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Messaggi - sgiombo

#3106
Tematiche Filosofiche / Re:Coscienza
15 Novembre 2016, 20:42:12 PM
Stavolta concordo pienamente con Maral (anche se quasi sicuramente in base a motivazioni diverse, che vado brevemente ad illustrare).

Anche se la scienza neurologica dimostra che vi è una necessaria corrispondenza biunivoca fra certi determinati eventi fenomenici coscienti nell' ambito di una certa determinata esperienza cosciente (di un "osservato": chiamiamola coscienza "A") e certi determinati eventi neurofisiologici in un certo determinato cervello (osservabile nell' ambito di esperienze fenomeniche coscienti di "osservatori", generalmente diverse da quella di cui sopra: chiamiamole coscienze "B", "C", "D", ecc.), ciò non significa affatto che l' esperienza cosciente ("A") si trovi in quel cervello (il quale si trova nell' ambito delle esperienze coscienti "B", "C", "D", ecc.): assurdità della pretesa esperienza cosciente interna ad un' altra (o più di una) esperienza cosciente!
Nel cervello osservato scientificamente, compreso nell' ambito delle esperienze coscienti degli osservatori (ovvero nel "mondo materiale – naturale" scientificamente studiabile che di esse fa parte) Tononi non potrà che trovare neuroni, assoni, potenziali d' azione, eccitazioni o inibizioni trans-sinaptiche, ecc. (roba macroscopicamente molliccia roseo-grigiastra) a loro volta costituiti microscopicamente da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc.: tutt' altra roba che l' esperienza cosciente cui necessariamente corrisponde in modo biunivoco (che potrebbe essere ad esempio costituita dalla visione di un coloratissimo fiore o un arcobaleno, dalla percezione di un piacere fisico, di un sentimento di amore, di un ricordo d' infanzia, di un ragionamento deduttivo, ecc.)!

Finché non compiranno la "rivoluzione copernicana" consistente nel rendersi conto che non è l' esperienza cosciente ad essere nel cervello (dove ci sono solo neuroni, assoni, ecc. e nient' altro), bensì sono i cervelli ad essere nelle esperienze coscienti di chi li osserva, i neurologi, "scienziati cognitivi", ecc. (compresi anche certi filosofi della mente) saranno inesorabilmente costretti a brancolare nel buio, un po' come i biologi evoluzionisti prima che Darwin e Wallace scoprissero la selezione naturale (ma per comprendere questo è necessario innanzitutto rendersi conto che "esse est percipi": ci vuole una certa attitudine e preparazione filosofica).
Un certo determinato cervello e una certa determinata esperienza cosciente non possono essere considerati "la stessa cosa in sé" (robe mollicce grigiastre fatte di neuroni e assoni non sono affatto la stessa cosa che fiori coloratissimi, sentimenti o ragionamenti!), ma casomai, in un certo senso, "la stessa cosa in sé" in quanto "si manifesta fenomenicamente" rispettivamente ad altri soggetti di sensazioni e a se stessa.

(Questa discussione è alquanto "deragliata dai binari iniziali", ma a questo punto mi sembra valga la pena proseguire anche in questa direzione).
#3107
Tematiche Filosofiche / Re:Alla ricerca del principio
15 Novembre 2016, 19:46:12 PM
Un conto é la causazione (reale, ontologica) di B da parte di A, un altro conto é la deduzione (logica), o la spiegazione (epistemologica) della realtà di A (causa) a partire dalla constatazione empirica diretta della realtà di B (effetto).


La concatenazione causale degli eventi (se accade realmente; ma Hume ha mostrato che non lo si può dimostrare) significa che accade un divenire ordinato o relativo o parziale, in ottemperanza a regole generali universali e costanti astraibili da parte del pensiero dalle particolarità che differenziano i singoli eventi concreti; una sorta di "sintesi dialettica" fra fissismo "parmenideo" o "severiniano" (tesi) e mutamento caotico, assoluto, integrale da cui non sia astraibile alcunché di universale e costante (antitesi).
In questa concatenazione gli eventi precedenti "collegati" da leggi del divenire agli eventi successivi ne possono essere considerati cause; mentre gli eventi successivi possono essere considerati effetti degli eventi precedenti ad essi analogamente "collegati", il cui essere accaduti se ne può conseguentemente dedurre (logicamente a partire dalla constatazione degli effetti e dalla conoscenza delle leggi del divenire).


