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Messaggi - maral

#316
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
11 Marzo 2017, 23:04:38 PM
Citazione"...se qualcuno ti dice
che non ci sono verità,
o che la verità è solo relativa,
ti sta chiedendo di non credergli.

E allora non credergli..."
Certo, ogni essente è sempre nella verità, altrimenti non avrebbe esistenza. Il problema è chi dice di sapere cosa o chi è la verità e di poterlo dire chiaramente e definitivamente a tutti. Allora forse è meno credibile di chi dice che non ci sono verità. La verità non è di nessuno, proprio perché esprime tutti, ognuno per quello che veramente è. Verità è il vivere errando e a ogni errore chiedersi ancora: cosa è la verità?
#317
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
11 Marzo 2017, 22:51:17 PM
Citazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 12:21:17 PM
L'assoluto non dà alcuna certezza di salvezza sicura  e non dà chiusura autoreferenziale, secondo me( e come potrebbe? Se è assoluto deve contenere anche il proprio contrario, ossia l'incertezza...). La certezza la danno le visioni relative che pretendono di farsi visioni assolute. In realtà assoluto dovrebbe essere superamento delle certezze delle visioni relative in quanto vuote di esistenza intrinsceca e superamento quindi anche della certezza che non vi siano certezze. Lasciare andare tutto quindi...tutta questa massa di concetti insostanziali, questo apparente dualismo assoluto/relativo in cui si impantana il pensiero, questa dialettica esistente/essente come se fosse possibile una realtà senza l'altra, la luce senza le tenebre. Relativo ha un senso solo se c'è un assoluto e assoluto non può che manifestarsi attraverso il relativo ( alla coscienza umana, in altre forme di coscienza non so... ;D ).
Angelo abbraccia il relativo , secondo me, perché pensa che questo gli permetta un'assoluta libertà, non rendendosi conto che proprio la sua ricerca di libertà e di non-imposizioni è di fatto una ricerca di assoluto...ma non è giusto fare un discorso 'su Angelo Cannata', diciamo che tutti i relativismi non possono che essere dinamiche in cui si manifesta l'assoluto...non c'è un menu 'assoluto', ma tanti menu 'relativi' per il pensiero, quindi leggiamoli e poi...sbarazziamocene e gustiamo il cibo...( come afferma giustamente il Don... :) ).
Non c'è dubbio, giacché esistiamo solo nel relativo (ossia i nostri modi di sentire, vedere e pensare sono risultato di relazioni), allora l'assoluto è un relativo che si immagina assoluto e proprio qui sta il problema (la violenza fondamentale e primaria). Ed è pure vero che essente ed esistente si implicano sempre, come si implicano sempre i termini apparentemente contraddittori. Come si può essere senza esistere o esistere senza essere?
Ma altrettanto chiaro è che nel momento in cui ci si rende conto che l'assoluto deve comprendere in sé tutto questo, dopo che ci siamo liberati di ogni concetto, che cosa resta da poter dire o pensare? Nulla assolutamente nulla. O effettivamente l'assoluto è la morte, oppure l'assoluto è ciò che continuamente genera e rigenera la domanda su se stesso, è la domanda ( e mai la risposta, giacché ogni risposta non può che essere relativa, compresa questa se la intendi come risposta e non come domanda). La risposta assoluta sta solo nel nulla, ma il nulla domanda, dunque non è nulla. Che cosa è? Di quanto si deve restringere la vastità per poter articolare e sentire una qualsiasi risposta sensata?  

CitazioneVuoto di concetti relativo/assoluto , nel senso più puro, significa vastità. La vostra esistenza non si riduce alle piccole proporzioni del mondo: è vasta. Questo è il senso puro del momento. Ma se vedete il momento solo dal vostro punto di vista individuale, diventa limitato. Il senso puro del momento è vasto. Istantaneamente, l'esistenza individuale si estende ad abbracciare tutti gli esseri senzienti. E' un manifestarsi totale. Non è solo un aspetto della vita umana, è il ritratto fedele dell'esistenza. Tutti gli esseri senzienti esistono in questi termini. Perciò, prendervi cura di voi stessi non vuol dire prendervi cura di voi stessi ignorando gli altri. Dovete prendervi cura di voi stessi e al tempo stesso di tutti gli esseri senzienti. In quel momento, potrete cogliere davvero il gusto dell'impermanenza.  (Dainin Katagiri)
E chi potrà mai o mai ha potuto prendersi cura di tutti gli esseri senzienti? E' già terribilmente difficile prendersi cura anche di uno solo! In astratto si può amare tutti, ma in concreto, ma davvero? Quanti se ne possono amare sentendo di amare nella loro reale, assoluta esistenza? Per assaporare il momento dell'esistere occorre imparare ad assaporarne soprattutto e fino in fondo l'amaro (il nostro amaro che è il più amaro di tutti), l'esistere non è di sicuro un piatto dolce da gustare, anche se la fede promette sempre una futura dolcezza a consolazione di quell'amaro che c'è nell'esistenza e proprio per questo inganna e ingannando seduce.
#318
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
11 Marzo 2017, 09:10:36 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Marzo 2017, 18:40:58 PM
In questo senso, bisogna anzitutto osservare che il relativismo non sostiene la verità metafisica secondo cui, come hai scritto, "nulla è garantito": il relativismo non afferma e non può affermare ciò, proprio perché sarebbe una verità metafisica. Il relativismo dice piuttosto "sembra che nulla sia garantito", oppure "finora non viene a risultare che alcuno sia riuscito a fornire garanzie di affermazioni assolute". Ciò significa che le affermazioni poste dal relativismo non richiedono di essere garantite da alcuno, perché non si pongono come verità, ma come incertezze, dubbi, sospetti, dubbi che non hanno alcuna certezza neanche di se stessi.
Citazione di: sgiombo il 10 Marzo 2017, 21:06:47 PM
la mia impressione é che così si attribuiscono al relativismo caratteristiche  che sono invece proprie dello scetticismo.

