello che ha uno che i vestiti li acquista già prodotti nei negozi. Ma tale autonomia sarebbe raggiunta al prezzo di un dispendio significativo di tempo che dovrei sottrarre ad attività per me più interessanti e piacevoli del cucito. A me pare che in questa discussione sul valore del lavoro non possa non essere centrale un punto ancora forse non ben considerato: il tempo, il tempo libero, che non è infinito nella nostra vita, nelle nostre giornate. Il perseguimento dell'autonomia economica attraverso il lavoro sottrae una grande quota di tempo libero che nella maggior parte dei casi un lavoratore, se potesse, occuperebbe in modi molto più piacevoli ed umani, curando le proprie passioni, interessi, relazioni umane. Siamo sicuri che il gioco (l'orgoglio un pò feticista nei confronti dell'autonomia economica) valga sempre la candela (il sacrificio del tempo libero, per noi stessi, per i nostri familiari, amici, conoscenti)? Ho forti dubbi... considerando soprattutto che al di là dell'autonomia economica esiste un'autonomia a mio avviso più nobile, l'autonomia mentale, spirituale che raggiunge chi dedica la maggior tempo allo studio, al pensiero, alla riflessione. E spesso il perseguimento delle due autonomie è conflittuale, il tempo dedicato a una toglie tempo all'altra. Perchè dobbiamo per forza tacciare di immoralità e parassitismo chi, avendone la possibilità di farlo senza gravare entro una certa misura su altri, decide di anteporre al lavoro retribuito attività culturali non sempre pagate come la scrittura, l'arte, la musica, il frequentare più d'un corso di laurea, partecipazione a convegni, lo stesso scrivere su un forum filosofico come questo, utilizzando il tempo libero sgravato dai ritmi spesso opprimenti del "lavoro"? La vera libertà non è un'utopistica autonomia dalle dipendenza che tutti inevitabilmente abbiamo, ma si raggiunge attraverso un'intelligente gestione di tali dipendenze, delegando entro i limiti del possibile i compiti più spiacevoli per ottenere maggio tempo per le attività più corrispondenti alle nostre inclinazioni e dunque più piacevoli. Ad aiutarci in ciò abbiamo la fortuna di vivere in una struttura sociale fondata sulla divisione di ruoli, dove si spera, questo è almeno il mio auspicio ideale, ogni ruolo venga assunto da persone motivate e talentuose per quel ruolo. Delegando, tornando all'esempio di prima, il ruolo di cucire i vestiti ad un sarto, a qualcuno a cui piace questo lavoro lasciando a me il tempo per cose che mi piacciono di più come la lettura finisco di fatto col rendere felici entrambi, me stesso, che ho più tempo per i miei interessi, e il sarto, che può svolgere un lavoro che lui ha scelto, che gli piace e di cui ha necessità

CitazioneRisposta di Sgiombo:

Salvo una valutazione più pessimistica (la ritengo sostanzialmente iniqua e da sovvertire) della realtà sociale di fatto da parte mia. con questo concordo in pieno!