Seroquel54 afferma:

"
E.   Se la catena delle cause e degli effetti da cui deriviamo fosse infinita e tale catena fosse costituita da intervalli finiti di tempo (i singoli rapporti di causa-effetto) ne seguirebbe che:  F.   Per esaurire una distanza infinita, con intervalli finiti, sarebbe necessario un tempo infinito. G.   Per questa ragione la catena di causa effetto infinita non arriverebbe mai al punto del tempo in cui ci troviamo e in cui siamo stati causati. H.   Ma noi esistiamo. I.   Quindi la Causa Prima deve esistere".

E' un paralogismo molto simile agli aforismi di Zenone (...a proposito di "fissismo parmenideo"):
Per esaurire un intervallo di tempo infinito sommando intervalli di tempo finiti ne occorre (di questi periodi finiti) un numero infinito.
Per questa ragione, in questo modo la catena di causa effetto infinita potrebbe benissimo arrivare al punto del tempo in cui ci troviamo a partire da una distanza di tempo infinito (ovviamente in un tempo infinito -tautologia!- dato dalla somma di infiniti intervalli di tempo finiti).
Non si può, in modo logicamente corretto, pretendere che un tempo infinito sia raggiunto sommando un numero finito di intervalli di tempo finiti (ma comunque se ne può benissimo sommare un numero infinito).
#3108
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
15 Novembre 2016, 19:03:14 PM
Citazione di: maral il 15 Novembre 2016, 14:21:56 PM
Che vuoi che dica Sgiombo, se non che proprio tutti i miei infruttuosi tentativi di mostrarti che sia logicamente che empiricamente l'esistenza di "io" implica quella reale dell' "altro" e i tuoi per negarne il fondamento, mostrino la nostra irriducibile e reale alterità, che tu non sei né una creazione della mia mente né della mia percezione (per quanto per di più mediata dallo schermo di un computer). E non è per fede che lo credo, non ho fede che tu esista come altro da me, so che tu esisti come altro da me e per questo anch'io posso esistere realmente come altro da te (e sono convinto che pure tu lo sai e non ci credi per fede).
Con l'altro a volte ci si intende e altre no, a volte si condivide ed altre ci si oppone e in modo diverso con ogni altro a cui ci si trova legati da un accadere insieme e proprio questo manifesta che il reale comincia sempre da 2 (anzi, per la precisione da 3 visto che c'è pure la relazione che collega i 2, con tre gambe la realtà sta in piedi) e mai da 1, comunque lo si intenda.

CitazioneNon per insistere inutilmente sulle nostre reciproche, irriducibili divergenze, ma non vedo come queste possano mostrare o dimostrare a me la tua esistenza (in cui ovviamente credo; ma rendendomi ben conto della non fondatezza razionale di questa credenza) e consentirmi di superare razionalmente (per dimostrazione logica o constatazione empirica) il solipsismo.
Dunque io al contrario di te e di ciò di cui tu sei convinto a proposito di me, ho fede (irrazionale; e non certezza razionalmente fondata) che tu esista come altro da me, e per questo anch' io posso esistere realmente come altro da te (ma comprendo bene che invece tu sei convinto -anche se non posso comprendere come di fatto, effettivamente; e dunque credo erroneamente- di saperlo razionalmente e dunque, contrariamente a me, di non crederlo per fede).

Dunque che con l'altro a volte ci si intende e altre no, a volte si condivide ed altre ci si oppone e in modo diverso con ogni altro a cui ci si trova legati da un accadere insieme, e anche che si nasce in società e si comincia a pensare credendo alla presenza di altri (che solo dopo un' attenta riflessione critica si può mettere in dubbio), lo credo per fede, ma non perché sia manifestato da alcuna esperienza sensibile o dimostrazione logica.