Mi sembra che in ciò che dice Angelo Cannata ci sia piuttosto l'intento (per quanto mi riguarda del tutto condivisibile) di mantenere un'apertura nella visione del mondo e dell'esistenza, là dove l'assoluto esige un'assoluta chiusura autoreferenziale a sé che , in cambio di una promessa di salvezza sicura, non lascia scampo. Per sostenere questa apertura lo scetticismo viene a essere un utile strumento che non è fine a se stesso, dunque non è a sua volta scetticismo assoluto (che evidentemente sarebbe contraddittorio), ma una critica scettica da utilizzare ogni volta che serve per scardinare la tentazione di cedere alla pretesa dell'assoluto di pronunciare la parola definitiva che chiude ogni discorso e il senso di ogni esistenza assorbendone tutto il significato. Si tratta in altre parole dell'eterna e assai complessa battaglia tra gli esistenti e l'essenza.
#319
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
10 Marzo 2017, 16:58:17 PM
Citazione di: Sariputra il 09 Marzo 2017, 23:58:12 PM
Maral, ma se io, per esempio, sostenessi che la Tolleranza è l'Assoluto, sarebbe lo stesso una forma di violenza? SE impongo che tutti DEVONO essere tolleranti cadrei in contraddizione, perché la mia prassi sarebbe la tollerenza,  e quindi sarei semplicemente incoerente. Avendo 'fiducia' che l'assoluto  è tolleranza tollererei coloro che non sono tolleranti, per essere coerente con il mio assolutismo.
Non so...c'è qualcosa che non mi torna nel tuo ragionamento... :)
Infatti Sari la tolleranza non può essere presa in assoluto, ma dipende dai contesti che la ammettono oppure no come prassi. Penso che anche tu possa convenire che non si può essere sempre e comunque tolleranti, o no? :)
#320
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
09 Marzo 2017, 23:40:37 PM
@davintro, l'assoluto non può assolutamente essere tollerante, se non rinunciando al suo essere assoluto. Nell'ottica dell'assoluto che definisce un contenuto particolare come assoluto (dice precisamente che cosa solo va considerato assoluto) è evidente che la forza può solo essere violenza e lo è sempre stata, per ogni assoluto che si è proclamato, fosse principio di fede o di ragione, comandamento dell'amore compreso e soprattutto (proprio in nome dell'amore, la caritas, si può raggiungere il massimo della violenza), perché qualsiasi assoluto può convincere solo con la fede e la fede è volontà di credere che con la volontà si deve imporre facendo violenza assoluta su se stessi quando si dubita e su ogni altro che non ci crede, altrimenti, di nuovo, che assoluto è?
L'assoluto assunto come contenuto specifico è la vera e unica matrice di ogni violenza, inevitabilmente, anche (e forse ancor di più) se inteso come relativo assoluto. In realtà tu e Angelo Cannata fate lo stesso discorso, entrambi avete pretese assolute anche se di segno opposto.
La fondatezza delle proprie tesi lasciamole lontane dall'assoluto, stiamoci lontani dall'assoluto se vogliamo sopravvivere un po' meglio insieme. L'assoluto c'è, ma va tenuto a giusta distanza finché viviamo, perché solo nello spazio di questa distanza possiamo vivere e convivere. La fondatezza dei nostri principi non sta nel porli come assoluti, ma al contrario, pur ritenendoli giusti e sommamente giusti perché ci fanno essere quello che siamo, nel porli come sempre discutibili quando si tratta di attuarli, commisurandoli ai contesti, confrontandoci con le altrui realtà che determinano modi diversi di vivere e sentire, affinché, se proprio deve essere qualcosa, l'assoluto lo si possa vedere solo come un parziale relativo in cammino insieme ad altri relativi. L'assoluto è il relativo percorrere il nostro cammino insieme per tornare sempre a ciò che siamo, nelle relazioni che sole ci fanno essere proprio ciò che siamo.
#321
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
09 Marzo 2017, 23:06:04 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Marzo 2017, 19:47:57 PM
In base a quale necessità l'assoluto dovrebbe essere richiamato dall'accadere? Chi ha stabilito che l'accadere debba richiamare l'assoluto?
Perché è solo il relativo che accade e se accadendo non richiamasse l'assoluto, come altro da sé, si porrebbe esso stesso (il relativo) come assoluto. Si avrebbe cioè un relativo assoluto che non è che una perifrasi del nulla. L'assoluto è l'antitesi dialettica del relativo e ne dà significato in quanto ne è la negazione e viceversa, per questo l'assoluto è sempre richiamato e minacciato dalla sua antitesi relativa, quanto il relativo lo è dalla sua antitesi assoluta. Si tratta di vedere i termini in reciproca implicazione proprio in quanto opposti, l'uno è in ragione dell'altro che lo nega.

Citazione
Citazione di: maral il 09 Marzo 2017, 11:40:04 AM...Il problema non è se l'assoluto sia o non sia, chiaro che è, altrimenti che senso avrebbe mai il relativo?
Chi ha stabilito che il relativo debba per forza avere un senso?
Ho scritto senso, ma sarebbe stato giusto dire "significato" e dunque l'esigenza in termini di significato è chiarita da quanto ho scritto sopra. Un relativo senza assoluto altro da sé è esso stesso assoluto, resta solo l'autocontraddizione assoluta.
Non si tratta di un dovere morale, ma di una necessità ontologica rilevata su base dialettica.
Poi un relativista può respingere ogni accenno all'assoluto, ma in tal modo non fa altro che porsi lui stesso come assoluto relativista autocontraddicendosi.