(Se così non fosse, vorrebbe dire che mi hai convinto, cosa di cui credo tu sia consapevole non sia accaduta, malgrado gli sforzi generosamente profusi, esattamente come io sono consapevole di non aver convinto te).
#3109
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
15 Novembre 2016, 08:59:18 AM
Citazione di: maral il 14 Novembre 2016, 23:19:07 PM
Ma mi sa che stiamo imbarcandoci in un'altra delle nostre discussioni senza fine caro Sgiombo (da cui ogni altro partecipante a ragione subito rifugge),
CitazioneConcordo unicamente con quest' ultima affermazioine, mentre tutte le altre le trovo evidentissimamente postulate senza alcuna dimostrazione (potrebbero essere vere o anche false), in parte evidentemente false, in qualche caso addirittura autocontraddittorie (concetti, fra l' altro, per me assai diversi l' uno dall' altro).

E conseguentemente, onde evitare l' imbarco anche da te il deprecato, non entro nei dettagli , anche perché dovrei ripetere argomentazioni già sviluppate in precedenza.
#3110
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
14 Novembre 2016, 20:12:18 PM
Citazione di: maral il 14 Novembre 2016, 16:01:04 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2016, 09:05:06 AM
Tutto questo, e dunque la falsità del solipsismo, non é dimostrabile: nulla dimostra che "questa" coscienza immediatamente esperita" (non in relazione con alcun altra coscienza) non sia tutto ciò che realmente accade.
Il punto è che nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine. Ovviamente si potrebbe anche dire che questa storia che mi consegna il significato di un mondo e di qualsiasi cosa all'interno di esso è una mia creazione dal nulla, ma questo non è ciò che immediatamente si presenta alla mia coscienza. Ciò che si presenta in principio alla mia coscienza infatti non è la mia coscienza, ma l'essere di me cosciente da parte di qualcun altro che mi guarda e mi considera mentre per lui accado. La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere e solo su questa base posso anche arrivare follemente a pensare che quella coscienza che l'altro ha avuto originariamente di me non è mai esistita e vivere il delirio di un'autocoscienza perfettamente autocratica.  
CitazioneMa che significa "nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine"?
Del mondo constatato empiricamente "esse est percipi": l' esperirlo non è altro che insieme e successione di sensazioni fenomeniche.
 
Nemmeno capisco che cosa possa significare che "La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere"; e comunque la "mia" coscienza (la coscienza immediatamente esperita) può anche essere pensata del tutto logicamente, senza alcuna contradizion che nol consente, come tutto ciò che accade realmente senza alcuna altra coscienza nell' ambito della quale si prenda atto dell' accadere della "mia" coscienza stessa (esistenza di "altre" coscienze che dunque pare indimostrabile, né mostrabile empiricamente).




Citazione(Mi scuso pe rl' ignoranza) Qual' é la contraddizione nichilistica ontologica?
che niente è.
Citazione"Niente è" mi sembra evidentemente un' affermazione falsa, ma non contraddittoria (sarebbero contraddittorie "niente è e inoltre è qualcosa" o "qualcosa è niente").

Non vedo comunque come potresti dimostrare l' affermazione che "Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere a sostenere che niente è [= la contraddizione nichilistica ontologica]": il solipsismo, anche inteso nell' accezione più radicale, ammette comunque l' esistenza di "qualcosa che è": (per lo meno) l' esperienza fenomenica cosciente immediatamente esperita (se non anche il suo soggetto).




CitazioneL' affermazione "anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro" mi sembra autocontraddittoria.
In lingua italiama "penso me stesso" significa che io stesso sono sia il soggetto che l' oggetto del pensiero e non un altro (di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui).
In lingua italiana e probabilmente in molte altre lingua, ma questo non toglie che sia una sorta di astrazione presa per comodità, ma concretamente falsa. L'io che pensa non può coincidere con l'io pensato dall'io che pensa, anche se lo pensa e lo vuole intendere come sé medesimo, uno è soggetto e l'altro è oggetto del pensare e questo non è per nulla indifferente alle caratteristiche specifiche concretamente differenzianti.
CitazioneMa perché mai "L'io che pensa" non dovrebbe poter "coincidere con l'io pensato dall'io che pensa", ovvero perché mai il soggetto del pensare non potrebbe esserne anche l' oggetto?
Mi capita spessissimo di pensare a me stesso (anche se la mia esistenza in sé come soggetto e/o oggetto di sensazione fenomenica è indimostrabile, la credo), e in tali circostanze il mio essere sia soggetto del pensiero sia suo oggetto non mi fa diventare ontologicamente due diverse cose per il fatto di esercitare due diverse funzioni epistemologiche; non più che il fatto di essere sia italiano sia medico, o sia marito sia padre (se non é contraddittoria ciascuna di queste due coppie di diverse caratteristiche ontologiche della medesima entità -io- non vedo come potrebbe esserla quella fra le diverse caratteristiche gnoseologiche della stessa entità).




CitazioneHo evidenziato "ci si rende conto" per chiederne spiegazione: significa "si crede per fede" che? "Si dimostra (ma come?)" che? O cos' altro?
Lo intendo come un "appare evidente che" ogni accadere è l'accadere di qualcosa a qualcuno e non un accadere che sta da solo, ossia un accadere di nulla a nessuno.
L'accadere è sempre l'accadere di qualcosa (pensare, percepire ecc.), ma se qualcosa in qualche modo accade l'accadere non è auto sussistente (necessita cioè di qualcosa che accade), questa impossibile perfetta auto sussistenza isolata è quella che identificavo come caratteristica di un "puro accadere" che quindi altro non è che un accadere di nulla a nessuno, totalmente disincarnato.
CitazioneDato che non ne dai dimostrazione logica alcuna né lo ostenti empiricamente, ne deduco che lo credi per fede (come me).
Dunque l' impossibilità di questa "perfetta auto sussistenza isolata" ecc. la credi per fede, dal momento che essa è pensabile sensatissimamente, senza alcuna contradizion che nol consente, e cioè non dimostrabile essere impossibile.
 
Ma un accadere che sta da solo, non é un accadere di nulla, bensì un accadere di qualcosa che non è accadere di alcunché ad alcuno(la lingua italiana con l' illogicissima ammissione di due negazioni che negano anziché affermare può creare fraintendimenti), ma non un non accadere di alcunché (in assoluto): affermarlo significherebbe cadere nella contraddizione ("nichilistica ontologica"?) pretendendo che qualcosa accada e anche contemporaneamente non accada.




Citazione"l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano" lo credo vero.
Ma non vedo come possa (mi rendo conto che non può) essere dimostrato logicamente né constatato empiricamente
Bè, la proposizione "il soggetto crea il mondo pensandolo" si può dimostrare insoddisfacente nel momento in cui ci si domandi che cosa crea il soggetto, e contraddittoria se si pensa il mondo come tutto quello che c'è e quindi il soggetto creatore come fuori dal mondo, da qualche parte che non c'è, dato che non è al mondo, ma lo precede.
CitazioneMa il solipsismo non è l'affermazione che "il soggetto crea il mondo pensandolo" (questo è casomai idealismo), bensì al massimo che "esiste solo il soggetto con la sua esperienza fenomenica (che non crea ad libitum; vedi risposta #79 di Phil) in un accezione "debole"; o magari addirittura che esiste solo l' esperienza fenomenica cosciente (senza soggetto) in una più "forte" o più "scettica".


Empiricamente penso che constatiamo tutti i giorni (sogni compresi, che non sono forme solipsistiche) che non siamo mai assolutamente soli (forse lo siamo solo nel sonno profondo, perfettamente incosciente), nemmeno quando siamo con noi stessi. L'altro si dà sempre alla coscienza e, proprio alla luce della coscienza, mi pare che solo dall'esperienza dell'altro può fare apparire di riflesso un me stesso differente da lui e pertanto in necessario e originario rapporto con lui.
CitazioneNon lo constatiamo empiricamente bensì lo crediamo fideisticamente interpretando indimostratamente ciò che constatiamo empiricamente.
#3111
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
14 Novembre 2016, 09:05:06 AM
Citazione di: maral il 13 Novembre 2016, 21:59:54 PM
Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere alla contradizione nichilistica ontologica.
L'assunzione di un me stesso come unico soggetto cosciente del mondo si limita a negare la dimensione altra della coscienza, ma non tiene conto che la coscienza (la mia coscienza) è un fatto relazionale determinato da altre coscienze che la fondano, affidandomi il significato originario di ciò di cui via via divento cosciente. La mia coscienza si presenta solo nel mutare dei segni ad essa dati da altre coscienze, non è originaria.
CitazioneTutto questo, e dunque la falsità del solipsismo, non é dimostrabile: nulla dimostra che "questa" coscienza immediatamente esperita" (non in relazione con alcun altra coscienza) non sia tutto ciò che realmente accade.