CitazioneInoltre, quali che siano queste esigenze o logiche o meccanismi mentali, chi garantisce che essi non siano difettosi, contraddittori, incoerenti, ingannevoli?
Possono benissimo essere meccanismi ingannevoli, ma un relativo assoluto non è semplicemente una contraddizione, ma un'autocontraddizione e l'autocontraddizione demolisce in partenza qualsiasi tesi si voglia sostenere, qualsiasi cosa si dica, compreso che nulla può essere garantito. Chi può mai garantirlo?
#322
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
09 Marzo 2017, 11:40:04 AM
Mi pare che il relativismo possa essere correttamente inteso a partire dalla idea di una totalizzazione sempre in corso come parzialità in atto (la cosa è stata detta da Sini, ma mi pare che si accordi molto bene anche con il pensiero di Severino che sta filosoficamente sull'altro lato della sponda). Il relativo è ovviamente della parte (definita dalle sue relazioni con le altre parti) ed è solo la parte che accade, quindi ogni reale accadere non può che essere relativo e nega l'assoluto con il suo stesso accadere, poiché l'assoluto è assolutamente, quindi non accade mai. Ma in quello che si nega nell'accadere l'assoluto riemerge: non accade mai, ma da ogni accadere è richiamato e in questo richiamo che si ripete ogni volta che qualcosa accade la parte (il relativo) si incammina mostrando il suo diventare sempre relativa a qualcos'altro.
Il problema sta qui allora: se la parte, che è tutto quello che accade, appare nella relazione, non possiede una sua verità, su cosa dunque si può fondare la verità di quello che accade se non su quello che non accade mai e proprio perché non accade mai può essere saldo e fermo, esente da ogni dubbio? Il relativista sarà allora tentato di sottolineare che nulla accade mai e senza vederlo richiamerà come assoluto proprio questo nulla, mentre chi esige una realtà accadente per l'assoluto cadrà nell'inganno rovinoso di scambiare una parte (che davvero accade) ed elevarla ad assoluto, in virtù della forza della sua fede in essa, che non potrà che essere necessaria fede di tutti, altrimenti che assoluto è? Così il relativista vedrà in qualunque pretesa di assoluto una gabbia mortificante dell'esistenza relativa, mentre il credente di assoluti vedrà nel relativo la debolezza frammentaria e sconclusionata che solo la salda presa dell'assoluto può tenere insieme senza che tutto frani liquefacendosi, dimenticando rispettivamente che nulla può essere più soffocante di un relativo che annulli l'assoluto e più impalpabile di qualsiasi assoluto (alla cui impalpabibilità l'assolutista tenta poi di rimediare costruendo la chiesa, il partito, il movimento, la struttura che sorregge l'ideologia).  

Il problema non è se l'assoluto sia o non sia, chiaro che è, altrimenti che senso avrebbe mai il relativo? Il problema è la pretesa di dire l'assoluto in modo diverso dalla tautologia, per quanto ogni tautologia non dica nulla e ci lasci profondamente insoddisfatti. Il problema è capire che proprio e solo questa insoddisfazione per ogni assoluto (insoddisfazione che si esprime nel dubbio) che al di là della sua tautologia è un inganno (una parte mascherata e imbrogliona), è la forza che ci mantiene in cammino e ci fa esistere per tornare a essere proprio quello che siamo, pur non potendo esserlo mai in assoluto.


Citazione di: green demetrSi trova nel finale dell'intervista fatta da Fusaro a Severino reperibile sul sito Youtube di Fusaro...  

La guarderò, ma questo accostamento Heidegger - Severino sotto il nome di Dio mi suona assurdo: non c'è praticamente pubblicazione di Severino in cui non critichi Heidegger (soprattutto la sua conclusione che "solo un Dio ci può salvare", giacché per Severino non c'è proprio nulla da salvare, tutto è da sempre e per sempre già salvo).
Per Severino non c'è alcun Super Ente Riparo Speciale, se lo prospettasse tutta la sua filosofia sarebbe contraddetta. Ontologicamente per Severino Dio vale quanto e meno di un granello di polvere, giacché ogni granello di polvere è Dio e oltre Dio.
#323
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
08 Marzo 2017, 14:51:54 PM
Citazione di: green demetrAffidarsi ad un DIO come Heideger o Severino infine ammettono, non è certo qualcosa che metta in gioco alcuna prassi.
Scusa green, ma dov'è che Severino invita ad affidarsi a un Dio? Forse c'è stata una conversione da parte del filosofo in tarda età che mi è sfuggita?
#324
Caro Sgiombo in conclusione mi pare che abbiamo portato questo thread ben oltre lo spunto iniziale e forse troppo oltre per mantenere il tema. Mi riprometto di riprendere in un altro, appena ne avrò il tempo anche per rifletterci sopra, il discorso sull'intreccio tra ontologia, epistemologia ed etica.
Per il momento, riguardo al discorso, che resta a mio avviso impossibile, sulla conoscenza delle cose in sé mi limito a osservare che non le ho mai viste né conosciute, ancor meno degli ippogrifi, e che, anche se nel sogno che mi vive non vedo in giro ippogrifi, non mi scandalizzerei se qualcuno li avesse visti, cercherei di capire il significato di ciò che accade nei sogni, diversi dal mio, che lo vivono.
Di allucinazioni di passerelle penso invece di averne avute, come tutti, tante e il brutto è che ci se ne accorge solo a posteriori, quando si precipita, prima no, prima sembrano passerelle solide e sicure, il mondo pare confermarcelo, perché il mondo è proprio sempre e solo nel significato che in esso risulta condiviso e da qui nascono tutti i suoi inganni, le sue promesse e le sue rassicuranti certezze "oggettive".
#325
Citazione di: sgiombo il 03 Marzo 2017, 11:53:56 AM
"Realtà oggettivamente condivisibile" significa "realtà che può -N.B.: non deve necessariamente!- essere condivisa", cioè che è reale indipendentemente da qualsiasi eventuale (possibile e non necessaria) condivisione".
E in esssa non hanno denotazione reale tutti i concetti variamente denotati che si possono pensare e che di fatto si pensano (ad esempio i cavalli sì, gli ippogrifi no); e inoltre le denotazioni reali di quei concetti che si pensano e che ne sono "dotati", che vi si riferiscono, sono tali (reali) anche indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno pure dei concetti che ad esse si riferiscono (anche se non vengono pensate).
Conclusione: vi sono cose (realmente) pensate non reali (ippogrifi; se non ovviamente, tautologicamente in quanto pensate) e cose reali che non sono inoltre anche (realmente) pensate.
Sì realtà condivisibile significa che può essere condivisa, ma c'è sempre un fondo di condivisione fondamentale in cui ci si muove insieme, fatto di esperienze comuni e di una storia comune che stabilisce significati che si considerano insieme veri o falsi, ove questa verità e falsità non è certo data solo dalle cose in sé che come tali non possiamo né conoscere né tanto meno definire, ma solo viverle come accadimenti. Qualcosa è accaduto a me come a chi ha visto un ippogrifo, cosa? Il cosa lo definisce sempre parzialmente un significato che è il prodotto delle nostre esperienze, che non sono assolute e non sono né mie né tue.



Citazionerisulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni non dal confronto fra vari modi di pensare a prescindere dalla realtà (nel quale c' è tutto e il contrario di tutto e non vi è differenza di colore e tutto sembra "ugualmente nero": l' esserci di una passerella reale per non sfracellarsi e l' esserci di una passerella immaginaria per sfracellarsi; è solo nel confronto con la serratura reale che si può stabilire quali chiavi funzionano e quali no, non certo dal confronto delle chiavi fra loro a prescindere dalla serratura reale, che può essere interessante ma non é dirimente); bensì dal confronto fra i vari modi di pensare e la realtà.
Ma la serratura reale a cui ti riferisci non ce l'hai, perché nel momento in cui la conosci non può essere la serratura in sé e per sé proprio perché la conosci e la usi con un significato. La serratura che tu consideri reale in sé e per sé è qualcosa che ha il significato di essere una serratura reale in sé e per sé. Né la chiave né la serratura sono reali in sé, ma sono reali per noi, nel loro venirci a significare nei contesti in cui le viviamo.




CitazioneIl contesto che fa funzionare la chiave è il contesto reale (la serratura reale) e non il contesto culturale, ideale, pensato (il confronto di una chiave con l' altra): le chiavi vanno confrontate con la serratura reale e non fra loro per capire quali funzionano (fuor di metafora: le credenze vanno confrontate non fra loro -questo può essere interessante e utile, anche ai fini euristici, ma non é dirimente- ma con la realtà per capire quali siano vere).
Ma cos'è la serratura reale? E' forse reale perché la apre la chiave reale? E allora cos'è la chiave reale? quella che mi apre la serratura reale perbacco! Capisci il circolo vizioso del discorso che vieni a fare? Qual è la prima cosa reale in sé da cui partire?

CitazioneMa chi avrebbe mai avuto una simile pretesa autocontraddittoria, assurda???
Tu, quando affermi che ci sono cose reali in sé e che come tali le possiamo conoscere.
Tutto quello che la realtà manifesta è solo che qualcosa accade nel nulla di un puro accadere e accadendo è subito parte di noi (dove il noi ancora non c'è). Siamo noi stessi che cominciamo ad accadere nel nostro significato quando qualcosa sta accadendo nel suo significato che è sempre relativo al contesto in cui del tutto concretamente ci accade di vivere.

CitazioneOgni mondo reale e non ogni "contesto culturale più o meno condiviso"!
E di nuovo cos'è il mondo reale di per sé? Cosa rende reale il mondo se non significati ereditati da millenni e prodotto da miliardi di pratiche di conoscenza condivise che letteralmente producono ciò che siamo?


CitazioneNon confondiamo etica e ontologia, senso del dovere e conoscenza della realtà!

Il nostro modo di vivere non vale per tutti: e chi l' avrebbe mai preteso???
Alla base di ogni ontologia c'è sempre un modo di sentire etico, proprio come ogni etica nasce a partire da un'ontologia. Possiamo non confonderle, ma non possiamo non vedere quanto costantemente si implicano.

CitazioneMa non esiste affatto un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, non si può pretendere di conoscere (veracemente) inventandosi con la fantasia sfrenata "presunte realtà ad libitum", ma solo adeguando il proprio pensiero alla realtà effettivamente data, al "come stanno le cose in sé per tutti indipendentemente da qualsiasi eventuale contesto culturale".
Infatti, non ti sei ancora reso conto, nonostante continui a ripeterlo, che non sto dicendo affatto che ci sia un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, né c'è alcuna fantasia sfrenata nel conoscere. E questo vale per tutti, anzi ce ne è uno solo, proprio quello che ognuno vive, insieme agli altri come reale, con limitate varianti individuali che fanno la differenza tra l'uno e l'altro soggetto.



CitazioneNO!
La verità (per definizione) è adeguazione del pensiero alla realtà quale accade e accadrebbe comunque, anche indipendentemente dall' eventuale essere pure oggetto di pensiero, anche se non fosse pensata e conosciuta (salvo ovviamente, tautologicamente il fatto di essere inoltre anche pensata e conosciuta).
Accadrebbe comunque certo, ma cosa accade? Quello che accade ci accade nella forma in cui accade perché così si fa conoscere e il modo in cui si fa conoscere dipende dai soggetti che insieme la conoscono.

CitazioneSi può condividere insieme in un numero di illusi (credenti il falso) grande quanto si vuole l' abitudine  a credere che esistono gli ippogrifi o che la terra è piatta o al centro dell' universo, ma gli ippogrifi continuano a non esistere e la terra a non essere piatta e non al centro dell' universo.
Non è che prima di Copernico la terra fosse al centro dell' universo e dopo si è spostata in periferia!
No, la terra è sempre stata dove è, ma il suo significato è stato diverso. Che la terra non sia piatta e non ci sia un centro dell'universo sta nel nostro significato che diamo all'accadere del luogo in cui viviamo, esattamente come stava nel significato di chi viveva 4000 anni fa ed era convinto quanto noi che il suo significato fosse del tutto reale, proprio come noi e avrebbe ritenuto pazzesco quello che oggi noi sappiamo della terra.



CitazioneSe la passerella reale non c' è, allora per non precipitare occorre collocarsi nel modo teorico in cui (si sa che) non c' è e non in un mondo teorico qualsiasi, in cui magari (si pretende di sapere che) c' è: in questo modo ci si sfracella di sicuro!