(Mi scuso pe rl' ignoranza) Qual' é la contraddizione nichilistica ontologica?


La totale negazione dell'altro (indicata come seconda più radicale posizione), sia come soggetto che come oggetto, pone il problema di un pensare del tutto soggettivo e privo di oggetto. Cosa sente e pensa questo "io che sento, penso, dubito e rappresento"? Il nulla o me stesso? O il nulla che è me stesso, dunque ciò che avevo presupposto come tutto? Si noti che anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui.

CitazioneL' affermazione "anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro" mi sembra autocontraddittoria.
In lingua italiama "penso me stesso" significa che io stesso sono sia il soggetto che l' oggetto del pensiero e non un altro (di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui).


L'autocoscienza (richiamata da Phil) come interiore coscienza di se stessi ha già presupposto quel soggetto autocosciente autore di ogni pensare, dubitare, interpretare; quindi non lo dimostra (il cogito cartesiano non dimostra il sum, ma lo presuppone

CitazioneSu questo invece concordo.

La posizione più radicale e coerente è appunto quella, indicata da Sgiombo, in cui non vi è più ne soggetto né oggetto, ma un puro accadere fenomenico: accade il pensare, il percepire e via dicendo. E' una posizione ambigua, senza dubbio nichilistica se si ritiene che questo è tutto quello che accade, mentre non lo è se ci si rende conto che questo accadere implica l'accadere sempre insieme di qualcuno (soggetto) e qualcosa (oggetto) nella loro singolare diversità di volta in volta presentata. L'accadere di me e di un altro insieme e inseparabilmente uniti dall'alterità che ci lega reciprocamente. Il pensiero filosofico attuale è giunto proprio a questo bivio e ha davanti a sé da un lato quel puro accadere che può solo essere l'accadere del nulla e quindi il nulla dello stesso accadere (per cui in realtà nulla accade), dall'altro l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano. La realtà accadendo lascia segni che giocano giochi simbolici e questi giochi simbolici sono la sua autentica rappresentazione di cui siamo parte a nostra volta come segni per ogni altro.

CitazioneHo evidenziato "ci si rende conto" per chiederne spiegazione: significa "si crede per fede" che? "Si dimostra (ma come?)" che? O cos' altro?

Mi sembra evidentemente autocontraddittoria anche l' affermazione "quel puro accadere che può solo essere l'accadere del nulla e quindi il nulla dello stesso accadere (per cui in realtà nulla accade)" se per "puro accadere" si intende l' accadere di qualcosa (e in particolare "un puro accadere fenomenico: accade il pensare, il percepire e via dicendo").

"l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano" lo credo vero.
Ma non vedo come possa (mi rendo conto che non può) essere dimostrato logicamente né constatato empiricamente

#3112
Citazione di: maral il 13 Novembre 2016, 19:47:32 PM
Citazione"Questa affermazione é falsa"
equivale a dire (esplicitando il soggetto della frase) =
"L'affermazione <<Questa affermazione é falsa>>...è falsa."
Esatto, ma di conseguenza <<Questa affermazione è falsa>> dice di sé "oggettivamente" il vero, quindi se dice di sé il vero è oggettivamente vera proprio e solo in quanto è certamente falsa.

CitazioneAppunto!
#3113
Poesia per poesia (e bufala per bufala), noi abbiamo il sangue di San Gennaro...
O le stigmate di Padre Pio "miracolosamente svanite alla sua morte", in occasione della perizia necroscopica...
Ecc., ecc., ecc....
#3114
In realtà sia il Vecchio che il Nuovo Testamento sono collezioni stabilite a posteriori, in maniera in certi casi alquanto "raffazzonata", di tesi talora reciprocamente contraddittorie da parte di autorità civili (come Costantino)  e/o religiose a loro arbitrio e allo scopo di rafforzare ideologicamente il loro potere (con inevitabili compromessi fra varie e talora in varia misura reciprocamente conflittuali "nomenklature" o "caste", come é più do moda dire oggi).

Contengono anche qualche passo pregevole letterariamente e/o umanamente per i suoi "contenuti", ma personalmente penso che vi siano "patrìmoni dell' umanità" ben più validi e apprezzabili (opinione ovviamente arbitraria, soggettiva; lo so bene).

Fra l' altro il termine "patrimonio dell' umanità" non mi piace anche per l' inflazione che ne ha fatto l' UNESCO attribuendolo a "di tutto e di più" (sospetto dietro "giri di mazzette") e dunque svilendone di molto il significato (un po' come il "fuoriclasse della leccata di piedi!" Mollica della TV per il quale qualsiasi strimpellatore da due soldi é un grandissimo genio della musica, più o meno pari a Beethoven, per cui un Guccini finisce per essere posto al livello di un Pupo).
#3115
Anch' io detesto la pubblicità, ma sopporto volentieri il limitato disturbo di dover chiudere la pagina promozionale in cambio del grande arricchimento culturale e umano che ricavo dalla frequentazione del forum.

Spero che anche Verdeidea decida in questo senso.
#3116
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'e' la Liberta'?
13 Novembre 2016, 12:22:18 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Novembre 2016, 12:36:35 PM
Credo che sia utile situare la questione anzitutto su una base teorica, critica. Da un punto di vista critico, è impossibile sapere sia se esiste la libertà, sia che cos'è, poiché per entrambe le questioni non c'è modo di sapere se e in che misura esse siano prodotte da meccanismi mentali non liberi. Mi autocito:

"il concetto stesso di libertà contraddice il nostro bisogno di logica e si rivela confusionario: se supponiamo di poter compiere atti liberi, da dove nascono questi atti? Se nascono da qualcosa, non sono più liberi, essendo determinati da questo qualcosa; se nascono dal nulla significa che siamo degli dei, capaci di creare dal nulla. Ma anche ammesso che possiamo creare atti dal nulla senza bisogno di essere degli dei, come si dovrebbe spiegare il nostro aver compiuto una scelta piuttosto che un'altra? Qui le alternative sono due: se c'è qualche spiegazione a questo fenomeno, proprio tale spiegazione, essendo all'origine della libera scelta che abbiamo fatto, ne smentisce la libertà; dunque non ci dev'essere una spiegazione. Ma se una spiegazione non c'è, vuol dire che il concetto di libertà è del tutto incomprensibile; ma se dobbiamo concludere che la libertà è una cosa totalmente e assolutamente incomprensibile, come facciamo a dire che esiste? Ne dobbiamo per forza concludere che ce la siamo inventata noi per un nostro bisogno mentale, salvo poi accorgerci che entra in conflitto con il nostro bisogno di logica e col senso critico".

CitazioneConcordo (a meno di eventuali fraintendimenti):
"Libertà = casualità"

In caso di mutamento della realtà (quindi negando Parmenide, Severino e affini) le alternative logiche possibili sono solo "determinismo in senso lato o debole" (= mutamento ordinato, relativo, parziale, nel quale siano astraibili "aspetti o elementi costanti", ovvero divenire secondo regole o criteri universali e costanti) oppure "indeterminismo" (= mutamento caotico, disordinato, assoluto, integrale): tertium non datur; un divenire parzialmente ordinato secondo regole o criteri universali e costanti relativi alle proporzioni -determinate- fra diversi possibili singoli casi reciprocamente alternativi nell' ambito di più insiemi di successioni o coesistenze di eventi e non a ciascun -indeterminato- singolo casi possibile, cioè un "divenire probabilistico – statistico" secondo me è pur sempre un tipo di mutamento ordinato, relativo, parziale, nel quale siano astraibili "aspetti o elementi costanti", ovvero un divenire secondo regole o criteri universali e costanti, e dunque una forma di determinismo, anche se in senso meno "stretto o forte" che se le sue regole universali e costanti fossero relative a ciascun -determinato- singolo caso di successione o coesistenza di eventi, cioè che in caso di divenire "deterministico meccanicistico" (che comunque vi rientrerebbe, costituendone un caso particolare o un sottoinsieme).
E, come ci ha insegnato il grande David Hume con la sua critica razionalistica del concetto di causalità, l' ipotesi deterministica (né, aggiungerei, quella indeterministica) non è dimostrabile né mostrabile empiricamente a posteriori in alcun modo.