Infatti per l' appunto Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura reale che richiede la sua chiave (proprio quella, e non qualsiasi chiave), perché nessuna chiave è giusta in sé, ma sono giuste non tutte le chiavi (non ogni chiave) ma solo quelle che lo sono (diversamente l' una dall' altra) e relativamente alle serrature reali (diverse l' una dall' altra).
E' quello che dico anch'io, solo che la passerella reale in sé o la chiave reale in sé non si può in alcun modo trovare, semplicemente perché siamo dentro alla realtà, dunque non si può vedere la realtà per come è. Tutto quello che si può fare e che dobbiamo fare è ascoltarci l'un l'altro per capire quali significati insieme possiamo dare a quello che ci accade. Ed è così che l'ontologia ritrova il suo fondamento etico, ed è così che ci si può confrontare su un forum anche avendo opinioni diversi sui fondamenti della realtà.

Come scrive Sini in "Inizio":« Capita allora che a noi filosofi, dal tempo di Talete consapevoli adepti del dio delle macchine e dei frantoi, continui a riservarsi il compito di invitare i nostri fratelli a quel lucido incantesimo cui accennava Nietzsche: la capacità di sognare più vero, la capacità di dirsi, sognando: vedi sto sognando
#326
Citazione di: maral il 02 Marzo 2017, 10:45:39 AM
Citazione di: Phil il 01 Marzo 2017, 22:21:33 PM
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla.
(corsivo mio) Quindi tutto inizia della zona blu, dal soggetto che si chiede cosa c'è oltre il suo blu e quindi si traccia una zona arancione.
Direi piuttosto che tutto inizia da un soggetto che comincia a sentire che tutto non inizia da lui e in tal modo "disconosce", ossia prende a decostruire ciò che conosce. Questo momento inaugura un sapere di non sapere che nasce certamente dal soggetto e lo riguarda, ma lo travalica (perché se non lo travalicasse di fatto si resterebbe sempre nel sapere di sapere e nelle illusioni ad esso implicite di un sapere progressivo).

CitazioneCredo che se accade non è nulla, e se è un nulla per la nostra conoscenza non possiamo predicare niente che lo riguardi positivamente (come accadere, originare, etc.). Ammenoché non si tratti di una congettura teoretica... Affermare che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLa linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade
è contraddittorio, poiché se è nulla per la coscienza, non può essere rappresentato da essa, nemmeno con un tentativo (poiché non si ha nulla per impostarlo...).
E' nulla per la nostra coscienza e tuttavia accade continuamente, come accade il sonno profondo, come accade il nostro respirare e il rispondere appropriato e inconsapevole del nostro corpo che sa rispondere e lo dimostra vivendo. E' la dimensione inconscia che racchiude ogni conoscenza pur apparendovi inclusa quando ce la rappresentiamo. E' la storia di miliardi di individui di cui non sapremo mai nulla, ma che hanno vissuto e vivendo determinato ciò che ora siamo. E' la meta del paradossale "diventare ciò che si è" di Nietzsche, è "il luogo ove non si è mai stati, ma a cui bisogna ritornare". E' forse, ancora più propriamente, quel Tao della sapienza orientale, che sfugge a ogni rappresentazione e di cui nulla si può dire se non in negativo  pur essendo sempre in positivo (2 e 1 nello stesso tempo). E' la matrice a cui non vi è accesso proprio perché ci siamo da sempre e sempre dentro, ne siamo sempre parte. Qualsiasi cosa io qui dica o tracci in figura può però solo evocarlo, non rappresentarlo e men che meno definirlo e solo ciò che si definisce può essere analizzato alla luce del principio di non contraddizione, non ciò che si evoca.

CitazioneQuando dici che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PM...
non personifichi forse il nulla (poiché il chiedere è attività umana) rischiando di non realizzare che la domanda non è posta dal nulla (che in quanto tale non chiede) ma dall'uomo?
Non sto personificando il nulla, piuttosto tento di annullare l'antropomorfismo che immagina l'uomo come autore originario di ogni domanda. L'uomo ha un linguaggio, ma la domanda precede quel linguaggio, il linguaggio riformula e ritraduce continuamente la domanda secondo una semantica e una sintassi tentando di rispondere a partire da un'immagine che introduce la domanda stessa, un'immagine che non è l'uomo a immaginare, ma che immagina l'uomo ed è proprio con la domanda che un essere umano comincia ad apparire. (sappiamo quanto questa immagine originaria e sfuggente abbia assunto nella storia umana una prima conformazione divina attraverso il mito, ma essa non abita nell'azzurro alto dei cieli - qui è un altro Dio che vi abita, un Dio che tutto conosce e tutto può- abita invece presso la vita sapiente delle rocce, degli animali e delle piante che sanno senza  conoscere)


Citazionegiocando poeticamente (ma non filosoficamente) sulla duplicità del "sapere", come "conoscere" ed "essere in grado": ma una pianta o un sasso non sanno esistere in nessuno dei due sensi, semplicemente esistono (forse  ;D ).
Non a caso, non è plausibile il contrario, ovvero che non sappiano esistere (quindi se non è sensato che un ente non sappia esistere, è insensato o ridondante sostenere che sappia esistere).
Ma siamo sicuri che giocare poeticamente non sia un modo più serio e profondo di giocare filosoficamente? Lo so, è questione di gusti, ma merita di rifletterci, non fosse altro perché proprio il gioco poetico (o artistico in genere) è quello che più ci porta nei pressi dell'immagine originaria che è la porta di una zona altrimenti inaccessibile, la soglia che si apre sul nulla che sa e questo lo sa fare l'arte (poetica e non solo) molto meglio della riflessione logica razionale.
Le piante e i sassi sanno esistere perfettamente, sanno come si fa ad esistere e lo dimostrano esistendo (dunque sapere esistere ed esistere non sono la stessa cosa, ma esistere è il mostrarsi del sapere esistere). L'essere umano, oltre a esistere e a sapere esistere, sa di esistere. Anche se in genere accade limitatamente e saltuariamente, poiché il sapere di esistere, pur facendo parte dell'esistenza, agisce contrapponendovisi per poter poi ritenere di saper dominare efficacemente l'esistenza. Per  esempio: noi sappiamo scendere le scale per lo più senza avere coscienza di come si muovono i piedi (sono i piedi che sanno scendere le scale e lo dimostrano scendendole), ma se vogliamo sapere di come i piedi scendono le scale, scendere le scale diventa molto più problematico, i piedi rischiano di inciampare, dobbiamo fermarci al pianerottolo per tentare di conoscere il movimento dei piedi. Per forza, il sapere di fare, spezza innanzitutto l'unità del saper fare per conoscere il collegamento tra il sapere e il fare.