Di conseguenza un nostro ipotizzabile agire "libero" non potrebbe sensatamente che essere:

o un agire "indeterministico" (del tutto casuale), quello che comunemente si intende per "libero arbitrio" (anche se i suoi sostenitori di direbbe se ne sentano un po' imbarazzati e tendono a pretendere di negarlo);

oppure un agire "libero da condizionamenti (deterministici) esterni", ma intrinsecamente deterministico, condizionato dal nostro essere e conseguentemente divenire "così come siamo" (che si tratti di determinismo in senso stretto o forte, cioè relativo a ogni e ciascuna scelta che compiamo, oppure di determinismo in senso lato o debole, cioè relativo alle proporzioni necessarie, universali e costanti, fra diverse singole scelte possibili).

E nel primo caso (di indeterminismo ovvero libero arbitrio) non avrebbe senso considerare alcuna valutazione etica dell' agire umano, che sarebbe del tutto casuale (non agiremmo più o meno bene per il fatto di essere -e così dimostrando di essere- più o meno buoni oppure più o meno malvagi, bensì più o meno fortunatamente per il fatto di essere più o meno fortunati oppure più o meno sfortunati).
Invece nel secondo caso avrebbe senso: (agiremmo più o meno bene per il fatto di essere -e così dimostrando di essere- più o meno buoni oppure più o meno malvagi, e non semplicemente più o meno fortunatamente per il fatto di essere più o meno fortunati oppure più o meno sfortunati).
Ma anche nel secondo caso, poiché inevitabilmente saremmo così come siamo (più o meno buoni oppure malvagi) non in conseguenza di una nostra libera scelta (anche se chiunque può decidere di -cercare di- cambiare e diventare diverso da come è, tuttavia questa decisione sarebbe determinata da come fosse al momento della decisione stessa, non per sua libera scelta), l' essere più o meno buoni oppure malvagi dipenderebbe in ultima analisi dalla sorte (a ben vedere sarebbe comunque qualcosa di fortuito).

Questa considerazione potrebbe causare in qualcuno un certo smarrimento, o addirittura sgomento: qualsiasi merito o demerito nel nostro comportamento o non esisterebbe per niente (indeterminismo, libero arbitrio), oppure (pur essendo in questo caso conseguenza e dimostrazione del nostro essere più o meno moralmente buoni) non sarebbe comunque in ultima istanza dovuto a nostre scelte ma "ci capiterebbe addosso" comunque "per puro caso" (le nostre qualità morali ci sarebbero comunque "capitate addosso" del tutto fortuitamente, e non per nostro merito o demerito).
Personalmente non provo per nulla un simile disorientamento: tutto ciò mi sembra puramente e semplicemente ovvio, dovuto al fatto che "non può che essere così".
E certamente non per questo (questo non è affatto un buon motivo per il quale) chi è generoso, magnanimo, altruista non dovrebbe continuare a comportarsi con generosità, magnanimità e altruismo (e chi è gretto, meschino, egoista non dovrebbe continuare a comportarsi con grettezza, meschinità e d egoismo).

Concordo dunque anche in particolare che:

Da ciò consegue che non abbiamo motivo di ritenerci liberi, soprattutto perché ciò non inficia in alcun modo il nostro senso di responsabilità: non c'è bisogno di ritenerci liberi per decidere di rispettare l'altro, lottare per il bene ecc. Semplicemente lo faremo con modestia.
#3117
Da non cultore della logica formale (di cui, come tutti o per lo meno tutti i razionalisti, cerco di essere, nelle mie intenzioni, quanto più possibile un "corretto utilizzatore naif"; quindi se mi sbaglio ben vengano le correzioni degli esperti in materia) mi sembra di poter dire che di fatto ogni affermazione semplicemente "neutra", che non sia accompagnata esplicitamente da altre precisazioni (come "é falso che", "è dubbio che", "é necessario - oppure impossibile, oppure possibile- pensare che", o "mi piacerebbe che fosse vero che", ecc.) sottintende la clausola "é vero che" o " penso che sia vero che".