CitazioneParimenti mi pare che il chiedere circolare (che coinvolge una zona solamente ipotizzata) ...
è ambiguamente incentrato sulla personificazione dell'esistenza del saper vivere. Tale personificazione pervasiva potrebbe essere sintomo dell'antropocentrismo del soggetto che, anche quando prova a porsi come semplice pezzo del puzzle, finisce inevitabilmente per deformare la  ricerca a sua immagine e somiglianza, confermando così sia che l'ipotetica zona arancione è inverificabile e inintelligibile (quindi potrebbe non esserci affatto), sia che il chiedere "cosa è accaduto?" è sempre un chiedersi (riflessivo, chiedere a se stessi), quindi il rischio di domande infondate o irrisolvibili fa parte del gioco umano del domandare.
Sì può essere, ma puoi provare a vederla all'opposto come un tentativo di decostruire l'antropocentrismo, condotto da un soggetto che si depersonifica a partire dalla sua persona e lo prova a fare non nei termini dei trucchi di un oggettivismo logico o scientifico che immaginano la possibilità di sguardi sovranamente oggettivi, ma in un avvicinarsi evocando quella immagine originaria che sta sulla soglia, come l'immagine viva di un sogno (che ci è giunto come non sognato da noi) che poi, appena desti subito svanisce lasciando solo qualche resto sempre più irriconoscibile che ci accompagna per un po'.
#327
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:51:27 PM
E' ben qui la contraddizione: se non esiste una realtà oggettiva con la quale "testare" le opinioni che si confrontano, non ha alcun senso confrontarle, poiché l' una vale l' altra del tutto indifferentemente (se una serratura si apre con qualsiasi chiave non ha alcun senso un confronto fra chiavi diverse; l' avrebbe invece solo se occorresse trovare quella o quelle che la aprono distinguendola da quelle che non servono all' uopo, anche se si può benissimo pensare -falsamente- che la aprano anch' esse).
Sgiombo, non c'è una realtà oggettiva assoluta con cui ci si possa confrontare, ma c'è una realtà oggettivamente condivisibile (fatta di prassi e dei modi di intendere il mondo che ne consegue) con la quale siamo tenuti per vivere a misurare le nostre chiavi diverse, individualmente soggettive. Dunque il confronto vale sempre e dal confronto risulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni. Il valore di verità è del tutto conservato in ciò che dico (e lo ripeto per l'ennesima volta) in quanto vale in modo dirimente in relazione al contesto in cui si usa quella chiave, è il contesto che fa funzionare una chiave anziché un'altra e rende percorribili alcune passerelle e non altre.
Noi esistiamo in questo mondo ove le immagini assumono valore di realtà in rapporto proprio al mondo in cui esistiamo e se non ci comportiamo di conseguenza sempre in questo mondo ci sfracelliamo. Ma non possiamo pretendere che la realtà che oggettivamente appare in questo mondo valga in assoluto per tutti i mondi del passato, presente e futuro diversi dal nostro. Ogni mondo condivide e ammette la sua verità e quindi la sua regola per conoscere, percorrerlo e viverci.
Tutto qui, ma se ci si rende conto di questo si compie un salto fondamentale in termini etici, proprio in quanto la si smette di ritenere che il nostro modo di vivere e di conoscere debba valere per tutti, perché è capace di rivelare (il nostro) come stanno e sono sempre state le cose in sé per tutti in ogni contesto culturale.
La verità è un'abitudine a fare significato condiviso insieme, un'abitudine condivisa che ci fa essere quello che siamo permettendoci di vivere conoscendo e regolandoci di conseguenza, ciascuno qui e ora e non in assoluto, non in sé, quindi ogni mondo presenta la sua verità in cui comunque occorre collocarsi per non precipitare.
Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura che richiede la sua chiave, perché nessuna chiave è giusta in sé, ma ogni chiave diversamente e relativamente a ogni serratura.
#328
Citazione di: Phil il 01 Marzo 2017, 22:21:33 PM
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla.
(corsivo mio) Quindi tutto inizia della zona blu, dal soggetto che si chiede cosa c'è oltre il suo blu e quindi si traccia una zona arancione.
Direi piuttosto che tutto inizia da un soggetto che comincia a sentire che tutto non inizia da lui e in tal modo "disconosce", ossia prende a decostruire ciò che conosce. Questo momento inaugura un sapere di non sapere che nasce certamente dal soggetto e lo riguarda, ma lo travalica (perché se non lo travalicasse di fatto si resterebbe sempre nel sapere di sapere e nelle illusioni ad esso implicite di un sapere progressivo).

CitazioneCredo che se accade non è nulla, e se è un nulla per la nostra conoscenza non possiamo predicare niente che lo riguardi positivamente (come accadere, originare, etc.). Ammenoché non si tratti di una congettura teoretica... Affermare che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLa linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade
è contraddittorio, poiché se è nulla per la coscienza, non può essere rappresentato da essa, nemmeno con un tentativo (poiché non si ha nulla per impostarlo...).
E' nulla per la nostra coscienza e tuttavia accade continuamente, come accade il sonno profondo, come accade il nostro respirare e il rispondere appropriato e inconsapevole del nostro corpo che sa rispondere e lo dimostra vivendo. E' la dimensione inconscia che racchiude ogni conoscenza pur apparendovi inclusa quando ce la rappresentiamo. E' la storia di miliardi di individui di cui non sapremo mai nulla, ma che hanno vissuto e vivendo determinato ciò che ora siamo. E' la meta del paradossale "diventare ciò che si è" di Nietzsche, è "il luogo ove non si è mai stati, ma a cui bisogna ritornare". E' forse, ancora più propriamente, quel Tao della sapienza orientale, che sfugge a ogni rappresentazione e di cui nulla si può dire se non in negativo  pur essendo sempre in positivo (2 e 1 nello stesso tempo). E' la matrice a cui non vi è accesso proprio perché ci siamo da sempre e sempre dentro, ne siamo sempre parte. Qualsiasi cosa io qui dica o tracci in figura può però solo evocarlo, non rappresentarlo e men che meno definirlo e solo ciò che si definisce può essere analizzato alla luce del principio di non contraddizione, non ciò che si evoca.

CitazioneQuando dici che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PM...
non personifichi forse il nulla (poiché il chiedere è attività umana) rischiando di non realizzare che la domanda non è posta dal nulla (che in quanto tale non chiede) ma dall'uomo?
Non sto personificando il nulla, piuttosto tento di annullare l'antropomorfismo che immagina l'uomo come autore originario di ogni domanda. L'uomo ha un linguaggio, ma la domanda precede quel linguaggio, il linguaggio riformula e ritraduce continuamente la domanda secondo una semantica e una sintassi tentando di rispondere a partire da un'immagine che introduce la domanda stessa, un'immagine che non è l'uomo a immaginare, ma che immagina l'uomo ed è proprio con la domanda che un essere umano comincia ad apparire. (sappiamo quanto questa immagine originaria e sfuggente abbia assunto nella storia umana una prima conformazione divina attraverso il mito, ma essa non abita nell'azzurro dei cieli - qui è un altro Dio che vi abita, un Dio che tutto conosce e tutto può- abita invece presso la vita sapiente di sassi, degli animali e delle piante che sanno senza  conoscere)


Citazionegiocando poeticamente (ma non filosoficamente) sulla duplicità del "sapere", come "conoscere" ed "essere in grado": ma una pianta o un sasso non sanno esistere in nessuno dei due sensi, semplicemente esistono (forse  ;D ).
Non a caso, non è plausibile il contrario, ovvero che non sappiano esistere (quindi se non è sensato che un ente non sappia esistere, è insensato o ridondante sostenere che sappia esistere).
Ma siamo sicuri che giocare poeticamente non sia un modo più serio e profondo di giocare filosoficamente? Lo so, è questione di gusti, ma merita di rifletterci, non fosse altro perché proprio il gioco poetico (o artistico in genere) è quello che più ci porta nei pressi dell'immagine originaria che è la porta di una zona altrimenti inaccessibile, la soglia che si apre sul nulla che sa e questo lo sa fare l'arte (poetica e non solo) molto meglio della riflessione logica razionale.
Le piante e i sassi sanno esistere perfettamente, sanno come si fa ad esistere e lo dimostrano esistendo (dunque sapere esistere ed esistere non sono la stessa cosa, ma esistere è il mostrarsi del sapere esistere). L'essere umano, oltre a esistere e a sapere esistere, sa di esistere. Anche se in genere accade limitatamente e saltuariamente, poiché il sapere di esistere, pur facendo parte dell'esistenza, agisce contrapponendovisi per poter poi ritenere di saper dominare efficacemente l'esistenza. Per  esempio: noi sappiamo scendere le scale per lo più senza avere coscienza di come si muovono i piedi (sono i piedi che sanno scendere le scale e lo dimostrano scendendole), ma se vogliamo sapere di come i piedi scendono le scale, scendere le scale diventa molto più problematico, i piedi rischiano di inciampare, dobbiamo fermarci al pianerottolo per tentare di conoscere il movimento dei piedi. Per forza, il sapere di fare, spezza innanzitutto l'unità del saper fare per conoscere il collegamento tra il sapere e il fare.


CitazioneParimenti mi pare che il chiedere circolare (che coinvolge una zona solamente ipotizzata) ...
è ambiguamente incentrato sulla personificazione dell'esistenza del saper vivere. Tale personificazione pervasiva potrebbe essere sintomo dell'antropocentrismo del soggetto che, anche quando prova a porsi come semplice pezzo del puzzle, finisce inevitabilmente per deformare la  ricerca a sua immagine e somiglianza, confermando così sia che l'ipotetica zona arancione è inverificabile e inintelligibile (quindi potrebbe non esserci affatto), sia che il chiedere "cosa è accaduto?" è sempre un chiedersi (riflessivo, chiedere a se stessi), quindi il rischio di domande infondate o irrisolvibili fa parte del gioco umano del domandare.
Sì può essere, ma puoi provare a vederla all'opposto come un tentativo di decostruire l'antropocentrismo, condotto da un soggetto che si depersonifica a partire dalla sua persona e lo prova a fare non nei termini dei trucchi di un oggettivismo logico o scientifico che immaginano la possibilità di sguardi sovranamente oggettivi, ma in un avvicinarsi evocando quella immagine originaria che sta sulla soglia, come l'immagine viva di un sogno (che ci è giunto come non sognato da noi) che poi, appena desti subito svanisce lasciando solo qualche resto sempre più irriconoscibile che ci accompagna per un po'.
#329
Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2017, 18:13:30 PM
"Mettendomi nei tuoi panni" mi domando:
Che senso ha discutere con me (e con chiunque altro) se é il contesto in cui ciascuno vive (e non la realtà oggettiva alla quale i pensieri e le credenze, per essere veri, devono adeguarsi) che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no? Se sono i contesti che danno a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé" per come oggettivamente sono in realtà?
Ma il contesto è costituito proprio da ciò che ognuno fa con gli altri. Ciò che mi appare reale è in ragione di un essere sempre insieme agli altri che mi corrispondono e mi si oppongono (come qui tu Sgiombo, che sei, insieme a ogni altro qui, con il tuo modo di vedere le cose parte fattivo di quel contesto che determina il significato delle cose anche per me), non è quello che penso io o che pensi tu che stabilisce il colore delle vacche, è ciò che ci collega insieme mentre ne parliamo. E' esattamente il contrario di una visione solipsistica centrata sull'ego da solo pensante e svincolato dai pensieri e dalle immaginazioni altrui. Il fatto poi che ogni contesto produce una verità condivisa mai definitiva, ma sempre in cammino poiché la realtà sempre ci sopravanza, è la chiara negazione che possa esservi un contesto assoluto, contesto di tutti i contesti, o meglio è l'affermazione che esso, se pure c'è, rimane del tutto inaccessibile, proprio come il nulla assoluto che introduce questa discussione.
CitazioneQuel tale che cercò di percorrere una passerella immaginaria e si ritrovò sfracellato al suolo aveva nel suo contesto allucinatorio o immaginario una passerella col significato, più o meno condiviso, di essere reale.
...Peccato che, alla faccia del contesto e del significato che in esso vi si attribuiva in maniera più o meno condivisa, la passerella non fosse reale e il malcapitato si sfracellasse al suolo!
E' vero Sgiombo, ma quel tale è ciascuno di noi, perché ogni passerella interpretata fuori dal contesto che la rende reale si dimostra poi sempre, nelle sue conseguenze, un'allucinazione. E questo non è pura una metafora, anche se a leggerlo come metafora è più facile da condividere.
#330
Citazione di: Phil il 01 Marzo 2017, 16:09:02 PM
@maral
Quando la filosofia usa immagini esplicative, la trovo sempre molto intrigante... per questo, pur non avendo avuto modo di seguire la discussione sovrastante, chiedo delucidazioni sullo schema:

- se ho ben capito, la zona sfumata è quella in cui si arresta lo scettico (che mette in dubbio l'esistenza della zona arancione e della linea gialla); lo schema stesso presuppone tuttavia che la zona arancione sia attingibile, e per questo raffigurabile nello schema, contraddicendo l'ipotesi secondo cui il soggetto ragiona e conosce solo all'interno della zona blu... il filo giallo è dunque un'ipotesi teoretica o lo prendiamo come assioma anapodittico (innescando tutti i problemi tipici del noumeno e suoi simili)?
Detto altrimenti, se la linea gialla "corrisponde al continuo accadere di nulla"(cit.) poiché è la "linea dell'esistenza che non possiamo vedere come tale"(cit.) come possiamo parlarne e ragionarci?
Lo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla. La linea gialla in realtà non appare (per questo è punteggiata), è solo un modo di rappresentare che qualcosa continuamente accade: quel nulla che continuamente accade assumendo la forma informe di qualcosa e si traduce in un'immagine originaria in cui quel qualcosa comincia a prendere forma come qualcosa che è accaduto e pone la domanda che chiede di conoscere: "cosa è accaduto?". La linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade e che chiede di essere conosciuto attraverso la domanda che genera accadendo. E' la vita che continuamente ci anima (poiché sa vivere) e di cui non siamo coscienti, è il nostro essere qui vivendo, respirando senza sapere di respirare, sapendo vivere per il fatto stesso che si vive, mentre il nostro cuore pulsa senza sapere di pulsare.

Citazione- in che senso "l'esistenza sa in quanto esiste, ma non sa di sapere" (cit.)? Il sapere è proprio dell'uomo, ma non dell'esistenza, che è una condizione e in quanto tale, non pensa (così come l'accadere non filosofeggia, etc.)
Nel senso appunto che sa esistere anche se non sa di esistere. L'uomo, in quanto essere cosciente che parla, è l'unico ente che oltre a sapere esistere (come sa esistere una pianta, un insetto, un lombrico, ma anche una roccia o una montagna) incontra il sapere di esistere, incontra cioè la zona blu e l'incontro è assai problematico, è la matrice di ogni problema.

Citazione- c'è una freccia che va da "immagine" a "soggetto"; è possibile per un'immagine avere senso per un soggetto senza che essa sia prima "oggetto"? Come può l'immagine "polarizzarsi" nel soggetto (vs oggetto) se il soggetto preesiste all'immagine (l'uomo che vede l'ippogrifo precede crono-logicamente l'immagine dell'ippogrifo) e se il soggetto può cogliere intelligibilmente solo oggetti (e non immagini)?
L'immagine originaria (originaria in quanto è all'alba di ciò che si comincia a conoscere e non è da intendersi come immagine solo visiva) indica il crearsi di una separazione, di una distanza tra il sapere e il vivere, soggetto e oggetto non sono che gli estremi di questa distanza che, pur separati, si mantengono tra loro in relazione per cui non vi può essere l'uno senza l'altro, né l'uno prima dell'altro. Il soggetto (io come essere umano che dico queste cose) non precedo ciò che vedo, ma nasco insieme a ciò che vedo e sento nell'immagine. Solo una volta che il soggetto è confermato dal contesto e acquista persistenza in relazione agli oggetti del mondo che conosce può volgersi alle sue immagini credendo di esserne l'autore, mentre ne è stato il prodotto. Quella consistenza reale del mondo e di un io nel mondo a cui fa riferimento Sgiombo è quindi solo il risultato del processo cognitivo che si sviluppa tutto nella zona blu, ma che continuamente partecipa della zona arancione dell'esistenza che non conosce, ma solo vive, esiste.

Ci sono due frecce in basso e in alto nel disegno che vanno dalla zona arancione alla zona blu e viceversa, esse rappresentano il fatto che in realtà le due zone partecipano dello stesso cammino, sono reciprocamente una nell'altra e l'una tende continuamente a essere compresa nell'altra (essere parte dell'altra), poiché mentre il saper vivere (l'esistenza) chiede, attraverso le immagini che produce di sapere di vivere vivendo, il sapere di vivere chiede di sapervivere (così, tutto attaccato), ossia, semplicemente, chiede continuamente di vivere.