E dunque dire "io mento" é come dire "ciò che sto dicendo é vero e contemporaneamente ciò che sto dicendo é falso"; dire "questa affermazione é falsa" é come dire "questa affermazione, che é vera, é anche contemporaneamente falsa": patenti contraddizioni!
#3118
Concordo con gli ultimi interventi circa l' insensatezza di "questa affermazione é falsa" in quanto autocontraddittoria.
Avrebbe senso dire: "il monte Bianco é più alto dell' Everest"; questa affermazione fra virgolette (cioè quella appena scritta circa le altezza di due montagne) é falsa; e sarebbe vera (quella scritta senza senza virgolette circa l' altra fra virgolette).


Consideriamo anche l' affermazione "Il monte Bianco é più basso dell' Everest"; questa affermazione fra virgolette (cioè quella appena scritta -non la precedente- circa le altezza di due montagne) é falsa é un' (ulteriore) affermazione che ha senso, pur essendo falsa, contrariamente a quella "di prima" (che aveva senso e inoltre era vera).

Ma "questa affermazione 'qui' é falsa", significando che questa affermazione 'qui' é vera ed é (anche, contemporaneamente) falsa non significa nulla.
Nemmeno può considerarsi un' autentica affermazione ma una mera sequenza insensata di caratteri tipografici o di vocalizzi (se pronunciata: come "trallallerollerollà").
#3119
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
12 Novembre 2016, 07:19:22 AM
Citazione di: Phil il 11 Novembre 2016, 17:54:20 PM

Proporrei poi una quarta forma di solipsismo (la terza, piuttosto interlocutoria, l'ha già proposta sgiombo), quella in cui l'autocoscienza è l'unica certezza (cartesiana) che porta a sospendere il giudizio di esistenza per quanto riguarda la realtà (altri umani compresi), riconoscendola non come inesistente, ma al massimo come ipotesi di giustificazione dei fenomeni di coscienza, come supposizione la cui esistenza reale è asintoticamente insondabile e, quindi, in fin dei conti, irrilevante...

CitazioneTrovo (soggettivamente) rilevante il fatto che possa spiegare, sia pure ipoteticamente, indimostrabilmente, i fenomeni (alcune importanti -sempre soggettivamente- caratteristiche attribuibili -anche queste almeno in parte indimostrabilmente- ai fenomeni).
#3120
Attualità / Re:risultati elettorali inaspettati
11 Novembre 2016, 15:39:05 PM
Anche se trovavo terrificante l' ipotesi di una vittoria della Clinton (grosso rischio guerra nucleare!) ho seguito molto distrattamente, con scarso interesse la campagna elettorale americana (tanto i presidenti sono solo esecutori dei voleri degli autentici detentori del potere, che non elegge nessuno; e infatti spesso sono dei Caligola o dei Caracalla; in generale le analogie con l' impero romano sono sorprendenti ... ma non poi tanto a pensarci bene).

Mi hanno colpito alcuni fatti.
Uno é che i giornalisti come sempre (anche lì) sanno ben leccare il culo ai potenti ma quasi sempre non capiscono una mazza: erano loro che emettevano i "verdetti" sui confronti televisivi dando sempre vittorie nette alla Clinton (e infatti si é visto come é andata...).

Inoltre era palese la falsità e la malafede dei "sondaggi": la Clinton sempre in testa (anche se a tratti Trump era dato in rimonta), e alla fine "sorpasso della Clinton" (la quale, secondo logica elementare, per sorpassare doveva pur essersi trovata almeno per qualche istante, in seconda posizione ...peccato che fosse sempre stata data in testa, alla faccia del pr. di non contraddizione: mi piacerebbe sentire in proposito il parere di Emanuele Severino).
Evidentemente contavano sul fatto che molti salgono ad ogni costo sul carro del vincitore, e così facendo speravano di procacciare voti alla candidata dell' esteblishment.
In questo i preti italiani degli anni cinquanta erano certamente molto più sagaci, quando affermavano che "nella cabina elettorale Dio ti vede, Baffone no": e se non poteva vedere chi votava per chi il grande Stalin figuriamoci una mezza tacca come la Clinton!